PRIMO SAGGIOLA STORIA

PRIMO SAGGIOLA STORIA

C’è una sola mente comune a tutti gli uomini individui.

Ciascun uomo è adito ad essa ed a tutto ciò che ad essa appartiene.

Colui, che una volta è ammesso al diritto della ragione, diviene completamente libero; ciò che Platone ha pensato, egli può pensare, ciò che un santo ha sentito, egli può sentire, ciò che in ogni tempo a ciascun uomo è accaduto, egli può comprendere. Chi possiede questa universale mente partecipa di tutto ciò che è o può essere fatto, poichè questa è l’unico e sovrano agente.

La storia è il complesso delle opere della mente. Il suo genio è illustrato dall’intero svolgersi del tempo; l’uomo in nessun modo comprensibile, diviene tale per mezzo della sua storia. L’umano spirito, senza precipitazione, senza riposo, s’appresta fin dal principio a raggruppare ogni facoltà, ogni pensiero, ogni emozione che gli appartenga, intorno ad appropriati eventi. Ma il pensiero precede il fatto; tutti i fatti della storia preesistono nella mente come leggi. Ciascuna legge è a sua volta il prodotto di circostanze predominanti, ed i limiti di natura danno potere ad una sola per volta. Un uomo è l’intera enciclopedia dei fatti.

La creazione di mille foreste sta in un solo seme; e l’Egitto, la Grecia, Roma, la Gallia, la Britannia, l’America, stanno già rinchiuse nel primo uomo.

Successivamente campo, regno, impero, repubblica, democrazia, sono semplicemente l’applicazione del molteplice spirito umano al molteplice universo.

L’umana mente scrisse la storia e deve leggerla. Come la Sfinge doveva risolvere i suoi propri enimmi, così il complesso della storia, che sta in un uomo, dev’essere totalmente spiegato dall’individuale esperienza. C’è una relazione fra le ore della nostra vita ed i secoli del tempo. Come l’aria ch’io respiro è tratta dai grandi depositi della natura, come la luce sul mio libro è prodotta da un astro, distante cento milioni di miglia, come il peso del mio corpo dipende dall’equilibrio tra le forze centrifughe e quelle centripete; così le ore dovrebbero essere create dalle età e le età spiegate dalle ore.

Ogni singolo uomo è ancora un’incarnazione della mente universale. Tutte le sue proprietà consistono in lui: ogni passo, nella sua privata esperienza, getta una luce su ciò che grandi masse d’uomini hanno fatto, e le crisi della sua vita conducono alle crisi nazionali. Ogni rivoluzione fu in antecedenza un pensiero nella mente di un solo uomo; quando lo stesso pensiero sorge in un altro uomo, s’ha la chiave che apre quel periodo. Ogni riforma fu una volta una personale opinione; e quando un’altra volta diverrà opinione personale, essa scioglierà il problema dell’età. Il fatto narrato, deve corrispondere a qualche cosa in me, che sia credibile od intelligibile: così quando noi leggiamo, dobbiamo trasmutarci in greci, romani, turchi, sacerdoti e re, martiri e giustizieri; dobbiamo unire queste immagini, nella nostra segreta esperienza, a qualche realtà o noi vedremo nulla, impareremo nulla, riterremo nulla.Quanto accadde ad Asdrubale od a Cesare Borgia non è maggiore illustrazione delle forze e delle depravazioni della mente, di quanto non sia ciò che è accaduto a noi. Ciascun movimento politico e ciascuna legge nuova ha significazione per voi. State dinnanzi a ciascuna delle sue tavole e dite: «Ecco uno dei miei manti: Sotto questa fantastica o graziosa od odiosa maschera, la mia proteiforme natura celò sè stessa». Ciò rimedia al difetto della nostra troppo grande prossimità a noi stessi; ciò pone le nostre proprie azioni in prospettiva; e come i granchi, i capri, gli scorpioni, la bilancia e l’acquario, perdono ogni loro meschinità, quando si riflettono come segni nello Zodiaco, così io posso contemplare senza disgusto i miei propri vizi, nelle lontane figure di Salomone, di Alcibiade e di Catilina.

È questa natura universale che dà valore agli uomini e alle cose. La vita umana che la contiene, è misteriosa ed inviolabile e noi la cingiamo di pene e di leggi. Tutte le leggi traggono di qua la loro ultima ragione, tutte esprimono infine reverenza a qualche comando di questa illimitata essenza suprema. La proprietà pure tiene dell’anima, copre grandi fatti spirituali e noi istintivamente aderiamo, a tutta prima, ad essa con spade e leggi, e con ampie e complesse combinazioni. L’oscura coscienza di questo fatto è luce del nostro giorno, il diritto dei diritti, lo scopo dell’educazione, della giustizia, della carità, il fondamento dell’amicizia e dell’amore, dell’eroismo e della grandezza, che appartiene alle azioni derivate dalla fiducia in se stesso. È notevole che involontariamente noi sempre leggiamo come se fossimo superiori. La storia universale, i poeti, i romanzieri, nelle loro grandiose descrizioni — nei palazzi sacerdotali ed in quelli imperiali, nei trionfi della volontà e del genio, in alcun luogo infine non perdono la nostra attenzione; ma piuttostociò è vero che nei loro tratti più grandi, là noi ritroviamo maggiormente noi stessi. Quel ragazzo, che legge nell’angolo, sente esser vero per se stesso, tutto ciò che Shakespeare dice del re. Noi simpatizziamo con i grandi momenti della storia, con le grandi scoperte, con le grandi resistenze, con le grandi prosperità degli uomini, perchè la legge fu promulgata, il mare fu esplorato, la terra fu scoperta o il colpo fu dato per noi, come noi stessi vorremmo aver fatto od applaudito.

Così è riguardo alla condizione ed al carattere. Noi onoriamo il ricco, perchè egli ha esteriormente la libertà, il potere ed il favore che noi sentiamo esser propri all’uomo, propri a noi. Così, tutto ciò che è detto dell’uomo saggio dallo storico o dall’orientale o dal moderno studioso, descrive a ciascun uomo la sua propria idea, descrive il suo inarrivato, ma raggiungibile se stesso. Ogni letteratura delinea il carattere dell’uomo saggio; ogni libro, monumento, pittura, conversazione, è il ritratto nel quale il saggio trova i lineamenti, di cui è modellato. Il silenzio e le voci risonanti lodano lui e l’avvicinano, ed egli è stimolato dovunque vada, come da personali illusioni. Un’anima buona e saggia però non deve mai cercare, nel discorso, allusioni personali e lodative. Egli sente la lode, ma non di se stesso, bensì, lode più dolce, di quel carattere cui egli aspira, che è descritto in ogni parola concernente il carattere stesso e più ancora da ogni fatto, che accade nel fluente fiume, o nel fremente grano. La lode è cercata, l’omaggio è offerto, l’amore fluisce dalla natura silenziosa, dalle montagne, dagli splendori del firmamento. Questi avvertimenti, versati a goccie, come se provenissero dal sonno e dalla notte, usiamoli in pieno giorno. Lo studente deve leggere la storia attivamente e non passivamente; deve considerare la sua propria vita il testo, ed il libro il commento. Cosìcostretta, la Musa della storia pronunzierà gli oracoli che giammai disse a quelli, che non rispettano se stessi. Io non ho speranza che bene leggerà la storia alcuno di coloro, i quali pensano che quanto fu fatto in una remota età, da uomini il cui nome risuonò lontano, abbia qualche più profondo senso di ciò che si fa oggi. Il mondo esiste per l’educazione di ciascun uomo. Non c’è età o condizione di società, o modo di azione nella storia, che non corrisponda in qualche modo alla sua vita. Ogni cosa tende nel più meraviglioso modo a rimpicciolir se stessa ed a cedere a lui la sua propria virtù. Egli dovrebbe osservare che potrebbe rivivere tutta la storia nella sua propria persona. Egli deve rimanere nella sua casa, forte e potente, e non sopportare vessazione di re od imperi; egli deve sapere che egli è più grande di tutta la geografia e di tutto il governo del mondo; egli deve rimuovere il punto di vista, dal quale la storia è comunemente letta, cioè da Roma, da Atene, da Londra, a se stesso, e non rifiutare il suo convincimento che egli è la Corte e se l’Inghilterra o l’Egitto hanno qualche cosa da dire a lui, egli giudicherà, altrimenti tacciano per sempre. Egli deve cogliere e ritenere quella sublime visione, in cui i fatti concedono il loro segreto senso ed in cui annali e poesia sono eguali. L’istinto della mente e l’intento della natura denunciano se stessi, sull’uso che noi facciamo delle insigni narrazioni della storia. Il tempo smussa alla luce del sole l’angolarità dei fatti. Nessun’àncora, nessuno schermo, nessuna gomena, giovano a mantenere un fatto come tale; Babilonia, Troia, Tiro, ed anche la prima Roma stanno già passando nella leggenda.

Il giardino dell’Eden, il sole immobile sul Gibeone, è poesia, d’allora in poi, di tutte le nazioni. Chi si cura di ciò che fu il fatto, quando noi l’abbiamo trasformato in una costellazione da appendere nel cielocome immortale segno? Londra, Parigi, e New-York debbono fare lo stesso cammino. «Che cos’è la storia» disse Napoleone «se non una favola convenuta?» Questa nostra vita è connessa con l’Egitto, la Grecia, la Gallia, l’Inghilterra, la guerra, la colonizzazione, la chiesa, la corte, il commercio, come con altrettanti fiori e ornamenti gravi e lieti. Io non farò un’enumerazione di essi. Io credo nell’eternità. Io posso trovare la Grecia, la Palestina, l’Italia, la Spagna e le isole, il genio ed il principio informatore di ciascuna e di tutte le cose nella mia propria mente. Noi ci imbattiamo sempre nella nostra privata esperienza con i fatti, che nella storia ci hanno commossi e con quella li constatiamo. Tutta la storia allora diviene subiettiva: in altre parole non c’è propriamenteStoria, ma soltantoBiografia. Ogni anima deve sapere per se stessa tutta la lezione, deve percorrere tutta la terra. Ciò che essa non vede, ciò che essa non vive, essa non conoscerà. Ciò che la passata età ha compendiato in una formula o legge per manipolare convenienza, essa perderà la gioia di verificare, per l’inciampo di quella legge. Ma in un modo o nell’altro, in un tempo o nell’altro, essa domanderà e troverà il suo compenso per questa perdita, col rifare lo stesso lavoro. Ferguson scopri nell’astronomia molte cose che da lungo erano conosciute. — Meglio per lui.

La storia dev’essere questo o è nulla. Ogni legge che lo stato promulga, indica un fatto nell’umana natura: questo è tutto. Noi dobbiamo nella nostra propria natura vedere la necessaria ragione di ogni fatto, vedere come esso poteva e doveva essere. Con questo convincimento volgiamo la nostra attenzione ad ogni opera pubblica o privata, ad una orazione di Burke, ad una vittoria di Napoleone: ad un martirio di Tommaso Moro, di Sidney, di Marmaduke Robinson, ad un Regno delTerrore, ad un Salem impiccante le streghe, ad un fanatico risorgimento, al magnetismo animale di Parigi e alla Provvidenza. Noi concludiamo allora che, sotto eguale influenza, noi saremmo egualmente commossi e compiremmo la stessa opera, e noi aspiriamo a padroneggiare intellettualmente i passi e raggiungere la stessa altezza e la stessa degradazione, che il nostro simile ha raggiunta.

Ogni investigazione nell’antichità, ogni curiosità riguardante le Piramidi, le città dissepolte, Stonehenge, il Messico, Memphi, non è che il desiderio di sopprimere quei feroci e selvaggi e assurdi «là» «allora» per porvi invece il «qui» o «l’oggi»; è bandire il non «io» e porre «l’io»; è abolire la differenza e restaurare l’unità. Belzoni scava e misura nelle tombe e nelle piramidi di Tebe, finchè egli giunge al termine della differenza fra la mostruosa opera e se stesso. Quand’egli ha dimostrato a se stesso, nelle generali e nelle particolari cose, che quella fu compiuta da un uomo simile a lui, armato come lui e per fini, per i quali egli stesso, in date circostanze avrebbe operato, allora il problema è risolto; il suo pensiero vive lungo l’intera teoria dei templi, delle sfingi, delle catacombe; passa tra essi in tutto simile ad un’anima di creatore, con gioia, ed essi rivivono nella mente, ovvero sono «oggi».

Una cattedrale gotica afferma che essa fu costrutta da noi e non da noi. Certamente essa fu fatta da un uomo, che noi non troviamo nell’uomo del nostro tempo. Noi allora applichiamo noi stessi alla storia della sua produzione; poniamoci nel momento e nella condizione storica del costruttore: ricordiamo gli abitanti delle foreste, i primi templi, l’affinità al primo tipo e la decorazione di esso, quando la ricchezza della nazione s’accresceva: ricordiamo il valore che è dato allegno, riferito all’intero cumulo granitico della cattedrale. Quando noi siamo passati per questo processo e siamo giunti alla chiesa cattolica, alla sua croce, alla sua musica, alle sue processioni, ai suoi giorni dei santi e culto delle immagini, noi siamo stati l’uomo che fece la cattedrale; noi abbiamo veduto quanto poteva e doveva essere: noi abbiamo la sufficiente ragione.

La differenza tra gli uomini sta nel loro principio d’associazione. Alcuni classificano gli oggetti a seconda del colore, della forma o di altre apparenze accidentali; altri a seconda di una intrinseca somiglianza o della relazione tra causa ed effetto. Il progresso dell’intelletto consiste in una più chiara visione di cause che tralascia le superficiali differenze. Al poeta, al filosofo, al santo, tutte le cose sono amiche e sacre, tutti gli eventi giovevoli, tutti i giorni benedetti; tutti gli uomini divini. Poichè l’occhio è legato alla vita, sprezza la circostanza. Ogni sostanza chimica, ogni pianta ed ogni animale, nel suo crescere, ammonisce sull’unità della causa e la varietà dell’apparenza.

Perchè, essendo circondati, come noi siamo, da questa omnigena natura, tenera e fluida come una nube o l’aria, saremmo tali difficili pedanti da magnificare poche forme? Perchè terremmo noi calcolo del tempo, della grandezza, dell’esteriorità? L’anima non conosce queste cose, ed il genio, obbedendo alle sue leggi, sa scherzare con esse, così come un ragazzo scherza con i vecchi e nelle chiese. Il genio studia il pensiero causale, e, molto addentro nelle viscere delle cose, vede i raggi partentesi da una sola orbita, che diverge prima ch’essi si stendano per infiniti diametri. Il genio vigila la monade a traverso tutte le sue sembianze, mentre egli rappresenta la metempsicosi della natura. Il genio sorprende attraverso la mosca, il verme, il bruco, l’uovo, il tipo costante dell’individuo; scopre, fra innumerevoliindividui, le specie fissate; attraverso molte specie, il genere; attraverso tutti i generi, il costante tipo; attraverso tutti i regni della natura organica, l’eterna unità. La natura è una mutevole nube che è sempre e mai la stessa. Essa trasmuta lo stesso pensiero in moltitudini di forme, come il poeta fa venti favole con una sola morale. Bello riluce uno spirito attraverso la brutalità e la durezza della materia. Sola, onnipotente, essa converte tutte le cose al suo proprio fine. Il diamante splende nella più pura e precisa forma, ma mentre io lo guardo, la linea esteriore e la sua struttura sono interamente cambiate. Così nulla è più variante della forma, eppure essa mai rinnega completamente se stessa. Nell’uomo noi ancora rintracciamo gli accenni ed i rudimenti di tutto ciò che noi stimiamo segni di servilismo nelle razze inferiori, pure in lui essi rialzano ed aumentano la sua nobiltà e grazia; così Io, in Eschilo, trasformata in giovenca, offende l’imaginazione; ma quanto cambiata allorchè come Iside in Egitto, essa incontra Giove, non avente più nulla della metamorfosi, eccetto che le corna a mezzaluna, quali splendidi ornamenti della sua fronte!

L’identità della storia è ugualmente intrinseca, la diversità ugualmente manifesta. C’è alla superficie infinita varietà di cose, al centro c’è semplicità e unità di causa. Quanti sono gli atti di un solo uomo, nei quali noi riconosciamo lo stesso carattere! Rivolgiamo la nostra attenzione alle fonti della nostra conoscenza del genio greco: per prima cosa noi abbiamo lastoria civiledi quel popolo, come Erodoto, Tucidide, Senofonte, Plutarco, ce la diedero; da essa noi sufficientemente sappiamo chi fu questo popolo e che cosa fece. La sua anima la troviamo ancora espressa per noi, nella sua letteratura, nei poemi, nel teatro, nella filosofia, in una forma completa; più ancora nella sua architettura,la più pura e sensuale bellezza, il perfetto «medium» che mai oltrepassa il limite della convenienza, della grazia incantevole. Nella scultura poi — l’ago sulla bilancia dell’espressione — noi maggiormente vi troviamo la sua anima, sotto ogni aspetto, in ogni azione, in ogni età di vita, attraverso tutte le condizioni, da Dio alla bestia, e mai oltrepassante l’ideale serenità, se non nello sforzo convulso d’essere obbediente all’ordine e alla legge. Così noi abbiamo del genio d’un popolo quattro diverse manifestazioni, la più varia espressione d’un solo valore morale: ed infatti che cosa v’è di più dissimile per i sensi che un ode di Pindaro, un marmo del Centauro, il peristilio del Partenone e le ultime gesta di Focione? Eppure queste varie esteriori espressioni derivano da una sola mente nazionale.

Ciascuno avrà osservato aspetti e forme, che, pur non avendo somiglianza, producono un’egual impressione nello spettatore. Una particolare pittura o un gruppo di versi, se non suscitano lo stesso seguito di immagini, risvegliano lo stesso sentimento che l’ascendere una montagna selvaggia, sebbene l’affinità non sia evidente ai sensi, ma occulta e al di là del limite dell’intelligenza. La natura è un’infinita combinazione e ripetizione di pochissime leggi: essa sommessamente canta il vecchio e ben conosciuto motivo in innumerevoli variazioni.

La natura ha una sublime rassomiglianza di famiglia in tutte le sue opere e con le più inaspettate affinità ci meraviglia. Io ho veduta la testa di un vecchio capo indiano della foresta, che ad un tratto mi ricordò la rotonda e calva sommità d’una montagna ed il solco delle sopraciglia di quella, gli strati della roccia di questa. Ci sono degli uomini, i cui atteggiamenti hanno lo stesso essenziale splendore della semplice e magnifica scultura dei fregi del Partenone e degli avanzi dellaprima arte greca. Vi sono composizioni, che per il loro carattere, noi troviamo nei libri di tutte le età. Che cosa è l’Aurora di Guido Reni, se non un mattutino pensiero e in essa i cavalli se non una mattutina nube? Se qualcuno vorrà solo osservare la varietà di azioni, alle quali è ugualmente portato in certi stati di mente, e la varietà di quelle a cui è avverso, vedrà quanto è recondito il legame dell’affinità.

Un pittore mi diceva che nessuno può disegnare un albero, senza divenire in qualche modo un albero: che il disegnare un bambino non è semplicemente studiare il contorno delle sue forme, ma vigilare per qualche tempo i suoi movimenti, i suoi giuochi, e allora il pittore penetra la natura di lui e può rappresentarlo a volontà in ogni atteggiamento. Così Roos «entrò nella più segreta natura d’una pecora». Io conobbi un disegnatore, impiegato in un pubblico ufficio, il quale non poteva disegnare delle roccie, finchè non conosceva la loro struttura geologica.

Che cosa si può dedurre da tali fatti se non questo: che in un certo stato di pensiero si trova la comune origine di opere molto diverse? È lo spirito e non il fatto, che è identico. Col discendere giù nella profondità dell’anima e non con il faticoso acquisto di molte abilità manuali, l’artista attinge il potere di destare altre anime ad una data attività.

È stato detto che «le anime comuni rimunerano con ciò che fanno, le anime più nobili con ciò che sono». E perchè? Perchè un’anima, traendo vita dalla grande profondità dell’essere, risveglia in noi, con le sue azioni e le sue parole, con i suoi aspetti ed i suoi modi, quello stesso potere e quella stessa bellezza che una galleria di scultura e di pittura suole suscitare.

La storia civile, la storia naturale, la storia dell’arte, della letteratura, debbono essere spiegate dalla storiaindividuale o debbono restar parole. Nulla v’è che non abbia rapporto con noi; nulla che non ci interessi: regno, scuola, albero, cavallo; le radici di tutte le cose sono nell’uomo. È nell’anima che l’architettura esiste. Santa Croce e la Basilica di S. Pietro sono imperfette copie d’un divino modello. La cattedrale di Strasburgo è un materiale riflesso dell’anima di Erwin von Steinbach. Il vero poema è la mente del poeta; la vera nave è il costruttore della nave. Se potessimo vedere dentro ad un uomo, noi troveremmo la sufficiente ragione dell’ultima fioritura della sua opera; così ogni spina e colore della conchiglia marina preesistono nei secernenti organi del pesce. Il nocciolo dell’araldica e della cavalleria è nella cortesia. Un uomo di modi cortesi pronuncierà il vostro nome con tutto l’ornamento, che i titoli nobiliari potrebbero ad esso aggiungere.

L’esperienza quotidiana sempre conferma a noi qualche vecchia tradizione e trasmuta in fatti, parole e segni che noi abbiamo uditi e veduti senza porvi attenzione. Arreco come esempi, quelli che cadono nel campo d’osservazione di ciascun uomo, e che pur essendo fatti comuni, giovano ad illustrare grandi e cospicui fatti.

Una signora, con la quale cavalcava nella foresta, mi diceva che le selve le parevano sempre «aspettare», come se i genî che le abitano, interrompessero le loro opere, finchè il viandante fosse oltrepassato. Questo è precisamente il pensiero che la poesia ha celebrato nella danza delle Fate, le quali s’arrestano all’approssimarsi di un passo umano. L’uomo, che ha veduto la saliente luna sgusciare a mezzanotte dalle nubi, è stato presente, come un arcangelo, alla creazione della luce e del mondo. Io mi ricordo d’un giorno estivo, in cui un mio compagno mi additò una larga nube, che s’estendeva per un quarto di miglio lungo l’orizzonte, interamente a forma di cherubino, quali sono dipintinelle chiese: una massa tonda nel centro, ch’era facile vivificare con gli occhi e la bocca, sorretta da entrambi i lati da ali tese e simmetriche. Ciò che appare una volta nell’orizzonte, può apparire sovente e quella nube fu certamente l’archetipo di quel familiare ornamento. Io ho veduto nel cielo una catena di fulmini estivi, i quali ad un tratto mi rivelarono che i greci disegnarono dal vero, quando dipinsero la saetta nella mano di Giove. Io ho veduto un ammasso di neve lungo le pareti di pietra d’un muro, che evidentemente diede l’idea del comune zoccolo, che accerchia una torre.

Col semplice porre noi stessi in nuove circostanze, noi senza tregua di nuovo scopriamo le leggi e gli ornamenti dell’architettura, e vediamo come semplicemente ciascun popolo abbia ornate le sue primitive case. Il tempio dorico presenta ancora una rassomiglianza con la selvatica capanna, nella quale il Dorico abitò. La pagoda chinese è chiaramente una tenda tartara. I templi indiani ed egiziani ancora palesano i terrapiani e le sotterranee case degli antichi. «L’uso di fare case e tombe nella pietra viva» dice Heeren nelle sue Ricerche sugli Etiopi «stabilì molto chiaramente il carattere dell’architettura Nubio-egiziana, indirizzandola a quella colossale forma, ch’essa assunse. In queste caverne già preparate dalla natura, l’occhio s’era abituato alle forme grandi e massiccie, cosicchè quando l’arte venne in aiuto della natura, essa non potè muoversi su piccola scala senza avvilir se stessa. Che cosa sarebbero sembrate le statue di grandezza usuale o i portici e le ali, unite a quelle gigantesche aule, dinnanzi alle quali solo i colossi potevano sedere come sentinelle od appoggiarsi alle colonne dell’interno?»

La chiesa gotica derivò semplicemente da un rozzo adattamento degli alberi della foresta, con tutti i loro rami, ad una festosa e solenne arcata, e i vincoli attornoalle colonne indicano ancora i verdi vimini che li strinsero. Nessuno può passare per un sentiero tagliato attraverso una foresta di pini, senza essere colpito dell’architettonica apparenza di essa, specialmente nell’inverno — quando la nudità degli altri alberi, mostra il basso arco dei Sassoni. Chiunque potrà in una foresta osservare, durante un invernale pomeriggio, l’origine delle finestre colorate, che adornano le cattedrali gotiche, per mezzo dei colori del cielo occidentale veduti attraverso i nudi ed incrociantesi rami della selva. Nessun innamorato della natura può entrare nei vecchi edifizi di Oxford o nelle cattedrali inglesi, senza sentire che la foresta dominò la mente del costruttore e che la sua sega, il suo scalpello, la sua pialla, sempre riprodussero le vette fiorite, le felci, le locuste, il pino, la quercia, l’abete, il rovere di quella.

La cattedrale gotica è una fioritura in pietra, determinata dall’insaziabile desiderio d’armonia dell’uomo. La montagna di granito si trasmuta in un eterno fiore, con la leggerezza e la delicata finezza della prospettiva e delle aeree proporzioni della bellezza vegetale.

In ugual modo tutti i pubblici fatti debbono essere individualizzati, e tutti i fatti privati generalizzati. Solo allora la storia diviene ad un tratto fluida e vera, e la biografia profonda e sublime. Come il persiano imitò negli agili fusti e nei capitelli della sua architettura lo stelo del fior di loto e della palma, così la corte persiana, nella sua grandiosa età, giammai desistette dal nomadismo delle sue barbare tribù, ma peregrinò da Ecbatana, sul finir di primavera, a Susa in estate ed a Babilonia in inverno.

Nei primordi della storia d’Asia e d’Africa, il nomadismo e l’agricoltura sono i due fatti antagonistici. La geografia dell’Asia e dell’Africa richiedeva una vita nomade. Ma i nomadi erano il terrore di quelli, chela terra ed i guadagni d’un mercato avevano indotto a costruir città. L’agricoltura fu pertanto un obbligo religioso a causa dei pericoli che allo stato derivavano dal nomadismo. E in queste civili contrade d’Inghilterra e d’America, l’urto di queste tendenze ancora s’agita in ciascun individuo. Noi tutti siamo girovaghi e stazionari, a seconda delle vicende ed a seconda di vicende rapide e piacevoli. I nomadi d’Africa sono forzati a peregrinare in causa degli assalti del tafano, che fa impazzire il bestiame e obbliga la tribù ad emigrare nella stagione piovosa ed a condurre il bestiame in più alte regioni sabbiose. Il nomade d’Asia continua la pastura di mese in mese. In America e in Europa, il nomadismo è il risultato del commercio e della curiosità: e dal tafano di Astabora all’anglo ed italomania di Boston-Bay certamente v’è un progresso. La differenza fra gli uomini, sotto questo aspetto, sta nella facoltà del rapido adattamento e nel potere di trovar dovunque la sedia ed il letto, potere ed adattamento che uno ha ed un altro non ha. Alcuni uomini hanno tanto dell’indiano mancato, hanno costituzionalmente tali abiti di accomodamento, che al mare o nella foresta o nella neve, essi dormono comodamente e pranzano con lo stesso buon appetito e s’affratellano così lietamente, che nelle loro case. E se noi portiamo questo vecchio fatto ad un grado più alto, noi possiamo considerarlo il rappresentante d’un avvenimento permanente nell’umana natura.

Il nomadismo intellettuale è la facoltà dell’oggettivismo o la facoltà degli occhi di rimunerarsi ovunque. Chi ha questi occhi trova ovunque facili relazioni con il suo compagno-uomo. Ciascun uomo, ciascuna cosa, è un pregio, uno studio, una proprietà per lui e questa sua benevolenza spiana il suo ciglio, unisce lui agli uomini e lo fa bello e caro al loro sguardo. La sua casa è una vettura, ed egli vaga attraverso tutte le latitudinicosì facilmente come un Calmucco. Ogni cosa che l’individuo vede, corrisponde ai suoi stati di mente ed è a sua volta a lui intellegibile, mentre il suo progressivo pensiero lo conduce alla verità, alla quale questo fatto o serie di fatti appartengono.

Il mondo primitivo, io posso ricercarlo in me stesso, così bene com’io posso frugarlo, con tremanti dita, nelle catacombe, nelle biblioteche e negli infranti rilievi e torsi delle sue ville abbattute.

Qual’è il fondamento dell’interesse, che tutti gli uomini provano per la storia greca, le lettere, l’arte, la poesia, in tutti i suoi periodi, dall’età eroica ed omerica, fino alla domestica vita degli spartani e degli ateniesi, quattro o cinque secoli più tardi? Questo periodo ci attrae perchè noi siamo greci. Esso è uno stato attraverso il quale ciascun uomo in qualche modo passa. Il periodo greco è l’êra della natura corporea, della perfezione dei sensi, della spirituale natura svelata in istretta unità col corpo. In ciò esistettero quei corpi umani, che provvidero allo scultore i modelli di Ercole, Febo e Giove; non certo tali sono le figure che abbondano nelle strade delle moderne città, in cui v’è un confuso tentativo di lineamenti ed in cui le orbite sono così formate, che sarebbe impossibile agli occhi di guardar di sbieco e di lanciar sguardi da una parte o dall’altra, senza volgere interamente il capo.

I costumi di quell’età sono schietti e fieri. Si rende pubblicamente onore per personali qualità, per il coraggio, l’accorgimento, la padronanza di sè, la giustizia, la forza, la rapidità, la voce tonante, il petto ampio. Il lusso non è conosciuto, così l’eleganza. La popolazione sparsa e il bisogno rende ciascun uomo servitore di se stesso: cuoco, macellaio e soldato; l’abito di provvedere alle proprie necessità educa il corpo a meravigliose azioni.

Tali sono gli Agamennoni e i Diomede di Omero e non molto diversa è la descrizione che Senofonte fa di se stesso e dei suoi compagni nella Ritirata dei Diecimila: «Dopochè l’armata ebbe attraversato il fiume Teleboa nell’Armenia, lì cadde molta neve e le truppe giacquero miserevolmente sulla terra, coperte da essa. Ma Senofonte s’alzò ignudo e, presa una scure, cominciò a spaccar legna; allora gli altri pure s’alzarono e fecero lo stesso». In tutto il suo esercito pare vi fosse un’illimitata libertà di parola. Essi vengono a contesa per il bottino; discutono con i generali ad ogni nuovo ordine e Senofonte è linguacciuto come alcun altro e più linguacciuto che i più, e rende pane per focaccia. Chi non vede che questa è una truppa di grandi ragazzi con lo stesso codice d’onore e la stessa rilassata disciplina?

La superba bellezza dell’antica tragedia e di tutta la letteratura consiste in ciò, che i personaggi parlano semplicemente, come persone dotate di molto buon senso, prima ancora che la riflessione sia divenuta l’abito predominante della mente. La nostra ammirazione per l’antico non è ammirazione del «vecchio», ma del «naturale». I greci non sono riflessivi, ma sono perfetti nei loro sensi, perfetti nella loro salute, con la più sottile organizzazione fisica del mondo. Adulti operano con la semplicità dei bambini. Essi facevano vasi, tragedie, statue, guidati dall’equilibrio perfetto dei loro sensi, vale a dire con buon gusto. Tali cose si continuarono a fare in tutte le età ed anche ora, dovunque esista un fisico vigoroso; ma come una classe, per la loro superiore organizzazione, essi hanno superato tutti. Essi fondono insieme l’energia della maturità colla seducente incoscienza della fanciullezza, e la nostra reverenza per essi è reverenza per la fanciullezza. Nessuno può pensare ad un atto inconscio o con compatimento o condisprezzo. Bardo od eroe, nessuno può guardar dall’alto la parola od il gesto di un fanciullo. Esso è grande come loro. La seduzione dei loro costumi è tale, perchè essi appartengono all’uomo e sono da esso conosciuti, per esser stato, ciascuno uomo, fanciullo un tempo, e perchè ci sono individui che serbano tali caratteristiche. Una persona dotata di genio fanciullesco e di innata energia è ancora un greco e rivive il nostro amore per la musa dell’Ellade. Un grande fanciullo ed una grande fanciulla, di buon senso, sono greci. Bello è l’amore della natura in Filottete, e nel leggere quelle sottili apostrofi al sonno, alle stelle, alle roccie, alle montagne, alle onde, io sento il tempo trascorrere come un rifluente mare. Io sento l’eternità dell’uomo, l’identità del suo pensiero. Il greco ebbe, così pare, gli stessi compagni, che io ho. Il sole e la luna, l’acqua ed il fuoco, incontrarono il suo cuore precisamente come questi incontrarono il mio. Allora la vantata distinzione fra greco ed inglese, fra scuola classica e romantica, appare una pedante e superficiale distinzione. Quando un pensiero di Platone diviene pensiero mio, quando una verità che divampò nell’anima di Pindaro, divampa nella mia, il tempo è più nulla. Quando io sento che noi due c’incontriamo in una percezione, che le nostre due anime sono tinte dello stesso colore, e si fondono in una sola, perchè dovrei io misurare i gradi di latitudine e contare gli anni d’Egitto?

Lo studente interpreta l’età della cavalleria mediante la sua propria età della cavalleria e le avventure di mare e di circumnavigazione, mediante la sua propria parallela esperienza in miniatura. Per la consacrata storia del mondo egli ha la stessa chiave. Quando la voce d’un profeta, dagli abissi dell’antichità, è semplicemente eco d’un sentimento della sua propria infanzia, d’una preghiera della sua propria giovinezza,egli allora giunge alla verità attraverso la confusione delle tradizioni e la caricatura delle istituzioni.

Rari, bizzarri spiriti vengono a noi di tempo in tempo che ci rivelano nuovi fatti della natura. Io vedo che gli uomini di Dio hanno sempre camminato tra gli uomini ed hanno fatto sentire nel cuore e nell’anima del più comune uditore, la loro missione. Onde, evidentemente, il tripode, il sacerdote, la sacerdotessa, furono ispirati dal divino afflato.

Gesù meraviglia e soggioga un popolo sensuale. Essi non possono unire lui alla storia e riconciliarlo con se stessi, ed allora s’apprestano a venerare le loro intuizioni e ad aspirare alla vita santa, mentre la loro stessa devozione spiega ogni fatto ed ogni parola.

Come facilmente le vecchie adorazioni di Mosè, di Zoroastro, di Socrate, di Meno, s’adagiano nella mente. Io non posso trovare in esse alcuna antichità. Esse sono tanto mie quanto loro.

Io ho visto il primo monaco ed anacoreta, senza traversare mari e secoli. Più d’una volta qualcuno è apparso a me, pregando in nome di Dio, così trascurante del lavoro, così imponente nella sua contemplazione, come se rincarnasse, nel XIX secolo Simeone lo stilista, la Tebaide ed il primo Cappuccino.

L’arte sacerdotale dell’est e dell’ovest, del Bramino, del Druido e dell’Inca, viene spiegata nella privata vita di ciascun individuo. L’influenza che un rigido formalista ha su un ragazzo, reprimendo i suoi spiriti ed il suo coraggio, paralizzando la sua intelligenza, senza produrre indignazione, ma timore ed obbedienza ed anche simpatia verso il tiranno, è un fatto familiare, chiaro al ragazzo quando diviene uomo e quando vede che l’oppressore della sua giovinezza è egli stesso un ragazzo, dominato da quei nomi, da quelle parole, da quelle forme, della cui influenza egli fu semplicementelo strumento. Il fatto insegna a lui come Belo fu adorato e come le piramidi furono costrutte, meglio che la scoperta fatta da Champollion dei nomi di tutti gli operai e del costo di ciascuna lastra. Egli trova l’Assiria e i baluardi di Cholula alla sua porta, ed egli stesso ne ha poste le basi.

Ancora, in quella protesta che ciascun uomo di giudizio fa contro la superstizione del suo tempo, egli recita punto per punto la parte dei vecchi riformatori, e nella ricerca della verità s’imbatte, come essi, in nuovi pericoli per la virtù. Egli impara di nuovo quale morale vigore abbisognò per supplire l’appoggio di una superstizione. Una grande sregolatezza cammina sui passi d’una riforma. Quante volte nella storia del mondo il Lutero dell’epoca ha dovuto lamentare il languire della devozione nella sua propria casa! «Dottore — disse un giorno a Martino Lutero la sua sposa — perchè quand’eravamo soggetti al papato noi pregavamo così sovente e con grande fervore e ora noi preghiamo con la maggior freddezza e molto di rado?»

L’uomo progredito scopre quali profondi attributi egli ha in tutta la letteratura, in tutte le favole come in tutta la storia. Egli si persuade che il poeta non fu lo strano individuo, che descrisse strane ed impossibili situazioni, ma fu l’universale uomo, che scrisse con la sua penna una confessione vera per uno e vera per tutti. Egli trova la sua propria segreta biografia, in parole meravigliosamente intelligibili a lui, scritte già prima ch’egli nascesse. Una dopo l’altra le vicende della sua vita privata combaciano con ciascuna favola di Esopo, di Omero, di Hafiz, dell’Ariosto, di Chaucer, dello Scott e personalmente le constata.

Le belle favole dei greci, essendo proprie creazioni dell’immaginazione e non della fantasia, sono universali verità. Quale moltitudine di significati e qualeperpetua attualità ha la storia di Prometeo! Oltre il suo principale valore, come primo capitolo della storia di Europa, essa ci dà la storia della religione con qualche riferimento intorno alla credenza delle età più tarde. Prometeo è il Gesù della vecchia mitologia: egli è l’amico dell’uomo; egli sta tra l’ingiusta «giustizia» dell’Eterno Padre e la schiatta dei mortali: e sollecitamente ogni cosa sopporta a suo benefizio. Ma dove la sua storia si stacca dal cristianesimo calvinistico e mostra lui come sfidatore di Giove, essa rappresenta uno stato di mente che appare dovunque la dottrina del teismo è appresa sotto una cruda forma obbiettiva e pare l’autodifesa dell’uomo contro questa menzogna, rivelantesi in uno scontento per la creduta esistenza d’un Dio, e in un sentimento d’aggravio per la reverenza a Lui dovuta. Essa vorrebbe involare, se potesse, il fuoco al Creatore e vivere separata da lui ed indipendente. Il Prometeo Vinto è il romanzo dello scetticismo. Nè meno vere sono per tutti i tempi le particolarità di quel superbo apologo. Apollo custodì le greggi d’Admeto, dissero i poeti. Ogni uomo è una divinità travestita, un dio che rappresenta la parte dell’imbecille. Egli appare come gli insani angeli, che il cielo mandò nel nostro mondo, i quali qui giunti intonano la loro musica nativa e pronunziano ad intervalli le parole udite in cielo, finchè, tornata la pazzia, essi istupidiscono e s’avvoltolano come cani. Quando gli dei scendono fra loro non sono riconosciuti; Gesù non lo fu; Socrate e Shakespeare non furono; Anteo fu soffocato dalla stretta di Ercole, ma ogni qualvolta toccò la madre terra, il suo vigore si rinnovò. L’uomo è il gigante abbattuto, ma in tutta la sua debolezza, sia il suo corpo che la sua mente sono rinvigoriti dall’abito di conversare con la natura. Il potere della musica, quello della poesia, di render fluida e dar ali a tutta la solida natura, spiegano a luil’enigma d’Orfeo, che fu nella sua infanzia solo una vana fiaba. La percezione filosofica dell’identità attraverso le infinite mutazioni della forma, fa conoscere a lui il Proteo. Che cosa altro sono io, che risi e piansi ieri e dormii la passata notte come un corpo morto e stamane mi alzai e corsi? Che cosa vedo io in ogni parte, se non le trasmigrazioni del Proteo? Io posso simbolizzare il mio pensiero, usando il nome di qualsiasi creatura, di qualsiasi fatto, perchè ogni creatura è uomo agente o paziente. Tantalo non è che un nome per voi e per me. Tantalo significa l’impossibilità di bere le acque del pensiero, che sono sempre raggianti ed ondeggianti nella visione dell’anima. La trasmigrazione delle anime: anche ciò non è fiaba: io vorrei che fosse tale, ma uomini e donne non sono che a metà umani. Ogni animale della cascina, del campo e della foresta, della terra e delle acque, ha trovato modo di stanziarsi e di lasciare l’impronta delle sue fattezze e della sua forma, in uno o nell’altro di questi esseri eretti, che parlano alzando il viso al cielo. Ah! fratello, tienti avvinto all’uomo e tieni a segno la bestia: arresta il declinare della tua anima, rifluente verso quelle forme, nel cui uso tu per molti anni indugiasti. Pure vicino a noi è la vecchia favola della Sfinge, che seduta sul margine della strada, poneva enimmi ad ogni viandante: S’egli non sapeva rispondere, essa vivo l’inghiottiva, se rispondeva essa veniva uccisa. Che cos’è la nostra vita se non un’infinita fuga di fatti e di eventi alati? Con splendida varietà queste vicende giungono, tutte ponendo questioni all’umano spirito. Chi non risolve con una superiore saggezza questi fatti o queste questioni diviene schiavo. I fatti lo vincolano, lo soggiogano e lo fanno l’uomo del senso, nel quale una completa obbedienza ai fatti ha estinto ogni scintilla di quella luce, per cui l’uomo è veramente uomo. Ma se l’uomo, fedele ai suoi miglioriistinti e sentimenti, rifugge il dominio dei fatti come colui che scende da una più alta schiatta e rimane stretto alla sua anima, allora i fatti cadono e ritornano al loro posto, riconoscono il loro signore ed il più insignificante di essi lo glorifica.

Vedete nell’Elena di Goethe lo stesso desiderio che ogni parola sia una cosa. Queste figure, egli dice, questi Chironi, Griffoni, Elena e Leda, sono qualche cosa e certamente esercitano una peculiare influenza sulla mente. Pur così lontane, sono esse eterne entità, tanto reali oggi come nella prima Olimpiade. E riflettendo su esse egli liberamente scrive, secondo il suo carattere e dà ad esse corpo con la sua propria immaginazione. E benchè questo poema sia vago e fantastico come un sogno, pure è più attraente che la più regolare opera drammatica dello stesso autore; per la ragione che solleva la mente dal solito seguito d’imagini, desta l’invenzione e la fantasia del lettore con la selvaggia libertà del disegno e con l’incessante succedersi di destri colpi di scena.

L’universale natura, troppo forte per la debole natura del bardo, siede sul suo collo e scrive con le sue mani: cosicchè quando par ch’egli esprima un semplice capriccio o un impetuoso romanzo, il risultato è un’esatta allegoria. Per questo Platone disse che «i poeti dicono grandi e saggie cose, che essi stessi non comprendono». Tutte le opere di fantasia del medio evo sono un’oscura e bizzarra espressione di ciò che la mente di quel periodo tentò di effettuare. La magia, e quanto è ascritto ad essa, è manifestamente un profondo presentimento dei poteri della scienza. Gli stivali di velocità, la spada affilata, il potere di sottomettere gli elementi, di usare le segrete virtù dei minerali, di comprendere la voce degli uccelli, sono gli oscuri sforzi della mente verso una retta direzione. La straordinariaprodezza dell’eroe, il dono della perpetua gioventù ed altre simili cose sono uguali allo sforzo dello spirito umano di «piegare le sembianze delle cose ai desideri della mente».

Nel Perceforest e in Amadis di Gaula, un serto e una rosa fioriscono sul capo di colei che è fedele e sfioriscono sulla fronte di colei che è incostante. Nella storia del Ragazzo e del Mantello, anche un maturo lettore può essere commosso da virtuosa gioia per il trionfo della gentile Genalas: e, in verità, tutti i postulati degli annali della magia: che alle Fate non garba d’esser nominate, che i loro doni sono capricciosi e non degni di fiducia, e che colui che cerca un tesoro non ne deve parlare e simili, io trovo esser veri in Concord, per quanti essi possono esser in Cornovaglia o in Brettagna.

È forse altrimenti nel più recente romanzo? Io leggo la Sposa di Lamermoor. Sir William Ashton è una maschera per una volgare tentazione; il Castello di Ravensvood è un gentil nome per un’orgogliosa povertà, e la missione governativa all’estero è soltanto un pretesto di Bugan per un onesto lavoro. Noi possiamo tutti annullare una bolla che voglia distruggere il buono ed il bello col combattere l’ingiusto ed il sensuale. Lucia Ashton è un altro nome per la fedeltà, che è sempre bella e sempre soggetta alle calamità di questo mondo.

Ma unitamente alla civile e metafisica storia dell’uomo, un’altra storia procede, quella del mondo esterno, con la quale egli non è meno strettamente legato. Egli è il compendio del tempo; egli è anche il correlativo della natura. Il potere dell’uomo consiste nella moltitudine delle due affinità, nel fatto che la sua vita è intrecciata con l’intera catena dell’essere organico ed inorganico. Nell’età dei Cesari, in Roma, procedevano dal Foro legrandi vie del nord, del sud, dell’est, dell’ovest, verso il centro di ciascuna provincia dell’impero, rendendo ciascuna città della Persia, della Spagna, della Brettagna, penetrabile ai soldati della capitale: così dall’umano cuore partono vie al cuore di ciascun oggetto di natura, per ridurlo sotto il dominio dell’uomo. Un uomo è un fascio di relazioni, un modo di radici, il cui fiore e frutto è il mondo. Tutte le sue facoltà si collegano a nature fuori di lui, tutte le sue facoltà predicono il mondo che egli deve abitare, come le pinne dei pesci predicono l’esistenza dell’acqua o come le ali d’un’aquila in germe presuppongono un «medium» chiamata aria. Isolatelo e voi lo distruggete. Egli non può vivere senza un mondo. Rinserrate Napoleone in un’isola; fate che le sue facoltà non trovino uomini da dominare, alpi da valicare, poste da scommettere ed egli batterà l’aria ed apparirà stupido. Trasportatelo in un grande paese, con densa popolazione, con complessi interessi, con potere avverso, e voi vedrete che l’uomo Napoleone, inceppato da tali condizioni, non è il Napoleone virtuale. Questi non è che l’ombra di Talbot:

«La sua sostanza non è qui, perchè ciò che voi vedete non è che la più piccola parte e la minore porzione d’umanità; ma se fosse qui il suo intiero essere, esso è di tale immensa grandezza, che il vostro tetto non sarebbe sufficiente a contenerlo.[1]

Colombo abbisogna di un pianeta verso cui dirigere la sua rotta. Newton e Laplace abbisognano di miriadi di età e di immense aree celestiali. Si può dire che un sistema solare gravitante è di già profetizzato in natura dalla mente di Newton. Non meno ripromettono le leggi dell’organizzazione, i cervelli di Davy e di Gay-Lussac, fin dalla fanciullezza ricercando sempre leaffinità e repulsioni delle molecole. L’occhio dell’embrione umano non predice la luce? L’udito di Händel non predice l’arte dei suoni? Le industriose dita di Watt, Fulton, Whittemore, Arkwright, non predicono la temperabile e fusibile tessitura dei metalli, la proprietà della pietra, dell’acqua e del legno? I graziosi attributi della bambina non predicono le raffinatezze e gli ornamenti della società civile? Anche qui noi ricordiamo l’azione dell’uomo sull’uomo. Una mente potrebbe stillare il suo pensiero per anni ed anni e non guadagnare tanta auto-conoscenza quanta la passione dell’amore ad essa insegnerà in un giorno. Chi conosce se stesso prima di essere, con indignazione, colpito da un oltraggio o prima di aver udito una lingua eloquente o d’aver partecipata al battito di mille cuori in un’esultanza od allarme nazionale? Nessun uomo può precorrere la sua esperienza o indovinare quale facoltà o sentimenti un nuovo oggetto potrà destare in lui, più di quanto egli possa tratteggiare oggi, il viso d’una persona che egli vedrà domani per la prima volta.

Io non mi farò forte ora dell’affermazione generale per indagare la ragione di questa corrispondenza. Basti che sotto la luce di questi fatti, che, cioè, la mente è una sola e che la natura è la sua corrispondente, la storia venga letta e scritta.

Così in tutti i modi l’anima concentra e riproduce i suoi tesori per ogni novello scolaro. Egli pure passerà attraverso l’intero ciclo dell’esperienza. Egli raccoglierà in un fuoco i raggi della natura. La storia non sarà più un libro noioso; essa camminerà incarnata in ogni uomo giusto e saggio. Voi non mi direte in lingue e titoli diversi un catalogo dei volumi letti. Voi mi farete sentire quali periodi voi avete vissuti. Un uomo sarà il tempio della Fama: egli camminerà come quella dea che i poeti hanno descritta, in una veste ricamatadi eventi meravigliosi e di dottrine; la sua propria forma e le sue fattezze saranno quella variegata veste. Io troverò in lui il mondo primitivo; nella sua fanciullezza l’età d’oro; il frutto della scienza; la spedizione degli argonauti; la chiamata di Abramo; la costruzione del tempio; la venuta di Cristo; l’età media; il rinascimento, la riforma; le scoperte delle terre nuove; l’apparire delle nuove scienze e dei nuovi orizzonti aperti all’uomo. Egli sarà il sacerdote di Pan, e porterà con sè nelle umili capanne la benedizione delle stelle mattutine e tutti i ricordati benefizi del cielo e della terra.

V’è qualchecosa di troppo presuntuoso in questa pretesa? Allora io disdico tutto ciò che ho scritto, poichè a che cosa serve il pretendere di sapere ciò che noi non conosciamo? Ma è per una lacuna della nostra rettorica che noi non possiamo fortemente affermare un fatto senza parere di calunniarne un altro. Io tengo la nostra attuale scienza in pochissima stima. Udite i topi nel muro, guardate la lucertola sulla siepe; i funghi sotto i vostri passi; i licheni sul tronco. Che cosa so io intorno a qualsiasi di questi mondi di vita simpaticamente e moralmente? Così a lungo come l’uomo del Caucaso, più a lungo forse, queste creature hanno tenuto i loro concilii vicino a lui e non v’è ricordo di alcuna parola e di alcun segno passato fra essi. Ancora, che cosa ricorda la storia degli annali metafisici dell’uomo? Quale luce versa essa su questi misteri, che noi veliamo sotto il nome di Morte ed Immortalità? Ancora, ogni storia dovrebbe scriversi con una veggenza che divinasse il cerchio delle nostre affinità e ci presentasse i fatti sotto luce di simboli. Io sono vergognoso di constatare che la nostra così detta storia è un futile racconto di villaggio. Quante volte noi dobbiamo dire Roma e Parigi e Costantinopoli! Che cosa sa Roma del topo e della lucertola? Che cosa sono leOlimpiadi e i Consolati per questi esseri a noi vicini? Oltre a ciò quale alimento od esperienza o soccorso rappresentano essi per i pescatori di foche esquimesi, per il Kanàka nella sua canoa, per il caricatore di bastimenti, per il facchino? Più ampi e più profondi noi dobbiamo scrivere i nostri annali, partendo da una riforma etica, da un influsso della coscienza sempre rinnovata, sempre salutare, se noi vogliamo più francamente esprimere la nostra centrale natura, invece di questa vecchia cronologia di egoismo e di superbia, alla quale noi, per troppo lungo tempo, abbiamo dato i nostri occhi. Quel giorno già esiste per noi, esso brilla di già su noi, impensatamente; ma il cammino delle scienze e delle lettere non è il penetrare nella natura, ma piuttosto il partirsi da essa. L’idiota, l’indiano, il ragazzo e l’incolto fanciullo del contadino, s’avvicinano a ciò e lo comprendono molto più che non l’anatomico e l’antiquario.


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