XXXIX.Che v'andarò io contando o dicendo li colpi della battaglia? Io non vi dirò chi ferì l'uno l'altro, chè assai tosto vi potrei mentire di cotali cose, se io me ne tramettesse;ma bene sappiate certamente, che dopo molta grande punta[35]li Romani furono sì villanamente sconfitti, che perdero li due consoli, che molto erano arditi e valenti cavalieri, d'onde Roma fu molto duramente abbassata, e così furo li due Scipioni danneggiati, che furo morti per Astrubal in Ispagna; ma non furo li Romani tutti morti, anzi ne scamparo assai il meglio che potero, e poi si assembraro il meglio che potero, siccome voi udirete.
Che v'andarò io contando o dicendo li colpi della battaglia? Io non vi dirò chi ferì l'uno l'altro, chè assai tosto vi potrei mentire di cotali cose, se io me ne tramettesse;ma bene sappiate certamente, che dopo molta grande punta[35]li Romani furono sì villanamente sconfitti, che perdero li due consoli, che molto erano arditi e valenti cavalieri, d'onde Roma fu molto duramente abbassata, e così furo li due Scipioni danneggiati, che furo morti per Astrubal in Ispagna; ma non furo li Romani tutti morti, anzi ne scamparo assai il meglio che potero, e poi si assembraro il meglio che potero, siccome voi udirete.
XL.Allora s'era lo re Anibal tratto verso la marina per soggiornare e per mettare tutte le terre a sua signoria, e il mare propiamente altresì, imperòch'elli voleva avere la signoria della terra e del mare. Li Romani che tanto fortemente erano spaventati, sì che non sapevano che si fare, mandarono verso Capova gran gente e gran cavallaria per prendare la città se potessero, nella quale lo re Anibal aveva lassate sue guardie per li Romani prendare, quando uscissero fuore di Roma, e là fu mandato Quinto Fulvio con gran gente, che assediaro la città; e sappiate che molte battaglie vi dero con lancie e quadrelli e altri ingegni che fecero, e fecero tanto infine che la presero per forza; e sì tosto com'ella fu presa, fece Quinto Fulvio assembrare gran gente per cercare la città, e sì fece ragunare l'avere e le ricchezze della città e le grandi prede ch'eglino avevano conquistate, e sì fece ogni cosa portare a Roma, che v'è assai presso; e poi fece prendare li uomini della città, per cui la città era stata governata e tenuta contra lui, e sì li fece tutti uccidare e angosciosamentemorire, e sì gli avevano mandato a dire li senatori di Roma per loro lettere, che non facesse uccidare li uomini di Capova; ma per cosa ch'e senatori li mandassero a dire, non lassò che non ne facesse giustizia, e disse che male a loro uopo s'erano dati ad Anibal, e sì tosto lassato l'onore e la signoria di Roma. Quando ciò seppero li altri baroni d'intorno delle città, che le terre di Campagnia tenevano, ellino ebbero tale paura dall'una parte de' Romani e dall'altra parte dello re Anibal di Cartaggine, di cui udiro dire che tornava in Italia, che non sapevano che si fare; per la quale cosa si raunaro insieme e presero consiglio, ed insieme s'accordaro tutti gli alti uomini della contrada, e presero per partito che meglio lo' metteva[36]dimorire, che vedere lo grande dolore che l'oppressava a loro gente e a loro cavallaria.
Allora s'era lo re Anibal tratto verso la marina per soggiornare e per mettare tutte le terre a sua signoria, e il mare propiamente altresì, imperòch'elli voleva avere la signoria della terra e del mare. Li Romani che tanto fortemente erano spaventati, sì che non sapevano che si fare, mandarono verso Capova gran gente e gran cavallaria per prendare la città se potessero, nella quale lo re Anibal aveva lassate sue guardie per li Romani prendare, quando uscissero fuore di Roma, e là fu mandato Quinto Fulvio con gran gente, che assediaro la città; e sappiate che molte battaglie vi dero con lancie e quadrelli e altri ingegni che fecero, e fecero tanto infine che la presero per forza; e sì tosto com'ella fu presa, fece Quinto Fulvio assembrare gran gente per cercare la città, e sì fece ragunare l'avere e le ricchezze della città e le grandi prede ch'eglino avevano conquistate, e sì fece ogni cosa portare a Roma, che v'è assai presso; e poi fece prendare li uomini della città, per cui la città era stata governata e tenuta contra lui, e sì li fece tutti uccidare e angosciosamentemorire, e sì gli avevano mandato a dire li senatori di Roma per loro lettere, che non facesse uccidare li uomini di Capova; ma per cosa ch'e senatori li mandassero a dire, non lassò che non ne facesse giustizia, e disse che male a loro uopo s'erano dati ad Anibal, e sì tosto lassato l'onore e la signoria di Roma. Quando ciò seppero li altri baroni d'intorno delle città, che le terre di Campagnia tenevano, ellino ebbero tale paura dall'una parte de' Romani e dall'altra parte dello re Anibal di Cartaggine, di cui udiro dire che tornava in Italia, che non sapevano che si fare; per la quale cosa si raunaro insieme e presero consiglio, ed insieme s'accordaro tutti gli alti uomini della contrada, e presero per partito che meglio lo' metteva[36]dimorire, che vedere lo grande dolore che l'oppressava a loro gente e a loro cavallaria.
XLI.Per questa paura bebbero veleno mortale, per la quale cosa tutti perdero la vita, e così fu Campagnia e la città di Capova racquistata per la forza di Roma, e tratta della signoria dello re Anibal, ove ell'era sottomessa. Allora fu a' Romani la ventura alquanto tornata, e a quello Scipio Cornellio, che poi fu chiamato Scipio Affricano, che molto ebbe grande dolore di suo padre e di suo zio, che Astrubal lo fratello d'Anibal aveva morti in Ispagna. Questo Scipio non aveva più di vintiquattro anni, giovano era di tempo e bello e grande, e sappiate ch'egli era molto savio e pro e ardito, e più valente di lui non era in tutta Roma, siccome si mostrò ne' suoi fatti,ed era di grande nobiltà di sangue. De' due Scipioni, ch'erano stati morti, l'uno era stato suo padre, e l'altro suo zio. Per questo grande dolore vendicare sì si proferse a' senatori ed a' consoli di Roma d'andare in Ispagna contra Astrubal, che gran parte della terra avea conquistata, e di ciò furo molto lieti li senatori e consoli; ma quando ebbero ragunata la gente, ellino avevano sì poco avere, che non sapevano come nè in che maniera e' potessero tenere sì gran gente a soldo in istranie terre. Adunque era Roma molto impovarita, che solea essare donna di gran ricchezze e di gran signoria. Per quella povertà che allora avevano molto grande, sì raunò Claudio Marcello e Valerio Levino[37], che allora erano consoli e molto ricchi, d'oro e d'argento e di drappi di seta, esì arrecaro dinanzi a' senatori tutto loro tesoro e loro ricchezze che avevano conquistate, e sappiate che non ritennero per loro nè per loro figliuoli, se non uno anello d'oro ed uno fermaglio, con che acconciavano loro capelli, e a loro figliuole e a loro donne a ciascuna una libra d'oro ed una d'argento, che tanto n'avevano di prima, che appena se ne sapeva il numaro; e per l'assemplo di questi ch'io v'ô detti, fecero il simigliante tutti li alti uomini di Roma, e missero tutto loro tesoro in comune per guardare e difendare la città, e per queste cose spezialmente inforzò molto la città di Roma.
Per questa paura bebbero veleno mortale, per la quale cosa tutti perdero la vita, e così fu Campagnia e la città di Capova racquistata per la forza di Roma, e tratta della signoria dello re Anibal, ove ell'era sottomessa. Allora fu a' Romani la ventura alquanto tornata, e a quello Scipio Cornellio, che poi fu chiamato Scipio Affricano, che molto ebbe grande dolore di suo padre e di suo zio, che Astrubal lo fratello d'Anibal aveva morti in Ispagna. Questo Scipio non aveva più di vintiquattro anni, giovano era di tempo e bello e grande, e sappiate ch'egli era molto savio e pro e ardito, e più valente di lui non era in tutta Roma, siccome si mostrò ne' suoi fatti,ed era di grande nobiltà di sangue. De' due Scipioni, ch'erano stati morti, l'uno era stato suo padre, e l'altro suo zio. Per questo grande dolore vendicare sì si proferse a' senatori ed a' consoli di Roma d'andare in Ispagna contra Astrubal, che gran parte della terra avea conquistata, e di ciò furo molto lieti li senatori e consoli; ma quando ebbero ragunata la gente, ellino avevano sì poco avere, che non sapevano come nè in che maniera e' potessero tenere sì gran gente a soldo in istranie terre. Adunque era Roma molto impovarita, che solea essare donna di gran ricchezze e di gran signoria. Per quella povertà che allora avevano molto grande, sì raunò Claudio Marcello e Valerio Levino[37], che allora erano consoli e molto ricchi, d'oro e d'argento e di drappi di seta, esì arrecaro dinanzi a' senatori tutto loro tesoro e loro ricchezze che avevano conquistate, e sappiate che non ritennero per loro nè per loro figliuoli, se non uno anello d'oro ed uno fermaglio, con che acconciavano loro capelli, e a loro figliuole e a loro donne a ciascuna una libra d'oro ed una d'argento, che tanto n'avevano di prima, che appena se ne sapeva il numaro; e per l'assemplo di questi ch'io v'ô detti, fecero il simigliante tutti li alti uomini di Roma, e missero tutto loro tesoro in comune per guardare e difendare la città, e per queste cose spezialmente inforzò molto la città di Roma.
XLII.Quando ciò fu fatto, Scipio con sua grande oste andò tanto per sue giornate, poi che si partì di Roma, che passò i monti di Pineos, e tanto fece che venne in Ispagna; e quandofu entrato nella contrada, egli domandò dove fossero ragunate le più grandi ricchezze degli Affricani, e quale era la terra, ov'ellino avessero mandata maggiore forza di loro gente, e fu lo' detto di Cartaggine novella, la quale avevano fatta in Ispagna. Di questa Cartaggine novella, siccome Orosio contia, e dice la maggiore parte della gente, che questa è quella città, che ora è chiamata Marot, e tali dicono ch'è chiamata Tolletta[38], che tanto è oggi nominata e pregiata, ch'è posta su lo rivaggio, ove altri truova tale fiata granella d'oro mescolate coll'arena, chibene la vuole cercare, ma non vi so bene dire quale fu di queste due città l'una, che fu quella Cartagine ch'io v'ô parlato; ma tanto sappiate certamente di vero, che questa non fu la gran Cartaggine, ch'è in Libia nelle parti d'Affrica, d'onde lo re Astrubal aveva sì grande gente ragunata in Ispagna per navilio; Cartaggine, ond'io vi parlo, fu la città di Marte, siccome a me pare, e sappiate che Astrubal era nell'ultime parti di Spagna, là ove avea fatte molte battaglie a prendare le città e le castella, e conquistare le stranie nazioni. Ma sì tosto come seppe e intese che Scipio avea passati e monti di Pineos, d'onde io v'ô dinanzi parlato, e ch'egli era già entrato in Ispagna, elli si partì il più tosto che potè per venire contra a lui, ma intanto assediò Scipio Cartaggine novella, là ove era tutto l'oro e tutto l'argento, che gli Affricani avevano conquistato.
Quando ciò fu fatto, Scipio con sua grande oste andò tanto per sue giornate, poi che si partì di Roma, che passò i monti di Pineos, e tanto fece che venne in Ispagna; e quandofu entrato nella contrada, egli domandò dove fossero ragunate le più grandi ricchezze degli Affricani, e quale era la terra, ov'ellino avessero mandata maggiore forza di loro gente, e fu lo' detto di Cartaggine novella, la quale avevano fatta in Ispagna. Di questa Cartaggine novella, siccome Orosio contia, e dice la maggiore parte della gente, che questa è quella città, che ora è chiamata Marot, e tali dicono ch'è chiamata Tolletta[38], che tanto è oggi nominata e pregiata, ch'è posta su lo rivaggio, ove altri truova tale fiata granella d'oro mescolate coll'arena, chibene la vuole cercare, ma non vi so bene dire quale fu di queste due città l'una, che fu quella Cartagine ch'io v'ô parlato; ma tanto sappiate certamente di vero, che questa non fu la gran Cartaggine, ch'è in Libia nelle parti d'Affrica, d'onde lo re Astrubal aveva sì grande gente ragunata in Ispagna per navilio; Cartaggine, ond'io vi parlo, fu la città di Marte, siccome a me pare, e sappiate che Astrubal era nell'ultime parti di Spagna, là ove avea fatte molte battaglie a prendare le città e le castella, e conquistare le stranie nazioni. Ma sì tosto come seppe e intese che Scipio avea passati e monti di Pineos, d'onde io v'ô dinanzi parlato, e ch'egli era già entrato in Ispagna, elli si partì il più tosto che potè per venire contra a lui, ma intanto assediò Scipio Cartaggine novella, là ove era tutto l'oro e tutto l'argento, che gli Affricani avevano conquistato.
XLIII.All'assediare della città di Cartaggine fu molto gran romore di gente, ma tutta la gran forza della cavallaria della contrada erano andati con Astrubal, sicchè quelli della città non potevano avere aiuto se non di loro medesimi e di coloro che lassati v'erano. Dentro v'era Margon fratello di Astrubal, che v'era venuto novellamente, il quale molto si penò e travagliò con grande gente ch'egli aveva, per tenere la città, ma forza nè potere nollo potea cresciare, siccome io v'ô detto. Ma Scipio che dinanzi alla città era attendato, a costui crescea molto la sua forza, imperò che tutti li Romani, ch'erano scampati della sconfitta di suo padre e di suo zio, erano assembrati e tornati a lui, per la quale cosa sua forza era molto cresciuta e crescea di giorno in giorno. Onde avvenne molte maraviglie, siccome voi udirete appressotutte per ordine nella storia, che molto è buona e dilettevole a udire; e chi lo cuore e lo 'ntendimento vi pone, vi può imprendare molte cose che possono essare utili, che non sono nelli altri libri nè in altre storie.
All'assediare della città di Cartaggine fu molto gran romore di gente, ma tutta la gran forza della cavallaria della contrada erano andati con Astrubal, sicchè quelli della città non potevano avere aiuto se non di loro medesimi e di coloro che lassati v'erano. Dentro v'era Margon fratello di Astrubal, che v'era venuto novellamente, il quale molto si penò e travagliò con grande gente ch'egli aveva, per tenere la città, ma forza nè potere nollo potea cresciare, siccome io v'ô detto. Ma Scipio che dinanzi alla città era attendato, a costui crescea molto la sua forza, imperò che tutti li Romani, ch'erano scampati della sconfitta di suo padre e di suo zio, erano assembrati e tornati a lui, per la quale cosa sua forza era molto cresciuta e crescea di giorno in giorno. Onde avvenne molte maraviglie, siccome voi udirete appressotutte per ordine nella storia, che molto è buona e dilettevole a udire; e chi lo cuore e lo 'ntendimento vi pone, vi può imprendare molte cose che possono essare utili, che non sono nelli altri libri nè in altre storie.
XLIV.Così e in tale maniera assembrò Scipio molta gente, che tanto fece e procacciò per suo gran senno e per sua gran prodezza, che prese la città, che allora era piena di molto avere e bene popolata di gente. Questo acquisto che Scipio fece allora, rimbaldì tutta Roma, che mandò in prigione Margon lo fratello dello re Anibal e molti altri uomini di nome d'Affrica; là fu molta gran letizia fatta, e per tale maniera diliberò Scipio tutti li staggi ch'erano in prigione delle città di Spagna, che Astrubal v'aveva messi per sicurtà che gli aiutassero, e che per persona nonlassarebbero, nè per doni, nè per promesse, nè per neuna altra cosa che avvenisse, e d'altra parte che non terrebbero co' Romani, nè loro comandamenta non farebbero, s'egli avvenisse cosa, ch'eglino nella contrada tornassero. Ancora perciò che Scipio rendè agli alti baroni di Spagna loro figliuoli e loro frategli e loro nipoti, ch'erano in prigione, questi tornaro tutti a lui ed a sua gente, onde accrebbe molto sua forza e sua compagnia.
Così e in tale maniera assembrò Scipio molta gente, che tanto fece e procacciò per suo gran senno e per sua gran prodezza, che prese la città, che allora era piena di molto avere e bene popolata di gente. Questo acquisto che Scipio fece allora, rimbaldì tutta Roma, che mandò in prigione Margon lo fratello dello re Anibal e molti altri uomini di nome d'Affrica; là fu molta gran letizia fatta, e per tale maniera diliberò Scipio tutti li staggi ch'erano in prigione delle città di Spagna, che Astrubal v'aveva messi per sicurtà che gli aiutassero, e che per persona nonlassarebbero, nè per doni, nè per promesse, nè per neuna altra cosa che avvenisse, e d'altra parte che non terrebbero co' Romani, nè loro comandamenta non farebbero, s'egli avvenisse cosa, ch'eglino nella contrada tornassero. Ancora perciò che Scipio rendè agli alti baroni di Spagna loro figliuoli e loro frategli e loro nipoti, ch'erano in prigione, questi tornaro tutti a lui ed a sua gente, onde accrebbe molto sua forza e sua compagnia.
XLV.Intanto gionse Astrubal con sua gran gente contra Scipio lo consolo, che la battaglia non rifiutò niente, anzi ordinò sua gente e sue schiere come valente cavaliere e cortese e savio, e sì gli amaestrò molto di ben fare e di vendicare l'onta e 'l danneggio che gli Affricani gli avevano fatto, e allora venne tutte leschiere senza dimoranza. Lo re Astrubal, che attendato era, non avea dormito tutta la notte per lo gran disio della battaglia, e la mattina per tempo fece sue schiere armare, chè non credeva che li Romani si potessero tenere contra lui in nulla maniera, e similemente li Romani desideravano di combattare con lui, e non credevano già vedere l'ora che le schiere fussero ordinate; e per questa volontà che l'uni e l'altri avevano sì grande di combattare, furo tosto assembrati. Poi che s'accostaro, là fu molto grande battaglia e pericolosa e crudele senza misericordia e senza pietà; là fecero molto bene li arditi e li valenti cavalieri, che per paura di morte none sbigottiro; e bene sappiate che neuno che troppo dubiti, non può essere nè pro nè ardito, e coloro che vogliono avere il pregio e l'ardimento di loro grande forza acquistare fama, sì si metteno in avventura di morte. Là lo' fece molto bene lo consolo Scipio,chè per sua grande prodezza furo li Affricani sconfitti lo dì, e Astrubal loro signore cacciato dello stormo, e sua gente cacciata per forza infino alla notte. Là fu molto grande acquisto fatto, chè quando li Romani tornaro di loro incalcio, ellino trovarono le tende e padiglioni degli Affricani sì guarniti d'oro e d'argento e di drappi di seta e d'avere e di prigioni e di preda, sì che appena ne potrebbe altri dire il numaro; e così crebbe in molto grande avere Scipio e in grande nome pel primo anno per la terra di Spagna e per tutte le contrade del paese d'intorno.
Intanto gionse Astrubal con sua gran gente contra Scipio lo consolo, che la battaglia non rifiutò niente, anzi ordinò sua gente e sue schiere come valente cavaliere e cortese e savio, e sì gli amaestrò molto di ben fare e di vendicare l'onta e 'l danneggio che gli Affricani gli avevano fatto, e allora venne tutte leschiere senza dimoranza. Lo re Astrubal, che attendato era, non avea dormito tutta la notte per lo gran disio della battaglia, e la mattina per tempo fece sue schiere armare, chè non credeva che li Romani si potessero tenere contra lui in nulla maniera, e similemente li Romani desideravano di combattare con lui, e non credevano già vedere l'ora che le schiere fussero ordinate; e per questa volontà che l'uni e l'altri avevano sì grande di combattare, furo tosto assembrati. Poi che s'accostaro, là fu molto grande battaglia e pericolosa e crudele senza misericordia e senza pietà; là fecero molto bene li arditi e li valenti cavalieri, che per paura di morte none sbigottiro; e bene sappiate che neuno che troppo dubiti, non può essere nè pro nè ardito, e coloro che vogliono avere il pregio e l'ardimento di loro grande forza acquistare fama, sì si metteno in avventura di morte. Là lo' fece molto bene lo consolo Scipio,chè per sua grande prodezza furo li Affricani sconfitti lo dì, e Astrubal loro signore cacciato dello stormo, e sua gente cacciata per forza infino alla notte. Là fu molto grande acquisto fatto, chè quando li Romani tornaro di loro incalcio, ellino trovarono le tende e padiglioni degli Affricani sì guarniti d'oro e d'argento e di drappi di seta e d'avere e di prigioni e di preda, sì che appena ne potrebbe altri dire il numaro; e così crebbe in molto grande avere Scipio e in grande nome pel primo anno per la terra di Spagna e per tutte le contrade del paese d'intorno.
XLVI.Eutropio conta che intanto Fabio Massimo uscì di Roma con grande gente appiè e a cavallo per volontà de' senatori, e sì andò tanto che gionse alla città di Taranto, ove era tutto il fornimento di Anibal, e legrandi ricchezze ch'egli avevano conquistate per molte contrade. Quando Abran, uno duca dello re Anibal, che molto era valente e di grande potenzia, che con lui avea molta gran gente menata e ragunata dentro alla città di Taranto, sì tosto come Fabio Massimo venne dinanzi alla città, sì uscì lo duca contra a lui a battaglia ordinata, e senza fare menzione o parola nulla di fare o pace o concordia, ma tostamente s'incontrarono con loro, però che si odiavano mortalmente, e sì si feriro molto duramente li Romani e li Affricani, imperò che molto desideravano di sconfiggiare l'uno l'altro e cacciarsi di campo. Coloro che là assembraro primamente, non curavano di belle giostre per mostrare loro cavallare, anzi assembraro sì tosto come si viddero, e cominciaro a trarre e a lanciare l'uno l'altro, e quelli appiei e quelli a cavallo tutti insieme, e sì si ferivano di lancie e di quadrella e di spade e d'accette taglienti, che allora ein quello tempo erano molto in usanza di portare in battaglia, colle quali si fendevano e tagliavano teste e costati e petti in sì grande quantità, che tutta la terra n'era coperta. In quella battaglia uccise Fabio Massimo Abran, per la cui morte quelli della città di Taranto e li Affricani medesimi che con lui erano, furono sconfitti. Là fu molta grande distruzione di cavalieri e di sergenti allo 'ncalciare verso la città, imperò che li Romani li seguivano molto vigorosamente, sicchè insieme con loro entraro dentro alla città, e sì furo sì duramente sbigottiti e spaventati quelli che sopra le mura della città erano, e le donne e le damigelle per lo grande dolore e per la grande distruzione, ch'elle vedevano fare di loro gente, che ciò era maraviglia; e già neuno faceva difesa per li Romani ritenere o per difendare loro vita. Così e in tale maniera fu presa la città di Taranto.Allora lo consolo Fabio Massimo fece ragunare l'avere e le grandi prede che là furono trovate e guadagnate, e sì le partì tutte e donò a sua gente e a sua cavallaria, e poi fece vendare bene vinti milia prigioni ch'elli aveva presi, e sì ne fece portare l'avere a Roma e mettare in comune tesoro della città. Allora tornaro alla forza e all'aiuto de' Romani molta gente che s'era partita da loro per paura di Anibal, imperò che Fabio Massimo lo' diceva e sicurava, che mai più lo re Anibal non arebbe sopra loro signoria.
Eutropio conta che intanto Fabio Massimo uscì di Roma con grande gente appiè e a cavallo per volontà de' senatori, e sì andò tanto che gionse alla città di Taranto, ove era tutto il fornimento di Anibal, e legrandi ricchezze ch'egli avevano conquistate per molte contrade. Quando Abran, uno duca dello re Anibal, che molto era valente e di grande potenzia, che con lui avea molta gran gente menata e ragunata dentro alla città di Taranto, sì tosto come Fabio Massimo venne dinanzi alla città, sì uscì lo duca contra a lui a battaglia ordinata, e senza fare menzione o parola nulla di fare o pace o concordia, ma tostamente s'incontrarono con loro, però che si odiavano mortalmente, e sì si feriro molto duramente li Romani e li Affricani, imperò che molto desideravano di sconfiggiare l'uno l'altro e cacciarsi di campo. Coloro che là assembraro primamente, non curavano di belle giostre per mostrare loro cavallare, anzi assembraro sì tosto come si viddero, e cominciaro a trarre e a lanciare l'uno l'altro, e quelli appiei e quelli a cavallo tutti insieme, e sì si ferivano di lancie e di quadrella e di spade e d'accette taglienti, che allora ein quello tempo erano molto in usanza di portare in battaglia, colle quali si fendevano e tagliavano teste e costati e petti in sì grande quantità, che tutta la terra n'era coperta. In quella battaglia uccise Fabio Massimo Abran, per la cui morte quelli della città di Taranto e li Affricani medesimi che con lui erano, furono sconfitti. Là fu molta grande distruzione di cavalieri e di sergenti allo 'ncalciare verso la città, imperò che li Romani li seguivano molto vigorosamente, sicchè insieme con loro entraro dentro alla città, e sì furo sì duramente sbigottiti e spaventati quelli che sopra le mura della città erano, e le donne e le damigelle per lo grande dolore e per la grande distruzione, ch'elle vedevano fare di loro gente, che ciò era maraviglia; e già neuno faceva difesa per li Romani ritenere o per difendare loro vita. Così e in tale maniera fu presa la città di Taranto.
Allora lo consolo Fabio Massimo fece ragunare l'avere e le grandi prede che là furono trovate e guadagnate, e sì le partì tutte e donò a sua gente e a sua cavallaria, e poi fece vendare bene vinti milia prigioni ch'elli aveva presi, e sì ne fece portare l'avere a Roma e mettare in comune tesoro della città. Allora tornaro alla forza e all'aiuto de' Romani molta gente che s'era partita da loro per paura di Anibal, imperò che Fabio Massimo lo' diceva e sicurava, che mai più lo re Anibal non arebbe sopra loro signoria.
XLVII.Allora tornò lo consolo Valerio, il quale aveva fatto pace collo re Filippo di Macedonia e con quello di Grecia e collo re Quatenio d'Asia, ch'era allora di gran possanza. Quando tutte queste cose furono fatte, lo consolo Valerio tornò a Roma con moltagente in navilio, e arrivò e prese porto in Sicilia; e sì tosto come fu nella contrada, li venne novelle che uno duca d'Affrica, il quale era chiamato Anno, era nella città d'Agrigento, onde Valerio vi mandò uno consolo chiamato Junio, e venne dinanzi alla città con suoi Romani, e sì la prese per forza, e lo duca Anno altresì con molta della sua gente, e quali menò a Roma in servaggio. Allora cercò Junio la contrada, e renderseli quaranta castella, e sedici ne prese per forza; d'onde Junio fece tantosto le mura abbattare e confondare, e mandò li prigioni e tutto l'avere a Roma, ove grande gioia ne fu fatta.
Allora tornò lo consolo Valerio, il quale aveva fatto pace collo re Filippo di Macedonia e con quello di Grecia e collo re Quatenio d'Asia, ch'era allora di gran possanza. Quando tutte queste cose furono fatte, lo consolo Valerio tornò a Roma con moltagente in navilio, e arrivò e prese porto in Sicilia; e sì tosto come fu nella contrada, li venne novelle che uno duca d'Affrica, il quale era chiamato Anno, era nella città d'Agrigento, onde Valerio vi mandò uno consolo chiamato Junio, e venne dinanzi alla città con suoi Romani, e sì la prese per forza, e lo duca Anno altresì con molta della sua gente, e quali menò a Roma in servaggio. Allora cercò Junio la contrada, e renderseli quaranta castella, e sedici ne prese per forza; d'onde Junio fece tantosto le mura abbattare e confondare, e mandò li prigioni e tutto l'avere a Roma, ove grande gioia ne fu fatta.
XLVIII.Allora tornò lo re Anibal e combattè con Gaio, che contra a lui aveva molta gran gente della signoria di Roma. Questa battaglia fece a' Romanigrande danneggio, chè Gaio Fulvio vi fu morto, e con lui dieci principi di Roma, che le schiere guidavano, e diecisette cavalieri che di grande nome erano e di grande cavallaria, e per questo grande dolore vendicare venne lo consolo Marcello contra lo re Anibal con tutta la forza che potè avere, e sì combattè con lui tre dì, ciascuno dì infino alla notte; ma il quarto dì innanzi che venisse il vesparo, furo sì menati li Romani e 'l consolo Marcello, che per forza furo cacciati del campo, e troppo avarebbe perduto, se la notte non fosse sì tosto venuta. Ma come lo re Anibal e sue genti furono tornati a loro tende, sì rassembrò Marcello tutta sua gente, e sì lo' disse e pregò che non fussero sbigottiti per cosa che avvenuta lo' fusse, imperò che Anibal aveva perduta due tanta più gente di loro; e bene fussero certi che s'ellino volessero assalirlo vigorosamente la mattina, ellino si potrebbero molto bene vendicare del dannaggio e dell'ontia,ch'egli avevano ricevuta da' loro nemici.
Allora tornò lo re Anibal e combattè con Gaio, che contra a lui aveva molta gran gente della signoria di Roma. Questa battaglia fece a' Romanigrande danneggio, chè Gaio Fulvio vi fu morto, e con lui dieci principi di Roma, che le schiere guidavano, e diecisette cavalieri che di grande nome erano e di grande cavallaria, e per questo grande dolore vendicare venne lo consolo Marcello contra lo re Anibal con tutta la forza che potè avere, e sì combattè con lui tre dì, ciascuno dì infino alla notte; ma il quarto dì innanzi che venisse il vesparo, furo sì menati li Romani e 'l consolo Marcello, che per forza furo cacciati del campo, e troppo avarebbe perduto, se la notte non fosse sì tosto venuta. Ma come lo re Anibal e sue genti furono tornati a loro tende, sì rassembrò Marcello tutta sua gente, e sì lo' disse e pregò che non fussero sbigottiti per cosa che avvenuta lo' fusse, imperò che Anibal aveva perduta due tanta più gente di loro; e bene fussero certi che s'ellino volessero assalirlo vigorosamente la mattina, ellino si potrebbero molto bene vendicare del dannaggio e dell'ontia,ch'egli avevano ricevuta da' loro nemici.
XLIX.E per queste parole rimenò Marcello sue genti alla battaglia, che sì bene lo' fecero quel dì, ch'ellino uccisero sette milia uomini della gente dello re Anibal, e lui e sua gente fecero fuggire per forza a loro tende, e così rimase quella battaglia, che più non ne fu fatto a quella fiata, chè tanta gente avevano perduta e Romani, che non potevano più sofferire nè più assalire lo re Anibal, se non avessero gente che lo' fusse in aiuto. Ma quando ciò venne al capo dell'anno, Marcello consolo ebbe gran gente assembrata, imperò che molto desiderava di cacciare lo re Anibal fuore di Italia, e perciò rassembrò colui il più tosto che potè a battaglia; ma malamente ne gli avvenne, chè lui vi fu morto, e sua gentetutta presa e morta sì al tutto, che uno solo non ne scampò, che tutti non fussero morti o presi.
E per queste parole rimenò Marcello sue genti alla battaglia, che sì bene lo' fecero quel dì, ch'ellino uccisero sette milia uomini della gente dello re Anibal, e lui e sua gente fecero fuggire per forza a loro tende, e così rimase quella battaglia, che più non ne fu fatto a quella fiata, chè tanta gente avevano perduta e Romani, che non potevano più sofferire nè più assalire lo re Anibal, se non avessero gente che lo' fusse in aiuto. Ma quando ciò venne al capo dell'anno, Marcello consolo ebbe gran gente assembrata, imperò che molto desiderava di cacciare lo re Anibal fuore di Italia, e perciò rassembrò colui il più tosto che potè a battaglia; ma malamente ne gli avvenne, chè lui vi fu morto, e sua gentetutta presa e morta sì al tutto, che uno solo non ne scampò, che tutti non fussero morti o presi.
L.In quello tempo medesimo era Scipio consolo nella terra di Spagna che aveva sconfitto e vento lo re Astrubal, siccome io v'ô detto, e già era il terzo anno di sua venuta in Ispagna, nella quale avea ottanta città conquistate e messe sotto la signoria di Roma per gran battaglie, le quali lassò tutte franche senza rendare tributo, e così tornò alla città di Roma. Ma innanzi che se ne partisse, se n'era partito lo re Astrubal, siccome già potrete udire e contiare innanzi. Lo re Anibal, ch'era in Sicilia, e avea morto lo consolo Marcello, udì dire di verità, che lo consolo Scipio tornava di Spagna, e ch'elli avea sconfitto Astrubal suo fratello, sicchè non l'osava di aspettarein campo; e perciò mandò a dire a Astrubal suo fratello, che lassasse la terra di Spagna, e fusse certo che contra a Scipio nulla potrebbe tenere, e che se ne venisse il più tosto che potesse in Italia a lui, e che quando fussero insieme, distruggiarebbero tutta Roma, chè bene n'avarebbero la potenzia, e sì mettarebbero tutta la terra nel podere e nella signoria di Cartaggine. Quando lo re Astrubal, ch'era in Ispagna, udì lo comandamento di suo fratello Anibal, elli si misse alla via senza indugio, e menò con lui molto grande sforzo di Gallici e di Spagnuoli e di quelli di Affrica e di grandi ricchezze d'oro e d'argento e d'altre ricchezze; e avea con lui molti olifanti e altre bestie da portare carriaggio, le quali bestie li erano state mandate d'Affrica.
In quello tempo medesimo era Scipio consolo nella terra di Spagna che aveva sconfitto e vento lo re Astrubal, siccome io v'ô detto, e già era il terzo anno di sua venuta in Ispagna, nella quale avea ottanta città conquistate e messe sotto la signoria di Roma per gran battaglie, le quali lassò tutte franche senza rendare tributo, e così tornò alla città di Roma. Ma innanzi che se ne partisse, se n'era partito lo re Astrubal, siccome già potrete udire e contiare innanzi. Lo re Anibal, ch'era in Sicilia, e avea morto lo consolo Marcello, udì dire di verità, che lo consolo Scipio tornava di Spagna, e ch'elli avea sconfitto Astrubal suo fratello, sicchè non l'osava di aspettarein campo; e perciò mandò a dire a Astrubal suo fratello, che lassasse la terra di Spagna, e fusse certo che contra a Scipio nulla potrebbe tenere, e che se ne venisse il più tosto che potesse in Italia a lui, e che quando fussero insieme, distruggiarebbero tutta Roma, chè bene n'avarebbero la potenzia, e sì mettarebbero tutta la terra nel podere e nella signoria di Cartaggine. Quando lo re Astrubal, ch'era in Ispagna, udì lo comandamento di suo fratello Anibal, elli si misse alla via senza indugio, e menò con lui molto grande sforzo di Gallici e di Spagnuoli e di quelli di Affrica e di grandi ricchezze d'oro e d'argento e d'altre ricchezze; e avea con lui molti olifanti e altre bestie da portare carriaggio, le quali bestie li erano state mandate d'Affrica.
LI.In questo modo, come voi udite, si partì lo re Astrubal di Spagna, e passò poggi, valli e fiumi e riviere e montagne nella terra di Gaule, tanto che venne a' monti di Mongeu, e quali passò a molta gran pena. Allora si partiro di Roma Claudio e Marzio Luccio, amenduni consoli, con molta grande gente per venire contra Astrubal, del quale la novella era già venuta a Roma, e questi due consoli vennero contra a lui, siccome io vi dico, con tutta loro gente.Intanto che le genti di Astrubal discendevano li monti di Mongeu, e li consoli gionsero colle loro genti dall'altro lato segretamente, che lo re Astrubal non sapeva niente di loro venuta; e siccome la gente dello re Astrubal discendea delle montagne pieni di freddo, così erano assaliti da' Romani, de' quali innanzi che discendessero tutti, ne fecero grandeuccisione, imperò che gli trovarono venuti mezzi meno per lo grande freddo. Ma come Astrubal con tutta sua gente fu disceso, allora s'incominciò una crudele battaglia e pericolosa, e durò uno grande pezzo, che non si sarebbe potuto cognosciare chi n'avesse auto il meglio, e la gran quantità degli olifanti che lo re Astrubal aveva menati, e quali facevano grande danno a' Romani, e tenevano si strette, le genti sue, che li Romani non li potevano offendare. Ma li Romani ordinaro due grandi schiere di cavalieri, a' quali posero a ogniuno in groppa uno sergente, e tutti erano coverti di ferro con buone accette in mano; e poi si missero in mezzo degli olifanti, e quelli ch'erano in groppa, scesero appiei in terra, e a niuna altra cosa attendevano, se non a uccidare gli olifanti, e non potevano essare offesi, perchè quelli cavalieri che gli avevano portati, tenevano sì stretti quelli delle castella, che avevano briga di loro difendare,sicchè ne facevano grande uccidare. Quel modo d'uccidare gli olifanti aveva primamente trovato lo re Astrubal, e non perciò si stavano li altri, imperò che in più di mille luogora si combatteva, ed era la battaglia pessima e pericolosa.
In questo modo, come voi udite, si partì lo re Astrubal di Spagna, e passò poggi, valli e fiumi e riviere e montagne nella terra di Gaule, tanto che venne a' monti di Mongeu, e quali passò a molta gran pena. Allora si partiro di Roma Claudio e Marzio Luccio, amenduni consoli, con molta grande gente per venire contra Astrubal, del quale la novella era già venuta a Roma, e questi due consoli vennero contra a lui, siccome io vi dico, con tutta loro gente.
Intanto che le genti di Astrubal discendevano li monti di Mongeu, e li consoli gionsero colle loro genti dall'altro lato segretamente, che lo re Astrubal non sapeva niente di loro venuta; e siccome la gente dello re Astrubal discendea delle montagne pieni di freddo, così erano assaliti da' Romani, de' quali innanzi che discendessero tutti, ne fecero grandeuccisione, imperò che gli trovarono venuti mezzi meno per lo grande freddo. Ma come Astrubal con tutta sua gente fu disceso, allora s'incominciò una crudele battaglia e pericolosa, e durò uno grande pezzo, che non si sarebbe potuto cognosciare chi n'avesse auto il meglio, e la gran quantità degli olifanti che lo re Astrubal aveva menati, e quali facevano grande danno a' Romani, e tenevano si strette, le genti sue, che li Romani non li potevano offendare. Ma li Romani ordinaro due grandi schiere di cavalieri, a' quali posero a ogniuno in groppa uno sergente, e tutti erano coverti di ferro con buone accette in mano; e poi si missero in mezzo degli olifanti, e quelli ch'erano in groppa, scesero appiei in terra, e a niuna altra cosa attendevano, se non a uccidare gli olifanti, e non potevano essare offesi, perchè quelli cavalieri che gli avevano portati, tenevano sì stretti quelli delle castella, che avevano briga di loro difendare,sicchè ne facevano grande uccidare. Quel modo d'uccidare gli olifanti aveva primamente trovato lo re Astrubal, e non perciò si stavano li altri, imperò che in più di mille luogora si combatteva, ed era la battaglia pessima e pericolosa.
LII.Mentre che la battaglia era sì pessima e pericolosa, andò tanto la cosa d'una parte e d'altra, che lo re Astrubal vi fa morto sopra uno fiume, che a nome Menarco[39], e fu tutta sua gente venta e sconfitta; là fu fatta grande distruzione di gente, però che della gente dello re Astrubal ne furo morti cinquantotto milia e presine sei milia, che tutti furomenati in servaggio a Roma, e si ricoverarono quattro milia pregioni, che aveva Astrubal, tutti Romani, de' quali li due consoli che avevano la battaglia venta, ebbero grande gioia e grande letizia, e de' Romani furo morti in questa battaglia ben otto milia, de' quagli poco curavano, perchè avevano vinta la battaglia. In quella battaglia conquistoro li Romani molto onore e molte grandi ricchezze, che lo re Astrubal e sua gente avevano recate, come oro e argento e ricchi drappi di seta, tanto che nullo ne potrebbe dire la quantità; e poi appresso fecero prendare la testa dello re Astrubal e fecerla portare allo re Anibal suo fratello, là ove egli era attendato con tutta sua gente.
Mentre che la battaglia era sì pessima e pericolosa, andò tanto la cosa d'una parte e d'altra, che lo re Astrubal vi fa morto sopra uno fiume, che a nome Menarco[39], e fu tutta sua gente venta e sconfitta; là fu fatta grande distruzione di gente, però che della gente dello re Astrubal ne furo morti cinquantotto milia e presine sei milia, che tutti furomenati in servaggio a Roma, e si ricoverarono quattro milia pregioni, che aveva Astrubal, tutti Romani, de' quali li due consoli che avevano la battaglia venta, ebbero grande gioia e grande letizia, e de' Romani furo morti in questa battaglia ben otto milia, de' quagli poco curavano, perchè avevano vinta la battaglia. In quella battaglia conquistoro li Romani molto onore e molte grandi ricchezze, che lo re Astrubal e sua gente avevano recate, come oro e argento e ricchi drappi di seta, tanto che nullo ne potrebbe dire la quantità; e poi appresso fecero prendare la testa dello re Astrubal e fecerla portare allo re Anibal suo fratello, là ove egli era attendato con tutta sua gente.
LIII.Quando lo re Anibal vidde la testa di suo fratello Astrubal, e seppe il dannaggio e la grande sconfittadi sue genti, elli si trasse versa Sicilia per temenzia d'alcuna sciagura e per lo dolore di suo fratello e di sua gente, della quale lo re Anibal facea grande dimostranza; poi passò uno anno, che tra e Romani e lo re Anibal non fu battaglia, non perchè fusse nè pace nè triegua infra loro, ma perchè avevano auto l'uno e l'altro tanta pistolenzia, oltre alle crudeli battaglie, che non potevano arme prendare per andare a battaglia. Intanto Scipio ebbesi la contrada conquistata da' monti di Pineos infino al mare Oceano, cioè al mare che intornia tutto il mondo, nel quale tutte le nazioni stranie di diverse maniere abitano, e tutti bracci di mare, città e castella e ville e piani e montagne tutte sottomisse alla signoria di Roma; e ciò che si metteva a fare, li veniva fatto in modo che il più della gente credeva ch'egli operasse per volontà delli Dii, e che in lui fusse alcuna cosa divina, perciò che in lui erano tutte le bontà d'onore e di larghezzaè di prodezza, come più potevano essare in nullo uomo, che mai fusse nel mondo. Quando Scipio ebbe tutta Spagna conquistata, come voi udite dire e contiare, elli tornò a Roma con sì grande onore e gloria e con sì grandi ricchezze, che Roma fu tutta di gioia piena.
Quando lo re Anibal vidde la testa di suo fratello Astrubal, e seppe il dannaggio e la grande sconfittadi sue genti, elli si trasse versa Sicilia per temenzia d'alcuna sciagura e per lo dolore di suo fratello e di sua gente, della quale lo re Anibal facea grande dimostranza; poi passò uno anno, che tra e Romani e lo re Anibal non fu battaglia, non perchè fusse nè pace nè triegua infra loro, ma perchè avevano auto l'uno e l'altro tanta pistolenzia, oltre alle crudeli battaglie, che non potevano arme prendare per andare a battaglia. Intanto Scipio ebbesi la contrada conquistata da' monti di Pineos infino al mare Oceano, cioè al mare che intornia tutto il mondo, nel quale tutte le nazioni stranie di diverse maniere abitano, e tutti bracci di mare, città e castella e ville e piani e montagne tutte sottomisse alla signoria di Roma; e ciò che si metteva a fare, li veniva fatto in modo che il più della gente credeva ch'egli operasse per volontà delli Dii, e che in lui fusse alcuna cosa divina, perciò che in lui erano tutte le bontà d'onore e di larghezzaè di prodezza, come più potevano essare in nullo uomo, che mai fusse nel mondo. Quando Scipio ebbe tutta Spagna conquistata, come voi udite dire e contiare, elli tornò a Roma con sì grande onore e gloria e con sì grandi ricchezze, che Roma fu tutta di gioia piena.
LIV.Io non v'andarò contando nè divisando l'onore della vittoria che fu fatto a Scipio, e la festa e la letizia che per sua tornata fu mostrata; s'io ciò volessi contiare, troppo avarei a fare, e però mi tacerò a questa fiata. Ma appresso a tutta la gioia che li fu fatta a Roma, sì deliberaro di nuovo e senatori e consoli di Roma, che Scipio passasse in Affrica per conquistare Cartaggine e distruggiarla; e mentre che lo re Anibal era ancora in Sicilia e in Calavria, Scipio s'apparecchiò molto riccamente,e sì si partì di Roma con sì grande gente e con sì gran ricchezza come per acquistare Cartaggine e tutto lo regno d'Affrica; e quando ebbe preso commiato da' senatori di Roma e da' prossimani amici e parenti, elli andò tanto che gionse al mare, ove il navilio era bello e ricco. Lenio e Manlio, che l'oste guidavano, amendue valenti principi di Roma, fecero le navi caricare di farina e di biscotto e di vino e d'acqua dolce e di carne salata, e quando e ricchi destrieri furo dentro entrati e prencipi e sergenti, li marinari trassero le vele alte sugli arbori, e staccaro l'àncora da terra per fare le navi partire di porto; e tosto si partiro e dilongaro da terra, però che un gran vento si levò e ferì nelle vele di diversi colori, che tosto li cacciò nel pelago di mare e dilongolli dalla terra d'Italia.
Io non v'andarò contando nè divisando l'onore della vittoria che fu fatto a Scipio, e la festa e la letizia che per sua tornata fu mostrata; s'io ciò volessi contiare, troppo avarei a fare, e però mi tacerò a questa fiata. Ma appresso a tutta la gioia che li fu fatta a Roma, sì deliberaro di nuovo e senatori e consoli di Roma, che Scipio passasse in Affrica per conquistare Cartaggine e distruggiarla; e mentre che lo re Anibal era ancora in Sicilia e in Calavria, Scipio s'apparecchiò molto riccamente,e sì si partì di Roma con sì grande gente e con sì gran ricchezza come per acquistare Cartaggine e tutto lo regno d'Affrica; e quando ebbe preso commiato da' senatori di Roma e da' prossimani amici e parenti, elli andò tanto che gionse al mare, ove il navilio era bello e ricco. Lenio e Manlio, che l'oste guidavano, amendue valenti principi di Roma, fecero le navi caricare di farina e di biscotto e di vino e d'acqua dolce e di carne salata, e quando e ricchi destrieri furo dentro entrati e prencipi e sergenti, li marinari trassero le vele alte sugli arbori, e staccaro l'àncora da terra per fare le navi partire di porto; e tosto si partiro e dilongaro da terra, però che un gran vento si levò e ferì nelle vele di diversi colori, che tosto li cacciò nel pelago di mare e dilongolli dalla terra d'Italia.
LV.Tanto andò Scipio con sua gente che avea con lui, ch'elli arrivò in Affrica, e sì tosto come fu gionto, lo seppe Anno duca di Poonia, che contra a lui venne con sì grande gente, come potè assembrare; ma in questa battaglia che gli Affricani assembraro, primamente furo venti e sconfitti, e lo duca Anno vi fu morto, il quale perdè tutto suo onore e ricchezza e vita. Questa fu la prima battaglia che Scipio fece poi che gionse in Affrica. Intanto sì combattè lo consolo Sempronio con Anibal in Puglia, ma malamente avvenne a' Romani in quella battaglia, chè lo consolo Sempronio vi fu sconfitto, ed elli il più tosto che potè si partì dello stormo, e tornò fuggendo a Roma molto lieto e gioioso non della perdita di sua gente, ma dello scampo di sua vita.
Tanto andò Scipio con sua gente che avea con lui, ch'elli arrivò in Affrica, e sì tosto come fu gionto, lo seppe Anno duca di Poonia, che contra a lui venne con sì grande gente, come potè assembrare; ma in questa battaglia che gli Affricani assembraro, primamente furo venti e sconfitti, e lo duca Anno vi fu morto, il quale perdè tutto suo onore e ricchezza e vita. Questa fu la prima battaglia che Scipio fece poi che gionse in Affrica. Intanto sì combattè lo consolo Sempronio con Anibal in Puglia, ma malamente avvenne a' Romani in quella battaglia, chè lo consolo Sempronio vi fu sconfitto, ed elli il più tosto che potè si partì dello stormo, e tornò fuggendo a Roma molto lieto e gioioso non della perdita di sua gente, ma dello scampo di sua vita.
LVI.Allora si ragunaro li Cartagginesi e li Mirmidieni, e quali erano nell'aiuto e nel soccorso de' Poonii, li quali erano venuti contra Scipio che duramente assaliva e distruggeva Affrica; e sappiate che queste due genti erano due osti belle e grandi, e sì avvenne che una notte s'attendaro l'uni presso all'altri. Scipio, che bene avea fatto cercare di loro affare per sue spie, andò tanto con sua gente verso la mezza notte, che s'appressò al loro campo, e tantosto comandò che fusse messo fuoco nelle tende e ne' padiglioni, senza ciò che le guardie se n'avvedessero, perciò che non avevano dottanza niuna; e sì tosto come il fuoco fu appreso nell'oste, sì si levaro suso tutti storditi come gente ch'erano addormentate, gridando: «al fuoco, al fuoco», come coloro che credevano che 'l fuoco fusse appreso per alcuno accidente.
Allora si ragunaro li Cartagginesi e li Mirmidieni, e quali erano nell'aiuto e nel soccorso de' Poonii, li quali erano venuti contra Scipio che duramente assaliva e distruggeva Affrica; e sappiate che queste due genti erano due osti belle e grandi, e sì avvenne che una notte s'attendaro l'uni presso all'altri. Scipio, che bene avea fatto cercare di loro affare per sue spie, andò tanto con sua gente verso la mezza notte, che s'appressò al loro campo, e tantosto comandò che fusse messo fuoco nelle tende e ne' padiglioni, senza ciò che le guardie se n'avvedessero, perciò che non avevano dottanza niuna; e sì tosto come il fuoco fu appreso nell'oste, sì si levaro suso tutti storditi come gente ch'erano addormentate, gridando: «al fuoco, al fuoco», come coloro che credevano che 'l fuoco fusse appreso per alcuno accidente.
LVII.A quello remore e a quello grido venne Scipio lo consolo con grande cavallaria, che tanti n'uccise de' Poonii e de' Mirmidieni, che disarmati erano, colle spade taglienti, che tutta la terra n'era ingombrata de' morti e de' feriti, che tutti furono morti e menati a martiro. Foilse re de' Mirmidieni, che parente era dello re Anibal, si fuggì con molta poca gente, che poco si fallì che non arse dentro a sue tende. In questa battaglia ch'io v'ô detta, furo morti degli Africani tra per fuoco e per arme in quella notte quaranta milia d'uomini e presine cinque miglia. Non si dee neuno maravigliare di questa sconfitta, imperò che leggiera cosa era di loro prendare e uccidare, quando ellino entravano nel fuoco tutti disarmati per spegniarlo. Lo duca de' Poonii e lo re Foilse de' Mirmidieni, che di quella battaglia scamparo, rassembraroloro gente il più tosto che potero per combattare co' Romani e per vendicare loro ontia e loro grande dannaggio.
A quello remore e a quello grido venne Scipio lo consolo con grande cavallaria, che tanti n'uccise de' Poonii e de' Mirmidieni, che disarmati erano, colle spade taglienti, che tutta la terra n'era ingombrata de' morti e de' feriti, che tutti furono morti e menati a martiro. Foilse re de' Mirmidieni, che parente era dello re Anibal, si fuggì con molta poca gente, che poco si fallì che non arse dentro a sue tende. In questa battaglia ch'io v'ô detta, furo morti degli Africani tra per fuoco e per arme in quella notte quaranta milia d'uomini e presine cinque miglia. Non si dee neuno maravigliare di questa sconfitta, imperò che leggiera cosa era di loro prendare e uccidare, quando ellino entravano nel fuoco tutti disarmati per spegniarlo. Lo duca de' Poonii e lo re Foilse de' Mirmidieni, che di quella battaglia scamparo, rassembraroloro gente il più tosto che potero per combattare co' Romani e per vendicare loro ontia e loro grande dannaggio.
LVIII.Quando tutte le genti d'Affrica furo tutte assembrate, ellino cavalcaro tanto, che vennero in quella parte, ove Scipio li aveva dinanzi sconfitti di notte, e tantosto furo le battaglie ordinate e divisate d'una parte e d'altra; e sì tosto come s'aggionsero insieme, missero mano alle spade, e cominciarono la battaglia, traendosi sangue da tutte parti, e tagliandosi braccia, teste e tutte altre membra, tanto che de' morti era tutta la terra ingioncata e coverta. Alla fine li Romani ebbero la vittoria, però che lo consolo Scipio s'abbandonava in quella parte e in qualunque pressa vedeva maggiore per loro confondare e rempare,e Lenio[40]e Massimo e li altri consoli Romani pregiati d'arme e buoni pedoni e la buona cavallaria li menaro tanto alle spade taglienti, che li cacciaro del campo sconfitti e venti senza nulla speranza di tornare addietro. Là fu preso lo re de' Mirmidieni, e sì lo prese Lenio, che 'l gionse quando fuggiva sopra uno destriere d'Affrica, e li altri che camparo, fuggiro tanto che entraro nella ricca città d'Aguarento[41]; e come furo dentro, chiusero le porti e fornirono le mura e le difese d'armadure per difendare la città, e Lenio l'incalciò e tanto menò gran forza di gente, che gli assediò, e tanto assaliro le mura e le porti, che le ruppero. E quando quelli della città viddero che non si potevano più tenere, si arrendero salve le persone.
Quando tutte le genti d'Affrica furo tutte assembrate, ellino cavalcaro tanto, che vennero in quella parte, ove Scipio li aveva dinanzi sconfitti di notte, e tantosto furo le battaglie ordinate e divisate d'una parte e d'altra; e sì tosto come s'aggionsero insieme, missero mano alle spade, e cominciarono la battaglia, traendosi sangue da tutte parti, e tagliandosi braccia, teste e tutte altre membra, tanto che de' morti era tutta la terra ingioncata e coverta. Alla fine li Romani ebbero la vittoria, però che lo consolo Scipio s'abbandonava in quella parte e in qualunque pressa vedeva maggiore per loro confondare e rempare,e Lenio[40]e Massimo e li altri consoli Romani pregiati d'arme e buoni pedoni e la buona cavallaria li menaro tanto alle spade taglienti, che li cacciaro del campo sconfitti e venti senza nulla speranza di tornare addietro. Là fu preso lo re de' Mirmidieni, e sì lo prese Lenio, che 'l gionse quando fuggiva sopra uno destriere d'Affrica, e li altri che camparo, fuggiro tanto che entraro nella ricca città d'Aguarento[41]; e come furo dentro, chiusero le porti e fornirono le mura e le difese d'armadure per difendare la città, e Lenio l'incalciò e tanto menò gran forza di gente, che gli assediò, e tanto assaliro le mura e le porti, che le ruppero. E quando quelli della città viddero che non si potevano più tenere, si arrendero salve le persone.
LIX.Sì tosto come la città fa arrenduta, Massimo fece prendare li alti baroni della città e lo re de' Mirmidieni tutto incatenato, e si lo menò a Scipio che la battaglia aveva venta, e sì aveva morto lo duca de' Poonii e presi molti altri uomini. Sì tosto come Scipio vidde lo re dinanzi da lui, egli il dè in guardia a Lenio, e tutti li altri prigioni altresì, e tutto il guadagno che aveva fatto nella città ed in Affrica, fe menare a Roma per dimostranza della vittoria. Lenio andò tanto per mare e per terra con tanti prigioni ed avere, che appena si potrebbe contiare, che venne a Roma e presentò a' sanatori e popolo di Roma da parte di Scipio e prigioni e le grandi ricchezze.
Sì tosto come la città fa arrenduta, Massimo fece prendare li alti baroni della città e lo re de' Mirmidieni tutto incatenato, e si lo menò a Scipio che la battaglia aveva venta, e sì aveva morto lo duca de' Poonii e presi molti altri uomini. Sì tosto come Scipio vidde lo re dinanzi da lui, egli il dè in guardia a Lenio, e tutti li altri prigioni altresì, e tutto il guadagno che aveva fatto nella città ed in Affrica, fe menare a Roma per dimostranza della vittoria. Lenio andò tanto per mare e per terra con tanti prigioni ed avere, che appena si potrebbe contiare, che venne a Roma e presentò a' sanatori e popolo di Roma da parte di Scipio e prigioni e le grandi ricchezze.
LX.Per questa novella, che tosto fu saputa e sparta per tutta Italia, lassò Anibal tutte le città e castella della contrada, e trassene fuore sue guardie e suoi uomini. In questo tanto ebbero quelli di Cartaggine sì grande paura di Scipio, che conquistava il regno d'Affrica per forza, che mandaro allo re Anibal imbasciata che tornasse il più presto che potesse in Cartaggine per soccorrire la città e tutto lo reame, ch'e Romani distruggevano per loro potenzia. Quando lo re Anibal udì così parlare li messaggi, e seppe certamente che li conveniva tornare addietro, elli cominciò a piangiare, perciò che lassava il regno di Italia e Roma, innanzi che l'avesse conquistato, e tantosto fece suo navilio apparecchiare; e quando fu tempo d'entrare in mare, elli fece torre suo avere e mettarlo nelle navi, e tutti li cavalieri della contrada rimasero,che di loro grado nol volevano seguitare; e sì tosto come sua gente fu entrata in mare, fece l'àncora levare e andò via. E così fu deliberata Italia dallo re Anibal, che v'era stato dieciotto anni, e alle genti d'Italia aveva fatto sofferire molta pena e molto travaglio, siccome voi avete udito e inteso; e sì tosto come quelli delle fortezze viddero e intesero che Anibal s'era partito, sì si ritornare alla divozione del popolo romano.
Per questa novella, che tosto fu saputa e sparta per tutta Italia, lassò Anibal tutte le città e castella della contrada, e trassene fuore sue guardie e suoi uomini. In questo tanto ebbero quelli di Cartaggine sì grande paura di Scipio, che conquistava il regno d'Affrica per forza, che mandaro allo re Anibal imbasciata che tornasse il più presto che potesse in Cartaggine per soccorrire la città e tutto lo reame, ch'e Romani distruggevano per loro potenzia. Quando lo re Anibal udì così parlare li messaggi, e seppe certamente che li conveniva tornare addietro, elli cominciò a piangiare, perciò che lassava il regno di Italia e Roma, innanzi che l'avesse conquistato, e tantosto fece suo navilio apparecchiare; e quando fu tempo d'entrare in mare, elli fece torre suo avere e mettarlo nelle navi, e tutti li cavalieri della contrada rimasero,che di loro grado nol volevano seguitare; e sì tosto come sua gente fu entrata in mare, fece l'àncora levare e andò via. E così fu deliberata Italia dallo re Anibal, che v'era stato dieciotto anni, e alle genti d'Italia aveva fatto sofferire molta pena e molto travaglio, siccome voi avete udito e inteso; e sì tosto come quelli delle fortezze viddero e intesero che Anibal s'era partito, sì si ritornare alla divozione del popolo romano.
LXI.Lo re Anibal navicò tanto tra dì e notte, che si appressimò al regno d'Affrica; e sì tosto come lo re Anibal seppe che si appressimava alla terra, elli comandò a' maestri marinari che salissero sulli arboli delle navi, che molto erano alti, e sì lo' comandò che guardassero qual città l'era più pressimana. Coloro a cuilo re comandò, furono tosto saliti nelli arboli, che cento sessanta piei erano longhi, e sì riguardaro verso la terra, che anco l'era alquanto lontana; e quando ebbero gran pezzo guardato per cognosciare il paese là ove ellino andavano, lo re Anibal li domandò che ellino vedevano, ed eglino risposero che non vedevano se non sepolture in più parti, siccome a loro pareva.
Lo re Anibal navicò tanto tra dì e notte, che si appressimò al regno d'Affrica; e sì tosto come lo re Anibal seppe che si appressimava alla terra, elli comandò a' maestri marinari che salissero sulli arboli delle navi, che molto erano alti, e sì lo' comandò che guardassero qual città l'era più pressimana. Coloro a cuilo re comandò, furono tosto saliti nelli arboli, che cento sessanta piei erano longhi, e sì riguardaro verso la terra, che anco l'era alquanto lontana; e quando ebbero gran pezzo guardato per cognosciare il paese là ove ellino andavano, lo re Anibal li domandò che ellino vedevano, ed eglino risposero che non vedevano se non sepolture in più parti, siccome a loro pareva.
LXII.Di queste parole si maravigliò molto lo re Anibal in sè medesimo, e pensò che questo significasse qualche ingombro, e perciò comandò che arrivassero ad altro porto che a quello ove eglino andavano; e così come elli comandò, così fu fatto, e non si dimoronno niente grandemente, che essi arriverò nel porto d'uno castello che molto era ricco e bello della signoria di Cartaggine, che aveva nomeLepino. Là discese lo re Anibal a terra e tutta sua gente, che del mare e della pena ch'eglino avevano auta erano molto travagliati, e sì si riposaro ine longamente, e lo re Anibal fece trarre fuore delle navi suo avere e sue prede, delle quali avevano grande abbondanza. Mentre che lo re Anibal e sua gente si riposavano sotto al castello di Lepino, mandò suoi messaggi a' prencipi della città di Cartaggine, come elli era tornato in Affrica ed era arrivato con sua gente al castello di Lepino, che molto era grande e forte; e allora fu fatta in Cartaggine grande gioia e grande allegrezza per la venuta dello re Anibal, che molto era desiderato e amato da tutti quelli della città e da' ricchi e da' povari, perciò che avevano in lui sicurtà e fidanza per lo suo senno e per la sua prodezza, della quale avevano udito molto parlare appresso e a longa.
Di queste parole si maravigliò molto lo re Anibal in sè medesimo, e pensò che questo significasse qualche ingombro, e perciò comandò che arrivassero ad altro porto che a quello ove eglino andavano; e così come elli comandò, così fu fatto, e non si dimoronno niente grandemente, che essi arriverò nel porto d'uno castello che molto era ricco e bello della signoria di Cartaggine, che aveva nomeLepino. Là discese lo re Anibal a terra e tutta sua gente, che del mare e della pena ch'eglino avevano auta erano molto travagliati, e sì si riposaro ine longamente, e lo re Anibal fece trarre fuore delle navi suo avere e sue prede, delle quali avevano grande abbondanza. Mentre che lo re Anibal e sua gente si riposavano sotto al castello di Lepino, mandò suoi messaggi a' prencipi della città di Cartaggine, come elli era tornato in Affrica ed era arrivato con sua gente al castello di Lepino, che molto era grande e forte; e allora fu fatta in Cartaggine grande gioia e grande allegrezza per la venuta dello re Anibal, che molto era desiderato e amato da tutti quelli della città e da' ricchi e da' povari, perciò che avevano in lui sicurtà e fidanza per lo suo senno e per la sua prodezza, della quale avevano udito molto parlare appresso e a longa.
LXIII.Quando lo re Anibal si fu riposato a sua volontà, elli fece levare lo campo, e tanto andare, che si attendaro sotto a Cartaggine in uno bello piano; e quando si furo attendati, li alti baroni di Cartaggine vennero allo re Anibal, e salutare lui e tutti suoi baroni, e sì lo volevano menare dentro in Cartaggine per gioia e festa fare, come era ragione e drittura; ma lo re Anibal lo' rispose e sì lo' disse ch'elli e sua gente non entrarebbero dentro alle mura di Cartaggine, infino a tanto ch'elli avarà veduto lo consolo Scipio e parlato con lui, e sapere se potesse fare pace e concordia con lui, e se non combattarebbe con lui, perciò che non è bene fatto di lassare stare lo suo nemico in suo paese chi trarre nel può o per ragione o per forza.
Quando lo re Anibal si fu riposato a sua volontà, elli fece levare lo campo, e tanto andare, che si attendaro sotto a Cartaggine in uno bello piano; e quando si furo attendati, li alti baroni di Cartaggine vennero allo re Anibal, e salutare lui e tutti suoi baroni, e sì lo volevano menare dentro in Cartaggine per gioia e festa fare, come era ragione e drittura; ma lo re Anibal lo' rispose e sì lo' disse ch'elli e sua gente non entrarebbero dentro alle mura di Cartaggine, infino a tanto ch'elli avarà veduto lo consolo Scipio e parlato con lui, e sapere se potesse fare pace e concordia con lui, e se non combattarebbe con lui, perciò che non è bene fatto di lassare stare lo suo nemico in suo paese chi trarre nel può o per ragione o per forza.
LXIV.A questo s'accordaro bene tutti e Cartaginesi, e incontanente procacciaro forza ed aiuto, mentre lo re Anibal mandò suoi messaggi allo consolo Scipio, che presso a lui era a meno di due giornate, e sì gli mandò a dire che gli vorrebbe parlare, e se intendeva di volere pace con lui e co' Cartagginesi. Li messaggi andaro tanto che gionsero ove li Romani erano attendati, e sì domandaro lo consolo Scipio, in cui erano tutte le bontà. Il nobile cavaliere e cortese sì si accordò di parlare allo re Anibal, e ciò promisse per la volontà de' savii uomini di sua oste, e li messaggi altresì da parte dello re Anibal; e poi presero commiato il più presto che poterono, e tornarono allo re Anibal ed a' Cartaginesi, e sì lo' contiaro la risposta de' Romani e' belli sembianti ch'ell'avevano fatto.
A questo s'accordaro bene tutti e Cartaginesi, e incontanente procacciaro forza ed aiuto, mentre lo re Anibal mandò suoi messaggi allo consolo Scipio, che presso a lui era a meno di due giornate, e sì gli mandò a dire che gli vorrebbe parlare, e se intendeva di volere pace con lui e co' Cartagginesi. Li messaggi andaro tanto che gionsero ove li Romani erano attendati, e sì domandaro lo consolo Scipio, in cui erano tutte le bontà. Il nobile cavaliere e cortese sì si accordò di parlare allo re Anibal, e ciò promisse per la volontà de' savii uomini di sua oste, e li messaggi altresì da parte dello re Anibal; e poi presero commiato il più presto che poterono, e tornarono allo re Anibal ed a' Cartaginesi, e sì lo' contiaro la risposta de' Romani e' belli sembianti ch'ell'avevano fatto.
LXV.Intanto venne il termine del dì del parlamento, ch'era ordinato in capo di quindici dì. Li principi e li baroni di Cartaggine furo in una piazza, ove lo parlamento doveva essare, assai presso dalla città di Bredum, ch'e Cartagginesi tenevano. Là venne lo consolo Scipio tutto disarmato molto nobilemente con sua cavallaria, che appena si potrebbe dire loro grande fierezza, e la maniera de' drappi della seta di che erano vestiti, nè le fatture nè e ricchi sembianti de' ricchi destrieri d'Affrica e di Spagna che cavalcavano; e dall'altra parte non vennero meno fieri la gente dello re Anibal n'e Cartagginesi, che di ricchi palii di seta erano vestiti. Li due principi, lo re Anibal e lo consolo Scipio, che tanto erano valorosi, erano troppo riccamente vestiti ed apparecchiati, siccome a loro si conveniva; e sì tosto come si viddero, si miroro moltol'uno l'altro per lo grande nome che l'uno aveva udito contiare dell'altro e dire, e molto si maravigliò l'uno dell'altro, e sì erano così come sbigottiti per la maraviglia; ed allora parlò primamente lo re Anibal a Scipio, e sì li disse per belle ragioni in lenguaggio romano, che molto duramente si maravigliava, perchè elli era passato in Affrica per combattare, quando elli assai presso a Roma l'arebbe potuto trovare per tutta Italia. Scipio lo consolo, che tanto era bello di corpo e di forza, che a grande pena si potrebbe scrivare, rispose allo re Anibal, ch'elli avea passato il mare e venuto in Affrica per vendicare l'ontia e 'l danneggio, ch'e Cartagginesi l'aveano fatto in Italia e in altre contrade.
Intanto venne il termine del dì del parlamento, ch'era ordinato in capo di quindici dì. Li principi e li baroni di Cartaggine furo in una piazza, ove lo parlamento doveva essare, assai presso dalla città di Bredum, ch'e Cartagginesi tenevano. Là venne lo consolo Scipio tutto disarmato molto nobilemente con sua cavallaria, che appena si potrebbe dire loro grande fierezza, e la maniera de' drappi della seta di che erano vestiti, nè le fatture nè e ricchi sembianti de' ricchi destrieri d'Affrica e di Spagna che cavalcavano; e dall'altra parte non vennero meno fieri la gente dello re Anibal n'e Cartagginesi, che di ricchi palii di seta erano vestiti. Li due principi, lo re Anibal e lo consolo Scipio, che tanto erano valorosi, erano troppo riccamente vestiti ed apparecchiati, siccome a loro si conveniva; e sì tosto come si viddero, si miroro moltol'uno l'altro per lo grande nome che l'uno aveva udito contiare dell'altro e dire, e molto si maravigliò l'uno dell'altro, e sì erano così come sbigottiti per la maraviglia; ed allora parlò primamente lo re Anibal a Scipio, e sì li disse per belle ragioni in lenguaggio romano, che molto duramente si maravigliava, perchè elli era passato in Affrica per combattare, quando elli assai presso a Roma l'arebbe potuto trovare per tutta Italia. Scipio lo consolo, che tanto era bello di corpo e di forza, che a grande pena si potrebbe scrivare, rispose allo re Anibal, ch'elli avea passato il mare e venuto in Affrica per vendicare l'ontia e 'l danneggio, ch'e Cartagginesi l'aveano fatto in Italia e in altre contrade.
LXVI.E così cominciare le parole tra' nobili principi, e quali erano da tutti li altri guardati a gran maraviglia,e scoltavano le parole de' due principi. Quando ebbero parlato assai di ciò e d'altre cose, si parlò lo re Anibal, che più fiate era stato sconfitto in battaglia, sì pensò le sciagure che possono intervenire, e perciò parlò primamente di pace a Scipio, siccome Eutropio dice; ma lo consolo Scipio non ne volse niente fare, se non per tale condizione, che Cartaggine rendesse a' Romani ora al presente cinque milia pesi d'argento e mille libre d'oro per la pace e per la triegua che fra loro era, la quale l'avevano rotta e spezzata. Questi patti spiacquero molto allo re Anibal ed a' Cartagginesi, e dissero che innanzi si combattarebbero co' Romani, che questi patti facessero; ed allora si partiro e Romani e Cartagginesi, e quali molto s'odiavano, e procacciaro di combattare senza dimoranza. E poi ch'e prencipi furo tornati a' loro alberghi, non fu poi nessuno dì che none assembrassero loro gente, e che none ammaestrassero di ben fare, siccomeper tutto guadagnare o per tutto perdare e vita e avere e donne e figliuoli e onore.
E così cominciare le parole tra' nobili principi, e quali erano da tutti li altri guardati a gran maraviglia,e scoltavano le parole de' due principi. Quando ebbero parlato assai di ciò e d'altre cose, si parlò lo re Anibal, che più fiate era stato sconfitto in battaglia, sì pensò le sciagure che possono intervenire, e perciò parlò primamente di pace a Scipio, siccome Eutropio dice; ma lo consolo Scipio non ne volse niente fare, se non per tale condizione, che Cartaggine rendesse a' Romani ora al presente cinque milia pesi d'argento e mille libre d'oro per la pace e per la triegua che fra loro era, la quale l'avevano rotta e spezzata. Questi patti spiacquero molto allo re Anibal ed a' Cartagginesi, e dissero che innanzi si combattarebbero co' Romani, che questi patti facessero; ed allora si partiro e Romani e Cartagginesi, e quali molto s'odiavano, e procacciaro di combattare senza dimoranza. E poi ch'e prencipi furo tornati a' loro alberghi, non fu poi nessuno dì che none assembrassero loro gente, e che none ammaestrassero di ben fare, siccomeper tutto guadagnare o per tutto perdare e vita e avere e donne e figliuoli e onore.
LXVII.Quando tutte loro genti furo assembrate, ellino s'attendaro più presso che potero l'uno all'altro, e li due prencipi, e quali erano coraggiosi e fieri, avevano messo tutto loro ingegno e avere in gente ragunare per avere la vittoria; e sì tosto com'ebbero ciò fatto, ellino non si indugiaro più che non si assembrassero, che molto lo' parea all'uno e all'altro che si tardasse la battaglia, tanto erano desiderosi di combattare. Quelli due che prima s'assembrassero in su ricchi destrieri dinanzi a tutte le schiere bene una balestrata, si fu Scipio ed Anibal, che duramente si feriro in sulli scudi dorati, e quali spezzare, e ruppero le lancio sugli sberghi doppi che non ne smagaroniente, nè niuno de' due baroni cadde del destriere, anzi passare oltre e misserò mano alle spade per combattare con coloro che lo' venivano alla rincontra a grande ardire. Per questa giostra furo molti cavalieri morti ed abbattuti, de' quali e cavalli fuggivano per lo campo; e quando le genti appiei assembraro a quelli da cavallo, allora fu grande dolore di sbudellare cavagli ed abbattere de' cavalieri, e quelli che non si potevano levare, giacevano a terra; e sì avareste da mille parti udito sgridare l'uno Cartaggine e l'altro Roma con sì alte voci, che tutta la contrada ne rinsonava. Tre volte avvenne che Anibal e Scipio combattero a corpo a corpo colle spade nude, e tagliarsi li scudi innorati onde si coprivano, e tre volte li partì la pressa de' loro cavalieri che si mettevano tra loro, e poco si poteva sapere chi n'avesse il meglio; e quando le prime schiere di Scipio si missero infra li alifanti, che quellidi Cartaggine avevano menati, in quella parte Scipio si trasse colla forza de' Romani, chè coloro delle castella che gli olifanti portavano, facevano di loro uomini molto crudele dannaggio; ma poi che gli cominciaro a uccidare, eglino gli fecero tutti tornare addietro, sicchè nullo ne potevano fare ritornare alla battaglia di quelli che feriti erano e che fuggire potevano.
Quando tutte loro genti furo assembrate, ellino s'attendaro più presso che potero l'uno all'altro, e li due prencipi, e quali erano coraggiosi e fieri, avevano messo tutto loro ingegno e avere in gente ragunare per avere la vittoria; e sì tosto com'ebbero ciò fatto, ellino non si indugiaro più che non si assembrassero, che molto lo' parea all'uno e all'altro che si tardasse la battaglia, tanto erano desiderosi di combattare. Quelli due che prima s'assembrassero in su ricchi destrieri dinanzi a tutte le schiere bene una balestrata, si fu Scipio ed Anibal, che duramente si feriro in sulli scudi dorati, e quali spezzare, e ruppero le lancio sugli sberghi doppi che non ne smagaroniente, nè niuno de' due baroni cadde del destriere, anzi passare oltre e misserò mano alle spade per combattare con coloro che lo' venivano alla rincontra a grande ardire. Per questa giostra furo molti cavalieri morti ed abbattuti, de' quali e cavalli fuggivano per lo campo; e quando le genti appiei assembraro a quelli da cavallo, allora fu grande dolore di sbudellare cavagli ed abbattere de' cavalieri, e quelli che non si potevano levare, giacevano a terra; e sì avareste da mille parti udito sgridare l'uno Cartaggine e l'altro Roma con sì alte voci, che tutta la contrada ne rinsonava. Tre volte avvenne che Anibal e Scipio combattero a corpo a corpo colle spade nude, e tagliarsi li scudi innorati onde si coprivano, e tre volte li partì la pressa de' loro cavalieri che si mettevano tra loro, e poco si poteva sapere chi n'avesse il meglio; e quando le prime schiere di Scipio si missero infra li alifanti, che quellidi Cartaggine avevano menati, in quella parte Scipio si trasse colla forza de' Romani, chè coloro delle castella che gli olifanti portavano, facevano di loro uomini molto crudele dannaggio; ma poi che gli cominciaro a uccidare, eglino gli fecero tutti tornare addietro, sicchè nullo ne potevano fare ritornare alla battaglia di quelli che feriti erano e che fuggire potevano.
LXVIII.Alla fine furo sconfitti li Cartagginesi ed Anibal altresì, che tanto si tenne nello stormo, che non v'erano più che venti cavalieri di rimanente, e non fuggiva, però che ontia li pareva di fuggire. E vinti difendevano loro signore, che non volevano fare dislealtà nè fellonia; e tanto dimorò Anibal, che nolli rimasero più che quattro cavalieri, e con questi quattro cavalieri si partìAnibal tristo e corruccioso, perciò che non vi poteva più dimorare; e sì se ne venne fuggendo ad Adrumento sua città per campare sua vita, e d'inde n'andò in Cartaggine, ove elli non era mai entrato in ventisei anni ch'erano passati, che se ne partì la prima volta collo re Amilcar suo padre. Intanto li Romani che la vittoria avevano auta, si trassero a' padiglioni dello re Anibal, ove trovarono duecento miglia di grossi d'argento e grande quantità d'oro e tante altre ricchezze, che non si potrebbe dire nè contiare. In quella battaglia furono morti quaranta migliaia di Cartagginesi e cinque milia presi, e ottanta olifanti tra presi e morti.Intanto ch'e Romani ragunavano loro guadagno e loro prede, che seppellivano loro uomini morti secondo loro costume e loro usanza, Anibal ch'era in Cartaggine, ove grande dolore era fatto, parlò co' baroni e colli alti uomini di Cartaggine, edisse che neuno altro rimedio era, che di fare pace co' Romani, acciò che la città non fusse distratta nè confusa. E baroni e altri uomini di Cartaggine, che viddero e cognobbero che altrimenti non poteva essare, richiesero pace a Scipio, siccome avevano dinanzi divisato, e Scipio il consentì di volontà de' consoli e de' senatori, a cui mandò suoi messaggi, e ferma triegua fu fatta per cinquanta dì, tanto ch'e messaggi potessero andare e tornare.
Alla fine furo sconfitti li Cartagginesi ed Anibal altresì, che tanto si tenne nello stormo, che non v'erano più che venti cavalieri di rimanente, e non fuggiva, però che ontia li pareva di fuggire. E vinti difendevano loro signore, che non volevano fare dislealtà nè fellonia; e tanto dimorò Anibal, che nolli rimasero più che quattro cavalieri, e con questi quattro cavalieri si partìAnibal tristo e corruccioso, perciò che non vi poteva più dimorare; e sì se ne venne fuggendo ad Adrumento sua città per campare sua vita, e d'inde n'andò in Cartaggine, ove elli non era mai entrato in ventisei anni ch'erano passati, che se ne partì la prima volta collo re Amilcar suo padre. Intanto li Romani che la vittoria avevano auta, si trassero a' padiglioni dello re Anibal, ove trovarono duecento miglia di grossi d'argento e grande quantità d'oro e tante altre ricchezze, che non si potrebbe dire nè contiare. In quella battaglia furono morti quaranta migliaia di Cartagginesi e cinque milia presi, e ottanta olifanti tra presi e morti.
Intanto ch'e Romani ragunavano loro guadagno e loro prede, che seppellivano loro uomini morti secondo loro costume e loro usanza, Anibal ch'era in Cartaggine, ove grande dolore era fatto, parlò co' baroni e colli alti uomini di Cartaggine, edisse che neuno altro rimedio era, che di fare pace co' Romani, acciò che la città non fusse distratta nè confusa. E baroni e altri uomini di Cartaggine, che viddero e cognobbero che altrimenti non poteva essare, richiesero pace a Scipio, siccome avevano dinanzi divisato, e Scipio il consentì di volontà de' consoli e de' senatori, a cui mandò suoi messaggi, e ferma triegua fu fatta per cinquanta dì, tanto ch'e messaggi potessero andare e tornare.