Sulla soglia della Mostra, proprio nella corrente del pubblico che entrava a frotte, due signori discorrevano con animazione senza perdere di vista i nuovi arrivati, ai quali anzi uno di essi faceva largo con un gesto semicircolare, imponente e grazioso insieme, che aveva dell'invito e della condiscendenza. Era costui un ometto magro, segaligno, il cui volto color limone ornavasi di alcuni cespugli di pelo bigio disposti bizzarramente qua e là, incerti ancora (benchè il loro proprietario toccasse i sessant'anni) se divenire baffi, barba o basette. Vestito accuratamente di panno nero, con uno spillo di mosaico nella cravatta nera e un paio di guanti color marrone, appariva chiaro che la sua dignità naturale si era per la circostanza agguerrita di minuziose cure esterne, incaricate di avvertire dell'esser suo anche i più distratti.Concorreva allo scopo un portamento della testa più eretto del solito, un girare in tondo degli sguardi dove era in eguali dosi compenetrata la sicurezza di sè e un benigno compatimento che distribuiva a caso sulla folla come spruzzi d'acqua benedetta.

— Capirai — diceva al suo interlocutore lasciando cadere le parole dall'alto, palleggiandole quasi prima di decidersi a regalarle — non si riceve per nulla una buona educazione. Mio nipote....

— È suo nipote?

— Già, già, stretto parente, strettissimo. L'ho allevato io dall'età di nove anni; è quasi mio figlio; l'ho coltivato veramente a guisa di una pianticella, potando, estirpando, innestando. Si può dire che egli non ha un'idea che non sia stata prima mia. Il disinteresse col quale noi educatori seminiamo nelle giovani menti germi di frutti che esse sole raccoglieranno è ciò che forma la serietà, direi quasi la santità della nostra missione.

Il signor Pompeo sospese di parlare pergettare un'occhiatina di sbieco sopra alcuni foglietti che l'altro s'era levati di tasca e che stava riempiendo di note. Il signor Pompeo lo conosceva benissimo, perchè era stato suo scolaro e lo aveva bocciato parecchie volte, ma ora essendosi messo a fare il critico d'arte gli incuteva una specie di soggezione dietro la quale stava pure l'ansia di vedersi quando che sia citato su per le gazzette. Non che la cosa gli dispiacesse, tutt'altro, ma capiva l'importanza del momento e la necessità di posare bene. Con una mano nello sparato dell'abito, pendente l'altra con nobile negligenza lungo il fianco, il signor Pompeo pensava: “Anche questo l'ho formato io. Chi sa mai che portato in alto dalla capricciosa fortuna non riesca ad avere il suo quarto d'ora di celebrità; allora deve necessariamente ricordarsi di me. Purchè sia riuscito a purgarsi dei neologismi!„

— Signor professore, lei dunque dice che suo nipote ha vent'anni?

— Ventuno.

— Ed ha sempre avuto questa passione per l'arte?

— Certo, certo.

— Dimostrata fino dall'infanzia?

— Dimostratissima. I suoi quaderni erano pieni di sgorbi.

— Di sgorbi?

— Voglio dire.... sai bene.... i primi tentativi.... Già anche Raffaello avrà incominciato così.Ars longa. Quel Raffaello che pittore!

Il signor Pompeo si lisciò i cespugli del mento inarcando le ciglia e sollevandosi sulla punta dei piedi perchè gli sembrava che la folla lo nascondesse troppo. Si avanzava difatti un gruppo di giovani che dalle corte casacche e dai larghi cappelli apparivano allievi della scuola di pittura: si avanzavano circondando rispettosamente un signore alto, corpulento, ben vestito, il quale procedeva in mezzo a loro nè più nè meno che Gesù fra gli apostoli, predicando il verbo con una voce volontariamente affiochita per non attirare l'attenzione dei profani, esprimendo giudizi brevi,recisi, che si limitavano qualche volta ad una crollata di spalle o ad unpeuh!sdegnoso, accolti dalla turba devota con umile deferenza, con rossori e pallori improvvisi che dimostravano l'alta influenza del personaggio.

— È il commendatore professoreX— susurrò piano il critico d'arte all'orecchio del signor Pompeo, — vado a sentire che cosa dice.

Facendo subito seguire l'atto alle parole il critico d'arte si cacciò così bene nel crocchio che la sua esile persona di giovinetto stremenzito non apparve più, tra le falde del commendatore e i cappelli degli allievi, che a guisa di un uccelletto saltellante in cerca di becchime.

Dietro le spalle del signor Pompeo entravano intanto senza che egli se ne avvedesse, le signorine Lamberti. Graziose, eleganti, severamente distinte, erano molto guardate sempre dovunque si recassero, ma più che le loro persone si imponeva l'aureola del loro nome. Muta da tanti anni la voce di Gentile Lamberti echeggiavaancora nei cuori che aveva fatto palpitare per quel privilegio che hanno certe anime ardenti di prolungare la loro vita oltre i confini della materia; ed accadeva spesso alle fanciulle di udir mormorare sul loro passaggio: “Sono le figlie di Gentile Lamberti„ con un accento di simpatia rispettosa che faceva vibrare profondamente il cuore di Anna e schiudere sui labbri di Elvira un sorriso di vanità soddisfatta.

La curiosità del premio e le polemiche che lo avevano preceduto attiravano quel giorno alla Esposizione una folla grandissima. Per le sale, dove si circolava a stento, il caldo era insopportabile. Un'afa impregnata di migliaia di esalazioni, corrotta da microbi invisibili, nauseabonda nel suo odore fondamentale che inutilmente veniva a tratti a tratti interrotto dalla presenza di qualche profumata signora, gravava su tutte quelle persone raccolte. I velari di tela bianca distesi a mezza volta per regolare la luce contribuivano a restringere lo spazio, imprigionando l'aria,rendendola vieppiù soffocante e irrespirabile. In quella atmosfera lattea, uniforme, la folla si pigiava più intontita che allettata, ricevendo nella retina degli occhi un'impressione confusa di colori che per la maggioranza si risolveva in una leggera emicrania: scossa tratto tratto da un soggetto impressionante, da una arditezza nuova di esecuzione che le traeva esclamazioni derisorie e faceva correre ratte le facezie di bocca in bocca, ma riprendendo quasi subito il suo andare pesante e rassegnato di branco umano davanti alla sfilata interminabile dei quadri.

— Fa troppo caldo, — disse Elvira.

Le due sorelle erano ansiose di sapere se la premiazione fosse già stata fatta. Non guardavano nulla e nessuno, seguendo docilmente la folla, intente solo a rintracciare Flavio. Una grossa famiglia borghese composta di tre generazioni, tutte ferme davanti ad una tela intitolataLa stiratricele arrestò contro lor voglia per qualche minuto.

— Questo meriterebbe il premio! — esclamòcon voce potente il padre di famiglia.

Gli altri fecero coro, lodando chi la bella faccia tonda della stiratrice, chi la rimboccatura perfetta delle sue maniche, chi la trovata di un gattino accoccolato con fine accorgimento nella biancheria appena stirata, chi la naturalezza della pugnetta alla quale non mancava neppure una lieve sfrangiatura di stoffa bruciata. La madre di famiglia guardò a lungo prima di pronunciarsi, poi espresse l'opinione che non si stira sopra una tavola così bassa.

— Fa veramente troppo caldo, — disse ancora Elvira.

— È curioso. Tu non soffri mai il caldo — osservò Anna con dolcezza.

— Ma oggi è eccessivo.

— È vero. Se potessimo trovare una sala meno affollata....

— M'era parso di scorgere il signor Pompeo.

— Dove?

— Non si vede più.

Incontrarono delle amiche:

— Oh! il vostro giovine pittore, che successo!

— Hanno esposto la premiazione? — domandò Elvira.

— Non ancora.

L'onda della folla le divise. Le due sorelle furono sospinte innanzi mentre esse si riguardavano scansando i contatti, desiderose di giungere vicino al quadro di Flavio. Ma il quadro era in una delle ultime sale.

— Fermiamoci un momento, — propose Elvira.

A mala pena trovarono un posto sopra uno dei divani collocati nel mezzo delle sale. Intorno ad esse sedevano alcune persone della buona società, fra cui una signora di quelle che i giornali letterari e gli autori nelle prefazioni dei loro libri chiamano intellettuali. Ella stava appunto concludendo un discorsetto sulla pittura:

— .... è La Sizeranne che lo afferma, dobbiamo credergli.

— Non credo però — rispose un signoredi mezza età che le stava ritto dinanzi facendosi fresco con un ventaglietto giapponese — che i nostri artisti farebbero bene ad imitare gli Inglesi.

— Non le piace Burne Jones?

Sì dicendo la signora intellettuale volse un'occhiata alle nuove persone che si erano sedute sul divano per giudicare su di esse l'effetto di quel nome.

— Sì, mi piace un Burne Jones; due sarebbero già troppi. Il genio non può far scuola; essendo la manifestazione di una forte individualità esso è principio e fine a se stesso.

— I preraffaelliti tuttavia non hanno detto la loro ultima parola.

— Eh! eh! — fece il signore dal ventaglietto senza spiegarsi maggiormente.

Due damine intanto si erano fermate a stringere la mano dell'intellettuale.

— Oh! cara, ma questo premio non si vede ancora.

— La giurìa sente il caldo — pronunciò il signore ventilandosi con maggior lena.

— E sì — disse la intellettuale sottolineando le parole — che la scelta non dovrebbe essere difficile. Procedendo per eliminazione, che cosa resta da giudicare? tre o quattro lavori, se pure!

— Per conto mio — rispose una delle dame cui il gran naso a becco usurpava il posto del viso e che portava una corona da marchesa — non vedo un solo quadro che mi ispiri il desiderio di averlo nel mio salotto.

— Quella testa è molto espressiva! — esclamò la sua compagna indicando unSan Gerolamoche le stava davanti, nero e giallo come un tizzone abbrustolito.

— Ma ti pare! una bella figura che farebbe al di sopra del mio divanoLouis quinze! Roba da Tebaide, cara.

— Sarebbero più in istile quelle fanciulle che il pittore chiama:Primavera ellenica, ma.... troppo nude — interruppe la intellettuale. — I pittori abituati alle crudezze dell'Accademia dimenticano spesso che vi sono al mondo anche delle signore.

— Delleveresignore, — accentuò laproprietaria della corona marchionale dilatando le narici del suo gran naso.

— Un quadro per il suo salotto, marchesa — interruppe il signore dal ventaglio — potrebbe essere quello del giovine simbolista:Viene!

— Ah: no, mi impressiona troppo. Non posso esimermi dal pensare che vi è un ladro nella camera vicina.

— Che idea!

— È così. Dal volto dell'adolescente spira un terrore, un'ansia....

— Ammetto l'ansia, ma la spiego diversamente.

La signora che aveva dimestichezza con Burne Jones e con La Sizeranne aperse una parentesi per dire:

— Non mi pare che appartenga alla scuola simbolistica. È al contrario di un verismo che colpisce.

— Si può essere simbolici e veri nello stesso tempo. Che ne pensa la marchesa?

— Penso che ad ogni modo la cornice è di cattivo gusto.

Le signorine Lamberti si alzarono.

— Se potessimo trovare Flavio! — mormorò Anna.

Elvira non rispose, pallida e oppressa da una stanchezza a cui la breve fermata non aveva recato alcun ristoro.

Ripresero così il lento andare in mezzo alla folla, afferrando a volo brani di conversazione, mezzi giudizi, parole staccate che si incrociavano bizzarramente.

Un vecchiotto arzillo, con baffi alla Vittorio Emanuele e cappello di panno verdone posto alla sgherra, si appoggiava fortemente sul braccio di un compagno, brontolandogli nell'orecchio con attitudine da congiurato:

— Bisogna che ritornino alla pittura storica; non c'è altra salvezza. Cosa vogliono dire tutti codesti fantocci? La fantasia! Il sentimento! Baie. Storia ci vuole; e disegno ci vuole. Non c'è più nessuno che sappia disegnare. Vedere a' miei tempi l'Induni, il Focosi.... Vedere l'Emanuele Filiberto che getta ai piedi dell'ambasciatore spagnuolo le insegne del Toson d'oro!

Il chiacchierio di due ragazze passò sopra alla voce del brontolone.

— .... il basso della gonna filettato di bianco.

— E i bottoni bianchi.

— No, neri.

— Meglio bianchi.

Le signorine Lamberti trasalirono all'improvviso. Qualcuno aveva detto: “Il premio....„ Ma non poterono udire altro. Elvira, tacitamente, infilò il suo braccio sotto il braccio di Anna.

Giunsero infine alle ultime sale. Un drappello di giovani mascherava il quadro di Flavio, tanto che sembrava poco possibile potersi avvicinare. Anna tuttavia che era più alta della sorella si sollevò un istante sulla punta dei piedi e ricadde subito, stringendo nervosamente il braccio di Elvira. Aveva visto il cartello del premio affisso sul quadro.

— Lascia vedere anche a me, — disse Elvira con voce velata da insolita commozione.

Tremanti, felici, pallide, le due sorellebevettero insieme a quella larga onda di gioia. Si parlava molto e forte intorno a loro, ma non erano più in grado di intendere nulla. Appena se videro, e confusamente anche questo, il signor Pompeo ritto accanto alla tela premiata sorridendo al pubblico con benevolenza.

— Andiamo, — mormorò Anna.

Rifecero una sala o due, ma il bisogno dell'aria pura le portò ben presto nel piccolo giardino della Mostra il quale era stato per la circostanza provveduto di fiori e di alte felci che aggruppate artisticamente davano per gli occhi l'illusione della frescura. Si erano da poco accomodate sopra una panchina, in un cantuccio discreto e ombroso, quando Flavio venne a raggiungerle.

Il povero fanciullo raggiava tutto attraverso una velatura indefinibile di mestizia rimastagli dalla sua triste infanzia e che il successo non poteva cancellare interamente. Egli aveva inoltre quella vera modestia che fa del trionfo un piacere raccolto, che lo sottrae alle manifestazioniturbolente e chiassose per innalzarlo ad una specie di rito intimo, quasi ad un patto religioso e solenne coll'anima.

— Suo, suo, tutto suo! — Alludendo al trionfo così Flavio rispose stringendo la mano di Anna, turbata anch'essa e felice, eppure mesta di una mestizia che anzichè essere in lei l'ombra del passato sembrava un'oscura prossima minaccia.

Elvira indugiava a parlare. Col busto per metà rovesciato sull'appoggiatoio della panchina fissava Flavio con uno sguardo ardente, insolito in lei, che non tardò ad esercitare sul giovane una singolare potenza di attrazione. Ella era in quel divino momento della giovinezza che conferisce ad ogni cosa viva il massimo della sua potenza. Per quanto casta e severamente educata, ed anche innocente, usciva da tutta la sua persona un impetuoso fascino di desiderio. Flavio lo sentiva, e nello stato di sovreccitazione in cui trovavasi gli riusciva impossibile la difesa. Si guardavano così, rapiti, colle pupille molli di involontarie seduzioni.

Quel silenzio parve ad Anna insopportabile; volle romperlo in qualche modo e incominciò a volgere a Flavio una quantità di domande la cui volubilità era troppo palese perchè ella stessa non avvertisse un senso di stonatura. Avrebbe allora voluto muoversi, riprendere la passeggiata affannosa in mezzo ai quadri, ma si erano appena sedute ed Elvira sembrava stanca assai. Guardandola in quella sua posa languida, col momentaneo pallore che le ingentiliva il volto, col busto giovanile fasciato di rose e il collo nudo emergente nel trionfo della linea che nessuna orma di tempo aveva ancor tocca, ne subì suo malgrado il misterioso impero. Sua sorella le apparve in quell'istante più che mai straniera ma armata di invincibili diritti. Piegò il capo e seguendo distrattamente cogli occhi il disegno della ghiaia per terra cadde in un profondo silenzio.

Un'orchestrina mascherata da un gruppo di felci gigantesche eseguiva un'aria dell'Orfeo. Le note delicatamente appassionate cadevano nel piccolo giardino nonancora invaso dalla folla, dove aliava un fresco odore di azalee appena dischiuse, dove il caldo greve ancora ma non contaminato conciliava un soave torpore sognante.

— Come si sta bene qui! — sospirò Elvira a fior di labbro.

Nello stato di sensibilità acuta in cui si trovava Flavio, coi nervi vibranti, la fantasia in tumulto, tutto il suo essere sollevato da un'onda di vita, anche quelle semplici parole si vestirono di imagini dolcemente accese quali fiaccole sul limitare di un sentiero nuovo, sconosciuto e tentante. Gli occhi di Elvira erano quel giorno straordinariamente larghi, natanti in un'ombra violacea di una morbidezza sofferente e voluttuosa e si attaccavano a quelli del giovane con un lungo, insistente richiamo, con bagliori inconsci di febbricitante.

— Temo — continuò Elvira sorridendo di un sorriso infantile — che i suoi ammiratori vengano a rapirla.

— Non è facile, — balbettò Flavio senzasapere molto quel che si dicesse, invaso come era da un dolcissimo turbamento.

Quando Anna sollevò gli occhi li vide stretti in un colloquio di brevi parole: brevi e interrotte come le parole che si erano scambiate poche ore prima a casa e che non aveva potuto comprendere. Vide pure il braccio destro di Elvira, dal quale ella aveva tolto il guanto, abbandonato sulla spalliera in vicinanza di quello di Flavio e benchè l'atto fosse giustificato dalla lunga confidenza, Anna ne ricevette una impressione disgustosa. Deviando lo sguardo avvertì la singolare animazione degli occhi di sua sorella.

— Stai meglio, mi pare?

— Sì, molto meglio. Era il caldo eccessivo delle sale che mi opprimeva. M'è rimasto un po' di cerchio alla fronte, ma passerà anche questo.

Senza volerlo Anna tornava a guardare il braccio nudo di Elvira. Avendo fatto un movimento per accomodare il cappello la manica le era scivolata in alto scoprendo per un istante il gomito.

— Dov'è andato a finire il tuo guanto? — domandò Anna con calma.

Elvira e Flavio si mossero insieme per cercarlo; esso cadde dalla panchina e Flavio lo raccolse prontamente ridendo.

— Non sarà quello della sfida, — gli disse Elvira a bassa voce.

Flavio rise ancora senza rispondere. Cingeva entrambi una zona luminosa, calda di invisibili correnti, dove sbocciavano le loro tenere giovinezze come fiori che il sole ha raggiunti. Anna pensò che riso e parole si riferivano senza dubbio a qualche loro precedente discorso e fu presa da un sentimento penoso di umiliazione che la ripiombò nel silenzio. Ella sentì in quel momento l'amarezza della vita che passava.

················

La folla riversandosi ora nel piccolo giardino li fece fuggire. Elvira dimenticò ancora il suo guanto e intanto che Flavio tornava indietro a prenderlo Anna disse con una certa impazienza:

— Ma dovresti rimetterlo una buona volta!

Dolcemente Elvira ubbidì, infilando le dita del guanto ad una ad una, finchè rimase il solo pollice che fece sparire con un movimento rapido spingendo il braccio in avanti e tendendolo così per qualche secondo, bianco e nudo, nella luce del sole che ne indorava la leggera pelurie.

— Come sono sottili gli abiti delle donne! — esclamò ingenuamente Flavio, fissi gli sguardi sulla manica di Elvira.

— Le piace questo?

— Molto. Fin dal primo istante che lo vidi mi colpì il disegno del trifoglio. È leggiadrissimo.

Anna aveva un abito simile nella stoffa e nel disegno: diverso solamente per il colore che le era parso troppo giovanile. Ma Flavio non se ne era accorto.

— Prima di andarcene vogliamo vedere il quadro un'ultima volta? — disse Elvira con grazia provocante, mostrando un interesse che toccò Flavio nelle più intime fibre dell'amor proprio.

Dinanzi al quadro Elvira si appassionò, si esaltò quasi, trovando parole ardite,dolci, profonde, misteriose, le quali finirono di versare nelle vene del giovane la turbatrice ebbrezza del più capzioso dei liquori.

A un tratto impallidì, aggrappandosi alla parete, coll'occhio che accennava a spegnersi, tutto il corpo preso da un subitaneo languore. Anna e Flavio la sorressero, ma si riebbe subito. Accettò nondimeno il braccio di Flavio per uscire dalle sale.

Giunti a casa fu consigliata di coricarsi perchè si reggeva a stento. Ella non ne volle sapere, assicurando che un po' di riposo in libertà, sul terrazzo, l'avrebbe rimessa completamente. — Quando però fu l'ora del pranzo la debolezza era aumentata.

— È il caldo — andava dicendo a chi insisteva perchè si mettesse a letto. Intanto le durava negli occhi quella strana fosforescenza e nel fondo delle occhiaie si addensava l'ombra violacea.

Volle prendere il suo posto a tavola, ma non toccò cibo. Lagnavasi ancora del caldo e parlava, parlava animatamente della Mostra, del premio, delle persone incontrate. Anna la osservava con inquietudine.

Subito dopo pranzo scese Flavio.

— Non va troppo bene, — gli disse Anna nel vano dell'uscio. — Vorrei chiamare il medico.

Flavio si turbò.

— Speriamo non sia nulla di grave, — soggiunse Anna avvedendosi dell'impressione fatta.

— È sempre grave per me ciò che le riguarda, — rispose Flavio semplicemente.

Elvira era ritornata sul terrazzo. Quando vide Flavio gli sorrise con grande dolcezza e gli fece posto accanto a sè.

— Senta la mia mano. Anna pretende che abbia la febbre.

Flavio le prese la mano.

— E senta qui! — gli tese la fronte. — Scotta?

Flavio non disse nè sì nè no, temendo di spaventarla, ma il suo sguardo cercando quello di Anna lo tradì.

— Sono dunque ammalata davvero? — esclamò Elvira, — e domani che si doveva andare in campagna!

— Giorno più, giorno meno, non importa, — disseAnna in tono conciliativo. — Andremo dopodomani.

Parlarono un po' di tempo di boschi, di montagne, di sentieri ombrosi, di escursioni da farsi tutti e tre insieme, perchè Flavio doveva andare a trovarle. Elvira se lo fece promettere ripetutamente. A poco a poco però l'ardore del conversare le venne meno, il corpo le si piegava spossato, affranto.

— Vieni a letto, — le disse ancora Anna. — Vieni!

Questa volta non oppose resistenza. Si accommiatò da Flavio gettandogli uno sguardo umido e ardente e sorretta dalla sorella si trascinò fino alla sua cameretta attigua alla camera di Anna.

Non aveva nemmeno più la forza di spogliarsi. Anna dovette slacciarla, ritirarle gli abiti ad uno ad uno, coricarla al pari di una bambina. Era la prima volta che Anna si trovava in un contatto immediato con Elvira e per quanto una pietà gentile le consigliasse quell'aiuto non poteva vincere in se stessa il ribrezzodella di lei carne. Perfino dalle vesti di lei, ammucchiate sul tappeto, saliva alla sua sensibilità irritata un'impressione di nausea che la faceva soffrire nell'intimo delle viscere, per cui sollevò rapidamente il cumulo della biancheria ricacciandola in fondo della camera.

— Brucio, — diceva Elvira, e questa parola ripetuta ad intervalli con voce fioca era la sola che ella ormai pronunciasse.

Anna propose di non affrontare la notte senza udire il consiglio del medico.

— Sì, sì, — rispose Elvira, — chiamalo e che mi faccia guarire presto!

Durante l'aspettativa si assopì lievemente. Anna, che la vide chiudere le palpebre, allontanò il lume perchè potesse riposare e oppressa ella stessa dalle fatiche della giornata, si appoggiò al davanzale della finestra respirando l'aria a larghe ondate.

“Non sarà nulla certamente„, pensava sprofondando le pupille nel vuoto oscuro. “Un po' di stanchezza, l'afa di oggi, la commozione.... Era vera commozione? Maperchè? Lo aveva ella amato fin da piccino? Lo aveva protetto quando gli altri lo deridevano? Aveva ascoltate le prime voci di quell'anima così tenera e così sensibile? Si era fatta il suo pensiero e la sua coscienza?... O non lo aveva invece sempre deriso e disprezzato? Perchè dunque sarebbe commossa lei? Perchè?„

Un gruppo di affanno le strinse la gola. Tutte le scene della giornata le sfilarono davanti: le parole, i silenzi, gli sguardi, i sorrisi. Egli aveva ventun anni e lei diciassette....

“Come riposava ora tranquilla! Non sarebbe nulla certamente, tuttavia....„

Una rapida visione di giovani vite troncate sul fiore le attraversò la memoria.... Sobbalzò, i suoi polsi batterono un istante con violenza; il cuore le si volle schiantare contro le braccia conserte.

“Nulla: non sarà nulla!„ disse a voce alta quasi per combattere un incubo — e chiuse le persiane con precauzione per non svegliare la dormente.


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