MCCLXXXIX

MCCLXXXIXAnno diCristomcclxxxix. Indiz.II.Niccolò IVpapa 2.Ridolfore de' Romani 17.Fu accolto con dimostrazioni grandi d'onore e d'amoreCarlo IIre di Napoli, appellatoZoppo, oppureSciancato(perchè difettoso in un'anca o gamba), già liberato dalle carceri di Catalogna, daFilippo il Bello, re di Francia, e dagli altri principi della casa reale. Ma quando si venne a far premura perchèCarlo di Valois, fratello d'esso Filippo, rinunziasse al privilegio dell'Aragona, a lui conceduto dal papa, non si trovò mai conclusione alcuna. Carlo di Valois, che non possedeva Stati, mirava quel boccone, benchè difficile a prendersi, con troppa avidità. Però il re Carlo, perduta la speranza di ottener lo intento, sen venne in Italia. Nel dì 2 di maggio arrivò a Firenze[Giovanni Villani, lib. 7, cap. 29.]. Onor grande e grandi regali gli furono fatti dai Fiorentini. Passò dipoi a Rieti, dove era la corte pontificia, e dal ponteficeNiccolò IVe da' suoi cardinali onorevolmente ricevuto; poi nella festa della Pentecoste, cioè nel dì 29 di maggio, e non già in Roma, come scrive Giovanni Villani, ma nella stessa città di Rieti, come ha l'autoredella Cronica di Reggio[Memorial. Potestat. Regiens., tom. 8 Rer. Italic.], che vi era presente, fu solennemente coronato collaregina Mariasua moglie dal papa in re della Sicilia, Puglia e Gerusalemme, ed investito di quanto avea posseduto il re Carlo I suo padre, per cui anch'egli fece l'omaggio e il dovuto giuramento alla Chiesa romana[Raynaldus, in Annal. Eccles.]. In suo favore ancora cassò il pontefice tutti i patti e le convenzioni da lui fatte conAlfonso redi Aragona, per uscire di carcere: con cattivo esempio ai posteri di non fidarsi più di simili atti; al che poi non badòCarlo Vimperadore nella liberazione diFrancesco Ire di Francia. Dopo di che, ben regalato dal papa esso Carlo II si trasferì a Napoli, dove fu con indicibil festa accolto, perchè principe di buon cuore, clemente e liberale, e non erede del genio rigido e superbo del padre. Da lì innanzi egli attese a riformar gli abusi, e a ben regolare il nuovo suo governo, e insieme a difendersi daGiacomo redi Sicilia, il quale, veggendosi escluso dalla capitolazione fatta dal reAlfonsosuo fratello, cominciò a far guerra al re Carlo. Venuto dunque a Reggio in Calabria, nel dì 15 di maggio, colla sua armata navale, comandata daRuggieri di Loria, prese varie terre di quella provincia; ma, accorso il conte d'Artois colle sue genti, mise freno alle conquiste de' Siciliani ed Aragonesi, minutamente descritte da Bartolommeo da Neocastro[Bartholom. de Neocastro, cap. 112, tom. 13 Rer. Ital.]. Scrive Giovanni Villani[Giovanni Villani, lib. 7, cap. 133.]che esso conte assediò Catanzaro, e sconfisse il soccorso inviato da Ruggieri di Loria, con far prigioni ducento cavalieri Catalani. Imbarcatosi di nuovo il re Giacomo, visitò la Scalea, il castello dell'Abbate, e le isole di Capri, Procida ed Ischia, che ubbidivano alla sua corona; e perciocchè da alcuni della città di Gaeta gli era stata data speranza che, s'egli fosse venuto, gli avrebbono aperte le porte, fece velacolà, e andò ad accamparsi sotto la città[Nicol. Specialis, lib. 2, cap. 13, tom. 10 Rer. Ital.]. Ma, o s'erano cangiati gli animi de' Gaetani, oppure mancò lor la maniera di compiere quanto aveano promesso. Ostinossi allora il re Giacomo a voler colla forza ciò che non potea conseguir per amore; e vigorosamente assediò e cominciò a tormentar la città, dove trovò una gagliarda difesa fatta dal conte d'Avellino e da que' cittadini. Peggio gli avvenne fra pochi giorni; perciocchè il re Carlo e il conte d'Artois con immenso esercito raccolto dalla Puglia e dagli Stati della Chiesa, e coi Saraceni di Nocera, venne ad assediare lo stesso assediator di Gaeta. Erano crocesignati tutti i combattenti cristiani di quell'esercito, e guadagnavano di grandi indulgenze; giacchè, siccome abbiam più volte accennato, secondo la condizion delle cose umane, molte delle quali nate con lodevoli principii, vanno col tempo degenerando, un pezzo era che le crociate, istituite contro i nemici del nome cristiano, facilmente si bandivano contra degli stessi cristiani e cattolici, e per interessi temporali; e a questo bel mestiere concorrevano fin le donne, per acquistarsi del merito in paradiso. Stettero un pezzo le due armate a vista, senza che potessero i Siciliani espugnar quella città, ed il re Carlo forzare a battaglia i Siciliani per cagion della situazione e de' buoni trincieramenti, e tanto più perchè non avea flotta in mare. A lungo andar nondimeno pareva che sarebbe restato al di sotto il re Giacomo, se il re d'Inghilterra e il re di Aragona, intesa questa pericolosa briga, non avessero spedito in tutta fretta i lor messi al papa, pregandolo d'interporsi unitamente con loro per un accordo. Inviò il pontefice con essi un cardinale legato, e tutti poi così felicemente maneggiarono l'affare, che si conchiuse fra i due re litiganti una tregua di due anni, esclusa nondimeno la Calabria. Fu il primo a ritirarsi il re Carlo; da lì a duegiorni s'imbarcò parimente il re Giacomo, e nel dì 30 d'agosto arrivò a Messina. Tanto dispiacque al conte d'Artois e agli altri baroni franzesi la tregua suddetta, che, dopo aver biasimato forte il re Carlo, se ne tornarono sdegnati in Francia. Il Rinaldi negli Annali Ecclesiastici mette questo fatto sotto l'anno seguente ma, a mio credere, non battono bene i suoi conti.Fecero i Fiorentini nel presente anno risonar la fama della lor bravura e fortuna per un gran fatto d'armi fra loro e gli Aretini ed altri Ghibellini. Erano essi Fiorentini[Giovanni Villani, lib. 7, cap. 130. Ptolom. Lucens., Annales brev., tom. 11 Rer. Ital.]usciti in campagna con un potente esercito, accresciuto dalle taglie dell'altre città guelfe di Toscana, per dare il guasto al territorio d'Arezzo[Dino Compagni, Chron., tom. 9 Rer. Ital.]. Vennero a Bibiena, per fermar questo torrente, gli Aretini con ottocento cavalli e otto mila pedoni; e tuttochè la armata nemica fosse più del doppio superiore alla loro, pure dispregiandola, perchè dal loro canto aveano migliori capitani di guerra, vollero venire ad una giornata campale nel dì 11 di giugno, festa di san Barnaba. Se n'ebbero a pentire, perchè andarono sconfitti, lasciando estinte sul campo circa mille settecento persone, e prigioni più di mille de' lor combattenti. Fra i morti si contò il vescovo d'ArezzoGuglielmodegli Ubertini, fatto venire alla battaglia dagli Aretini stessi, per sospetto di un trattato ch'egli segretamente menava co' Fiorentini in danno del comune d'Arezzo. Morivvi ancoraBuoncontefigliuolo delconte Guidoda Montefeltro con altri riguardevoli personaggi. Presero poscia i Fiorentini Bibiena ed altre terre; e, posto l'assedio ad Arezzo, vi manganarono dentro asini colla mitra in capo, per rimproverar loro la morte del loro vescovo. Ma infine, avendo gli Aretini messo il fuoco alle torri di legname ed altre macchine da guerra dei Fiorentini, preseroquesti la risoluzione di tornarsene a casa nel dì 23 di luglio, dopo aver disfatto quasi tutto il distretto d'Arezzo. Ancorchè i Pavesi fossero in lega coi Milanesi ed altre città contra diBonifazio marchesedi Monferrato[Chron. Astense, tom. 11 Rer. Italic. Gualvaneus Flamma, Manipol. Flor., cap. 328. Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital.], pure seppe far tanto l'accorto marchese, che tirò segretamente nel suo partito molti di que' nobili. Fatto dipoi un esercito generale contra di Pavia, prese una terra grossa chiamata Rosaiano. Allora uscì contra di lui tutta la milizia di Pavia; ma o fosse perchè trovassero assai pericoloso il venire a battaglia, oppure che prendessero i congiurati il tempo propizio; un certo Capellino Zembaldo, alzata sopra una lancia una bandiera, ch'egli avea preparata, cominciò a gridare:Qua venga chi vuol pace. L'unione fu grande; il marchese entrò con essi in Pavia, e nel dì seguente fu creato capitano della città per dieci anni avvenire. Tutto ciò s'ha da Guglielmo Ventura nella Cronica d'Asti, il quale aggiugne che, essendosi fatto tutto questo maneggio senza saputa, anzi ad onta di Manfredino da Beccheria, uno de' più potenti di quella città, indispettito egli, per confondere gli emuli suoi, volle in un altro consiglio che il marchese fosse capitano e signore assoluto, sua vita natural durante. Ma finì presto l'allegrezza di queste nozze. Poco stettero i Pavesi a pentirsi dello strafalcione da loro commesso, non sapendo accomodare la lor testa sotto un padrone sì fatto; e però chiamarono segretamente i Milanesi, i quali entrarono nella stessa Pavia per lo spazio di due balestrate; ma, accorse le milizie del marchese co' suoi aderenti, li fecero retrocedere, e tornarsene con le pive nel sacco a casa. Manfredi da Beccheria, perchè a cagion di questo fatto insorsero dei sospetti contra di lui, uscì della città con alquanti suoi fidati, e si ridusse e Castello Acuto, che era suo, e quivi si fortificò.Fu egli per questo sbandito, ed atterrato il suo palagio. Venne anche il marchese ad assediarlo in quel castello, e vi fabbricò in vicinanza un bastia. Ma i Milanesi, Cremonesi, Piacentini e Bresciani, in un parlamento tenuto in Cremona, impresero la difesa del Beccheria, siccome popoli, ai quali dava troppo da pensare e da temere il soverchio ingrandimento del marchese, signore allora anche di Vercelli, Alessandria e Tortona. Infatti i Piacentini con tutte le lor forze iti a Monte Acuto, misero in rotta i Pavesi, e liberarono quel luogo. Racconta il Corio[Corio, Istor. di Milano.]molte altre particolarità spettanti a questa mutazion di Pavia, ed ai movimenti de' Milanesi contra del suddetto marchese.Nuove scene di discordia nell'anno presente si videro in Reggio[Chron. Parmense, tom. 9 Rerum Ital.]. Nel dì 7 di agosto il popolo si levò a rumore contra de' nobili e potenti, e, presine assaissimi, li mise nelle carceri. Corsero colà i Parmigiani colla lor cavalleria, e, fattasi dare la signoria della città, condussero a Parma tutti que' prigioni. Poscia, chiamati alla lor città i podestà e gli ambasciatori di Bologna e Cremona, nel dì primo di ottobre conchiusero pace fra i nobili ed il popolo di Reggio, e in confermazione d'essa rilasciarono il dì seguente i carcerati. Ma questa fu una pace canina[Memor. Potest. Regiens., tom. 8 Rer. Ital.]. Nel dì 17 di novembre vennero di nuovo all'armi i Reggiani, e le due fazioni di Sopra e di Sotto fecero lungo combattimento fra loro, finchè verso la mezza notte, prevalendo la Soprana, spinse fuori della città la Sottana, la quale si ridusse a Castellarano e Rubiera. Seguirono nella prima, e più nella seconda molti ammazzamenti e incendii, e dirupamenti di case, e furono involti in questa disavventura anche i palazzi del pubblico e del vescovo. Qual riparo si trovasse a così bestiali e perniciose divisioni lo vedremo all'anno seguente. MentreObizzomarchesed'Este e signor di Ferrara[Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.]si andava disponendo per venire alla nuovamente acquistata città di Modena, un giorno, nel levarsi da tavola, se gli avventò Lamberto figliuolo di Niccolò dei Bacilieri, nobile bolognese, per ucciderlo, e il ferì nel volto. Corsero i cortigiani presenti, e gl'impedirono il far di peggio; corseAzzofigliuolo del marchese, che teneva corte a parte, pranzando in una sala vicina, ed erano per uccidere l'assassino, se il marchese non avesse gridato di no, per intendere prima i motori e complici del misfatto. Posto costui nei tormenti, si trovò che era un forsennato, e strascinato dipoi per la città, lasciò la vita sulle forche. Ciò non ostante, nel mese di gennaio venne il marchese Obizzo a Modena, accolto con festa immensa dal popolo, che solennemente il dichiarò e confermò suo signore perpetuo insieme co' suoi discendenti. Ed egli poi con amore paterno ridusse in città tutti i fuorusciti: con che, cessate tutte le gare e gli odii civili, cominciò una volta questo popolo a godere la sospirata tranquillità e pace. Essendo già rimasto vedovo il suddetto marchese Obizzo per la morte diJacopina dal Fiesconell'anno 1287, prese egli per moglie nel presenteCostanza, figliuola diAlberto dalla Scalasignore di Verona, che nel mese di luglio fu condotta a Ferrara, e si celebrarono le nozze con gran festa e solennità. Seguitando la guerra fra la repubblica veneta[Continuator Dandoli, tom. 12 Rer. Italic. Annales Estenses, tom. 15 Rer. Ital.]eRaimondo dalla Torrepatriarca di Aquileia, andarono i Veneziani all'assedio di Trieste. Ma, all'avviso ch'esso patriarca e il conte di Gorizia venivano con sei mila cavalli e trenta mila fanti per soccorrere la città, i Veneziani, senza voler aspettar questa visita, a gara si misero in fuga, lasciando indietro padiglioni, macchine ed equipaggio; e molti ancora vi restarono per la pressa morti. Usciti poscia i Triestini colle lor navi, vennerofino a Caproli e a Malamocco, e v'incendiarono que' luoghi. Per la morte diGiovanni Dandolodoge di Venezia, accaduta nell'anno presente, fu nei dì 25 di novembre eletto per suo successore in quella dignità Pietro Gradenigo, che era in questi tempi podestà di Capo di Istria, e fu mandato a prendere con cinque galee e un vascello ben armato.

Fu accolto con dimostrazioni grandi d'onore e d'amoreCarlo IIre di Napoli, appellatoZoppo, oppureSciancato(perchè difettoso in un'anca o gamba), già liberato dalle carceri di Catalogna, daFilippo il Bello, re di Francia, e dagli altri principi della casa reale. Ma quando si venne a far premura perchèCarlo di Valois, fratello d'esso Filippo, rinunziasse al privilegio dell'Aragona, a lui conceduto dal papa, non si trovò mai conclusione alcuna. Carlo di Valois, che non possedeva Stati, mirava quel boccone, benchè difficile a prendersi, con troppa avidità. Però il re Carlo, perduta la speranza di ottener lo intento, sen venne in Italia. Nel dì 2 di maggio arrivò a Firenze[Giovanni Villani, lib. 7, cap. 29.]. Onor grande e grandi regali gli furono fatti dai Fiorentini. Passò dipoi a Rieti, dove era la corte pontificia, e dal ponteficeNiccolò IVe da' suoi cardinali onorevolmente ricevuto; poi nella festa della Pentecoste, cioè nel dì 29 di maggio, e non già in Roma, come scrive Giovanni Villani, ma nella stessa città di Rieti, come ha l'autoredella Cronica di Reggio[Memorial. Potestat. Regiens., tom. 8 Rer. Italic.], che vi era presente, fu solennemente coronato collaregina Mariasua moglie dal papa in re della Sicilia, Puglia e Gerusalemme, ed investito di quanto avea posseduto il re Carlo I suo padre, per cui anch'egli fece l'omaggio e il dovuto giuramento alla Chiesa romana[Raynaldus, in Annal. Eccles.]. In suo favore ancora cassò il pontefice tutti i patti e le convenzioni da lui fatte conAlfonso redi Aragona, per uscire di carcere: con cattivo esempio ai posteri di non fidarsi più di simili atti; al che poi non badòCarlo Vimperadore nella liberazione diFrancesco Ire di Francia. Dopo di che, ben regalato dal papa esso Carlo II si trasferì a Napoli, dove fu con indicibil festa accolto, perchè principe di buon cuore, clemente e liberale, e non erede del genio rigido e superbo del padre. Da lì innanzi egli attese a riformar gli abusi, e a ben regolare il nuovo suo governo, e insieme a difendersi daGiacomo redi Sicilia, il quale, veggendosi escluso dalla capitolazione fatta dal reAlfonsosuo fratello, cominciò a far guerra al re Carlo. Venuto dunque a Reggio in Calabria, nel dì 15 di maggio, colla sua armata navale, comandata daRuggieri di Loria, prese varie terre di quella provincia; ma, accorso il conte d'Artois colle sue genti, mise freno alle conquiste de' Siciliani ed Aragonesi, minutamente descritte da Bartolommeo da Neocastro[Bartholom. de Neocastro, cap. 112, tom. 13 Rer. Ital.]. Scrive Giovanni Villani[Giovanni Villani, lib. 7, cap. 133.]che esso conte assediò Catanzaro, e sconfisse il soccorso inviato da Ruggieri di Loria, con far prigioni ducento cavalieri Catalani. Imbarcatosi di nuovo il re Giacomo, visitò la Scalea, il castello dell'Abbate, e le isole di Capri, Procida ed Ischia, che ubbidivano alla sua corona; e perciocchè da alcuni della città di Gaeta gli era stata data speranza che, s'egli fosse venuto, gli avrebbono aperte le porte, fece velacolà, e andò ad accamparsi sotto la città[Nicol. Specialis, lib. 2, cap. 13, tom. 10 Rer. Ital.]. Ma, o s'erano cangiati gli animi de' Gaetani, oppure mancò lor la maniera di compiere quanto aveano promesso. Ostinossi allora il re Giacomo a voler colla forza ciò che non potea conseguir per amore; e vigorosamente assediò e cominciò a tormentar la città, dove trovò una gagliarda difesa fatta dal conte d'Avellino e da que' cittadini. Peggio gli avvenne fra pochi giorni; perciocchè il re Carlo e il conte d'Artois con immenso esercito raccolto dalla Puglia e dagli Stati della Chiesa, e coi Saraceni di Nocera, venne ad assediare lo stesso assediator di Gaeta. Erano crocesignati tutti i combattenti cristiani di quell'esercito, e guadagnavano di grandi indulgenze; giacchè, siccome abbiam più volte accennato, secondo la condizion delle cose umane, molte delle quali nate con lodevoli principii, vanno col tempo degenerando, un pezzo era che le crociate, istituite contro i nemici del nome cristiano, facilmente si bandivano contra degli stessi cristiani e cattolici, e per interessi temporali; e a questo bel mestiere concorrevano fin le donne, per acquistarsi del merito in paradiso. Stettero un pezzo le due armate a vista, senza che potessero i Siciliani espugnar quella città, ed il re Carlo forzare a battaglia i Siciliani per cagion della situazione e de' buoni trincieramenti, e tanto più perchè non avea flotta in mare. A lungo andar nondimeno pareva che sarebbe restato al di sotto il re Giacomo, se il re d'Inghilterra e il re di Aragona, intesa questa pericolosa briga, non avessero spedito in tutta fretta i lor messi al papa, pregandolo d'interporsi unitamente con loro per un accordo. Inviò il pontefice con essi un cardinale legato, e tutti poi così felicemente maneggiarono l'affare, che si conchiuse fra i due re litiganti una tregua di due anni, esclusa nondimeno la Calabria. Fu il primo a ritirarsi il re Carlo; da lì a duegiorni s'imbarcò parimente il re Giacomo, e nel dì 30 d'agosto arrivò a Messina. Tanto dispiacque al conte d'Artois e agli altri baroni franzesi la tregua suddetta, che, dopo aver biasimato forte il re Carlo, se ne tornarono sdegnati in Francia. Il Rinaldi negli Annali Ecclesiastici mette questo fatto sotto l'anno seguente ma, a mio credere, non battono bene i suoi conti.

Fecero i Fiorentini nel presente anno risonar la fama della lor bravura e fortuna per un gran fatto d'armi fra loro e gli Aretini ed altri Ghibellini. Erano essi Fiorentini[Giovanni Villani, lib. 7, cap. 130. Ptolom. Lucens., Annales brev., tom. 11 Rer. Ital.]usciti in campagna con un potente esercito, accresciuto dalle taglie dell'altre città guelfe di Toscana, per dare il guasto al territorio d'Arezzo[Dino Compagni, Chron., tom. 9 Rer. Ital.]. Vennero a Bibiena, per fermar questo torrente, gli Aretini con ottocento cavalli e otto mila pedoni; e tuttochè la armata nemica fosse più del doppio superiore alla loro, pure dispregiandola, perchè dal loro canto aveano migliori capitani di guerra, vollero venire ad una giornata campale nel dì 11 di giugno, festa di san Barnaba. Se n'ebbero a pentire, perchè andarono sconfitti, lasciando estinte sul campo circa mille settecento persone, e prigioni più di mille de' lor combattenti. Fra i morti si contò il vescovo d'ArezzoGuglielmodegli Ubertini, fatto venire alla battaglia dagli Aretini stessi, per sospetto di un trattato ch'egli segretamente menava co' Fiorentini in danno del comune d'Arezzo. Morivvi ancoraBuoncontefigliuolo delconte Guidoda Montefeltro con altri riguardevoli personaggi. Presero poscia i Fiorentini Bibiena ed altre terre; e, posto l'assedio ad Arezzo, vi manganarono dentro asini colla mitra in capo, per rimproverar loro la morte del loro vescovo. Ma infine, avendo gli Aretini messo il fuoco alle torri di legname ed altre macchine da guerra dei Fiorentini, preseroquesti la risoluzione di tornarsene a casa nel dì 23 di luglio, dopo aver disfatto quasi tutto il distretto d'Arezzo. Ancorchè i Pavesi fossero in lega coi Milanesi ed altre città contra diBonifazio marchesedi Monferrato[Chron. Astense, tom. 11 Rer. Italic. Gualvaneus Flamma, Manipol. Flor., cap. 328. Chron. Parmense, tom. 9 Rer. Ital.], pure seppe far tanto l'accorto marchese, che tirò segretamente nel suo partito molti di que' nobili. Fatto dipoi un esercito generale contra di Pavia, prese una terra grossa chiamata Rosaiano. Allora uscì contra di lui tutta la milizia di Pavia; ma o fosse perchè trovassero assai pericoloso il venire a battaglia, oppure che prendessero i congiurati il tempo propizio; un certo Capellino Zembaldo, alzata sopra una lancia una bandiera, ch'egli avea preparata, cominciò a gridare:Qua venga chi vuol pace. L'unione fu grande; il marchese entrò con essi in Pavia, e nel dì seguente fu creato capitano della città per dieci anni avvenire. Tutto ciò s'ha da Guglielmo Ventura nella Cronica d'Asti, il quale aggiugne che, essendosi fatto tutto questo maneggio senza saputa, anzi ad onta di Manfredino da Beccheria, uno de' più potenti di quella città, indispettito egli, per confondere gli emuli suoi, volle in un altro consiglio che il marchese fosse capitano e signore assoluto, sua vita natural durante. Ma finì presto l'allegrezza di queste nozze. Poco stettero i Pavesi a pentirsi dello strafalcione da loro commesso, non sapendo accomodare la lor testa sotto un padrone sì fatto; e però chiamarono segretamente i Milanesi, i quali entrarono nella stessa Pavia per lo spazio di due balestrate; ma, accorse le milizie del marchese co' suoi aderenti, li fecero retrocedere, e tornarsene con le pive nel sacco a casa. Manfredi da Beccheria, perchè a cagion di questo fatto insorsero dei sospetti contra di lui, uscì della città con alquanti suoi fidati, e si ridusse e Castello Acuto, che era suo, e quivi si fortificò.Fu egli per questo sbandito, ed atterrato il suo palagio. Venne anche il marchese ad assediarlo in quel castello, e vi fabbricò in vicinanza un bastia. Ma i Milanesi, Cremonesi, Piacentini e Bresciani, in un parlamento tenuto in Cremona, impresero la difesa del Beccheria, siccome popoli, ai quali dava troppo da pensare e da temere il soverchio ingrandimento del marchese, signore allora anche di Vercelli, Alessandria e Tortona. Infatti i Piacentini con tutte le lor forze iti a Monte Acuto, misero in rotta i Pavesi, e liberarono quel luogo. Racconta il Corio[Corio, Istor. di Milano.]molte altre particolarità spettanti a questa mutazion di Pavia, ed ai movimenti de' Milanesi contra del suddetto marchese.

Nuove scene di discordia nell'anno presente si videro in Reggio[Chron. Parmense, tom. 9 Rerum Ital.]. Nel dì 7 di agosto il popolo si levò a rumore contra de' nobili e potenti, e, presine assaissimi, li mise nelle carceri. Corsero colà i Parmigiani colla lor cavalleria, e, fattasi dare la signoria della città, condussero a Parma tutti que' prigioni. Poscia, chiamati alla lor città i podestà e gli ambasciatori di Bologna e Cremona, nel dì primo di ottobre conchiusero pace fra i nobili ed il popolo di Reggio, e in confermazione d'essa rilasciarono il dì seguente i carcerati. Ma questa fu una pace canina[Memor. Potest. Regiens., tom. 8 Rer. Ital.]. Nel dì 17 di novembre vennero di nuovo all'armi i Reggiani, e le due fazioni di Sopra e di Sotto fecero lungo combattimento fra loro, finchè verso la mezza notte, prevalendo la Soprana, spinse fuori della città la Sottana, la quale si ridusse a Castellarano e Rubiera. Seguirono nella prima, e più nella seconda molti ammazzamenti e incendii, e dirupamenti di case, e furono involti in questa disavventura anche i palazzi del pubblico e del vescovo. Qual riparo si trovasse a così bestiali e perniciose divisioni lo vedremo all'anno seguente. MentreObizzomarchesed'Este e signor di Ferrara[Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.]si andava disponendo per venire alla nuovamente acquistata città di Modena, un giorno, nel levarsi da tavola, se gli avventò Lamberto figliuolo di Niccolò dei Bacilieri, nobile bolognese, per ucciderlo, e il ferì nel volto. Corsero i cortigiani presenti, e gl'impedirono il far di peggio; corseAzzofigliuolo del marchese, che teneva corte a parte, pranzando in una sala vicina, ed erano per uccidere l'assassino, se il marchese non avesse gridato di no, per intendere prima i motori e complici del misfatto. Posto costui nei tormenti, si trovò che era un forsennato, e strascinato dipoi per la città, lasciò la vita sulle forche. Ciò non ostante, nel mese di gennaio venne il marchese Obizzo a Modena, accolto con festa immensa dal popolo, che solennemente il dichiarò e confermò suo signore perpetuo insieme co' suoi discendenti. Ed egli poi con amore paterno ridusse in città tutti i fuorusciti: con che, cessate tutte le gare e gli odii civili, cominciò una volta questo popolo a godere la sospirata tranquillità e pace. Essendo già rimasto vedovo il suddetto marchese Obizzo per la morte diJacopina dal Fiesconell'anno 1287, prese egli per moglie nel presenteCostanza, figliuola diAlberto dalla Scalasignore di Verona, che nel mese di luglio fu condotta a Ferrara, e si celebrarono le nozze con gran festa e solennità. Seguitando la guerra fra la repubblica veneta[Continuator Dandoli, tom. 12 Rer. Italic. Annales Estenses, tom. 15 Rer. Ital.]eRaimondo dalla Torrepatriarca di Aquileia, andarono i Veneziani all'assedio di Trieste. Ma, all'avviso ch'esso patriarca e il conte di Gorizia venivano con sei mila cavalli e trenta mila fanti per soccorrere la città, i Veneziani, senza voler aspettar questa visita, a gara si misero in fuga, lasciando indietro padiglioni, macchine ed equipaggio; e molti ancora vi restarono per la pressa morti. Usciti poscia i Triestini colle lor navi, vennerofino a Caproli e a Malamocco, e v'incendiarono que' luoghi. Per la morte diGiovanni Dandolodoge di Venezia, accaduta nell'anno presente, fu nei dì 25 di novembre eletto per suo successore in quella dignità Pietro Gradenigo, che era in questi tempi podestà di Capo di Istria, e fu mandato a prendere con cinque galee e un vascello ben armato.


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