CAPO VI.

CAPO VI.

Commercio fra le persone come da regolarsi, qualora non si possa opprimere la peste. Lazzeretti e sequestri, e attenzione agli infermi. Provvisione per li mendicanti. Cimiteri pubblici fuori della città. Regole per li medici, cerusici, confessori, e loro segni. Sequestro de’ fanciulli e delle donne. Provvisioni per li beccamorti. Commercio fra’ cittadini e contadini.

Commercio fra le persone come da regolarsi, qualora non si possa opprimere la peste. Lazzeretti e sequestri, e attenzione agli infermi. Provvisione per li mendicanti. Cimiteri pubblici fuori della città. Regole per li medici, cerusici, confessori, e loro segni. Sequestro de’ fanciulli e delle donne. Provvisioni per li beccamorti. Commercio fra’ cittadini e contadini.

Qualora poi sembri o vicino o inevitabile il malore, s’hanno allora da preparar lazzeretti con tutta sollecitudine, quando non se ne avessero dei già preparati, e quando abbiano le comunità nerbo per così dispendiose provvisioni. Potendosi mettere sui principj in quarantena la terra o città, si eleggaper ogni contrada un capostrada, uffizio di cui sarà il far portare alla gente rinchiusa della contrada a lui commessa le cose bisognevoli, consegnando ad ognuno entro una cesta, che verrà calata dalle finestre, la porzione competente alla sua famiglia, e tenendo sempre buona nota di cadauna persona d’essa contrada, e de’ malati e morti, che ogni giorno si darà al suo commissario, e da questo al magistrato. Se alcuno si ammalasse di peste, converrà senza dimora trasferirlo al lazzeretto, e gli altri della famiglia, siccome sospetti d’aver contratto il male, al luogo del sospetto, di cui parleremo a suo tempo. Si segni immediatamente quella casa, acciocchè subito sia purgata coi profumi, e renduta abitabile nell’avvenire, notando poi con altro segno che quella è purificata.

Non potendosi tentare l’utilissimo rimedio della general quarantena, di mano in mano si manderanno gl’infetti di peste al lazzeretto; e chi si trova aver praticato con esso loro, al luogo del sospetto, espurgando e purificando immediatamente le case e robe loro. Quando non si possano aver lazzeretti e luoghi del sospetto, bisognerà fare come si può; cioè sequestrare nelle loro case le famiglie infette o sospette, le quali con profumi purgando tanto le camere ove sono stati infermi, quanto le robe loro, oppure con segregarsi affatto da quelle stanze e robe appestate, dovranno cercar di salvarsi; e scoprendosi sane dopo almeno venti giorni, si potranno con licenza de’ deputati rimettere alla libertà del commercio, purchè prima sia seguita l’espurgazione legittima delle loro case e robe. Ogni quartiere della città abbia un medicoed un cerusico assegnato, i quali per quanto potranno, fedelmente e con zelo faranno l’uffizio loro per iscacciare o reprimere il veleno della pestilenza. Sopra le porte delle case infette o sospette, e perciò chiuse d’ordine de’ magistrati, si dovrà scrivereSANITÀ, o fare una croce o altro segno ben visibile e notificato a tutti, acciocchè ognuno conosca non potersi entrare colà, nè indi uscire senza permissione de’ conservatori, sotto pena della vita, nella quale ancora incorrerà chiunque levasse il segno suddetto o il mettesse alle case non sospette. Partita la città in varj quartieri, per maggior comodità de’ ministri si segnerà ogni casa di cadaun quartiere col suo numero, cominciando dall’uno, e seguitando innanzi con ordine, e facendo quel numero ben visibile con terra rossa o d’altro colore sul muro, vicino alle porte delle case. Miransi tuttavia contrassegnate in Genova le case nella forma suddetta, perchè posti que’ numeri in occasione del fierissimo contagio del 1656 s’è trovato utile il conservarli per potere con facilità identificare e distinguer le case nella distribuzione de’ pubblici aggravj e in altre occorrenze.

Procede poscia in ogni sistema di governo intorno alla peste la notissima regola di proibir subito le scuole, le feste da ballo, i ciarlatani, i giuochi pubblici, i mercati, fuorchè de’ commestibili, le fiere, ed altre adunanze e conversazioni allora non necessarie, siccome ancora il sospendere i tribunali giudiziarj per le funzioni strepitose a fine d’evitare il concorso. E perciocchè nessuno più facilmente che i mendicanti, o sia limosinanti, e birbanti suol portare e dilatare il contagio, sidee far quanto si può per provvedere a questo pericolo: il che avverrà ove si possano rinserrar tutti alle spese del pubblico in qualche luogo spazioso fuori della città con santissimo ed utilissimo ripiego, essendo i poveri per lo più quei che rendono frustraneo il buon regolamento del contagio e della città afflitta. Dovrà questo luogo esser guardato da milizie per impedirne la fuga, diretto da ministri savj, come un monastero, per togliere la confusione; e con divieto che niuno ne esca e niuno v’entri, se non chi per uffizio dee farlo; e con prevedere e impedire gli scandali che potessero nascere dal mescolamento d’uomini e donne. Vi sia divisione di stanze per gli accidenti che possono occorrere. Trovato alcuno che si fosse occultato per non ridursi al luogo destinato, sia punito, con lasciar adito agli altri nascosti di potersi colà ridurre, e avvertendo di non mettere i nuovi a tutta prima con gli altri, ma di tenerli per qualche giorno in luoghi separati per assicurarsi d’ogni dubbio. Che se non vi sarà forza per effettuar questo disegno, veggasi di rinchiudere essi questuanti nelle proprie lor case, alimentandoli poi alle spese del pubblico, o con limosine raccolte per mezzo di persone deputate dal magistrato, e facendo proibizione agli altri di questuare o mendicare. In caso di necessità si permetterà ai bisognosi il questuare, ma con istar fermi in qualche luogo loro destinato da chi avrà tale sopraintendenza, il quale darà loro un bollettino; e senza questa licenza in iscritto sia vietato a cadauno il mendicare. Si osservi nondimeno che il radunar tutti i poveri in luogo appartato può esser bene,purchè tutti sieno sani, altrimenti un solo appestato può successivamente ammorbar tutti gli altri. Dovrà parimente pensarsi ai filatoi della seta, utilissimi ai poveri, ma pericolosi in tempi tali per lo concorso colà dei medesimi. Sarà pertanto da esaminare se debbano chiudersi, oppure se si possano permettere con varie cautele. Convien anche deputare un nobile per commissario della sanità sopra il ghetto degli Ebrei; e caso che entri la peste in città, converrà tener ivi chiuso quel popolo, con avvertenza di prendere per esso una casa vicina al ghetto, ma non comunicante col ghetto, ove stieno cinque o sei deputati ebrei per far tutte le provvisioni necessarie alla loro università; nè questi entreranno mai dentro i rastrelli che chiuderanno il ghetto.

In Roma nel 1656 fu fatto (e così dee farsi altrove) editto di denunziare qualunque malato e qualunque morto, benchè non dessero segno o sospetto di peste, all’uffizio del notaio deputato per ogni quartiere, con obbligare a ciò i suoi famigliari, il medico e il parroco, o chi ha cura d’anime, sotto pena della galera e anche della vita, e con vietare a’ medici e cerusici il dar medicamenti a chicchessia se non denunziassero tali persone. Ogni dì si dovrà dare tal denunzia dal notaio, o da altro deputato ai magistrati, con tenere esatta nota di tutte le case o sospette o infette, siccome ancora delle espurgate. Gioverà a motivo di maggior cautela, oltre ai contrassegnati da buboni, carboni e petecchie, creder tutti morti di peste coloro che nello spazio di soli sette giorni fossero mancati di vita. Parimente fu proibito aibeccamorti il seppellire alcun cadavero senza partecipazione del deputato. Così è da vietare a tutti l’esporre fuori di casa morto o malato alcuno, se non per consegnarlo ai ministri della sanità. Non potendosi poi commetter più grave nè più pericoloso errore quanto è quello del seppellire nelle sepolture ordinarie e ne’ cimiteri delle chiese, e massimamente entro le città, i cadaveri degli appestati, perchè ciò fomenta il male, e si crede che possa facilmente ravvivarlo anche dopo molti anni; quindi è che tali cadaveri debbono assolutamente seppellirsi fuori della città in luogo destinato, in fosse profonde e con gran terra addosso, coprendoli prima di calce viva, che presto li consumi e impedisca le perniciose esalazioni, e con editto che non si muova più quel terreno. Ivi stieno guastatori a posta per cavare le fosse. Nel contagio della nostra città l’anno 1630 fu permessa la sepoltura in chiesa e ne’ cimiteri, quando colla fede giurata di medico approvato costava che alcuno fosse morto senza peste. Tuttavia essendo nati troppi assurdi e frodi da tal permissione, fu dipoi generalmente proibito il seppellire alcuno, fosse sospetto o non sospetto, eccettochè nel luogo destinato fuori della città. Così dee farsi in altre simili congiunture, e non permettere pompa alcuna di funerali in que’ tempi; anzi si dee consigliare e desiderare che, per non somministrare maggior pascolo alle rapine de’ beccamorti, i cadaveri vengano loro consegnati se non ignudi, almeno quasi ignudi, per quanto comporta la decenza; e certo non mai con addobbi e superfluità, che servono solo di spoglie ai suddetti beccamorti per appestarpoi altre persone, e aumentare o far ripullulare il male. I ricchi si possono portare in cassa da quattro serventi esposti che avvisino, occorrendo, le persone a ritirarsi. I poveri si conducano in carro coperto. E prima della notte sieno asportati i cadaveri, per vedere che i beccamorti non asportino robe rubate. Che se per poca avvertenza alcun morto con segni di mal contagioso fosse stato sepolto in chiesa, quelle sepolture si debbono ben murare, o impiombare, e non aprirsi mai più senza licenza de’ magistrati, o senza lo spurgo che accenneremo. Sopra ciò fu fatto editto in Roma ed anche in Modena ne’ contagi passati. E perciocchè alcuni per non esser condotti a’ lazzeretti, o non veder ammontati e seppelliti i suoi alla rinfusa col volgo, occultano le malattie della lor casa, e giungono sino a seppellire scioccamente nelle proprie case i cadaveri de’ loro congiunti: si tenga nota distinta dal deputato d’ogni contrada di quanti si trovino in cadauna casa, per potere in tempo e forma propria riscontrare il numero d’essi, con farli venire alle porte o finestre, e così schivar que’ pericoli e quelle frodi che possono tornare in gravissimo danno non meno di quelle famiglie che del pubblico. In Palermo ogni mattina i deputati riconoscevano se alcuno delle famiglie loro assegnate mancava, o era infermo, o mostrava cattiva ciera, facendo venir cadauno alle porte.

Fu ordinato in Roma che nessuno potesse entrare, nè fermarsi di notte in casa di meretrici. Che gli osti non potessero dar da mangiare a più di quattro persone per tavola, sfuggendo ogniridotto, bagordo e raunanza. Che non fosse permesso il visitar malati, eccettochè a quei della sua famiglia, a’ parochi, confessori, medici, cerusici, speziali, notai, testimonj, mammane ed uffiziali della sanità. Gli altri senza licenza non poteano. Ma affinchè il commercio di queste persone eccettuate con gli appestati non pregiudichi al resto dei sani, è da lodare e seguire il metodo poscia ivi prescritto; cioè furono deputati e salariati dal pubblico due medici e altrettanti cerusici con titolo di sospetti per visitar la gente sospetta, e due altri medici con titolo di brutti (si possono chiamare esposti) per visitar le persone infette. Nella stessa maniera i confessori erano distinti parte in sospetti e parte in brutti, o sia esposti; nessuno di questi medici, chirurghi e confessori potea andare alla visita delle persone sane, nè conversar con esso loro, nè entrare in casa che non fosse già stata dichiarata brutta (cioè infetta) ovvero sospetta, nè uscir mai fuori della propria casa senza portare in mano una bacchetta lunga almeno sei palmi e scoperta, con una crocetta di sopra, affinchè potesse vedersi da tutti e fuggirsi la loro pratica, portando di più gli esposti un abito di taffettà o di tela incerata. Furono ancora destinate due mammane, o sia levatrici, per le donne gravide sospette, con indicare nel pubblico editto i nomi e la casa d’esse mammane e de’ medici e cerusici deputati.

Ivi ancora fu fatto editto che gli speziali e cerusici, soliti a servire infermi, quando fossero chiamati da essi dovessero somministrar loro medicamenti, cavar sangue, ecc., purchè essi infermiavessero attestato dal medico di non essere aggravati da mal contagioso. Che se per disavventura il male si fosse scoperto tale, doveano i suddetti cerusici e speziali star rinserrati solamente dieci giorni, dopo i quali, ritrovandosi goder buona salute, erano liberi. Del pari fu ordinato che nessuno potesse mutar casa senza licenza de’ soprintendenti; che nessuno ardisse di mutarsi nome; che agli osti e locandieri non fosse permesso senza licenza de’ magistrati il ricevere in loro casa malato alcuno; e che niuno, sotto pena della vita, osasse uscire di qualsivoglia casa serrata per cagione della sanità, siccome neppur dai lazzeretti, senza averne licenza da’ soprintendenti. E perciocchè fuggì un ministro de’ lazzeretti e alcun’altra persona, con pubblico bando e gravi pene fu intimato a’ complici ed informati il denunziar tali fuggitivi. Fu parimente proibito che niuno si fermasse nelle strade uscendo dalle case o botteghe sue per unirsi ove comparissero i ministri de’ lazzeretti, o dove fossero condotte via persone sospette o infette, con ordine ai ministri che camminassero per mezzo alle strade coi loro contrassegni, ammonendo le genti a star lontane da essi.

I fanciulli sino all’età di quindici anni almeno (altri dicono sino a’ dieci, ma par troppo poco), siccome quelli che più innavvertentemente conversano con tutti e son più facili pel tenero lor temperamento ad infettarsi e ad infettare, perciò per consiglio de’ medici e di tutti i professori, si debbono confinar nelle case loro, senza permettere loro l’uscirne. Altrettanto (benchè non sia necessario un egual rigore) si dee ordinar per ledonne, anch’esse per la lor complessione sottoposte ad una facile infezione, avvertendo però, che alle povere donne e famiglie, alle quali per non potere uscir fuori mancasse il mantenimento, gliel’ha da provvedere il pubblico, o per via d’un sussidio giornaliere o con somministrar loro da lavorare: altrimenti sarebbe lo stesso il morire di fame, che di contagio. In alcune città, e spezialmente in Modena, fu fatto il suddetto regolamento, obbligando a pene pecuniarie i padri, i mariti, i fratelli e i padroni di chi contravveniva. Solamente fu dai nostri conservatori saggiamente permesso che per ogni famiglia mancante d’uomini, una donna avesse libertà d’uscire di casa per provvedersi del bisognevole a quell’ora che sonava una campana determinata, e potesse star fuori, finattantochè essa campana cominciasse a sonare i botti o tocchi, nel qual tempo aveano esse donne da ritirarsi prima che finissero i botti. Furono eccettuate da tal proclama quelle donne e que’ fanciulli che poteano andare in carrozza propria, purchè non fossero di case sequestrate; come ancora le contadine ed ortolane, portanti vettovaglie e frutta, con ordine però che non entrassero in casa alcuna e portando a’ padroni qualche cosa, la ponessero sulla porta della casa senza entrar dentro. Furono altresì eccettuati i fanciulli contadini che venissero avanti ai buoi e non altrimenti; e le rivenderuole d’erbe e frutta non abitanti in case sospette e non inferme, e le levatrici, alle quali era lecito l’andare a levare i parti, ma non ad altro nè per altro. Sarebbe sommamente utile il provvedere ancora a que’ gravi disordini che possono cagionare, moltopiù in questi che negli altri tempi, le donne da partito o pubbliche meretrici. E per conto dei servitori e delle serve, avvertano i padroni, che chi ha il comodo, li faccia dormire cadauno in un letto da per sè solo, acciocchè portato il male da un solo non pregiudichi a tutti.

Emanò anche editto in Modena che nessuno ammalato, o di pestilenza o di qualsivoglia altro male, potesse camminare per le città, siccome nè pure introdursi in essa città o mutar casa, senza licenza del magistrato. Sarebbe anche necessario il far girare di notte tempo la pattuglia con alcuno della sanità, sì per impedire i furti e delitti, e sì per sorprendere chi violasse i sequestri e i trasporti furtivi di robe infette, con contravvenire a’ premurosi editti che saranno stati fatti e si dovranno rigorosamente far eseguire, dipendendo in gran parte da questi due riguardi o la continuazione o l’aumento irreparabile del contagio. Gioverebbe ancora serrar con barricate tutte le contrade o almen le più infette, e custodirle poi di notte, per vietare i suddetti disordini, con libertà a chi fa la guardia di tirare archibusate a chi furtivamente tentasse la fuga. Ciò fu saviamente praticato in Palermo per le contrade che avevano tutti gli abitanti infetti, facendo mutar casa solamente a quei pochi che non erano peranche colpiti dal male. Si fuggono d’ordinario assai volentieri i beccamorti, e spezialmente in tempo di peste; contuttociò fu saggiamente ordinato con pubblica grida, che i medesimi (siccome gli altri serventi de’ lazzeretti) portassero tutti un abito uniforme, cioè un camiciotto di tela incerata del medesimo colore, acciocchèognuno si tenesse lungi da loro; e, fuori del tempo del loro uffizio, stessero serrati nelle case loro assegnate in sito men geloso, con sola permissione di andare ad un’osteria destinata per loro soli, i cui abitanti non poteano aver commercio con altri. E per animar le persone basse a questo abborrito bensì, ma molto caritativo impiego, si tassò la lor mercede a sette lire (queste presso a poco importavano allora dieci paoli) per ciascun morto che portavano a seppellire in casse; e per gli altri fuori delle casse lire cinque; e per gli poveri l’uffizio della sanità pagava loro quaranta soldi per ciascuno. Nessuno poteva esercitar la funzione di beccamorto senza licenza ed approvazione del magistrato. Tutto saggiamente. E si avverta che per quanto si può s’hanno a scegliere persone dabbene per tale incumbenza. Ma perchè non è molto facile il trovarne delle sì fatte, ma sì bene è facilissimo che assumano tal carico uomini immodesti e disordinati, e quasi tutti con disegno e speranza di far bottino, non mancando avaroni che contra tutti i divieti cercano di profittare colla compra di tali robe, si procuri almeno di dar loro uno o più capi timorati di Dio e di maggior prudenza e disinteresse che li tengano in freno e possano gastigarli o farli gastigare, occorrendo, ancora col più grave de’ gastighi, in caso di disubbidienza; invigilando sopra tutto che non rubino con discapito dell’anima loro, e con accrescere mercè delle robe infette il pericolo a sè stessi o ad altri di perire un giorno. Questo disordine è quasi irremediabile, e si provò anche in Venezia, dove pur tali persone nascono eredidella professione; ma può rimediarvi non poco la vigilanza dei magistrati, mettendo spie, diffidenze e uomini dabbene fra loro. È stato osservato che alquanto dopo fornita la peste mancano di vita non pochi di costoro che s’erano preservati in mezzo alla peste. Per altro la sperienza fa vedere in que’ tempi che i beccamorti, benchè tutto dì maneggino con graffi, uncini e bene spesso colle mani cadaveri appestati, pure non ne sogliono restar essi infettati, o sia perchè siccome ad altri veleni si può a poco a poco avvezzare un uomo, così anch’eglino s’accostumino a quello della peste; o sia (e questo sembra più verisimile) che s’imbattano a far quel mestiere persone di temperamento opposto alla forza di questi spiriti velenosi e incapace di riceverli, siccome d’ordinario sono incapaci di ricever la medesima peste tanti quadrupedi ed uccelli, quantunque praticanti con uomini appestati. Non si vuol però tacere che sul principio delle pestilenze molti de’ beccamorti sogliono sloggiare anch’essi dal mondo, e restar preda della loro preda; e così, non subito, ma a poco a poco viene a formarsi l’assemblea di quei che restano vivi, perchè resistenti al male e che seppelliscono tanti senza cader eglino mai nella fossa. Per altro in Roma fu osservato che nessuno di quelli che toccavano corpi morti, quando erano nudi, fu assalito dalla peste: il che se fosse vero, darebbe valore all’opinione di chi crede che nei cadaveri, quando son freddi, sieno mancati ed estinti i semi dell’infezione, e che solamente dai corpi caldi si possano tramandare gli effluvj velenosi. Ma queste sono sperienze dubbiose, e laprudenza insegna che non se ne ha molto a fidare se non in caso di necessità. Ogni quartiere avrà i suoi beccamorti assegnati, che o la mattina per tempo o la sera sul tardi raccoglieranno i cadaveri per trasportarli sulle carrette al luogo destinato, dando segno alle case o con la voce o in altra forma. In caso di gran necessità si potrà dar questo impiego a chi già fosse stato condannato alla morte o alla galera, s’eglino il vorranno, badando però che non sieno rei di ladrerie, nè di coscienza troppo perduta. Così può ancora farsi negozio, affinchè i poveri si guadagnino il vitto o con tale impiego o con servire ai lazzeretti.

Essendosi poi osservato in Modena che riusciva di molto pregiudizio il commercio de’ cittadini coi contadini, comunicando disavvedutamente gli uni agli altri il mal contagioso, fu con pubblico proclama ordinato che essi contadini, venendo alla città, non potessero praticare, nè commerciare co’ cittadini, nè entrar nelle case d’essi, fuorchè ne’ cortili e nelle cantine, in occasione d’introdurvi le uve ed altre entrate della campagna. Anzi scorgendosi quasi estinto nella città il morbo da cui non erano alcune ville peranche affatto immuni, fu pubblicato nuovo editto, in cui si proibiva ai contadini l’entrare in modo alcuno in città con fedi di sanità o senza. Nulladimeno conducendo vettovaglie, si permetteva loro l’ingresso, purchè dirittamente andassero a varj luoghi destinati nella città per venderle, e non uscissero da questi luoghi e serragli. E chi conduceva carri con legna, fieno, vettovaglie e simili rendite della campagna, dovea condurle a dirittura ove erano destinate, senzaperò entrar nelle case, e con iscaricarle nella strada. Ma perchè i cittadini o per inavvertenza, o per malizia, poteano trattare e commerciar con costoro nel loro passaggio, anche a ciò sarebbe stato bene il trovar ripiego. Non ben sopito il male nella nostra città, fu ordinato che i cittadini, i quali andavano e tornavano di villa, non avessero più questa libertà, ma in termine di otto giorni, se voleano, ritornassero entro la città, avvisando però due giorni prima di venire, acciocchè si prendessero le dovute informazioni se si potevano ammettere. Non venendo entro quel termine non erano più ammessi: e ciò per essersi osservato molto pregiudiziale l’andar loro e venire dopo aver praticato coi contadini infetti.

Si stese la cura e lo zelo dei conservatori della nostra città al buon ordine delle ville del distretto in que’ fieri tempi. Pertanto con pubblica grida furono destinati per ogni villa uno o due deputati de’ meglio stanti e più abili, i quali fossero tenuti ad assister ivi, e far eseguire i seguenti ordini della sanità: cioè, che avessero tutti tanto contadini come cittadini ivi abitanti, da denunziare i morti e gl’infermi a persona destinata; che non si facesse ivi trasporto o maneggio di mobili infetti o sospetti; si provvedesse ai miserabili; si destinassero beccamorti coi dovuti riguardi; quei d’una villa non andassero a messa in altra villa; non potessero, nè anche per condurre vettovaglia alla città, partirsi dalla lor villa, senza licenza del deputato e fede del curato attestante la sanità, il quale andasse ben circospetto in farla; si vietassero conviti, giuochi, trebbi, adunanze, ecc; dovesseogni massaro o sostituto ciascuna domenica far leggere alla chiesa i nomi e i cognomi dei morti per contagio, e de’ vivi sospetti e di chi avesse trattato con esso loro a fine di fuggirne il commercio. Con questi ed altri ordini si procurò soccorso e difesa anche al contado. E qui si ricordino i conservatori e le terre e le ville d’aver l’occhio attentissimo sopra le donne che vanno a trar la seta, chiamate da noi calderane. Da queste, che finite le lor faccende, vogliono a tutti i patti tornarsene alle lor case, fu nel 1630 disseminata la peste in varie parti delle montagne di Modena che dianzi godeano buona salute. Dai vignolesi, che continuamente battevano i propri confini, ne furono sorprese due, e impedito loro fortunatamente il passaggio, perchè da lì a poco si scopersero infette e lasciarono poi di vivere sotto una quercia, ma senza nocumento di quel paese.


Back to IndexNext