LXXXVIII.

LXXXVIII.Appena s'imbiancava l'aurora, e il russo comperò di presente un'assai bella carrozza, che l'oste, che ne soleva far continuo mercato, avea fatta venire di Napoli per mandarla a Roma. Incontanente vi si lanciò dentro, e noi nella carrettella, e gli schiavi sul carretto, e fu cacciato a tutta briglia i cavalli, che la saltatrice quella sera appunto spiccava l'ultimo suo salto a Tordinona.Valicammo, come il baleno, la bella Linea Pia (venticinque miglia come il primo viale della Villa Reale di Napoli), che Pio Sesto, d'immortale memoria, rifrenando la sfrenata palude, fece spianare sull'antica via Appia. Di qua e di là correva lentamente, anzi stagnava, la placida laguna: e il suo stagnare e il fulminare dei nostri cavalli, parea che mi rappresentassero alla fantasiail vivo contrasto fra la mia vita passata e la presente. Oh! come io mi sentiva leggera su questa terra, e trionfatrice dell'universo! Oh come eran rapidi tutti e vivi e sfolgoranti i miei pensieri e le mie speranze! Oh padre, quanto mai v'è di corporeo in tutto quello che pare più etereo e più spirituale nell'uomo!Di speranza in isperanza, e di pensiero in pensiero, fui tosto stanca di vagare, e l'egualità del prospetto tosto m'ebbe profondata in me stessa. Ripensai il fine, che sempre tale ci pare l'ultimo avvenimento che c'è incontrato, a cui era riuscita la vita mia, e mi parve, se non un piacere innebriante, certo una conversazione assai dolce. Non accogliendo più nell'animo nessun dubbio di non essere moglie di Cammillo, mi parve che il matrimonio fosse il solo stato naturale dell'uomo. Tutta scarica e serena nella mia mente, io non sentiva più in me quella strana mistura d'oppressione in un tempo e d'impeto tormentoso all'ignoto, ond'ero stata travagliata dal primo dì che mi sentii donna, e che in un bacio del mio garzoncello di Santa Sofia attinsi il primo sorso alla tazza misteriosa della vita. Tutto mi pareva piano, tutto sopportabile, nè il conoscere che Cammillo non mi valeva per l'ingegno, mi afflisse tanto, quanto avrei per avventura presupposto. Era un bel giovane, ed avea un braccio vigoroso per sostenermi, e per lui io non mi sentiva più sola sulla terra: e della mia superiorità assai agevolmente mi consolavo.Intanto, stancata a vicenda di profondarmi in me medesima, mi versai di nuovo fuori di me, e la scena mi parve di nuovo mutata. Tutto ciò che mi circondava mi parve che inspirasse non più servitù, ma comando. Io non vidi più monti arcigni o soprastarmi sul collo, e quasi minacciarmi s'io ardissi levare il capo e credermilibera; o tarpare crudamente le ali ai miei sguardi, ch'io desiderai sempre di spingere quanto più potetti lontano nell'infinito dell'orizzonte. Io spinsi il volo degli occhi miei di là delle curve lontanissime e maestose che mi ricamavano a dolcissimi tratti l'orizzonte, e mi pareva che l'universo intero fosse mio. Gli alberi, i cavalli, gli animali tutti s'ingigantivano di mano in mano, e sembravano prenunziarmi che la natura si preparava come a uno sforzo per mostrarsi maggiore di se stessa. Ah padre, ma quand'io imparai a conoscere l'uomo romano, il vero discendente di Cesare, il carrettiere; che più? quand'io imparai a conoscere il mendicante romano, che, nel domandarti la vita per Dio, non s'avviliva, ma pareva ancora comandare, e dirti, tu fosti mio schiavo un dì; allora conobbi la più bella cosa creata, e conobbi che se Iddio n'aveva mandato il germe nel Lazio, aveva voluto che il Lazio comandasse all'universo; e conobbi che il divino decreto, ch'ora sembra mozzo e interrotto, avrà forse un dì, nella resurrezione d'Italia, il suo ultimo e fatale adempimento.Tav. IV.... che il Lazio comandasse all'universo; e conobbi che il divino decreto, ch'ora sembra mozzo e interrotto, avrà forse un dì, nella resurrezione d'Italia, il suo ultimo e fatale adempimento. — Carte 336.

Appena s'imbiancava l'aurora, e il russo comperò di presente un'assai bella carrozza, che l'oste, che ne soleva far continuo mercato, avea fatta venire di Napoli per mandarla a Roma. Incontanente vi si lanciò dentro, e noi nella carrettella, e gli schiavi sul carretto, e fu cacciato a tutta briglia i cavalli, che la saltatrice quella sera appunto spiccava l'ultimo suo salto a Tordinona.

Valicammo, come il baleno, la bella Linea Pia (venticinque miglia come il primo viale della Villa Reale di Napoli), che Pio Sesto, d'immortale memoria, rifrenando la sfrenata palude, fece spianare sull'antica via Appia. Di qua e di là correva lentamente, anzi stagnava, la placida laguna: e il suo stagnare e il fulminare dei nostri cavalli, parea che mi rappresentassero alla fantasiail vivo contrasto fra la mia vita passata e la presente. Oh! come io mi sentiva leggera su questa terra, e trionfatrice dell'universo! Oh come eran rapidi tutti e vivi e sfolgoranti i miei pensieri e le mie speranze! Oh padre, quanto mai v'è di corporeo in tutto quello che pare più etereo e più spirituale nell'uomo!

Di speranza in isperanza, e di pensiero in pensiero, fui tosto stanca di vagare, e l'egualità del prospetto tosto m'ebbe profondata in me stessa. Ripensai il fine, che sempre tale ci pare l'ultimo avvenimento che c'è incontrato, a cui era riuscita la vita mia, e mi parve, se non un piacere innebriante, certo una conversazione assai dolce. Non accogliendo più nell'animo nessun dubbio di non essere moglie di Cammillo, mi parve che il matrimonio fosse il solo stato naturale dell'uomo. Tutta scarica e serena nella mia mente, io non sentiva più in me quella strana mistura d'oppressione in un tempo e d'impeto tormentoso all'ignoto, ond'ero stata travagliata dal primo dì che mi sentii donna, e che in un bacio del mio garzoncello di Santa Sofia attinsi il primo sorso alla tazza misteriosa della vita. Tutto mi pareva piano, tutto sopportabile, nè il conoscere che Cammillo non mi valeva per l'ingegno, mi afflisse tanto, quanto avrei per avventura presupposto. Era un bel giovane, ed avea un braccio vigoroso per sostenermi, e per lui io non mi sentiva più sola sulla terra: e della mia superiorità assai agevolmente mi consolavo.

Intanto, stancata a vicenda di profondarmi in me medesima, mi versai di nuovo fuori di me, e la scena mi parve di nuovo mutata. Tutto ciò che mi circondava mi parve che inspirasse non più servitù, ma comando. Io non vidi più monti arcigni o soprastarmi sul collo, e quasi minacciarmi s'io ardissi levare il capo e credermilibera; o tarpare crudamente le ali ai miei sguardi, ch'io desiderai sempre di spingere quanto più potetti lontano nell'infinito dell'orizzonte. Io spinsi il volo degli occhi miei di là delle curve lontanissime e maestose che mi ricamavano a dolcissimi tratti l'orizzonte, e mi pareva che l'universo intero fosse mio. Gli alberi, i cavalli, gli animali tutti s'ingigantivano di mano in mano, e sembravano prenunziarmi che la natura si preparava come a uno sforzo per mostrarsi maggiore di se stessa. Ah padre, ma quand'io imparai a conoscere l'uomo romano, il vero discendente di Cesare, il carrettiere; che più? quand'io imparai a conoscere il mendicante romano, che, nel domandarti la vita per Dio, non s'avviliva, ma pareva ancora comandare, e dirti, tu fosti mio schiavo un dì; allora conobbi la più bella cosa creata, e conobbi che se Iddio n'aveva mandato il germe nel Lazio, aveva voluto che il Lazio comandasse all'universo; e conobbi che il divino decreto, ch'ora sembra mozzo e interrotto, avrà forse un dì, nella resurrezione d'Italia, il suo ultimo e fatale adempimento.

Tav. IV.... che il Lazio comandasse all'universo; e conobbi che il divino decreto, ch'ora sembra mozzo e interrotto, avrà forse un dì, nella resurrezione d'Italia, il suo ultimo e fatale adempimento. — Carte 336.

Tav. IV.... che il Lazio comandasse all'universo; e conobbi che il divino decreto, ch'ora sembra mozzo e interrotto, avrà forse un dì, nella resurrezione d'Italia, il suo ultimo e fatale adempimento. — Carte 336.


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