CAPITOLO XXIII.

CAPITOLO XXIII.Fra i lettori di romanzi una buona parte non cerca che l'interesse il quale nasce dalla combinazione degli avvenimenti e dalle manifestazioni della passione; codestoro trovano superfluo e fuor di luogo, in un lavoro d'immaginazione come in opera d'arte, tutto ciò che ha la pretesa di toccare gli alti quesiti della filosofia, della scienza, della politicae dell'economia pubblica; impazienti di arrivare allo scioglimento del nodo bene o male raggruppato che si trovano presentato dinanzi dalla favola del racconto, dispettano ogni indugio che nel cammino venga frapposto da considerazioni o da esposizioni che non sieno azione di dramma. Per questi cotali non è scritto il presente capitolo: e siccome all'intelligibilità dell'intreccio drammatico ed alla conoscenza dello svolgimento dei fatti non nuocerà per nulla affatto l'ometterne la lettura; così io consiglio senz'altro chi non si piace di queste cui giudica vane fisime e inutili sopraccapi di filosofia, di saltare a pie' pari l'intiero capitolo e ricominciare al XXIV, dove si riprenderà la catena della narrazione.Avendo poi in animo di scrivere in questo lavoro la storia non solo dei fatti materiali della vita, ma dell'anima di certe individualità, in cui rappresentate intiere classi, non mi parve potere a meno che affrontare eziandio il gravissimo quesito dell'essere, della natura, del destino oltre questa terra dell'anima umana: quesito che comprende la quistione della coesistenza del bene e del male e quella della divinità. Qual è l'uomo che pensa, il quale, anche quando si tenga attaccato alla fede impostagli autorevolmente nell'infanzia dall'affermazione presentatagli come indiscutibile dei maggiori, pur tuttavia non si trovi in dati momenti faccia a faccia con questi terribili enimmi gettatigli innanzi di forza dalla sfinge della vita? In quest'epoca in cui ogni credenza vacilla e la crosta esteriore, per così dire, di tutto il mondo sociale è una strana miscela di scetticismo indifferente e di audaci negazioni rincalzate da vantati progressi di scienze positive, con qualche chiazza qua e là di vernice d'ipocrisia, a mio avviso, nel substrato dell'umanità, nelle viscere di essa e forse appunto in quelle classi inferiori non abbastanza apprezzate e curate fin qui, di cui tuttavia non si dà abbastanza pensiero la parte gaudente del genere umano; in quelle classi di cui è intenzione del presente lavoro tracciare i principali elementi; in quelle classi che, come già pel passato emanarono dal loro seno il ceto medio, dovranno nell'avvenire dar la materia d'una società diversamente atteggiata e d'una civiltà novella; in quelle classi dico, serpe, e si agita, e fa suo cammino inconsciamente un bisogno di fede nuova, più pura di pregiudizi, meno materiale, più logica, se così posso dire, almanco nella sua estrinseca forma. È inutile il dissimularselo. Le agitazioni politiche, le quali dalla caduta del colosso napoleonico fino ad ora — e non accennano cessare — hanno scombuiato il mondo, non sono che i prodromi d'una rivoluzione sociale; ma questa, come quella politica, non sono che un rimutamento esteriore dell'umanità, il quale avendo luogo nella materia, implica, ed è manifestazione ed effetto d'un rimutamento necessario avvenuto o da avvenire contemporaneamente nello spirito. L'idea domina il mondo: lo spirito regge l'uomo; avete bel decretare con impotenti aforismi materialistici che lo spirito non esiste e che l'idea è una creazione della sostanza cerebrale; sarà sempre la modificazione della parte immateriale dell'uomo che cagionerà e guiderà i mutamenti e i progressi de' suoi fatti esteriori e de' suoi istituti. Perciò voi vedete la quistione religiosa far capolino da per tutto sotto quella politica. Invano la volete escludere; invano volete rimandarla al di poi; riuscirete forse a ritardarne l'aperto scendere in campo; ma, dopo avere assalito l'intelligenza dei pensatori nelle loro veglie travagliose, dopo avere lottato nell'arena scientifica coi crogiuoli del chimico, lo scalpello dell'anatomico e le deduzioni sperimentali del fisiologo, lotta che ne acuisce come cote le armi, e la purga da molti elementi d'errore; dopo avere oscuramente, confusamente agitate le coscienze delle plebi, un giorno scoppierà nelle manifestazioni della vita sociale, non colla violenza materiale, speriamo, ma con quella ancora più irresistibile d'una nuova evoluzione della mente umana che ha bisogno di trovare la sua forma, d'una necessità del progresso.Io qui non sono nè propagatore di nuove dottrine, nè ambizioso cercator di proseliti; sono espositore soltanto d'un complesso di pensieri a tal riguardo, nel qual complesso mi pare scorgere che s'acquetino le aspirazioni superiori dell'anima, le esigenze della ragione e i dati positivi della scienza moderna.Ciò detto, l'autore, si rintana nella sua parte passiva, e lascia parlare i suoi personaggi.— Io t'ho già detto, così parlò Maurilio, che fin da bambino la mia mente era stata assalita dal tremendo quesito delle origini e del fine dell'uomo, che le mie audaci interrogazioni spaventavano la fede tranquilla ed umilmente rassegnata del buon Don Venanzio, e che questa fede medesima cui quel vecchio, virtuoso sacerdote aveva fatto ogni sforzo per radicarmi nel cuore, era venuta meno in me, innanzi all'ardita analisi della mia ragione. L'edifizio scavato a poco a poco sotto le fondamenta da questa potenza d'analisi, a un dato punto crollò per intiero, ed io mi trovai in mezzo alle rovine di esso, innanzi ancora d'aver letto Descartes nella condizione che questi assegna per primo elemento, per punto di partenza all'acquisto della cognizione, con un compiuto scancellamento dalla tavola dell'intelligenza d'ogni affermazione apriori.«La quistione del male aveva chiamata la mia attenzione da molto tempo. Senza aver letto Bayle, che ne ha dato la formola, già sgomentavo e confondevo la ortodossia del buon parroco del villaggio colla obiezione di questo inesorabil dilemma: «Se il male esiste, o gli è per volontà di Dio, o contro questa volontà. Ammettendo il primo, Dio non è nè giusto, nè buono; non questo, perchè è l'autoredel male, la qual cosa nessuno potrà dire essere bontà; non quello, perchè punisce l'uomo d'aver fatto quel male ch'egli Dio ha creato, a cui perciò ha concorso o cui almanco ha permesso. Se Dio avesse escluso dalla sua creazione il male, l'uomo non l'avrebbe commesso: e una bontà onnipotente non doveva ella far così? Oppure si ammette che il male esiste contro la volontà di Dio, ed allora questi non è più onnipotente, e vi è in questo universo, che voi dite creato da Dio dal niente, qualcheduno o qualche cosa più potente di lui, valendo ad agire contro la volontà di esso, ed è l'autore del male.» A questo argomento il buon Don Venanzio, scandolezzato, tirava in campo le vecchie armi della sua teologia, colle quali la scolastica ortodossa non valse pur mai a rispondere vittoriosamente; e battuto passo passo dall'incalzare del mio raziocinio, si ritirava nell'ultima rocca delcredo quia absurdum, fulminando colla scomunica le audacie investigatrici della ragione umana.«La Chiesa diffatti, innanzi a questo che fu sempre il più gran quesito della filosofia, non ebbe mai una risposta trionfante, fuor quella dell'anatema e dell'inquisizione. Anzi, nel suo formarsi traverso lo scombuiamento delle prime età medievali, patteggiò, direi quasi, coll'obiezione, ed amalgamando le superstizioni popolari, alcune reliquie della parte più bassa del culto pagano, le filtrazioni di una diversa teogonia dall'Oriente, costituì al Satana del volgo una potenza per poco non pari a quella del Creatore, e consacrando coll'autorità religiosa le tradizioni e le leggende, fece passare nell'ortodossia l'idea eterodossa d'un semidualismo nel governo dell'Universo.«La filosofia pagana non s'era volta di proposito a cotal ponderosa quistione. Appena se l'aveva toccata passando; e Platone medesimo, l'idealista, ed Aristotile avevano ammesso una specie di dualismo fra due Eterni: lo spirito regolatore e governatore, e la materia increata, ma da quello regolata e diretta. La società pagana tutta rivolta al bello artistico, in certe circostanze e forme di sua costituzione che escludevano gran parte di quel male fisico che assalse le plebi di poi nel rovinìo di quella civiltà, aveva dirette le sue speculazioni al bene, e non aveva mirato che sotto colori gai, poetici e ridenti i grandi soggetti che s'impongono alla nostra mente: Dio, l'uomo ed il creato. Ma all'infelice vivente nel medio evo, flagellato da mali d'ogni sorta e da miserie incomportabili, questi oggetti sono apparsi in tutt'altra guisa, traverso i suoi dolori e la sua disperazione. Il male lo stringeva da ogni parte e sotto ogni forma, oppressione delle anime ed oppressione dei corpi, servitù più dura che la schiavitù antica, perchè sopportata più impazientemente, mentre la nuova religione e il progresso dell'umanità avevano già fatto entrar nell'animo la coscienza dei diritti individuali e la lusinghiera idea dell'uguaglianza giuridica; violenze inaudite, guerre continue, pestilenze, carestie, tutti i flagelli riuniti.«Come non credere alla potenza di questo male? Com'era egli venuto al mondo? Avrebb'egli avuto fine?«Satana, il Dio del male, s'impianta e sovraneggia sempre più nel mondo, anche secondo la dottrina cattolica. Il dualismo, che è base alle cosmogonie asiatiche ed al gnosticismo alessandrino, si insinua nella metafisica, nella morale, per non dire nel dogma della nuova religione, aggiunta nociva all'opera divina del Nazareno. La Chiesa ammette il principio cattivo e lo riveste d'una esistenza reale, che s'impone alla fantasia sotto mille forme mostruose, che riempie di sua potenza la natura fisica con tutti i fenomeni inesplicati dalla scienza bambina, e la natura morale con tutti i giuochi delle passioni non disaminate dalla psicologia in fascie.«Sulle concessioni fatte al sentimento comune dall'ortodossia cattolica esagera e travalica l'immaginativa popolare, la febbre dello sgomento, l'ebbra cecità dell'ignoranza. Sempre udendosi dai loro sacerdoti minacciare di questa misteriosa potenza, le masse ignoranti finirono per dirsi che ella potrebbe forse con un culto disarmarsi e rendersi loro propizia[9]. L'idea demoniaca favorita dalla Chiesa che credette trarne profitto per sè, si volse in molte parti contro la medesima e suscitò le follie morbose della stregoneria e passò all'eresia, aggiustando per le credenze dell'Occidente una parafrasi del Manicheismo orientale. Satana divenne creatore ancor egli; il mondo visibile è opera sua, cattiva al pari di lui; i monarchi della terra sono necessariamente suoi ministri; le potenze lo servono e la maggiore di tutte, la Chiesa Romana, è la più efficace produttrice del male. Era nata l'eresia degli Albigesi cui dovevano reprimere con tanta crudeltà i roghi dell'Inquisizione.«Con l'amalgama confuso e soverchio delle letture ch'io aveva fatto, in mezzo alle mie meditazioni io mi travagliava inutilmente e penosamente a stringere il vero traverso il combattersi e l'urtarsi, il turbinare di mille diversi, opposti argomenti. La Chiesa cattolica non aveva saputo darne alcuna logica soluzione, ma il cristianesimo — che è cosa ben differente dalla Chiesa — ne aveva pur data una sublime. «Il male — dice in sostanza la vera religione di Cristo — è entrato nel mondo per fatto d'una volontà intelligente, creata libera di scegliere il bene; imperocchè Dio essendo la suprema libertà, ha fatto la creatura ad immagine sua, cioè libera nelle sue determinazioni, epperò risponsabile.»«Il medio-evo non aveva potuto comprendere questa magnifica risposta, egli che non poteva farsiil menomo concetto della libertà, oppresso com'era e servo in tutto e per tutto, lo spirito ed il corpo. Non potevo allora nemmanco comprenderla io che mi credevo in balìa alla cieca forza della fatalità nemica d'ogni libero arbitrio. E poi mi rispondeva il sofisma: «Se Dio ha creato l'uomo, egli l'ha fatto con tutte le sue facoltà ed attributi, tale e quale. Tutto dunque nell'uomo proviene da Dio, non c'è nulla di possibile in lui che non vi sia per espresso volere di Colui che l'ha tratto dal nulla. Checchè faccia l'uomo, qualunque partito abbracci, egli non si può muovere che in un cerchio designato ed in condizioni già precedentemente stabilite; come dunque, se fa il male può dirsi ch'egli ne sia l'autore, e l'autore a dispetto di Dio?«A conservarmi nelle opinioni spiritualiste, malgrado le letture cui già m'era avvenuto di fare, fino ad una certa età avevano giovato le apparizioni di quell'essere immateriale alla cui realtà avevo fermamente creduto; cessando queste apparizioni, il dubbio anche sulla verità delle medesime era entrato nell'animo mio. In quella mi cadde tra mano ilSystème de la naturedel barone d'Holbach. L'apparenza scientifica di quel dettato, la logica sofistica delle sue deduzioni, il calore stesso di alcune sue pagine in cui vi par di sentire, traverso la convinzione personale, la voce della verità, mi produssero una grandissima impressione: a ciò si aggiunsero i trattati di Cabanis e di Destutt de Tracy, e persino uno di Broussais che divorai coll'ardore con cui una giovine donna dimentica il volo del tempo nella lettura d'un romanzo. Credetti posto in sodo dalla filosofia, la scienza del ragionamento, e dalla fisiologia, la scienza dell'osservazione, ambe d'accordo, che in noi, che nei fenomeni della vita, che nel mondo universo non v'era che materia, la quale, per necessità di leggi ad essa medesima inerenti, doveva atteggiarsi a quelle varie forme ed a quei varii fenomeni.«Spogliai l'uomo dello spirito immortale. Non vidi più in esso coi miei autori, che un tutto di organi corporei e di funzioni proprie di questi organi; l'io, la personalità umana non fu più un essere, un ente da sè; non fu altro che un fatto, un prodotto dovuto a questa o quest'altra disposizione delle molecole materiali. L'intelligenza e la sensibilità non furono altro più che funzioni dell'apparecchio nervoso, come la trasformazione degli alimenti in chilo ed in sangue, è una funzione dell'apparecchio digestivo e di quello respiratorio. Il pensiero fu una secrezione del cervello, come la bile è una secrezione del fegato e l'orina delle reni. L'esistenza dell'anima non fu più che un'ipotesi, a cui nessuna osservazione non dà fondamento, cui nessun ragionamento rincalza, un'ipotesi gratuita, ed anzi un'idea priva di significato.«Codeste opinioni mi angustiavano l'anima. Un profondo scoraggiamento, un'apatìa, un intimo sdegno delle cose e di me, un abbassamento nella forza del pensiero ed anco nella nobiltà dei sentimenti, n'erano l'effetto. In me, contro quell'errore del mio intelletto, protestava mutamente la coscienza: ma forse non avrei avuta la forza di scuotere quel dannoso e torpido giogo del sofisma, se l'amore non fosse venuto ad incitarmi l'anima, se nella crisi della suscitata passione non si fossero con più vigore rideste le facoltà del mio spirito.«E fu a questo mio spirito già scosso entro la mia carne, che venne a favellare il vero lo spirito etereo delle mie visioni.«Poichè mi ebbe detto il nome della donna all'anima della quale era irrevocabilmente consecrata oramai l'anima mia, la soave apparizione mi guardò un istante immobile, in silenzio, ma con dolcissimo lampeggiar di tenerezza non dagli occhi soltanto, ma da tutta quella vaporosa forma di contorni vaghi e sfumati: quindi non alle mie orecchie, ma proprio sotto il mio cranio, direttamente al mio cervello, non per ondulazioni sonore, ma per immediata comunicazione d'idee, udii suonare con ben altra efficacia, con ben altra eloquenza ch'io non sappia tradurre in parole la sostanza dei concetti seguenti.«— Tu sei poeta: il pensiero sotto l'impulso dell'affetto si traduce in te facilmente coll'armonia del verso; ma la forma in te, bada che non pigli sopravvento sull'idea e non sciupi in lavoro di espressione la forza che, concentrata, darebbe potenza e virtù al pensiero. Poeta è lo spirito di tanto progredito nella evoluzione della sua esistenza immortale, che può cogliere nei campi dell'eterno vero più chiare apprensioni dell'assoluto, e queste tradurre in opere ed in linguaggio umano a beneficio dell'umanità. Il tempo in cui all'orecchio dell'uomo suonava più gradito e riusciva più fruttuoso il concento melodico dei versi è passato. La fantasia lascia parlare oggidì la ragione; la poesia — l'apprensione del vero — si deve fare oramai colla scienza. Lascia gl'inni, i cantici d'amore, le odi: agisci e parla come uomo che ha uno scopo, che lo vede, e che vuol camminare determinatamente verso di esso, traverso tutti gli ostacoli e i labirinti della via. Quale lo scopo? Migliorar sè e concorrere al miglioramento della famiglia umana a cui la vita terrena t'imbranca: scoprire colla tensione dello spirito, collo sforzo della volontà, collo studio tuo particolare, che si connette e si addenta, come ruota piccolissima in una gran macchina, collo studio della umanità che fu e che è, e di quella eziandio che sarà, complesso meraviglioso di tanti minuti sforzi individuali che forma il progresso del mondo umano; scoprire una maggior parte di vero, e questa diffondere e comunicare ed applicare, se possibile, a vantaggio di tutti.«Tu ami. — Che cosa t'impone quest'amore? — Farti degno di lei. — Potrai tu giungere sino ad essa in questa corta evoluzione di esistenza che haluogo sulla terra? — Forse no. — Che importa? — Bisogna lavorare per avvicinarvisi almanco. Non è sospirando inutili versi amorosi che tu riuscirai a spingerti verso di lei nè socialmente, nè moralmente, nè intellettualmente. Consulta l'intima voce del tuo cuore, ed odi ciò ch'essa ti dice.Excelsior!Più su! Più su! nell'immensa catena degli esseri.«Come per pareggiarne la condizione umana ti conviene salire dagli infimi gradi della scala sociale; così per avvicinarsi alla sublimità angelica di una anima, è forza appurare ed affinare la propria. Il tuo ingegno ti rivela parte dei bisogni dell'umanità presente, la tua esperienza te ne mostra le miserie: applica quella potenza di pensiero cui già raggiunse il tuo spirito ai fruttuosi travagli della scienza sociale, aumenta in te i tesori d'una dottrina il cui complesso e risultamento sia la conoscenza delle leggi che applicate possono migliorare lo stato interno e quello esterno dell'uomo, la morale e la economia pubblica, e quando tu così sarai in possesso d'un barlume di più della verità, fallo splendere agli occhi degli uomini intorno a te. Meriterai di questa guisa innalzarti nella gerarchia sociale: potrai provare che nell'umile corteccia di rovere si trova la verga d'oro; e s'anco l'ingiustizia umana ti lascia cadere e passare ignorato nel mondo, sarà, al chiudersi di quest'episodio terreno della sua esistenza immortale, migliorato il tuo spirito: il tuo spirito, a cui, ora, esso stesso, da false apparenze traviato, ha l'audace stoltezza di non credere!«Drizza a ciò ch'io ti comunico tutta la tua attenzione: continuava in quella stessa maniera ma con più autorità ancora a susurrarmi entro il cervello la fantastica forma muliebre. Per me è lo spirito di verità e di carità che ti parla. Questo non è senno mio, non è scienza mia, è un raggio del sole dell'intelletto che da me, per divina provvidenza, viene riflesso nell'anima tua. Alle illazioni della tua falsa scienza, alle temerarie conclusioni di un'osservazione parziale che non abbraccia più di un lato meschino della verità, odi ciò che risponde quella cognizion delle cose che, innalzatasi su poggio più elevato, corre col suo sguardo una maggiore estensione di vero.«Tu ti affanni e bestemmi nell'argomentare intorno alla quistione del male. Or sappi che il senso assoluto che si dà a questi due terminibeneemale, secondo il dogma dell'antichità, non è esatto. Queste due parole, come tutte quelle che esprimono l'esistenza e i suoi modi, non hanno significazione immutabile nel regno del relativo che è la terra, e pigliano un senso nuovo ad ogni volta che l'umanità concepisce una nuova dottrina generale. In faccia alla verità assoluta non esiste che il bene; il male si risolve in nient'altro che in una negazione maggiore o minore del bene, la totale assenza di questo sarebbe il male assoluto; e questa totale assenza nel mondo è impossibile. Il male quindi non è cosa reale ed esistente per sè, è una cosa negativa, è una privazione, e va cessando a seconda che nel suo cammino fatale — o per dir meglio provvidenziale — l'umanità, come tutta la creazione, si viene raccostando sempre più al bene assoluto. Ciò dà essenzialmente, necessariamente il suo carattere di relatività al male. Nessuna potenza rivale di Dio l'ha creato. Si crea da sè temporariamente, per mancanza di bene. La legge dell'esistenza è ilmeglio[10], val quanto dire l'indefinito, continuato, progressivo perfezionamento. Il male ed il bene da noi percepiti non sono che due aspetti che ci presentano le cose: considerate sotto il rispetto della morale pel bene e male morale; considerate sotto quello del danno e dell'utile pel bene e male fisico; considerate sotto quello dell'ignoranza o della conoscenza pel bene o male intellettuale.«Il bene d'oggi sarà male domani, perchè domani l'umanità sarà migliore: il bene di ieri è già male al giorno d'oggi; ma mentre il bene diventa male, mai quello che l'umanità ha già giudicato male non ridiventa bene. Adunque il male assoluto, che sarebbe la negazione dell'essere, non esiste; esiste il male relativamente ma di meno in meno, tendendo gradatamente a scomparire: e questo è il progresso, la ragione suprema dell'evoluzione universale. Bene e male sono luce e tenebre. Quello che esiste è la luce; l'ombra non è cosa che esista, è la privazione della luce.«La legge di camminare verso il meglio è una legge che regola tutta la creazione: all'uomo essa costituisce la sua legge morale. Guarda soltanto la tua meschinissima terra, che è un punto meno che impercettibile nell'infinito numero dei mondi nello infinito spazio: l'evoluzione cosmica nelle fasi della sua esistenza è un incessante travaglio di progressione verso il successivo miglioramento. La geologia ti parla di questi immensi scambiamenti di forme e di condizioni, in cui ti pare la natura siasi provata in vari saggi a raggiungere i tipi della creazione attuale. Non erano tentativi, non erano abbozzi; erano tipi compiuti e i più perfetti possibili nelle condizioni d'esistenza di quei periodi; a voi viventi nell'epoca attuale una maggior perfezione relativa conseguita fa sembrar quelli poco meno che aborti, come fra migliaia di secoli le creature più perfette che abiteranno il vostro globo, troveranno voi imperfettissimi accenni delle loro forme, delle loro facoltà, della loro intelligenza. Del progressivo sviluppo delle facoltà umane ti parlano con linguaggio irrepugnabile l'archeologia, la storia, la legislazione.«La stessa forza di progressione che ha plasmato e plasma successivamente in tipi sempre più perfetti le forme degli esseri sulla crosta della tua terra, ha dunque regolato il nuovo conquisto d'idee e del successivopiù ampio lume di verità nel mondo intellettivo e morale del genere umano. Ma questa è ella una forza, cieca, senza ragione, inerente fatalmente alla materia medesima? No. Questa è la forza dello spirito della vita; questa è la manifestazione mediata nella materia della volontà creativa.«Ma perchè, potrebbe dirsi, questo lento e travaglioso trascinarsi verso il meglio? Dio, poichè si afferma la sua esistenza, non avrebbe potuto e dovuto far addirittura la creazione perfetta, e così rendere impossibile sempre ogni negazione di bene?«Ma come volete voi, intelligenze limitatissime, poste appena sul limitare del tempio della verità e della luce, conoscere e giudicare le ragioni dell'intelligenza infinita che è luce e verità assoluta? Anco la luce fisica che vi abbellisce il mondo corporeo avrebbe potuto esser creata di guisa che tutto e sempre ne fosse inondato senza ripari lo spazio; e l'armonia delle cose avrebbe dovuto esser diversa. La creazione diversamente atteggiata avrebbe risposto ad un diverso concetto; ma quello che è nella mente di Dio non può essere che il concetto migliore.«L'universo non doveva essere pari con Dio; la perfezione nelle intelligenze create, era un fare degli esemplari dell'intelligenza infinita e del bene assoluto: era un assurdo anche per la vostra logica. Lo spirito creatore, essenzialmente ed assolutamente libero, creò spiriti in una relativa libertà contingente, da cui potesse nascere la rispettiva imputabilità, ed aver luogo il rispettivo travaglio provvidenzialmente volontario del proprio immegliamento.«Gli spiriti innumeri che animano la creazione tutta nell'universo infinito, e che si manifestano col fenomeno della vita prima inconsciente, poi conscia; gli spiriti tutti furono creati semplici colla virtù di svolgere le proprie facoltà apprensive traverso le varie esistenze e colla forza di volontà di determinarsi, forza adattata alle diverse circostanze delle loro condizioni successive. Essi possono così volgersi al bene come da questo astenersi — il che costituisce relativamente il male, e questo graduato secondo la minore o maggiore astensione dal bene. — L'ampiezza, la misura, il carattere di questo bene possibile allo spirito sono diversi, secondo le varie esistenze dello spirito medesimo, diverse fra di loro eziandio per le capacità maggiori, che nelle successive sue evoluzioni, esso viene acquistando. Se quest'individualità di essere volente che chiamiamo spirito od anima, ha nella sua transitoria esistenza conseguito una maggior parte di quel miglioramento che era la relativa perfezione in quel periodo di vita assegnatagli, e' si presenterà alla soglia del periodo successivo — un gradino più elevato nell'infinita scala che ha da percorrere — meglio dotato di qualità, più capace ancora di progresso e di bene: se invece le sue opere furono da quel suo bene possibile più o meno lontane, esso si troverà di tanto meno progredito di quanto fu maggiore o minore in lui la negazione del bene....»Giovanni Selva, che ascoltava con maggior attenzione e longanimità di quanto si sarebbe potuto aspettare dalla sua spigliata ed impaziente natura, interruppe a questo punto:— Ma questa è nè più nè meno che la teoria di Dante di cui mi piace, se mi concedi, ripeter qui i versi.— Dilli pure: soggiunse Maurilio. So a quali vuoi alludere, ma non dispiacerà anche a me il riudirli.— Eccoli qua:Voi che vivete, ogni cagion recatePur suso al Ciel, così, come se tuttoMovesse seco di necessitate.Se così fosse, in voi fora distruttoLibero arbitrio, e non fora giustiziaPer ben letizia, e per male aver lutto.Lo Cielo i vostri movimenti inizia,Non dico tutti; ma posto ch'io 'l dica,Lume v'è dato a bene, ed a maliziaE libero voler: che se faticaNelle prime battaglie del ciel dura,Poi vince tutto, se ben si nutrica.A maggior forza ed a miglior naturaLiberi soggiacete, e quella criaLa mente in voi, che 'l Ciel non ha in sua cura,Però se 'l mondo presente disvia,In voi è la cagione, in voi si cheggia,Ed io te ne sarò or vera spia.Esce di mano a lui che la vagheggia,Prima che sïa, a guisa di fanciulla,Che piangendo e ridendo pargoleggia,L'anima semplicetta, che sa nulla;Salvo che mossa da lieto fattore,Volentier torna a ciò che la trastulla.Di picciol bene in pria sente sapore;Quivi s'inganna, e dietro ad esso corre,Se guida o fren non torce suo amore[11].— Sì: riprese a dire Maurilio: Dante colla potenza del suo genio ha travisto la verità. Ma quella libera scelta ch'egli sembra rinserrare nella cerchia della vita umana dello spirito ha da aver luogo in tutte le sue vite, anche in quelle che si passano prima che arrivi al grado pur tuttavia sì infimo dell'umanità nel nostro pianeta.— Tu dunque, interrogò Giovanni, ammetti per la nostra anima delle esistenze anteriori alla presente come di quelle posteriori?...— All'infinito, proruppe con impeto Maurilio; all'infinito e le une e le altre. Me lo disse il mio benigno spirito. Da qualunque parte si volga, qualunque cosa consideri l'uomo, si trova in mezzo a due infiniti, o per dir meglio, egli, nella sua vita contingentee temporaria è sempre avvolto, compreso, perduto nell'infinito. Quando incominciarono ad esistere gli spiriti intelligenti e volenti? Vi fu ella prima una materia senza intelligenze che la guidassero e se ne servissero? La forza necessariamente coesistente alla materia non fu ella sempre l'attributo di un volere che capisce? Il mondo e le intelligenze speciali che gli danno ragione di essere, e l'intelligenza assoluta e prima non coesistettero ab eterno? Ma l'infinito mondo spirituale non ha mandato e non manda che a fiotti su su nella via ascendente del progresso verso l'assoluto forse da non arrivarsi mai, il suo popolo di anime immortali che iniziano la loro carriera dagli ultimi gradi della vitalità nei varii globi dello spazio interminato. L'immensa folla si intorpidisce in quelle dense aure della materialità più crassa e non comincia ad affinarsi che dopo un lungo periodo di tempo, e s'affina così lentamente che lunghe sono le sue stazioni nei mondi e nei gradi inferiori: noi viventi su questo pugno di terra all'epoca presente con tante deficienze tuttavia, siamo spiriti attardatici dall'eternità nel cammino delle esistenze e non pervenuti ancora che a questo misero e debol grado di miglioramento dell'umanità terrestre.Poichè Maurilio qui si tacque un momento, il suo ascoltatore ne prese occasione per dire:— Tutto questo è poetico in sommo grado, e non nego che ha del grandioso ed alcun che di logico, onde rimane colpita la mia ragione; ma vi è una quistione precedente ed affatto pregiudiciale, e si è quella dell'esistenza dell'anima immortale. I Francesi sogliono dire che per fare uncivet de lièvre, conviene prima di tutto avere questo povero diavolo di lepre. Per far passare quest'anima traverso le esistenze come uno scolaro per varii anni del corso universitario, affine di arrivare alla laurea della perfezione, bisognerebbe anzi tutto mettere in sodo che quest'anima esiste. Non è già ch'io voglia sostenerne la non esistenza, ma poichè tu dagli argomenti dei materialisti t'eri lasciato sedurre a credere quell'esistenza una ipotesi non giustificata, bramerei un po' sapere se il tuo spirito ha combattuti quegli argomenti, e come ha fatto per di nuovo radicarti nella credenza contraria.— Sì, lo spirito combattè il mio errore, e ti dirò in breve le sue ragioni.«Primo torto dei materialisti è quello di voler applicare le scienze positive, l'astronomia, la chimica, la fisica, la fisiologia a risolvere dei problemi che non sono di loro competenza, e per cui quindi esse non hanno mezzi acconci e sufficienti. La scienza non si occupa immediatamente del problema di Dio e dell'anima; pur tuttavia, considerata senza sistematico preconcetto, quando a tali problemi si vogliano applicare le conoscenze scientifiche attuali, lungi dal favorire la negazione, esse affermano al contrario l'intelligenza e la sapienza delle leggi che regolano la natura e l'esistenza nell'uomo eziandio di qualche cosa che è estraneo e superiore alla materia.«La scienza certamente ha distrutto l'idea meschina ed affatto umana che di Dio s'era fatta l'antichità. In ogni epoca l'uomo concepisce siffatta idea in armonia col grado di sviluppo del suo sapere e della sua intelligenza. Al Dio vendicativo, appassionato, antropomorfo dei dogmi dell'antichità, il genere umano più illuminato ha da sostituire e viene sostituendo una concezione di Dio che più s'accosta a quell'assoluto cui pure mente umana non potrà mai comprendere; ma l'affermazione dell'intelligenza suprema dirigente si snebbierà sempre più luminosamente, mercè la scienza più vasta, innanzi agli uomini fatti più dotti.«I materialisti, ridotte al sommo tutte le loro argomentazioni, fondano il proprio sistema su questa affermazione: che le forze onde viene diretto l'universo, non lo dirigono punto, che queste forze non sono le guidatrici della materia, ma ne sono anzi le schiave, e che gli è la materia inerte, cieca, sprovvista d'intelligenza che per forza propria, presa non si sa d'onde, si dirige mercè delle leggi di cui ella è incapace ad ogni modo di apprezzare l'essenza e l'efficacia.«Questa temeraria affermazione rincalzano essi con ragionamenti che si possono ridurre alla seguente formola: «La forza è una proprietà della materia; ora una proprietà della materia non può essere considerata come superiore, creatrice ed ordinatrice della materia medesima; dunque l'idea di qualche cosa di estraneo alla materia è un concetto assurdo.» Ma essi pongono per prima cosa, come aforisma, ciò appunto di cui è da discutersi, che la forza sia una proprietà della materia: chiamati su questo terreno a provare tale loro asserto, essi non hanno che questo ragionamento: «S'incontrano sempre insieme la forza e la materia:dunquela prima è una qualità della seconda.»«Ma tutto nell'universo dimostra che la materia è soggetta alla forza. Invano i materialisti si sforzano con delle false deduzioni da false esperienze a provare il contrario. Guardate il mondo inorganico. Tutto in esso è regolato dalla legge.Numerus regit mundum.Questa legge si traduce, si rappresenta allo spirito umano colle cifre d'un numero. Tutto è armonia, e l'armonia è composizione di numeri: il suono, il colore, la forma medesima appartengono al numero, perchè ogni figura è determinata dalla cifra. L'ordine numerico regna dappertutto. Il fatto meno significante in apparenza è il risultamento di certe leggi tanto quanto l'avvenimento di maggiore importanza. Di che cosa è capace la materia sola? Che diverrà un atomo d'ossigeno o di carbonio se voi lo immaginate all'infuori d'ogni legge? Supponiamo un istante che questa legge del numero non esiste, noi avremo distruttetutte le armonie dell'universo. Ora, la facoltà matematica può essa appartenere alla materia? No, poichè gli è la legge che presiede alle combinazioni della materia medesima, che quindi è ad essa superiore e la governa. L'esperimentazione vi dice che il suono, la luce, il magnetismo non sono materia, ma diversi modi di movimento. Ora chi ha ordinato questo modo pel suono e quest'altro per la luce? Chi regola quelle forze? Evidentemente sono quelle forze medesime, od una forza superiore che tutte le abbraccia. La materia non è in tutti questi movimenti che il soggetto passivo.«Questo pel mondo inorganico; ma se noi passiamo al mondo organico la evidenza d'una forza estranea e superiore alla materia ci si fa più e più sempre luminosa. Dal primo istante in cui si manifesta la vita nei più bassi ordini della medesima, sia vegetale che animale, noi ci troviamo tosto a fronte una forza o legge direttrice che sceglie per ciascuna individualità esistente nel gran serbatoio della natura quegli elementi che sono necessari e li coordina nel modo che occorre per formare e mantenere il tipo della specie a cui quell'individualità appartiene. A chi non appare questa forza organica particolare anche nel regno vegetale, che si potrebbe chiamare lo spirito delle piante, per cui si manifesta un essere virtuale che fa obbedire alla sua esplicazione la materia di cui si giova? Il fatto della scelta degli elementi costitutivi del proprio tipo è un fatto intelligente; ma la materia per sè può dirsi intelligente e capace di scegliere? Essa è puramente passiva, dotata di certe proprietà che la rendono suscettiva di obbedire alle leggi; conviene che queste intervengano per regolarla, ordinarla, informarla. Come potrebbe essa la materia avere un disegno e tendere ad uno scopo? Come, senza intelligenza, produrre degli esseri intelligenti? E come, se si nega lo scopo nelle parti e nel tutto dell'universo, questa materia pur tuttavia agirebbe con risultamenti d'una innegabile utilità finale?«Dal mondo vegetale passando a quello animale l'evidenza della forza intima che informa gli esseri e ne crea l'individualità, si fa sempre maggiore. È apparso un fatto capitale: la presenza del sistema nervoso che produce e forse direbbesi più giusto perfeziona ed estrinseca la sensibilità (poichè io non vorrei negare che nessuna sensibilità affatto appartenga all'essere pianta) e si fa mezzo e stromento dell'intelligenza. Dallo stato rudimental in cui si trova nei zoofiti sino al suo più compiuto sviluppo nella specie umana, il sistema nervoso è il segno dell'animalità e presiede a dei fenomeni immateriali. L'essere, salendo su per la scala dell'organismo dal vegetale all'animale, acquista via via coscienza di sè, la sensazione, poi la riflessione delle sensazioni, l'intelligenza. Ad ogni grado del suo stato, quella forza intima che è in lui e che lo costituisce si forma intorno colla materia che lo circonda, quegli organi che gli sono adatti e che rispondono alla sua presente condizione virtuale. Gli elementi sono sempre i medesimi, pescati da tutti nel medesimo serbatoio; ma come si farebbe che questa molecola di ferro, che ora fa parte d'un uomo, appartenne ieri ad un altro animale, ad un vegetale, era poc'anzi nel suolo della terra, e tornerà nel suo giro infinito a passare da questi a quelli? Perchè questi medesimi atomi costituiscono ora un corpo, ora un altro, vestono ora una forma, ora un'altra? La materia è sempre la medesima: e s'ella fosse tutt'insieme materia e forza, e se la forza è unica, come può avvenire che produca fenomeni così distinti? La forma degli esseri organici dipende adunque dallo spirito che sta in essi e che si riveste a seconda di materiali elementi. Tutti sono costituiti delle medesime molecole, e non una di essa appartiene in proprio all'individuo che temporaneamente la possiede, ma con vicenda incessante passano tutte dagli uni agli altri. Quando l'essere vivente muore, che cosa succede? Nulla è distrutto, nulla cambiato nella materia; essa è imperitura; non è che la forma la quale si disfaccia: è cessata quella forza intima che disponeva gli elementi materiali in quella certa guisa e li obbligava a regolarsi secondo leggi speciali che son quelle della vita, e con una fenomenìa alquanto diversa secondo la diversità della specie di quell'essere organico: gli atomi tornano esclusivamente sotto la direzione generale delle altre leggi universali della natura. Lo spirito che è stato quello che ha plasmato quella forma, si è ritirato da essa e la lascia cadere e disfarsi.«Nel corpo umano in un dato tempo non si ha più una sola molecola di quelle che v'erano dapprima[12]; eppure chi oserebbe dire che l'uomo è cambiato? Chi non sa che la medesima volontà, che la medesima intelligenza continuano? Chi non conosce il fenomeno della memoria, il quale se fosse cosa inerente alla materia, questa per intiero scambiandosi, dovrebbe con essa dileguarsi?«Ma quest'essere che nell'uomo acquista la più spiccata personalità sulla terra mediante la più libera facoltà di volere, la più ampia facoltà di comprendere; quest'essere onde viene, qual'è il suo fine passando traverso questa vita, a qual destino è chiamato quando si sciolga dal presente involucro di carne e lasci disfarsi quella forma che la sua forza intima gli ha radunato dintorno?«Collo studio dell'embriologia fu dimostrato che l'embrione umano passa per differenti fasi, in cui sipossono vedere adombrate le fasi diverse corrispondenti per cui nei tempi anteriori ha dovuto passare l'umanità, prima di arrivare alla forma presente. I vertebrati superiori rivestono successivamente, come in abbozzo, i principali caratteri delle quattro grandi classi del loro tipo. In codesto molti videro un'immagine delle fasi cui nel corso delle età antichissime la medesima classe d'animali ha successivamente attraversate, progredendo nella scala degli esseri. Nel vedere la rassomiglianza che l'embrione umano offre successivamente cogli embrioni delle tre classi dei vertebrati inferiori a quella dei mammiferi; si è domandato se lo stato presente non sia un risultamento delle evoluzioni passate e quella una traccia delle evoluzioni medesime.Or bene, queste che paiono — e forse sono — rivelazioni del passato di questa nostra forma materiale onde siamo rivestiti, dànno eziandio un adombramento del passato che dovette percorrere il nostro spirito prima di diventar degno di circondarsi della forma d'uomo e di costituire quest'essere che nel basso mondo terreno tiene il primato dell'intelligenza.»— Capisco tutta la tua teoria: interruppe Giovanni. Lo spirito comincia la sua esistenza dai più infimi gradi della manifestazione della vita e traversa tutti questi gradi acquistando sempre nella coscienza e nella volontà, finchè giunge all'essere uomo, ultimo grado.....— Su questa terra! Aggiunse impetuosamente Maurilio. Qui o in mondi pari a questo avrà più o meno esistenze secondo che più o meno saprà trar profitto della sua incarnazione umana; ma quando di tanto si sarà appurato da poter varcare a mondi superiori, allora prenderà il volo per gli spazi eterei ad arrivare più benedette e più luminose sfere, in cui ad esso maggiormente risplenda il sole della verità e dell'intelligenza. E tutto questo movimento del mondo spirituale frammischiato e serventesi e informatore del mondo materiale: quest'ascensione infinita ed eterna degli spiriti verso l'assoluto che non arriveranno mai, traverso gli spazii dell'infinito, in tutti i mondi che lo popolano, nell'eternità del tempo!... L'uomo ed ogni spirito in qualunque corpo racchiuso, in qualunque mondo vivente, è di questa guisa quale esso stesso si è fatto. Come la sua intima virtualità gli raduna intorno gli organi e le forme che corrispondono alle sue facoltà; così il suo destino, la sua condizione temporaria nelle varie vite gli sono assegnati, per una legge direi così di equilibrio che è la volontà e la giustizia di Dio, dalle condizioni e dallo stato della sua anima...— E ciò vuol dire: interruppe di nuovo Giovanni: che chi soffre in questa vita gli è per iscontare il difetto di merito che non s'è procurato nelle vite anteriori?— Vuol dir questo, ma non esclusivamente. Lo spirito fra una ed altra incarnazione riacquista più o meno chiara la coscienza delle esistenze del suo passato, e può abbracciare con uno sguardo più o meno apprensivo, più o meno intelligente, a seconda del grado di elevazione a cui è giunto, il complesso dell'opera sua. Gli è allora che giudica sè stesso, gli è allora che si conosce, che apprezza quanto s'è allontanato relativamente dal bene, gli è allora che quanto più la sua volontà si è predisposta al progresso verso il meglio si pente e si propone correggersi. La sua libera scelta allora può fargli accettare nuove esistenze incarnate in misere condizioni da dover soffrire e lottare, perchè le sofferenze affinano appunto l'anima, per dirla con Dante, ed ogni lotta vinta è un passo stampato innanzi nella via del perfezionamento. Sotto l'impero di questo dogma tutti — tutti senza eccezione — sonovocati, e tutti riusciranno eletti; ma successivamente. La vita eterna è per ciascheduno e per tutti una eterna e solidaria educazione. Il destino dell'uomo — che è il destino d'ogni spirito — non è più quello di andarsi ad annientare nel torpore d'una beatitudine eternamente immobile, ma di camminare senza posa nella strada dell'infinito alla ricerca ed alla pratica del meglio.Qui Maurilio si tacque. Gli occhi splendevano sotto le sue sopracciglia sporgenti, come carboni accesi nelle tenebre d'una stanza la sera; dal pallore del suo fronte pareva raggiare una lieve aureola come pallido chiaror fosforico: la voce, l'accento, l'eloquenza delle parole, che qui troppo male si seppe tradurre nel freddo linguaggio scritto, avevano un calore, un'efficacia, una forza inesplicabile di persuasione onde tutto fu penetrato l'animo di Giovanni.Questi, commosso, senza poterne dire chiaramente il perchè, strinse con forza la mano dell'amico e si tacque ancor esso; ed ambidue si guardarono un poco in silenzio, le pupille fisse nelle pupille, una corrente di elettricità scambiantesi con soave fremito dall'uno all'altro.

Fra i lettori di romanzi una buona parte non cerca che l'interesse il quale nasce dalla combinazione degli avvenimenti e dalle manifestazioni della passione; codestoro trovano superfluo e fuor di luogo, in un lavoro d'immaginazione come in opera d'arte, tutto ciò che ha la pretesa di toccare gli alti quesiti della filosofia, della scienza, della politicae dell'economia pubblica; impazienti di arrivare allo scioglimento del nodo bene o male raggruppato che si trovano presentato dinanzi dalla favola del racconto, dispettano ogni indugio che nel cammino venga frapposto da considerazioni o da esposizioni che non sieno azione di dramma. Per questi cotali non è scritto il presente capitolo: e siccome all'intelligibilità dell'intreccio drammatico ed alla conoscenza dello svolgimento dei fatti non nuocerà per nulla affatto l'ometterne la lettura; così io consiglio senz'altro chi non si piace di queste cui giudica vane fisime e inutili sopraccapi di filosofia, di saltare a pie' pari l'intiero capitolo e ricominciare al XXIV, dove si riprenderà la catena della narrazione.

Avendo poi in animo di scrivere in questo lavoro la storia non solo dei fatti materiali della vita, ma dell'anima di certe individualità, in cui rappresentate intiere classi, non mi parve potere a meno che affrontare eziandio il gravissimo quesito dell'essere, della natura, del destino oltre questa terra dell'anima umana: quesito che comprende la quistione della coesistenza del bene e del male e quella della divinità. Qual è l'uomo che pensa, il quale, anche quando si tenga attaccato alla fede impostagli autorevolmente nell'infanzia dall'affermazione presentatagli come indiscutibile dei maggiori, pur tuttavia non si trovi in dati momenti faccia a faccia con questi terribili enimmi gettatigli innanzi di forza dalla sfinge della vita? In quest'epoca in cui ogni credenza vacilla e la crosta esteriore, per così dire, di tutto il mondo sociale è una strana miscela di scetticismo indifferente e di audaci negazioni rincalzate da vantati progressi di scienze positive, con qualche chiazza qua e là di vernice d'ipocrisia, a mio avviso, nel substrato dell'umanità, nelle viscere di essa e forse appunto in quelle classi inferiori non abbastanza apprezzate e curate fin qui, di cui tuttavia non si dà abbastanza pensiero la parte gaudente del genere umano; in quelle classi di cui è intenzione del presente lavoro tracciare i principali elementi; in quelle classi che, come già pel passato emanarono dal loro seno il ceto medio, dovranno nell'avvenire dar la materia d'una società diversamente atteggiata e d'una civiltà novella; in quelle classi dico, serpe, e si agita, e fa suo cammino inconsciamente un bisogno di fede nuova, più pura di pregiudizi, meno materiale, più logica, se così posso dire, almanco nella sua estrinseca forma. È inutile il dissimularselo. Le agitazioni politiche, le quali dalla caduta del colosso napoleonico fino ad ora — e non accennano cessare — hanno scombuiato il mondo, non sono che i prodromi d'una rivoluzione sociale; ma questa, come quella politica, non sono che un rimutamento esteriore dell'umanità, il quale avendo luogo nella materia, implica, ed è manifestazione ed effetto d'un rimutamento necessario avvenuto o da avvenire contemporaneamente nello spirito. L'idea domina il mondo: lo spirito regge l'uomo; avete bel decretare con impotenti aforismi materialistici che lo spirito non esiste e che l'idea è una creazione della sostanza cerebrale; sarà sempre la modificazione della parte immateriale dell'uomo che cagionerà e guiderà i mutamenti e i progressi de' suoi fatti esteriori e de' suoi istituti. Perciò voi vedete la quistione religiosa far capolino da per tutto sotto quella politica. Invano la volete escludere; invano volete rimandarla al di poi; riuscirete forse a ritardarne l'aperto scendere in campo; ma, dopo avere assalito l'intelligenza dei pensatori nelle loro veglie travagliose, dopo avere lottato nell'arena scientifica coi crogiuoli del chimico, lo scalpello dell'anatomico e le deduzioni sperimentali del fisiologo, lotta che ne acuisce come cote le armi, e la purga da molti elementi d'errore; dopo avere oscuramente, confusamente agitate le coscienze delle plebi, un giorno scoppierà nelle manifestazioni della vita sociale, non colla violenza materiale, speriamo, ma con quella ancora più irresistibile d'una nuova evoluzione della mente umana che ha bisogno di trovare la sua forma, d'una necessità del progresso.

Io qui non sono nè propagatore di nuove dottrine, nè ambizioso cercator di proseliti; sono espositore soltanto d'un complesso di pensieri a tal riguardo, nel qual complesso mi pare scorgere che s'acquetino le aspirazioni superiori dell'anima, le esigenze della ragione e i dati positivi della scienza moderna.

Ciò detto, l'autore, si rintana nella sua parte passiva, e lascia parlare i suoi personaggi.

— Io t'ho già detto, così parlò Maurilio, che fin da bambino la mia mente era stata assalita dal tremendo quesito delle origini e del fine dell'uomo, che le mie audaci interrogazioni spaventavano la fede tranquilla ed umilmente rassegnata del buon Don Venanzio, e che questa fede medesima cui quel vecchio, virtuoso sacerdote aveva fatto ogni sforzo per radicarmi nel cuore, era venuta meno in me, innanzi all'ardita analisi della mia ragione. L'edifizio scavato a poco a poco sotto le fondamenta da questa potenza d'analisi, a un dato punto crollò per intiero, ed io mi trovai in mezzo alle rovine di esso, innanzi ancora d'aver letto Descartes nella condizione che questi assegna per primo elemento, per punto di partenza all'acquisto della cognizione, con un compiuto scancellamento dalla tavola dell'intelligenza d'ogni affermazione apriori.

«La quistione del male aveva chiamata la mia attenzione da molto tempo. Senza aver letto Bayle, che ne ha dato la formola, già sgomentavo e confondevo la ortodossia del buon parroco del villaggio colla obiezione di questo inesorabil dilemma: «Se il male esiste, o gli è per volontà di Dio, o contro questa volontà. Ammettendo il primo, Dio non è nè giusto, nè buono; non questo, perchè è l'autoredel male, la qual cosa nessuno potrà dire essere bontà; non quello, perchè punisce l'uomo d'aver fatto quel male ch'egli Dio ha creato, a cui perciò ha concorso o cui almanco ha permesso. Se Dio avesse escluso dalla sua creazione il male, l'uomo non l'avrebbe commesso: e una bontà onnipotente non doveva ella far così? Oppure si ammette che il male esiste contro la volontà di Dio, ed allora questi non è più onnipotente, e vi è in questo universo, che voi dite creato da Dio dal niente, qualcheduno o qualche cosa più potente di lui, valendo ad agire contro la volontà di esso, ed è l'autore del male.» A questo argomento il buon Don Venanzio, scandolezzato, tirava in campo le vecchie armi della sua teologia, colle quali la scolastica ortodossa non valse pur mai a rispondere vittoriosamente; e battuto passo passo dall'incalzare del mio raziocinio, si ritirava nell'ultima rocca delcredo quia absurdum, fulminando colla scomunica le audacie investigatrici della ragione umana.

«La Chiesa diffatti, innanzi a questo che fu sempre il più gran quesito della filosofia, non ebbe mai una risposta trionfante, fuor quella dell'anatema e dell'inquisizione. Anzi, nel suo formarsi traverso lo scombuiamento delle prime età medievali, patteggiò, direi quasi, coll'obiezione, ed amalgamando le superstizioni popolari, alcune reliquie della parte più bassa del culto pagano, le filtrazioni di una diversa teogonia dall'Oriente, costituì al Satana del volgo una potenza per poco non pari a quella del Creatore, e consacrando coll'autorità religiosa le tradizioni e le leggende, fece passare nell'ortodossia l'idea eterodossa d'un semidualismo nel governo dell'Universo.

«La filosofia pagana non s'era volta di proposito a cotal ponderosa quistione. Appena se l'aveva toccata passando; e Platone medesimo, l'idealista, ed Aristotile avevano ammesso una specie di dualismo fra due Eterni: lo spirito regolatore e governatore, e la materia increata, ma da quello regolata e diretta. La società pagana tutta rivolta al bello artistico, in certe circostanze e forme di sua costituzione che escludevano gran parte di quel male fisico che assalse le plebi di poi nel rovinìo di quella civiltà, aveva dirette le sue speculazioni al bene, e non aveva mirato che sotto colori gai, poetici e ridenti i grandi soggetti che s'impongono alla nostra mente: Dio, l'uomo ed il creato. Ma all'infelice vivente nel medio evo, flagellato da mali d'ogni sorta e da miserie incomportabili, questi oggetti sono apparsi in tutt'altra guisa, traverso i suoi dolori e la sua disperazione. Il male lo stringeva da ogni parte e sotto ogni forma, oppressione delle anime ed oppressione dei corpi, servitù più dura che la schiavitù antica, perchè sopportata più impazientemente, mentre la nuova religione e il progresso dell'umanità avevano già fatto entrar nell'animo la coscienza dei diritti individuali e la lusinghiera idea dell'uguaglianza giuridica; violenze inaudite, guerre continue, pestilenze, carestie, tutti i flagelli riuniti.

«Come non credere alla potenza di questo male? Com'era egli venuto al mondo? Avrebb'egli avuto fine?

«Satana, il Dio del male, s'impianta e sovraneggia sempre più nel mondo, anche secondo la dottrina cattolica. Il dualismo, che è base alle cosmogonie asiatiche ed al gnosticismo alessandrino, si insinua nella metafisica, nella morale, per non dire nel dogma della nuova religione, aggiunta nociva all'opera divina del Nazareno. La Chiesa ammette il principio cattivo e lo riveste d'una esistenza reale, che s'impone alla fantasia sotto mille forme mostruose, che riempie di sua potenza la natura fisica con tutti i fenomeni inesplicati dalla scienza bambina, e la natura morale con tutti i giuochi delle passioni non disaminate dalla psicologia in fascie.

«Sulle concessioni fatte al sentimento comune dall'ortodossia cattolica esagera e travalica l'immaginativa popolare, la febbre dello sgomento, l'ebbra cecità dell'ignoranza. Sempre udendosi dai loro sacerdoti minacciare di questa misteriosa potenza, le masse ignoranti finirono per dirsi che ella potrebbe forse con un culto disarmarsi e rendersi loro propizia[9]. L'idea demoniaca favorita dalla Chiesa che credette trarne profitto per sè, si volse in molte parti contro la medesima e suscitò le follie morbose della stregoneria e passò all'eresia, aggiustando per le credenze dell'Occidente una parafrasi del Manicheismo orientale. Satana divenne creatore ancor egli; il mondo visibile è opera sua, cattiva al pari di lui; i monarchi della terra sono necessariamente suoi ministri; le potenze lo servono e la maggiore di tutte, la Chiesa Romana, è la più efficace produttrice del male. Era nata l'eresia degli Albigesi cui dovevano reprimere con tanta crudeltà i roghi dell'Inquisizione.

«Con l'amalgama confuso e soverchio delle letture ch'io aveva fatto, in mezzo alle mie meditazioni io mi travagliava inutilmente e penosamente a stringere il vero traverso il combattersi e l'urtarsi, il turbinare di mille diversi, opposti argomenti. La Chiesa cattolica non aveva saputo darne alcuna logica soluzione, ma il cristianesimo — che è cosa ben differente dalla Chiesa — ne aveva pur data una sublime. «Il male — dice in sostanza la vera religione di Cristo — è entrato nel mondo per fatto d'una volontà intelligente, creata libera di scegliere il bene; imperocchè Dio essendo la suprema libertà, ha fatto la creatura ad immagine sua, cioè libera nelle sue determinazioni, epperò risponsabile.»

«Il medio-evo non aveva potuto comprendere questa magnifica risposta, egli che non poteva farsiil menomo concetto della libertà, oppresso com'era e servo in tutto e per tutto, lo spirito ed il corpo. Non potevo allora nemmanco comprenderla io che mi credevo in balìa alla cieca forza della fatalità nemica d'ogni libero arbitrio. E poi mi rispondeva il sofisma: «Se Dio ha creato l'uomo, egli l'ha fatto con tutte le sue facoltà ed attributi, tale e quale. Tutto dunque nell'uomo proviene da Dio, non c'è nulla di possibile in lui che non vi sia per espresso volere di Colui che l'ha tratto dal nulla. Checchè faccia l'uomo, qualunque partito abbracci, egli non si può muovere che in un cerchio designato ed in condizioni già precedentemente stabilite; come dunque, se fa il male può dirsi ch'egli ne sia l'autore, e l'autore a dispetto di Dio?

«A conservarmi nelle opinioni spiritualiste, malgrado le letture cui già m'era avvenuto di fare, fino ad una certa età avevano giovato le apparizioni di quell'essere immateriale alla cui realtà avevo fermamente creduto; cessando queste apparizioni, il dubbio anche sulla verità delle medesime era entrato nell'animo mio. In quella mi cadde tra mano ilSystème de la naturedel barone d'Holbach. L'apparenza scientifica di quel dettato, la logica sofistica delle sue deduzioni, il calore stesso di alcune sue pagine in cui vi par di sentire, traverso la convinzione personale, la voce della verità, mi produssero una grandissima impressione: a ciò si aggiunsero i trattati di Cabanis e di Destutt de Tracy, e persino uno di Broussais che divorai coll'ardore con cui una giovine donna dimentica il volo del tempo nella lettura d'un romanzo. Credetti posto in sodo dalla filosofia, la scienza del ragionamento, e dalla fisiologia, la scienza dell'osservazione, ambe d'accordo, che in noi, che nei fenomeni della vita, che nel mondo universo non v'era che materia, la quale, per necessità di leggi ad essa medesima inerenti, doveva atteggiarsi a quelle varie forme ed a quei varii fenomeni.

«Spogliai l'uomo dello spirito immortale. Non vidi più in esso coi miei autori, che un tutto di organi corporei e di funzioni proprie di questi organi; l'io, la personalità umana non fu più un essere, un ente da sè; non fu altro che un fatto, un prodotto dovuto a questa o quest'altra disposizione delle molecole materiali. L'intelligenza e la sensibilità non furono altro più che funzioni dell'apparecchio nervoso, come la trasformazione degli alimenti in chilo ed in sangue, è una funzione dell'apparecchio digestivo e di quello respiratorio. Il pensiero fu una secrezione del cervello, come la bile è una secrezione del fegato e l'orina delle reni. L'esistenza dell'anima non fu più che un'ipotesi, a cui nessuna osservazione non dà fondamento, cui nessun ragionamento rincalza, un'ipotesi gratuita, ed anzi un'idea priva di significato.

«Codeste opinioni mi angustiavano l'anima. Un profondo scoraggiamento, un'apatìa, un intimo sdegno delle cose e di me, un abbassamento nella forza del pensiero ed anco nella nobiltà dei sentimenti, n'erano l'effetto. In me, contro quell'errore del mio intelletto, protestava mutamente la coscienza: ma forse non avrei avuta la forza di scuotere quel dannoso e torpido giogo del sofisma, se l'amore non fosse venuto ad incitarmi l'anima, se nella crisi della suscitata passione non si fossero con più vigore rideste le facoltà del mio spirito.

«E fu a questo mio spirito già scosso entro la mia carne, che venne a favellare il vero lo spirito etereo delle mie visioni.

«Poichè mi ebbe detto il nome della donna all'anima della quale era irrevocabilmente consecrata oramai l'anima mia, la soave apparizione mi guardò un istante immobile, in silenzio, ma con dolcissimo lampeggiar di tenerezza non dagli occhi soltanto, ma da tutta quella vaporosa forma di contorni vaghi e sfumati: quindi non alle mie orecchie, ma proprio sotto il mio cranio, direttamente al mio cervello, non per ondulazioni sonore, ma per immediata comunicazione d'idee, udii suonare con ben altra efficacia, con ben altra eloquenza ch'io non sappia tradurre in parole la sostanza dei concetti seguenti.

«— Tu sei poeta: il pensiero sotto l'impulso dell'affetto si traduce in te facilmente coll'armonia del verso; ma la forma in te, bada che non pigli sopravvento sull'idea e non sciupi in lavoro di espressione la forza che, concentrata, darebbe potenza e virtù al pensiero. Poeta è lo spirito di tanto progredito nella evoluzione della sua esistenza immortale, che può cogliere nei campi dell'eterno vero più chiare apprensioni dell'assoluto, e queste tradurre in opere ed in linguaggio umano a beneficio dell'umanità. Il tempo in cui all'orecchio dell'uomo suonava più gradito e riusciva più fruttuoso il concento melodico dei versi è passato. La fantasia lascia parlare oggidì la ragione; la poesia — l'apprensione del vero — si deve fare oramai colla scienza. Lascia gl'inni, i cantici d'amore, le odi: agisci e parla come uomo che ha uno scopo, che lo vede, e che vuol camminare determinatamente verso di esso, traverso tutti gli ostacoli e i labirinti della via. Quale lo scopo? Migliorar sè e concorrere al miglioramento della famiglia umana a cui la vita terrena t'imbranca: scoprire colla tensione dello spirito, collo sforzo della volontà, collo studio tuo particolare, che si connette e si addenta, come ruota piccolissima in una gran macchina, collo studio della umanità che fu e che è, e di quella eziandio che sarà, complesso meraviglioso di tanti minuti sforzi individuali che forma il progresso del mondo umano; scoprire una maggior parte di vero, e questa diffondere e comunicare ed applicare, se possibile, a vantaggio di tutti.

«Tu ami. — Che cosa t'impone quest'amore? — Farti degno di lei. — Potrai tu giungere sino ad essa in questa corta evoluzione di esistenza che haluogo sulla terra? — Forse no. — Che importa? — Bisogna lavorare per avvicinarvisi almanco. Non è sospirando inutili versi amorosi che tu riuscirai a spingerti verso di lei nè socialmente, nè moralmente, nè intellettualmente. Consulta l'intima voce del tuo cuore, ed odi ciò ch'essa ti dice.Excelsior!Più su! Più su! nell'immensa catena degli esseri.

«Come per pareggiarne la condizione umana ti conviene salire dagli infimi gradi della scala sociale; così per avvicinarsi alla sublimità angelica di una anima, è forza appurare ed affinare la propria. Il tuo ingegno ti rivela parte dei bisogni dell'umanità presente, la tua esperienza te ne mostra le miserie: applica quella potenza di pensiero cui già raggiunse il tuo spirito ai fruttuosi travagli della scienza sociale, aumenta in te i tesori d'una dottrina il cui complesso e risultamento sia la conoscenza delle leggi che applicate possono migliorare lo stato interno e quello esterno dell'uomo, la morale e la economia pubblica, e quando tu così sarai in possesso d'un barlume di più della verità, fallo splendere agli occhi degli uomini intorno a te. Meriterai di questa guisa innalzarti nella gerarchia sociale: potrai provare che nell'umile corteccia di rovere si trova la verga d'oro; e s'anco l'ingiustizia umana ti lascia cadere e passare ignorato nel mondo, sarà, al chiudersi di quest'episodio terreno della sua esistenza immortale, migliorato il tuo spirito: il tuo spirito, a cui, ora, esso stesso, da false apparenze traviato, ha l'audace stoltezza di non credere!

«Drizza a ciò ch'io ti comunico tutta la tua attenzione: continuava in quella stessa maniera ma con più autorità ancora a susurrarmi entro il cervello la fantastica forma muliebre. Per me è lo spirito di verità e di carità che ti parla. Questo non è senno mio, non è scienza mia, è un raggio del sole dell'intelletto che da me, per divina provvidenza, viene riflesso nell'anima tua. Alle illazioni della tua falsa scienza, alle temerarie conclusioni di un'osservazione parziale che non abbraccia più di un lato meschino della verità, odi ciò che risponde quella cognizion delle cose che, innalzatasi su poggio più elevato, corre col suo sguardo una maggiore estensione di vero.

«Tu ti affanni e bestemmi nell'argomentare intorno alla quistione del male. Or sappi che il senso assoluto che si dà a questi due terminibeneemale, secondo il dogma dell'antichità, non è esatto. Queste due parole, come tutte quelle che esprimono l'esistenza e i suoi modi, non hanno significazione immutabile nel regno del relativo che è la terra, e pigliano un senso nuovo ad ogni volta che l'umanità concepisce una nuova dottrina generale. In faccia alla verità assoluta non esiste che il bene; il male si risolve in nient'altro che in una negazione maggiore o minore del bene, la totale assenza di questo sarebbe il male assoluto; e questa totale assenza nel mondo è impossibile. Il male quindi non è cosa reale ed esistente per sè, è una cosa negativa, è una privazione, e va cessando a seconda che nel suo cammino fatale — o per dir meglio provvidenziale — l'umanità, come tutta la creazione, si viene raccostando sempre più al bene assoluto. Ciò dà essenzialmente, necessariamente il suo carattere di relatività al male. Nessuna potenza rivale di Dio l'ha creato. Si crea da sè temporariamente, per mancanza di bene. La legge dell'esistenza è ilmeglio[10], val quanto dire l'indefinito, continuato, progressivo perfezionamento. Il male ed il bene da noi percepiti non sono che due aspetti che ci presentano le cose: considerate sotto il rispetto della morale pel bene e male morale; considerate sotto quello del danno e dell'utile pel bene e male fisico; considerate sotto quello dell'ignoranza o della conoscenza pel bene o male intellettuale.

«Il bene d'oggi sarà male domani, perchè domani l'umanità sarà migliore: il bene di ieri è già male al giorno d'oggi; ma mentre il bene diventa male, mai quello che l'umanità ha già giudicato male non ridiventa bene. Adunque il male assoluto, che sarebbe la negazione dell'essere, non esiste; esiste il male relativamente ma di meno in meno, tendendo gradatamente a scomparire: e questo è il progresso, la ragione suprema dell'evoluzione universale. Bene e male sono luce e tenebre. Quello che esiste è la luce; l'ombra non è cosa che esista, è la privazione della luce.

«La legge di camminare verso il meglio è una legge che regola tutta la creazione: all'uomo essa costituisce la sua legge morale. Guarda soltanto la tua meschinissima terra, che è un punto meno che impercettibile nell'infinito numero dei mondi nello infinito spazio: l'evoluzione cosmica nelle fasi della sua esistenza è un incessante travaglio di progressione verso il successivo miglioramento. La geologia ti parla di questi immensi scambiamenti di forme e di condizioni, in cui ti pare la natura siasi provata in vari saggi a raggiungere i tipi della creazione attuale. Non erano tentativi, non erano abbozzi; erano tipi compiuti e i più perfetti possibili nelle condizioni d'esistenza di quei periodi; a voi viventi nell'epoca attuale una maggior perfezione relativa conseguita fa sembrar quelli poco meno che aborti, come fra migliaia di secoli le creature più perfette che abiteranno il vostro globo, troveranno voi imperfettissimi accenni delle loro forme, delle loro facoltà, della loro intelligenza. Del progressivo sviluppo delle facoltà umane ti parlano con linguaggio irrepugnabile l'archeologia, la storia, la legislazione.

«La stessa forza di progressione che ha plasmato e plasma successivamente in tipi sempre più perfetti le forme degli esseri sulla crosta della tua terra, ha dunque regolato il nuovo conquisto d'idee e del successivopiù ampio lume di verità nel mondo intellettivo e morale del genere umano. Ma questa è ella una forza, cieca, senza ragione, inerente fatalmente alla materia medesima? No. Questa è la forza dello spirito della vita; questa è la manifestazione mediata nella materia della volontà creativa.

«Ma perchè, potrebbe dirsi, questo lento e travaglioso trascinarsi verso il meglio? Dio, poichè si afferma la sua esistenza, non avrebbe potuto e dovuto far addirittura la creazione perfetta, e così rendere impossibile sempre ogni negazione di bene?

«Ma come volete voi, intelligenze limitatissime, poste appena sul limitare del tempio della verità e della luce, conoscere e giudicare le ragioni dell'intelligenza infinita che è luce e verità assoluta? Anco la luce fisica che vi abbellisce il mondo corporeo avrebbe potuto esser creata di guisa che tutto e sempre ne fosse inondato senza ripari lo spazio; e l'armonia delle cose avrebbe dovuto esser diversa. La creazione diversamente atteggiata avrebbe risposto ad un diverso concetto; ma quello che è nella mente di Dio non può essere che il concetto migliore.

«L'universo non doveva essere pari con Dio; la perfezione nelle intelligenze create, era un fare degli esemplari dell'intelligenza infinita e del bene assoluto: era un assurdo anche per la vostra logica. Lo spirito creatore, essenzialmente ed assolutamente libero, creò spiriti in una relativa libertà contingente, da cui potesse nascere la rispettiva imputabilità, ed aver luogo il rispettivo travaglio provvidenzialmente volontario del proprio immegliamento.

«Gli spiriti innumeri che animano la creazione tutta nell'universo infinito, e che si manifestano col fenomeno della vita prima inconsciente, poi conscia; gli spiriti tutti furono creati semplici colla virtù di svolgere le proprie facoltà apprensive traverso le varie esistenze e colla forza di volontà di determinarsi, forza adattata alle diverse circostanze delle loro condizioni successive. Essi possono così volgersi al bene come da questo astenersi — il che costituisce relativamente il male, e questo graduato secondo la minore o maggiore astensione dal bene. — L'ampiezza, la misura, il carattere di questo bene possibile allo spirito sono diversi, secondo le varie esistenze dello spirito medesimo, diverse fra di loro eziandio per le capacità maggiori, che nelle successive sue evoluzioni, esso viene acquistando. Se quest'individualità di essere volente che chiamiamo spirito od anima, ha nella sua transitoria esistenza conseguito una maggior parte di quel miglioramento che era la relativa perfezione in quel periodo di vita assegnatagli, e' si presenterà alla soglia del periodo successivo — un gradino più elevato nell'infinita scala che ha da percorrere — meglio dotato di qualità, più capace ancora di progresso e di bene: se invece le sue opere furono da quel suo bene possibile più o meno lontane, esso si troverà di tanto meno progredito di quanto fu maggiore o minore in lui la negazione del bene....»

Giovanni Selva, che ascoltava con maggior attenzione e longanimità di quanto si sarebbe potuto aspettare dalla sua spigliata ed impaziente natura, interruppe a questo punto:

— Ma questa è nè più nè meno che la teoria di Dante di cui mi piace, se mi concedi, ripeter qui i versi.

— Dilli pure: soggiunse Maurilio. So a quali vuoi alludere, ma non dispiacerà anche a me il riudirli.

— Eccoli qua:

Voi che vivete, ogni cagion recatePur suso al Ciel, così, come se tuttoMovesse seco di necessitate.Se così fosse, in voi fora distruttoLibero arbitrio, e non fora giustiziaPer ben letizia, e per male aver lutto.Lo Cielo i vostri movimenti inizia,Non dico tutti; ma posto ch'io 'l dica,Lume v'è dato a bene, ed a maliziaE libero voler: che se faticaNelle prime battaglie del ciel dura,Poi vince tutto, se ben si nutrica.A maggior forza ed a miglior naturaLiberi soggiacete, e quella criaLa mente in voi, che 'l Ciel non ha in sua cura,Però se 'l mondo presente disvia,In voi è la cagione, in voi si cheggia,Ed io te ne sarò or vera spia.Esce di mano a lui che la vagheggia,Prima che sïa, a guisa di fanciulla,Che piangendo e ridendo pargoleggia,L'anima semplicetta, che sa nulla;Salvo che mossa da lieto fattore,Volentier torna a ciò che la trastulla.Di picciol bene in pria sente sapore;Quivi s'inganna, e dietro ad esso corre,Se guida o fren non torce suo amore[11].

Voi che vivete, ogni cagion recate

Pur suso al Ciel, così, come se tutto

Movesse seco di necessitate.

Se così fosse, in voi fora distrutto

Libero arbitrio, e non fora giustizia

Per ben letizia, e per male aver lutto.

Lo Cielo i vostri movimenti inizia,

Non dico tutti; ma posto ch'io 'l dica,

Lume v'è dato a bene, ed a malizia

E libero voler: che se fatica

Nelle prime battaglie del ciel dura,

Poi vince tutto, se ben si nutrica.

A maggior forza ed a miglior natura

Liberi soggiacete, e quella cria

La mente in voi, che 'l Ciel non ha in sua cura,

Però se 'l mondo presente disvia,

In voi è la cagione, in voi si cheggia,

Ed io te ne sarò or vera spia.

Esce di mano a lui che la vagheggia,

Prima che sïa, a guisa di fanciulla,

Che piangendo e ridendo pargoleggia,

L'anima semplicetta, che sa nulla;

Salvo che mossa da lieto fattore,

Volentier torna a ciò che la trastulla.

Di picciol bene in pria sente sapore;

Quivi s'inganna, e dietro ad esso corre,

Se guida o fren non torce suo amore[11].

— Sì: riprese a dire Maurilio: Dante colla potenza del suo genio ha travisto la verità. Ma quella libera scelta ch'egli sembra rinserrare nella cerchia della vita umana dello spirito ha da aver luogo in tutte le sue vite, anche in quelle che si passano prima che arrivi al grado pur tuttavia sì infimo dell'umanità nel nostro pianeta.

— Tu dunque, interrogò Giovanni, ammetti per la nostra anima delle esistenze anteriori alla presente come di quelle posteriori?...

— All'infinito, proruppe con impeto Maurilio; all'infinito e le une e le altre. Me lo disse il mio benigno spirito. Da qualunque parte si volga, qualunque cosa consideri l'uomo, si trova in mezzo a due infiniti, o per dir meglio, egli, nella sua vita contingentee temporaria è sempre avvolto, compreso, perduto nell'infinito. Quando incominciarono ad esistere gli spiriti intelligenti e volenti? Vi fu ella prima una materia senza intelligenze che la guidassero e se ne servissero? La forza necessariamente coesistente alla materia non fu ella sempre l'attributo di un volere che capisce? Il mondo e le intelligenze speciali che gli danno ragione di essere, e l'intelligenza assoluta e prima non coesistettero ab eterno? Ma l'infinito mondo spirituale non ha mandato e non manda che a fiotti su su nella via ascendente del progresso verso l'assoluto forse da non arrivarsi mai, il suo popolo di anime immortali che iniziano la loro carriera dagli ultimi gradi della vitalità nei varii globi dello spazio interminato. L'immensa folla si intorpidisce in quelle dense aure della materialità più crassa e non comincia ad affinarsi che dopo un lungo periodo di tempo, e s'affina così lentamente che lunghe sono le sue stazioni nei mondi e nei gradi inferiori: noi viventi su questo pugno di terra all'epoca presente con tante deficienze tuttavia, siamo spiriti attardatici dall'eternità nel cammino delle esistenze e non pervenuti ancora che a questo misero e debol grado di miglioramento dell'umanità terrestre.

Poichè Maurilio qui si tacque un momento, il suo ascoltatore ne prese occasione per dire:

— Tutto questo è poetico in sommo grado, e non nego che ha del grandioso ed alcun che di logico, onde rimane colpita la mia ragione; ma vi è una quistione precedente ed affatto pregiudiciale, e si è quella dell'esistenza dell'anima immortale. I Francesi sogliono dire che per fare uncivet de lièvre, conviene prima di tutto avere questo povero diavolo di lepre. Per far passare quest'anima traverso le esistenze come uno scolaro per varii anni del corso universitario, affine di arrivare alla laurea della perfezione, bisognerebbe anzi tutto mettere in sodo che quest'anima esiste. Non è già ch'io voglia sostenerne la non esistenza, ma poichè tu dagli argomenti dei materialisti t'eri lasciato sedurre a credere quell'esistenza una ipotesi non giustificata, bramerei un po' sapere se il tuo spirito ha combattuti quegli argomenti, e come ha fatto per di nuovo radicarti nella credenza contraria.

— Sì, lo spirito combattè il mio errore, e ti dirò in breve le sue ragioni.

«Primo torto dei materialisti è quello di voler applicare le scienze positive, l'astronomia, la chimica, la fisica, la fisiologia a risolvere dei problemi che non sono di loro competenza, e per cui quindi esse non hanno mezzi acconci e sufficienti. La scienza non si occupa immediatamente del problema di Dio e dell'anima; pur tuttavia, considerata senza sistematico preconcetto, quando a tali problemi si vogliano applicare le conoscenze scientifiche attuali, lungi dal favorire la negazione, esse affermano al contrario l'intelligenza e la sapienza delle leggi che regolano la natura e l'esistenza nell'uomo eziandio di qualche cosa che è estraneo e superiore alla materia.

«La scienza certamente ha distrutto l'idea meschina ed affatto umana che di Dio s'era fatta l'antichità. In ogni epoca l'uomo concepisce siffatta idea in armonia col grado di sviluppo del suo sapere e della sua intelligenza. Al Dio vendicativo, appassionato, antropomorfo dei dogmi dell'antichità, il genere umano più illuminato ha da sostituire e viene sostituendo una concezione di Dio che più s'accosta a quell'assoluto cui pure mente umana non potrà mai comprendere; ma l'affermazione dell'intelligenza suprema dirigente si snebbierà sempre più luminosamente, mercè la scienza più vasta, innanzi agli uomini fatti più dotti.

«I materialisti, ridotte al sommo tutte le loro argomentazioni, fondano il proprio sistema su questa affermazione: che le forze onde viene diretto l'universo, non lo dirigono punto, che queste forze non sono le guidatrici della materia, ma ne sono anzi le schiave, e che gli è la materia inerte, cieca, sprovvista d'intelligenza che per forza propria, presa non si sa d'onde, si dirige mercè delle leggi di cui ella è incapace ad ogni modo di apprezzare l'essenza e l'efficacia.

«Questa temeraria affermazione rincalzano essi con ragionamenti che si possono ridurre alla seguente formola: «La forza è una proprietà della materia; ora una proprietà della materia non può essere considerata come superiore, creatrice ed ordinatrice della materia medesima; dunque l'idea di qualche cosa di estraneo alla materia è un concetto assurdo.» Ma essi pongono per prima cosa, come aforisma, ciò appunto di cui è da discutersi, che la forza sia una proprietà della materia: chiamati su questo terreno a provare tale loro asserto, essi non hanno che questo ragionamento: «S'incontrano sempre insieme la forza e la materia:dunquela prima è una qualità della seconda.»

«Ma tutto nell'universo dimostra che la materia è soggetta alla forza. Invano i materialisti si sforzano con delle false deduzioni da false esperienze a provare il contrario. Guardate il mondo inorganico. Tutto in esso è regolato dalla legge.Numerus regit mundum.Questa legge si traduce, si rappresenta allo spirito umano colle cifre d'un numero. Tutto è armonia, e l'armonia è composizione di numeri: il suono, il colore, la forma medesima appartengono al numero, perchè ogni figura è determinata dalla cifra. L'ordine numerico regna dappertutto. Il fatto meno significante in apparenza è il risultamento di certe leggi tanto quanto l'avvenimento di maggiore importanza. Di che cosa è capace la materia sola? Che diverrà un atomo d'ossigeno o di carbonio se voi lo immaginate all'infuori d'ogni legge? Supponiamo un istante che questa legge del numero non esiste, noi avremo distruttetutte le armonie dell'universo. Ora, la facoltà matematica può essa appartenere alla materia? No, poichè gli è la legge che presiede alle combinazioni della materia medesima, che quindi è ad essa superiore e la governa. L'esperimentazione vi dice che il suono, la luce, il magnetismo non sono materia, ma diversi modi di movimento. Ora chi ha ordinato questo modo pel suono e quest'altro per la luce? Chi regola quelle forze? Evidentemente sono quelle forze medesime, od una forza superiore che tutte le abbraccia. La materia non è in tutti questi movimenti che il soggetto passivo.

«Questo pel mondo inorganico; ma se noi passiamo al mondo organico la evidenza d'una forza estranea e superiore alla materia ci si fa più e più sempre luminosa. Dal primo istante in cui si manifesta la vita nei più bassi ordini della medesima, sia vegetale che animale, noi ci troviamo tosto a fronte una forza o legge direttrice che sceglie per ciascuna individualità esistente nel gran serbatoio della natura quegli elementi che sono necessari e li coordina nel modo che occorre per formare e mantenere il tipo della specie a cui quell'individualità appartiene. A chi non appare questa forza organica particolare anche nel regno vegetale, che si potrebbe chiamare lo spirito delle piante, per cui si manifesta un essere virtuale che fa obbedire alla sua esplicazione la materia di cui si giova? Il fatto della scelta degli elementi costitutivi del proprio tipo è un fatto intelligente; ma la materia per sè può dirsi intelligente e capace di scegliere? Essa è puramente passiva, dotata di certe proprietà che la rendono suscettiva di obbedire alle leggi; conviene che queste intervengano per regolarla, ordinarla, informarla. Come potrebbe essa la materia avere un disegno e tendere ad uno scopo? Come, senza intelligenza, produrre degli esseri intelligenti? E come, se si nega lo scopo nelle parti e nel tutto dell'universo, questa materia pur tuttavia agirebbe con risultamenti d'una innegabile utilità finale?

«Dal mondo vegetale passando a quello animale l'evidenza della forza intima che informa gli esseri e ne crea l'individualità, si fa sempre maggiore. È apparso un fatto capitale: la presenza del sistema nervoso che produce e forse direbbesi più giusto perfeziona ed estrinseca la sensibilità (poichè io non vorrei negare che nessuna sensibilità affatto appartenga all'essere pianta) e si fa mezzo e stromento dell'intelligenza. Dallo stato rudimental in cui si trova nei zoofiti sino al suo più compiuto sviluppo nella specie umana, il sistema nervoso è il segno dell'animalità e presiede a dei fenomeni immateriali. L'essere, salendo su per la scala dell'organismo dal vegetale all'animale, acquista via via coscienza di sè, la sensazione, poi la riflessione delle sensazioni, l'intelligenza. Ad ogni grado del suo stato, quella forza intima che è in lui e che lo costituisce si forma intorno colla materia che lo circonda, quegli organi che gli sono adatti e che rispondono alla sua presente condizione virtuale. Gli elementi sono sempre i medesimi, pescati da tutti nel medesimo serbatoio; ma come si farebbe che questa molecola di ferro, che ora fa parte d'un uomo, appartenne ieri ad un altro animale, ad un vegetale, era poc'anzi nel suolo della terra, e tornerà nel suo giro infinito a passare da questi a quelli? Perchè questi medesimi atomi costituiscono ora un corpo, ora un altro, vestono ora una forma, ora un'altra? La materia è sempre la medesima: e s'ella fosse tutt'insieme materia e forza, e se la forza è unica, come può avvenire che produca fenomeni così distinti? La forma degli esseri organici dipende adunque dallo spirito che sta in essi e che si riveste a seconda di materiali elementi. Tutti sono costituiti delle medesime molecole, e non una di essa appartiene in proprio all'individuo che temporaneamente la possiede, ma con vicenda incessante passano tutte dagli uni agli altri. Quando l'essere vivente muore, che cosa succede? Nulla è distrutto, nulla cambiato nella materia; essa è imperitura; non è che la forma la quale si disfaccia: è cessata quella forza intima che disponeva gli elementi materiali in quella certa guisa e li obbligava a regolarsi secondo leggi speciali che son quelle della vita, e con una fenomenìa alquanto diversa secondo la diversità della specie di quell'essere organico: gli atomi tornano esclusivamente sotto la direzione generale delle altre leggi universali della natura. Lo spirito che è stato quello che ha plasmato quella forma, si è ritirato da essa e la lascia cadere e disfarsi.

«Nel corpo umano in un dato tempo non si ha più una sola molecola di quelle che v'erano dapprima[12]; eppure chi oserebbe dire che l'uomo è cambiato? Chi non sa che la medesima volontà, che la medesima intelligenza continuano? Chi non conosce il fenomeno della memoria, il quale se fosse cosa inerente alla materia, questa per intiero scambiandosi, dovrebbe con essa dileguarsi?

«Ma quest'essere che nell'uomo acquista la più spiccata personalità sulla terra mediante la più libera facoltà di volere, la più ampia facoltà di comprendere; quest'essere onde viene, qual'è il suo fine passando traverso questa vita, a qual destino è chiamato quando si sciolga dal presente involucro di carne e lasci disfarsi quella forma che la sua forza intima gli ha radunato dintorno?

«Collo studio dell'embriologia fu dimostrato che l'embrione umano passa per differenti fasi, in cui sipossono vedere adombrate le fasi diverse corrispondenti per cui nei tempi anteriori ha dovuto passare l'umanità, prima di arrivare alla forma presente. I vertebrati superiori rivestono successivamente, come in abbozzo, i principali caratteri delle quattro grandi classi del loro tipo. In codesto molti videro un'immagine delle fasi cui nel corso delle età antichissime la medesima classe d'animali ha successivamente attraversate, progredendo nella scala degli esseri. Nel vedere la rassomiglianza che l'embrione umano offre successivamente cogli embrioni delle tre classi dei vertebrati inferiori a quella dei mammiferi; si è domandato se lo stato presente non sia un risultamento delle evoluzioni passate e quella una traccia delle evoluzioni medesime.

Or bene, queste che paiono — e forse sono — rivelazioni del passato di questa nostra forma materiale onde siamo rivestiti, dànno eziandio un adombramento del passato che dovette percorrere il nostro spirito prima di diventar degno di circondarsi della forma d'uomo e di costituire quest'essere che nel basso mondo terreno tiene il primato dell'intelligenza.»

— Capisco tutta la tua teoria: interruppe Giovanni. Lo spirito comincia la sua esistenza dai più infimi gradi della manifestazione della vita e traversa tutti questi gradi acquistando sempre nella coscienza e nella volontà, finchè giunge all'essere uomo, ultimo grado.....

— Su questa terra! Aggiunse impetuosamente Maurilio. Qui o in mondi pari a questo avrà più o meno esistenze secondo che più o meno saprà trar profitto della sua incarnazione umana; ma quando di tanto si sarà appurato da poter varcare a mondi superiori, allora prenderà il volo per gli spazi eterei ad arrivare più benedette e più luminose sfere, in cui ad esso maggiormente risplenda il sole della verità e dell'intelligenza. E tutto questo movimento del mondo spirituale frammischiato e serventesi e informatore del mondo materiale: quest'ascensione infinita ed eterna degli spiriti verso l'assoluto che non arriveranno mai, traverso gli spazii dell'infinito, in tutti i mondi che lo popolano, nell'eternità del tempo!... L'uomo ed ogni spirito in qualunque corpo racchiuso, in qualunque mondo vivente, è di questa guisa quale esso stesso si è fatto. Come la sua intima virtualità gli raduna intorno gli organi e le forme che corrispondono alle sue facoltà; così il suo destino, la sua condizione temporaria nelle varie vite gli sono assegnati, per una legge direi così di equilibrio che è la volontà e la giustizia di Dio, dalle condizioni e dallo stato della sua anima...

— E ciò vuol dire: interruppe di nuovo Giovanni: che chi soffre in questa vita gli è per iscontare il difetto di merito che non s'è procurato nelle vite anteriori?

— Vuol dir questo, ma non esclusivamente. Lo spirito fra una ed altra incarnazione riacquista più o meno chiara la coscienza delle esistenze del suo passato, e può abbracciare con uno sguardo più o meno apprensivo, più o meno intelligente, a seconda del grado di elevazione a cui è giunto, il complesso dell'opera sua. Gli è allora che giudica sè stesso, gli è allora che si conosce, che apprezza quanto s'è allontanato relativamente dal bene, gli è allora che quanto più la sua volontà si è predisposta al progresso verso il meglio si pente e si propone correggersi. La sua libera scelta allora può fargli accettare nuove esistenze incarnate in misere condizioni da dover soffrire e lottare, perchè le sofferenze affinano appunto l'anima, per dirla con Dante, ed ogni lotta vinta è un passo stampato innanzi nella via del perfezionamento. Sotto l'impero di questo dogma tutti — tutti senza eccezione — sonovocati, e tutti riusciranno eletti; ma successivamente. La vita eterna è per ciascheduno e per tutti una eterna e solidaria educazione. Il destino dell'uomo — che è il destino d'ogni spirito — non è più quello di andarsi ad annientare nel torpore d'una beatitudine eternamente immobile, ma di camminare senza posa nella strada dell'infinito alla ricerca ed alla pratica del meglio.

Qui Maurilio si tacque. Gli occhi splendevano sotto le sue sopracciglia sporgenti, come carboni accesi nelle tenebre d'una stanza la sera; dal pallore del suo fronte pareva raggiare una lieve aureola come pallido chiaror fosforico: la voce, l'accento, l'eloquenza delle parole, che qui troppo male si seppe tradurre nel freddo linguaggio scritto, avevano un calore, un'efficacia, una forza inesplicabile di persuasione onde tutto fu penetrato l'animo di Giovanni.

Questi, commosso, senza poterne dire chiaramente il perchè, strinse con forza la mano dell'amico e si tacque ancor esso; ed ambidue si guardarono un poco in silenzio, le pupille fisse nelle pupille, una corrente di elettricità scambiantesi con soave fremito dall'uno all'altro.


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