«Come me, voi tutti siete colpevoli; il giusto pecca sette volte il giorno; nessuno di voi è senza peccato! Nel profondo della vostra coscienza, inconfessata a voi stessi, è la storia delle vostre colpe; e che importa che esse non sieno state materialmente compiute, se esse sono statepensate? Il pensiero è infame…. Come me, voi tutti avete bisogno di redenzione!…
«Io so la vostra risposta, io so la derisione di cui mi fate oggetto, per lo smarrimento in cui credete che il rimorso e l'età abbiano gettato la mia mente…. Siete voi, ciechi, stolti, miserabili, che mi fate pietà ; è per voi, per riscattarvi, che io vorrei dare il poco sangue che ancora mi resta, che io vorrei salire un calvario e spirar sulla croce, se dall'alto d'una croce la mia parola fosse ascoltata.
«Nessuno mi ascolta. La solitudine ed il silenzio mi circondano, il vento dell'oblio disperde le mie parole, come il turbine del tempo disperde via l'un dopo l'altro i giorni irrevocabili….»
Alle cinque della sera, dopo una giornata di lavoro indefesso, cominciato a tavolino con l'alba, proseguito nelle aule affollate di San Firenze, ripreso a casa fra il succedersi dei clienti, Carlo Landini si sentiva vinto da quella specie di stanchezza morbosa particolare ai lavoratori del pensiero.
L'esercizio prolungato dei muscoli, il consumo fisiologico, sono certo causa di sensazioni penose; ma basta che lo sforzo si arresti, che l'organismo sia abbandonato all'inerzia, perchè un profondo benessere, un sollievo quasi voluttuoso guadagni tutte le fibre. Il lavoro dello spirito non conosce queste tregue ristoratrici; l'attività cerebrale, una volta destata, non si può più arrestare; le idee succedono alle idee, le imagini alle imagini, secondo una legge di associazione incosciente; e la volontà non è solo impotente a frenare questo movimento, ma spesso ancora a dirigerlo. Un malessere fisico ordinariamente ne deriva, come effetto dell'afflusso del sangue al cervello, ed in questo stato irritante la stessa riparazione del sonno tarda a venire.
Carlo Landini, con la fronte scottante, la vista intorbidata dalle lunghe letture dei voluminosi processi accatastati sul grande tavolo da lavoro, aveva dato ordine che nessuno fosse introdotto per quel giorno nel suo studio. Se negli anni della sua prima giovinezza si era parlato di lui come di uno cui l'avvenire arrideva, il fatto si era lasciato indietro le più liete promesse. A poco meno di quarant'anni, in una professione dove la concorrenza è grandissima, egli aveva conseguita la più chiara delle reputazioni, si era fatto un posto eminente non solo fra i suoi compagni, ma perfino fra i maestri, ed era talmente affollato di affari, da vedersi spesso costretto a rifiutarne ed a chiudere l'uscio di casa sua ai troppo numerosi clienti.
Quel giorno, l'ordine era stato appena impartito, il Landini aveva appena chiusa l'ultima memoria, che il campanello elettrico risuonò.
—Chi è ancora?—chiedeva egli infastidito, al servo che, aperto l'uscio, se ne stava lì in mezzo, come cercando le parole.
—Una persona che vuol parlare al signore… che insiste….
—Ho già detto che non sono in casa per nessuno.
—Dice, scusi, che deve consegnare a lei personalmente una lettera urgente….
L'avvocato Landini passò egli stesso in sala, non cercando di nascondere la sua contrarietà . Si trovò dinanzi ad uno sconosciuto, che dall'abito, dall'attitudine umile più che rispettosa, pareva dover essere un domestico.
—Che cosa volete?
—È lei il signor avvocato Carlo Landini?
—Io in persona.
—Debbo consegnarle questo.
Cavò di tasca una lettera e la porse al Landini. Appena questi ebbe gettato uno sguardo sulla busta, il fastidio che s'era fino a quel momento letto sulla sua fisonomia, dette luogo ad una specie di attenzione concentrata, di preoccupazione mista ad una inquieta curiosità .
—Sta bene…. grazie….—disse alla persona che aspettava, congedandola; e passò rapidamente nella sua stanza da studio. Prese sul tavolo un piccolo tagliacarte a foggia di scimitarra, e come la luce si andava ritirando, si fece presso la finestra. Stava per aprire la lettera, quando si arrestò un momento, considerando il carattere dell'indirizzo, sulla busta moyen-âge, suggellata di ceralacca azzurra in un angolo.
—Dieci anni!—mormorò, facendo mentalmente il conto del tempo trascorso dacchè quella persona non gli aveva più scritto.—Dieci anni!….—e una tristezza gl'invadeva lentamente l'anima, come una nebbia, mentre sollevava uno sguardo al cielo occidentale, sul cui fondo rosato si ergeva gloriosamente la cupola di Santa Maria del Fiore.
Dieci anni, dacchè aveva ricevuta l'ultima lettera di lei; e quei dieci anni non erano valsi ad abolirne il ricordo, se appena scorto quel carattere fine, minuto, ma inchiostrato nei pieni e dalla asteggiatura eguale, lo aveva immediatamente riconosciuto, senza esitare un istante! Dieci anni—e il sangue gli aveva dato un tuffo, ora come allora, come quando ogni lettera di lei lo colmava di un turbamento delizioso!…
Le memorie irrompevano nella mente del Landini, ed egli se ne restava lì, dinanzi alla finestra con gli sguardi errabondi, tenendo la lettera in mano, ma senza decidersi ancora ad aprirla… Era stato tutto un romanzo, un romanzo di passione, di tormenti, di felicità , un romanzo in fondo al quale non era stata però scritta la parola piena di soave rammarico o di composta rassegnazione: Fine. Bruscamente, quella donna a cui lo legavano i vincoli più teneri e più saldi, le gioie insieme gustate, i pericoli sfidati insieme, lo aveva messo quasi alla porta, gli aveva ingiunto di non tentar di rivederla, mai più!
Che cosa era avvenuto? Perchè quella risoluzione incredibile, contro la quale ogni sua insistenza si era spuntata?… Non aveva potuto saperlo. A tutte le lettere che egli le aveva scritte, alle umili lettere di preghiera, alle appassionate lettere d'amore, alle fiere lettere di minaccia, ella non aveva voluto rispondere. Un momento, era stato per ismarrire la ragione dinanzi a tanta ostinatezza di repulse. Il secreto che essi erano riusciti a serbare a costo di mille rischi e di mille sacrifizii, egli era stato sul punto di andarlo a rivelare a chi più interessava di conoscerlo; le aveva fatto sapere che se ella non si fosse piegata a rivederlo, ad ascoltarlo, a dargli una ragione di quel suo repentino mutamento, sarebbe andato a dir tutto al marito di lei!… Pazza minaccia, che non era stata seguita da effetto, grazie al sopravvenire del freddo ragionamento, non già perchè ella si fosse piegata!… Ed era stato per un caso, molto tempo dopo, quando ella era scomparsa nella solitudine di una campagna ignorata, che egli aveva intraveduto il possibile motivo di quella rottura. Poco prima che questa scoppiasse, un suo amico, quasi un fratello, gli aveva chiesto uno di quei servigi che solo un fratello può rendere: gli aveva affidata una donna compromessa per causa propria. Durante tutto il tempo da costei passato a Firenze, egli si era perciò messo a sua disposizione; le aveva reso tutti quei piccoli servigi che erano in suo potere, le aveva fatto meno insopportabile la sua posizione disgraziata. Ed ecco che una voce si era sparsa a sua insaputa, ed ecco che tardi, troppo tardi, veniva al suo orecchio quella voce, secondo la quale quella signora sarebbe stata la sua propria amante!… Allora, egli si era tutto spiegato: l'invenzione assurda, malvagia, aveva dovuto arrivare fino all'altra, fino a lei; ella l'aveva creduta; e la cieca prepotenza dell'amor suo non gli aveva data una prova preventiva di quel che avrebbe dovuto essere la sua gelosia?…
Tutta questa storia, nei suoi più minuti particolari, si svolgeva ora nella memoria del Landini. Girando quella lettera da una mano all'altra, egli pensava che in quel pezzo di carta doveva essere la conferma o la smentita di quella sua spiegazione. Però non si decideva ad aprirla. Un tumulto di sentimenti gli si era scatenato nell'anima, e con quel l'acutezza di indagine psicologica che metteva nello studio dei suoi processi, analizzava ora raffinatamente sè stesso.
Perchè il suo cuore batteva dunque così forte? Ah! egli è che di un amore come quello da lui ricordato, non se ne provano due nella vita!… Egli aveva amato ancora, aveva cercato attraverso le rinnovate esperienze qualche scintilla di quella gran fiamma: ma non l'aveva trovata. Come il duca d'Illiria della Dodicesima Notte di Shakespeare, egli avrebbe voluto esclamare:
Enough, no more;'Tis not so sweet now as it was before.
Oh no; non era mai più stato così dolce come prima! Era stata una passione sovrumana, una vera fusione di anime, il conseguimento del sogno più idealmente accarezzato! Avevano arrischiato la pace, la vita, l'onore; ma avevano provata un'esultanza immortale! Come tutto ciò era potuto finire? E che cosa, dopo dieci anni, quando tanta cenere si era accumulata sul fuoco, poteva aver spinto quella donna a rivolgersi ancora a lui!… Si era ella pentita dei suoi sospetti? Un caso fortuito, come era accaduto a lui stesso, glie ne aveva rivelata tutta l'odiosa ingiustizia? O cercava ella, ora soltanto, di avere una spiegazione?…
Il Landini si perdeva in ipotesi. Egli aveva un mezzo sicuro di decifrare l'enimma: aprire la lettera, e leggerla; ma, in quella sovraeccitazione cerebrale a cui era in preda, trovava una specie di strana voluttà a prolungare la tormentosa incertezza, a tentar di esaurire coll'imaginazione tutti i partiti possibili. Poi, un nuovo sentimento cominciava ora ad impedirgli sordamente di porre ad effetto la semplicissima risoluzione: una specie di secreta, di inconfessata paura… Era egli tanto sicuro di sè da poter sentire impunemente tutto ciò che ella gli avrebbe detto? Era ben sicuro che il fuoco di quell'amore fosse tutto ridotto in cenere? Non temeva egli che alle parole della donna, alla evocazione di un passato che formava l'orgoglio della sua vita, il fuoco divampasse nuovamente, come al soffio vivificatore dell'ossigeno?… Egli non era più giovane, gli anni erano passati anche per lei; ma, non avendola più incontrata, egli non sapeva imaginarla altrimenti che quale l'aveva lasciata. Rivedendo quella gentile figura, ricordandone tutta la seduzione, tutto il fortissimo incanto, la sua paura cresceva: sarebbe bastata una sola parola perchè egli avesse tutto dimenticato: la serietà della sua vita presente, i doveri della sua posizione, i mille pericoli di un tardo ricominciamento…
Un piccolo rumore lo richiamò alla presente realtà : il servo, insospettito dal lungo silenzio intanto che l'ora del desinare era trascorsa, gironzava nella stanza attigua. La sera era già discesa, soavissima. Ora sarebbe stato impossibile di leggere la lettera senza fare accendere un lume. E traendo profitto da questo nuovo pretesto di ritardo, il Landini si era tolto dalla finestra, e rovesciatosi sopra un divano, aveva ripreso a fantasticare.
Quel fenomeno costante pel quale, se qualcosa ci sta a cuore, noi troviamo subito mille ragioni che ce ne dimostrano la convenienza, si ripeteva in lui. Tutto alla evocazione di quel passato, egli trovava ora dei motivi che lo spingevano sempre più per quella via.
Dall'ammettere che la donna avesse potuto essere tratta in inganno, al giustificare la condotta di lei, non v'era che un passo. Dal giustificarla, ad accusare sè stesso, il passaggio era meno facile; nondimeno egli lo compì. Trovava di non avere insistito abbastanza,—a quel tempo—per ottenere una spiegazione; di aver commessa una vera colpa non avendo cercato di lei, quando il motivo di quella rottura gli era stato fatto intravedere. Allora sarebbe stato dover suo giustificarsi, smentire la voce bugiarda, far rifulgere la propria innocenza.
Il dover suo era di non abbandonare quella donna,suo malgrado! Chi gli diceva, infatti, che il tradimento di cui ella si era creduta vittima, non l'avesse spinta a rappresaglie; che, per colpa di lui, ella non si fosse interamente perduta?… Una specie di rimorso sorgeva allora nell'animo del Landini, un rimorso che era, in fondo, una forma di egoismo: poichè il rimprovero di averla potuta far cadere in braccio ad altri si risolveva nel rammarico di non averla più per sè…. E una grande tenerezza lo vinceva, a poco a poco, pensando a tutto quello che era stato fra di loro, a quel romanzo bruscamente troncato e non finito, così, senza ragione, per quelle assurdità di cui la vita è tanto feconda… Però, in quella lettera improvvisamente pervenutagli, quando egli si era già rassegnato all'assurdo, era la parola che avrebbe tutto spiegato. Egli riconosceva a questo tratto l'indole fiera, appassionata, di quella donna di cui si era fatto un tipo ideale. Si era creduta offesa, e nulla era valso a piegarla; ora, dopo l'espiazione di tanti anni, ora soltanto, ella veniva ancora a lui!… Che cosa gli avrebbe detto? Come avrebbe ridestata la memoria di quel passato? Quali dolci, quali armoniose, quali poetiche parole avrebbe adoperate per ricordare tanta dolcezza, tanta armonia, tanta poesia?… Alla luce improvvisa della lampada che il servo reggeva affacciandosi all'uscio, il Landini si accorse che era già notte fatta.
—Si sente male, signore?…—chiedeva timidamente la persona di servizio.
—No, no; lasciate qui il lume….
—Il signore non desina dunque quest'oggi?
—Fate apparecchiare… mi avvertirete…
E appena rimasto solo, avvicinatosi alla lampada, egli dischiuse accuratamente la busta, con mano un poco tremante. Ne cavò una carta ricoperta sulle quattro facciate da una fitta scrittura, e un foglietto dello stesso gusto della busta. Il Landini vi cercò l'intestazione; non ve n'era. La lettera diceva così:
«Voi sarete molto sorpreso di ricevere la presente, e vi troverete certamente costretto di correre alla firma per conoscerne la provenienza!… Il tempo ha le ali, e col tempo la forma della nostra scrittura si modifica, da rendersi irriconoscibile! Il nostro modo stesso di pensare si trasforma; ed è per questo che io sono stata, e sono ancora in forse di scrivervi, supponendo che ciò possa non farvi il piacere di una volta!
«Vorrete quindi perdonarmi se, facendo appello alla vostra amicizia, che suppongo inalterata, vengo ad importunarvi per chiedervi se posso firmare l'acclusa transazione, desiderando conoscere a quali conseguenze andrei incontro per tale atto. In una questione d'interessi che si trattano fra parenti conviventi nella stessa casa, non potendo dimostrarmi diffidente a viso aperto, io che non m'intendo di affari, non ho voluto impegnarmi prima d'aver sentito il parere di una persona su cui si può contare.
«Accettate, non è vero? Domani mi farete avere una risposta? Sarei venuta personalmente, se non avessi temuto di disturbarvi ancora di più che con la presente. Il passato non ci è sempre gradito; lo comprendo anch'io! La vita ha le sue esigenze; ed io non sono così ingenua o così presuntuosa, da supporre che in questi dieci anni voi abbiate potuto pensare a quello che fummo. So, del resto, che vi siete divertito; e chissà quante altre imagini si saranno sovrapposte a quella che io ho temuto di ripresentarvi dinanzi! Guardate: divento indiscreta!! Perdonatemi anche questo e vogliate credermi a ogni modo, con rinnovate scuse ed anticipati ringraziamenti, cordialmente vostra: Anna Solari.—Fiesole, lunedì.» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il servo stava di nuovo sull'uscio, interdetto, chiedendosi se il suo padrone non fosse ammattito, perchè all'annunzio che la zuppa era in tavola, lo aveva guardato con occhi stralunati, come uno cascato dalle nuvole.
—È in tavola?… Va bene, va bene….
Sul punto di passare di là , Carlo Landini si stropicciava gli occhi. Credeva di aver sognato, tanto quella lettera era incredibile, tanto egli era rimasto male! Che grossolana illusione era stata la sua!… Gli anni erano davvero passati, se quella donna era così mutata, se scriveva di quelle lettere, se domandava una consultazione legale,—a lui!—se profanava il ricordo del loro amore con quella freddezza studiata, con quel tono di filosofica rassegnazione, con quelle allusioni indiscrete… E non un accenno alla enimmatica rottura che lo aveva mortalmente ferito; non una spiegazione—nè data, nè chiesta!… E diceva di temere che egli non avrebbe riconosciuto il carattere di lei, mentre, appena scorta la lettera, gli era mancato il respiro! E diceva di sapere che egli si era divertito, mentre quell'imagine gli era stata sempre inchiodata nel cuore, come un rimpianto, come un rimorso, come l'aspirazione di tutta la sua vita!… Ma, dunque, era realmente mutata quella donna, o era stata sempre ad un modo e soltanto la sua fantasia di innamorato ne aveva fatto un ideale?…
Carlo Landini scrollò le spalle, sedendo a tavola. Il suo romanzo era finito, definitivamente; e quella lettera ne rappresentava l'epilogo prosaico e volgare.
—Un romanziere non avrebbe nessun partito da trarne!—si diceva egli mentalmente, e non pensava che i romanzi veri, i romanzi fatti nella vita e non ideati per amore dell'arte, finiscono quasi sempre così.
Dall'uscio spalancato della stanza, l'occhio dominava la ripida caduta della costa e si perdeva nell'infinito del cielo e del mare. I tre commensali, seduti attorno alla tavola mezzo sparecchiata, tacevano, assorti in una profonda contemplazione, e leggermente inebriati, più che dal vino di fuoco che un raggio di sole accendeva nei bicchieri, dalla vista grandiosa, dalla intensa e quasi ipnotica fissazione del perduto orizzonte. La pace era profonda: non una voce, non un movimento; le barche dalle alte vele latine parevano immobili, nella distanza.
Fritz Eisenstein, l'ospite, si scosse dal suo torpore, e passando una mano nella selva della sua capigliatura, esclamò:
—Sapete che noi dovremmo vederci più spesso? Non sarebbe un ideale ridurci qui, tutti e tre, lontani dal chiasso, vivendo nel mondo dello spirito, nella pura astrazione?… Noi ricorderemmo la nostra vita passata, e nulla sarebbe più interessante del viaggio di esplorazione che ciascuno di noi farebbe nella coscienza dell'altro….
Allora, finalmente, dopo lunghe divagazioni, dopo un silenzio imposto dalla calma suprema dello spettacolo, una parola fu pronunziata in quella conversazione di giovani: la Donna.
—Ah, parliamone!—diceva Fritz Eisenstein, portando alle labbra con un gesto automatico il bicchiere e riponendolo tosto in mezzo alla tavola.—Vi è stato un tempo in cui la fine di Edgardo Poe mi ha sedotto….—E, con la stessa larghezza con cui aveva fatto gli onori di casa ai compagni, egli cominciò a raccontare un suo fosco dramma d'amore, con l'accento malfermo di chi, avendo rasentato un precipizio e provate le prime vertigini, non può ripensare al pericolo senza temere d'esserne tuttora minacciato.
Franz von Rödrich ascoltava attentamente, coi gomiti sulla tavola e la testa fra le mani, mentre Ludwig Kopfliche, un po' abbandonato, le braccia pendenti, gli occhi rovesciati, seguiva per aria le spirali azzurrine della sua sigaretta odorosa.
—Ed io ero in questa orribile alternativa—diceva Fritz Eisenstein—o di lasciare scoprire la mia relazione con quella donna, di vederla perduta per sempre agli occhi del mondo, di esser la causa di una rovina irreparabile, o di spingerla—io stesso!—in braccio all'unico uomo che avrei voluto fare scomparire dalla faccia della terra!… Ah! i miei capelli cominciano a brizzolarsi? Lo strano è come non sieno già tutti bianchi di neve!…
Ludwig Kopfliche si attorcigliava ora lentamente i baffi candidissimi sulla faccia d'un bel roseo di salute e di gioventù, e i suoi occhietti luccicavano sotto la larga fronte curiosa.
—Non bisogna lamentarsi, perchè tutto può essere materia di studio e di osservazione! Fra lo scatenarsi delle passioni più divoranti, c'è da fare delle raccolte preziose di piccoli documenti e di piccoli fatti!—Ed egli sviluppava le sue teorie di critico, di raffinato dilettante, capace di lasciare un brano del proprio cuore in fondo a una esperienza, pur di notare delle sensazioni nuove, o rare, o complesse.
—Ma l'analisi non uccide il sentimento?
—Può anche crearlo! A furia di critica, si può costrurre—come diciamo noi tedeschi—quel sentimento che più ti aggrada. L'amore? Anche quello. Io posso far nascere in me l'amore, quando voglio, artificialmente….
E mentre egli raccontava i risultati di qualcuna delle sue complicate esperienze psicologiche, Fritz scuoteva la testa, e replicava, opponendo argomento ad argomento, e caso a caso. Vive, appassionate, enimmatiche, si evocavano intanto ai loro occhi le scomparse figure di donne e, ad un tratto, dinanzi alla irrompente piena di ricordi, le voci tacevano un poco. Allora si sentiva il silenzio solenne della campagna assopita sotto il sole declinante, mentre l'azzurro del cielo leggermente velato pareva l'immensa evaporazione del mare e le vele latine si tingevano di porpora.
Con la fronte sulla palma della mano, Franz von Rödrich lasciava annegare i suoi sguardi negli spazii profondi, e un brivido gli serpeggiò pel corpo quando gli amici si volsero a lui, strappandolo un po' bruscamente alla sua deliziosarêverie.
—Franz, tu sei ammutolito?
—Non ci racconti la tua?
—Che cosa volete che io vi racconti?—rispose egli, con lo sguardo un po' smarrito pel contrasto della chiara luce diffusa al largo e la penombra della stanza, dalla quale il sole si era già ritirato.—Per cercare che io faccia, non mi riesce di trovare in fondo alla mia memoria nessun fatto che sia degno di interessarvi come i vostri hanno interessato me. I casi più notevoli che mi sono capitati sono di quelli che, con parola espressiva, si chiamano fiaschi. Ora, i fiaschi è meglio vuotarli che raccontarli!—e nel ripetere il volgare doppio senso v'era qualcosa d'amaro nell'espressione della sua fisonomia.
—Egli è che voi ne avete già vuotati parecchi—osservò Ludwig Kopfliche, che non beveva quasi vino—e sarebbe prudente di cambiar sistema!
—Conciliamo! conciliamo!—rispose Fritz Eisenstein porgendo un bicchiere a Franz von Rödrich.—Vuota prima… Ora racconta!
—Volete? E sia! Ma non vi stupirete se nel mio racconto non v'è molto nesso?… Io lascierò che i ricordi si svolgano da loro; e se vi annoio, siamo intesi? la colpa è vostra. Voi avete conosciuta la Cabianchi?
Fritz e Ludwig si guardarono.
—Quello splendore?… Quella maestà ?…
—Sì, quello splendore, quella maestà di bellezza, completa, perfetta, ideale! Quella bellezza che non si concepiva di poter ammirare altrimenti che in ginocchio, dal basso all'alto, colle mani giunte, nell'attitudine di un prete dinanzi all'idolo! Quella bellezza pura, serena, intangibile e intatta! Io l'ho amata… Parlo con persone che intendono che cosa si racchiuda in questa parola: Amore; quali eterogenei elementi entrino a formarne il significato. Fra tutti i secreti moventi che esercitavano la loro azione su di me, la curiosità di leggere in fondo a quel cuore, di risolvere l'enimma di quegli sguardi di sfinge tranquilla e superba, non era il meno forte…. Ma io l'amavo con più semplicità ; la desideravo, anima e corpo, e tanto più intensamente, tanto più dolorosamente, quanto più scoraggiante era la leggenda che correva su quella Groenlandia ghiacciata. Chi potea vantarsi di aver avuto con quella donna una conversazione intima, sulle cose del cuore e dell'anima? La sua intimità , io voleva conquistarla. Ciò che mi arrestava di più in lei, era la sua serenità divina, di creatura superiore, a cui gli omaggi, il culto, sono dovuti, naturalmente; che nulla può commuovere, che nulla può interessare, E la frase di Spinoza mi tornava alla memoria; «Chi ama Dio non può far nulla perchè Dio lo ami in ricambio…» Vi era in questa indifferenza dinanzi alle prove della mia più fervida adorazione, della mia devozione più umile, qualche cosa che feriva il mio amor proprio, acutamente; non pertanto mi facevo forza, e persistevo, malgrado mille piccole amarezze, felice di sorprendere, di tanto in tanto, qualche barlume nella freddezza metallica di quegli sguardi. Alcune volte gli spiriti s'intendono, meglio che per via di lunghi discorsi, in un minuto di silenzio eloquente…. Noi eravamo alla terrazza del villino, verso il tramonto di una giornata autunnale. Il cielo dell'orizzonte era d'un rosa tenero che, per gradazioni delicatissime, sfumava in un verde impossibile a definire… Io ero riuscito a farle leggere un romanzo d'amore; ne avevamo parlato; mi era parso di scoprire, nel suo accento, qualcosa di tremante, di commosso, al ricordo del dramma…—Che cosa è la vita senza passione?…—Io ero stupito ancora delle mie parole; mi aspettavo di vedermi guardato con occhio curioso, come si guarda un originale, uno stravagante…. Ella guardava l'orizzonte, quel rosa e quel verde che infondevano una grande dolcezza nel cuore. Vista così di profilo, immobile, ai toni caldi del tramonto, ella era schiacciante di bellezza ieratica…. Tacevamo, e l'ora fuggiva, adorabile…. Lentamente, io avevo cavato il guanto dalla mia destra, e pigliando a un tratto congedo da lei, tenni, per la prima volta, la sua mano nuda nella mia. Era il freddo della sera? Un brivido mi passò pel corpo a quel contatto soave. Quanto tempo si può stringere una mano? Due, cinque secondi? A me parve che quella stretta durasse indefinitamente. Alla sensazione di freddo che mi aveva scosso, ora succedeva un tepore dolcissimo che, a ondate, dalla mano mi saliva pel braccio e mi serpeggiava per tutti i nervi…—Ci rivedremo presto?…—Martedì, al viale dei Platani.—Che scoppio d'allegrezza nell'anima!… Io mi sorprendevo, per le strade affollate, ad esclamare: È mia! È mia! Quanti mi avranno preso per pazzo?… Con quale ansia aspettavo che il tempo scorresse, che arrivasse quel martedì, quando avrei… che cosa! Non lo sapevo io stesso!… Io ero lì, a percorrere il viale coperto d'un tappeto di foglie morte, spiando la sua comparsa, sussultando ad ogni rumore, ad ogni forma lontana… Ella non veniva ancora…. Degli amici m'incontravano, mi trattenevano; io avrei voluto strozzarli…. Il tempo passava, le ore suonavano una dopo l'altra all'antico convento di San Domenico, le ombre si allungavano…. Ella non veniva…. Il freddo della sera mi pungeva, le gambe mi si piegavano…. Ella non veniva… Perchè? Che cosa le avevo fatto?… Ma insomma, non era quella mia disperazione puerile? Un contrattempo fa presto a sorgere… Però io provai una puntura acutissima, lancinante, quando, uscito di lì, nella baraonda della via, la scorsi, serena, indifferente, incedere tra la folla con lo sguardo fisso dinanzi a sè, senza guardare nessuno. Tu hai pratica del magnetismo, Ludwig?… Io la chiamavo imperiosamente, cogli occhi, e come ella si voltò a guardarmi, lo feci l'affronto di non salutarla. Avevo voglia di piangere. Mi sentivo umiliato, avvilito da quella indifferenza, da quella serenità . Mi rivedevo, ridicolo, lì, in quel viale dei Platani, ad aspettare chi non veniva; a desiderare chi il desiderio non aveva mai compreso… Io stetti quindici giorni senza cercarla; meglio, evitandola. Poi la passione fu più forte. Ella pareva non essersi accorta di nulla; mi accolse come l'avessi lasciata il giorno prima. Le repulse decise, una dichiarata ostilità non mi avrebbero fatto tanto male quanto quella incoscienza serena che offendeva la mia passione d'amante e la mia dignità di uomo… Mi allontanai ancora; poi tornai nuovamente a lei… Vado per le lunghe? Un giorno, era sola. Come mi lasciai trascinare dalla piena dell'affetto? Che cosa le dissi? Io ero stupito della mia eloquenza; le frasi mi sgorgavano dalle labbra facili, incalzanti, come in certi momenti di dormiveglia, quando ci sembra di parlare con la stessa facilità con cui si legge in un libro stampato…—Voi non credete all'amore? Che cosa bisogna fare per convenirvi? Come dimostrarvi di che miracoli l'amore è capace? Come provarvi che non ostante l'accumularsi del ghiaccio, tra i rigori iperborei, le fiamme d'un vulcano possono erompere?…—Io ero al suo fianco, vicino, molto; sentivo il suo profumo penetrante salirmi al cervello; la guardavo supplicante… Nulla!… Non importa!… presi la sua mano nelle mie mani scottanti… Ella la ritirò… Non importa!… non volevo che mi sfuggisse, contavo di vincerla… Ah!… quella mano che ella mi aveva tolto, ora me la porgeva!… Come? Come si fa l'elemosina ad un miserabile, ad un fastidioso miserabile che vi stia dattorno, inevitabilmente!… Nel suo sguardo, l'impassibilità del Dio… No! Tutto il mio orgoglio dimenticato, soffocato, calpestato per l'amore di quella donna, si ridestò gigante, irresistibile. No!…. Se io avessi preso quella mano, sarei stato probabilmente l'amante della signora Cabianchi. Quella mano, io non la presi….
—Ah! Tu non l'amavi!—esclamò Fritz Eisenstein, picchiando sulla tavola e facendo col capo vivi segni di denegazione.
—E poi, scusa—aggiunse Ludwig Kopfliche accendendo un'altra sigaretta—l'osservatore non deve aver tutte queste fisime pel capo! La ricerca del fatto, innanzi tutto. Sarebbe bella che il fisico non volesse curvarsi a guardare dentro il microscopio, col pretesto che l'uomo deve tener alta la fronte! Sarebbe ancora più bella che il fisiologo rinunziasse a provare l'efficacia d'un rimedio, per non aprire le viscere d'una creatura vivente!
—Ah! eccomi giunto al mio secondo caso,—riprese Franz von Rödrich, dopo aver lasciato dire gli amici fissando le vaghe forme vaporose che si disegnavano all'orizzonte.—Una creatura vivente, e di che vita intensa, acuta e torturante! Voi non l'avete conosciuta. Il suo nome? Che cosa importa! Ella si chiamava la Leggiadria, la Grazia, l'Incanto. Nulla, in lei, di regolare e di previsto; il volgo la giudicava brutta. Ella era bella, della sovrumana bellezza consistente nell'espressione, nella simpatia, nell'anima rivelantesi dagli sguardi, dalla voce, dalla stessa attitudine di un corpo flessibile, ondulante, superbamente modellato. Dal primo giorno che la vidi, una dolcissima intimità si stabili fra di noi. Io non ricordo di aver mai scambiato con lei, fuorchè in presenza di altre persone, i luoghi comuni delle conversazioni quotidiane. Che scienza del cuore ella aveva! Come era organata per la sofferenza l'eletta creatura, tutta spirito, tutta fantasia,—e come aveva sofferto! Vi era una tragedia nella sua vita, ed ella era ancora sotto l'impressione del fulmine cadutole dinanzi. Come esprimere l'intenerimento che ella mi dava? Io avrei voluto al mio comando ogni potenza per riparare l'evidente ingiustizia commessa a suo danno dal Destino, per restituirle i suoi sogni e le sue speranze, per cospargere di petali di rosa il suo cammino…. A poco a poco, arrivai a credermi capace di questo miracolo. Il prepotente amore nasceva in me: si traduceva, mio malgrado, in ogni mia parola, in ogni mio atto. Ah! checharme! checharme!… Ella mi comprendeva, mi era grata, mi amava…. Come spiegare altrimenti la metamorfosi che si operava in lei, l'adorabile sorriso che le splendeva ora negli umidi sguardi, la rifioritura di tutto il suo essere oppresso e quasi avvizzito dall'inclemente stagione?… Il mio più fervido voto stava dunque per essere compiuto? La gioia aspettata stava dunque per entrarmi nel cuore!.. Oh, perchè, invece, una nebbia di tristezza si levava in me lentamente, ed invadeva le più recondite pieghe dell'anima? Perchè quel sentimento di profonda, di angosciosa commiserazione alla vista della creatura adorata? Perchè quella ostinata visione del male di cui le sarei stato causa, delle nuove inevitabili lacrime, delle nuove torture? In chiesa, un venerdì, il giorno che ella dedicava alla preghiera…. Era in ginocchio dinanzi l'altare dell'Addolorata. Non mi vide. Io bevevo la magia della sua vista, e il luogo, l'ora, tutto mi disponeva ad una mistica tenerezza. Oh, la povera adorata creatura! Come era debole, e tenue, e delicata, e fragile! Come il suo viso era lavato dal pianto! Come il più leggiero tocco l'avrebbe fatta dolorosamente vibrare in tutte le fibre! Come bisognava essere crudeli per tormentarla, ancora!… E un giorno che noi eravamo soli, e che io le ero vicino, e che le nostre fronti si avvicinarono per leggere le parole di un poeta, le mie labbra le sfiorarono le tempie…. Un grido represso, una angoscia nell'occhio rovesciato, uno scoloramento nel viso, un affannoso sollevarsi del seno…. Io presi le sue mani, le sue povere bianche mani tremanti che ella aveva portato sul cuore; io le baciai, filialmente…. La sera ero partito, lontano….
—Ah! Tu non l'a…—cominciò Fritz Eisenstein; ma levandosi ad un tratto da sedere, in preda ad una grande emozione, si corresse vivacemente:—No! No!… Tu l'amavi; oh se l'amavi! Ed è bella, ed è buona, ed è vera questa pietà !…
Ora, il cielo dell'oriente si colorava d'ametista e il mare si venava di grandi striscie, come un amuerro. Le barche si avvicinavano alla costa, in lunghe file, e il silenzio pareva piovere più profondamente sulla campagna e sul mare.
—Che poesia nella rinunzia!—esclamò ancora Fritz Eisenstein, con un gesto largo.
—Il Buddha! il Buddha!—disse sommessamente il raccontatore.
Allora Ludwig Kopfliche, il dilettante, si rialzò sulla sedia, buttò la sua sigaretta, incrociò le braccia sulla sponda della tavola, e immobile in tutta la persona, come un idolo antico, cominciò:
—Quando Sachia-Muni era ancora il principe Siddârtha, aveva ogni virtù del perfetto cavaliere. In un punto soltanto non rassomigliava a tutti gli altri. Nessuno era più abile di lui ad inseguire la caccia per la foresta; ma quando, al galoppo del suo focoso cavallo, con l'arco teso, vedeva saltellare rapidamente la gazzella spaurita, invece di lanciare la freccia egli si arrestava, preso da un subito tremore; e lasciando i suoi compagni, se ne andava con uno strano sogno di tristezza e di pietà ….
—«Voi che volete seguire la strada regale»—disse Franz von Rödrich, interrompendo l'amico con un segno della mano—«ascoltate le quattro grandi verità ! La prima è di conoscere il dolore; la seconda di penetrare la sua causa: il desiderio. La terza consiste nella fine del dolore, che è l'amore di sè vinto, la brama domata. La quarta è di conoscere la via che conduce al rifugio….»
E mentre il sole tramontava e il velo dell'ombra si distendeva sul cielo e sul mare, i tre buddisti tacevano, nell'aspirazione al promesso Nirvâna.
PREFAZIONE……………………….Pag. VDocumenti umani………………….. » 1Il Passato………………………. » 17Una dichiarazione………………… » 79Il memoriale del marito…………… » 97Il ritratto del maestro Albani…….. » 123Studio di donna………………….. » 145Il Sacramento della penitenza……… » 169Un caso imprevisto………………. » 189Donato del Piano…………………. » 209La Morta………………………… » 237Le due faccie della medaglia………. » 257Una voce………………………… » 281Epilogo…………………………. » 299L'Orgoglio e la Pietà …………….. » 315
Prezzo del presente volume: Lire 3:50
D'imminente pubblicazione:
Vi sono aggiunte in appendice il testo completo del LIBRO VERDE presentato in Parlamento il 24 aprile, la relazione ufficiale sul combattimento di Saganeiti; e tutte le note Crispi e Goblet sull'INCIDENTE DI MASSAUA.
Un volume in-8 di 450 pagine con 76 incisioni
Nel 1889 uscirà :
Dirigere commissioni e vaglia ai Fratelli Treves, in Milano.