CAPO VIII.SORTE DEI MAGHI E DELLE STREGHE.
Dopo tanti prodigj della magìa, omai cerchiamo la beatitudine delle streghe: doveanoessere gente che avesse delizie per tutta la vita, solo triste il fine della pattuita perdizione: invece non aveano che l'ultimo, non se le portava il folletto, ma le martoriava l'ignoranza. Liberato un indemoniato, si dovea cercare a punizione chi lo aveva fatturato: si faceva incetta di maghi e streghe, si davano nelle mani della giustizia, e Delancre fu in Francia giudice che distribuì tanti castighi a maghi e streghe, quanti grani di tempesta cadono in un temporale, e se ne diede merito e stampò opere sulla magia, le quali concorsero a materiali di questo libro.
Guai al tempo degli incettatori di rei di magìa! La dottrina, lo studio dell'astronomia, delle scienze naturali era un dono funesto: i filosofi erano maghi: Bruno, Campanella, Francesco Stabili scontarono come fattucchieri il funesto dono della sapienza, sul rogo o nellecarceri. La vecchiezza, venerabile per l'età , era fatale, perchè andava associata al sospetto di stregonerìa. Si spiava la condotta delle vecchie, e ogni loro azione era indizio dell'arte che credeasi professassero. Se usavano la chiesa, era per vedere l'ostia nera e profanarla; se non vi andavano, era perchè avevano abbiurato alla religione; se si rendevano a pregare ne' cimiteri, profanavano gli estinti per fare maleficj.
Vi erano anche le prove per conoscere una strega. Quando si prendeva una persona sospetta di magìa le legavano mani e piedi, e la gettavano nell'acqua, e se veniva alla superficie era mandata al rogo come rea. Poi si svestiva per cercar se avesse sul corpo i suggelli di maestro Leonardo, si indagava se usasse piangere, giacché alle streghe era negato il beneficio delle lagrime: finalmente era chiamata ad esame e si persuadeva a confessare.
Parrà strano che tante streghe e fattucchieri fossero puniti e arsi per la stessa loro confessione, e da ciò alcuni vollero indurre prove all'esistenza della magìa. Converrebbe esaminare que' processi e persuadersi altrimenti: eran tutti presso a poco ad un modo: dopo avere interrogati que' sgraziati intorno a cose generali, li stringevano sull'argomento.
— Siete voi una strega?
— Oh che dice mai! Il cielo me ne guardi!
— Ecco una profanazione, bestemmia! Confessa, chè già è nota ogni cosa. Non parli? Ebbene ti persuaderà un po' di corda. Ehi! —
Ed ecco il manigoldo conduce la donna a una corda che pende da una carrucola dalla vôlta, le lega le mani alle spalle, le rafferma a questa corda, tira l'altro capo: si rivoltano alla sgraziata le braccia, scrosciano l'ossa al peso della persona.
— Ah, Signor Iddio! misericordia!
— Taci, non nominare il nome del Signore invano; confessa: sei una strega?
— Sì, sì: mi liberi da questo tormento, e dirò tutto. —
E l'esaminatore dà un cenno, la corda allenta e la sgraziata mezza rotta, è slegata.
— Dunque sei strega?
— Sì signore.
— Hai fatto patto col diavolo?
— Sì signore.
— Sei stata al Sabbath?
— Io non so che si dica. Ho fatto tutte le settimane il venerdì e il sabbato.
— E che! Osi anche motteggiare, sfacciata? è lo spirito d'averno che risponde per te: un po' di corda.
— No, per carità ! sono stata al Sabbath.
— Che cosa vi hai veduto?
— Per verità non lo so, direi una bugia.
— Ehi! mettetela sul letto. —
E i manigoldi la distendono su una specie di cataletto ove resta legata mani e piedi.
— Ma che cosa mi fanno? Per carità ! Io non intendo nemmeno che cosa vuole sapere.
— Ti sei divertita al Sabbath, al congresso delle streghe?
— No signore; non so niente.
— Ebbene, datele un po' piacere. —
E i manigoldi si mettono a farle solletico con spazzole di ferro sotto la pianta de' piedi.
— Ahi misericordia!
— Confessa che cosa hai fatto.
— Ho ballato.
— Nient'altro?
— No signore. —
Ed ei fa un cenno col capo, e quegli altri incominciano a pungerla con degli spilli.
— Misericordia! Ho mangiato.
— Che cosa facevano gli altri?
— Non lo so.
— Fatele venire la memoria — e i manigoldi le stringono colle tanaglie le orecchie, le strappano i capelli.
— Ahi! ahi! per carità ... Sì signore, ho veduto il Maledetto colle corna, coi piedi d'oca, vestito di rosso, colla barba.
— Lo hai baciato?
— Oh! che dice mai? Io baciare il diavolo? Caro signore! Io lasciarmi baciare?
— Ebbene senti i suoi amplessi — e un cenno, e i manigoldi le cingono al fianco un cilicio, la pungono miseramente, ed ella:
— Sì, sì... mi ha abbracciata?
— E d'altro che avvenne?
— Non lo so. —
Poi la tastano con ferri roventi, ed ella:
— Ah per carità ! Non mi diano più tormenti; sì, confesso tutto: il Nemico mi ha fatto tutto quello che dicono; mi levino da questo martirio. —
Si alza; si redigono di nuovo, in forma di confessione con applicazioni, quegli asserti; la donna sta un po' dubbiosa prima di confermarli; ma gira la vista, vede la corda, il letto, i manigoldi, si sente un brivido per l'ossa, e conferma: il processo è fatto colla confessione della rea e la sgraziata è condannata al fuoco.
Di questo modo andò il processo di Urbano Grandier, che fu pubblicato sotto il titolo diStoria dei diavoli di Loudon, e accennato in quelledei fantasmidi Gabriella P., da cui estraggo parte.
Le conclusioni, il delirio degli indemoniati si apprese alle Orsoline di Loudon: i nemici del parroco Urbano Grandier, lo accusarono di stregonerìa, di averle ammaliate. Le donne ogni dì facevano nuove stranezze, la superiora, che era bellissima, aveva in corpo varj spiriti, tra i quali Astarotte: diversi folletti maligni possedevano le altre monache, fra quali Zabaclon aveva presa casa da una laica. I nemici di Grandier, cioè il procuratore del re, e Mignon inquisitore, coi giudici andarono nel collegio. Appena si accostarono alla superiora, la cominciò a contorcersi, a mandare grugniti: allora il giudice Mignon mise un ditoin bocca alla donna e imprese a interrogare in latino Astarotte che la possedeva.
— Con quai mezzi sei tu entrato in corpo a questa monaca?
— Con delle rose.
— Chi le ha mandate?
Dopo un momento di silenzio: — Urbano.
— Qual'è l'altro suo nome?
— Grandier.
— La sua qualità ?
— Parrocco.
— Di qual chiesa?
— Di san Pietro di Loudon.
— Chi ha portate le rose?
— Uno spirito trasformato. —
Si tornò altre volte alle interrogazioni della monaca e d'una laica, e sempre Astarotte per bocca di costoro nominò Grandier come stregone.
Lo sgraziato fu preso; si rinnovarono i processi alle donne, e uscirono le accuse più strane contro Grandier: si mostra, e lo ho recato altrove, fino il patto ch'egli aveva collepotenze d'averno, e fattele parlare sovente per la bocca delle indemoniate, sulla loro testimonianza, si condannò l'innocente ad essere arso, e gittate le ceneri al vento.
Fatta la condanna si mandò un chirurgo nella prigione di Grandier con ordine di radergli la testa, il viso e il resto del corpo per vedere se portava qualche marchio, e strappargli le unghie. Dopo fu vestito d'un cattivo abito e condotto in quello stato al palazzo di Loudon, ove si trovavano radunati tutti i giudici con una folla di spettatori. Lactance e un altro suo collega scongiurarono l'aria, la terra, il reo stesso e ordinarono agli spiriti di lasciare la persona del fattucchiero. Quindi Grandier si pose in ginocchio ed ascoltò la lettura della sua sentenza con una costanza che meravigliò tutti gli astanti: egli però non aveva confessato, fu posto alla più fiera tortura; inutilmente: non proferì parola, non si salvò.
Venne al dì statuito condotto al supplizio. Se gli era promesso di lasciargli parlare alpopolo, e di strozzarlo per sollevargli il martirio del fuoco: non lo si fece: ogni volta che apriva bocca, gli esorcisti gli gittavano sul viso tant'acqua che era soffocato. Mentre si apparecchiava il laccio, alcuni lo rannodarono in modo che non valesse, altri diedero fuoco al rogo innanzi tempo: il misero Grandier disse al suo esorcista:
— Ah! questa non è la promessa: vi è un Dio che sarà il mio e il tuo giudice, e ti stabilisce a comparire innanzi a lui un mese. —
Ma la fiamma tutto distruggeva. Uno stuolo di colombe errava intorno a quel rogo; i tristi dissero ch'erano demoni che cercavano di soccorrere il mago; una mosca volò intorno alla testa di Grandier, e dissero che era il demone che veniva a raccoglierne l'anima.
L'infelice cadde, e molti perirono al par di lui per varj secoli nello stesso modo, miserando esempio della tristizia degli uomini e dell'ignoranza dei tempi.
Ma non tutti avevano l'animo di Grandier; inventavano tra' triboli strane venture e complici, e quindi nuovi tormenti e nuovi tormentati. Gautiere accusò nel 1582 Laforde d'averla condotta al Sabbath, ed ebbero entrambe la mala ventura.
A Casale, in Piemonte, vi era una strega chiamata Androgena, che nel 1538 fu accusata di apportare la morte nelle case ove andava, e confessò che aveva una società di 40 streghe, colle quali faceva un maleficio onde ungevano le porte delle case. Sempre la stessa storia degli avvelenatori, e per sciagura la stessa barbarie di abbruciarli.
Anche le pazze e le frenetiche si prendevano come streghe. Maberthe che viveva nel 1618 era un misto di fanatismo religioso ed empio, diceva che amoreggiava esseri celesti, che una mano le toccava il capo, e una voce le ripeteva: sei perdonata. Fu chiamataall'inquisizione, e confessò che dormiva con un folletto, che era strega, che andava al Sabbath e infine che l'inquisitore voleva sedurla: convenne spacciarla, e fu abbruciata. Invece Giovanna Ribadin fu condannata a morte il 5 giugno 1587, perchè in un delirio profetizzò che Dio proibiva alle donne di portare le maniche increspate, e agli uomini berretti rossi, e raccolse in domenica erbe malefiche.
E di queste follìe ve ne avrebbero molte da narrare per un dì; ma omai è meglio venirne a capo per consolarci almeno con un altro pensiero, che sono finite le streghe e questa cantafavola.