GIULIA LESPINASSE

GIULIA LESPINASSE

Oh, laissez-moi, sans trève, écouter ma blessure,Aimer mon mal, et ne vouloir que lui!

Oh, laissez-moi, sans trève, écouter ma blessure,Aimer mon mal, et ne vouloir que lui!

Oh, laissez-moi, sans trève, écouter ma blessure,

Aimer mon mal, et ne vouloir que lui!

Non intendo parlare dell’amica di D’Alembert e di Condorcet, dell’emula di M.meDu Deffand, delle conversazioni o degli scritti di M.llede Lespinasse. Ma vorrei in pochi tratti ritrarre la sua fisonomia di donna passionata, vederla e raffigurarla sotto la doppia aureola di amante e di vittima, notare sulle sue magre guance il solco delle lacrime divoranti,nei suoi occhi il fuoco sacro di una passione fatale, che la rassomiglia a Saffo e a Didone, a Fedra e a Eloisa.

Giulia-Giovanna-Eleonora di Lespinasse nacque a Lione il 18 novembre del 1732. Figlia adulterina della contessa d’Albon, ebbe una infanzia e una adolescenza da romanzo. Morta la madre, rimase con la sorella e il cognato, e passò giorni d’inferno, provando tutte le umiliazioni della sua equivoca condizione.

Aveva appena ventidue anni, quando la marchesa Du Deffand, già avanzata d’età e quasi cieca, le propose di venire a Parigi con lei per tenerle compagnia e farle da lettrice e da segretaria. Giulia accettò, e visse con M.meDu Deffand per più di nove anni in perfetta armonia. Lì ebbe occasione di conoscere i più insigni scrittori contemporanei, che quasi tutti frequentavano ilsalondella marchesa, e si guadagnò la stima e la simpatia di molti fra loro.

Non era bella, ma piacente per lo spirito, la grazia, la squisitezza del gusto, la finezza dei modi; per la soave amabilità del sorriso, l’intelligenza e la profonda espressione degli occhi, che avea neri e bellissimi. Vestita con elegante semplicità, piaceva generalmente, e godeva di accorgersene.... «Ah! que je voudrais, diceva un giorno,connoître le foible de chacun!» Ingenua parola che le usciva dal cuore e che ci rivela in questa donna, che la passione dovea poi rendere così indifferente e romita, un fondo di naturale ed affettuosa bontà, mista a una perdonabile vanità femminile. Era delicata di sentimenti, di immaginazione, di gusti. Un oggetto, una parola triviale, la facevan soffrire come un insulto. Malinconica spesso, sentì fin dalla prima giovinezza la vanità e il disgusto della vita; e gracile di persona, ed emottoica fin dai diciotto anni, era di una sensibilità nervosa eccitabilissima; talchè può dirsi che essariuniva in sè, in modo più singolare che raro, tutto ciò che sulla terra procura o fa più intenso il dolore.

M.meDu Deffand, avvezza a dormir di giorno e a levarsi tardissimo, apriva il suosalona sera inoltrata. I suoi illustri visitatori fino dal 1762 avevan presa l’abitudine di riunirsi ad aspettar l’oraofficialenelle stanze di M.llede Lespinasse, e spesso anticipavano di un’ora o due, per avere il piacere di conversare fra loro e con lei, in più libera intimità. Quando la caustica e gelosa marchesa ebbe notizia di questaviolazione dei suoi sacri diritti, com’essa la qualificava, gridò al tradimento, se ne lamentò con mezza Parigi, e la burrasca non potendo in verun modo acchetarsi, M.llede Lespinasse dovè ritirarsi e aprir casa da sè. Ma aprì anche unsalon, nella sua elegante casina di via Belle-Chasse, e molti e dei più notevoli e assidui frequentatori delsalondella marchesa lo disertarono per quello dellaloro giovine amica. Fra questi, D’Alembert, Turgot, Condorcet, Brienne, Chostelloux.

D’Alembert fece di più: andò ad abitare nella stessa casa della Lespinasse, spinto da un sentimento più forte dell’amicizia, (questo figlio dell’amore era magneticamente attratto verso la sventurata figliola dell’amore) sentimento disgraziatamente non corrisposto, e che doveva amareggiare tutta la vita dell’illustre filosofo, umiliarlo agli occhi degli amici ed ai propri occhi, paralizzargli negli ultimi anni l’attività dell’ingegno, ed affrettargli la morte.

Ma non anticipiamo.... Affrettiamoci invece a parlare dei due amori di Giulia, o meglio del suo amore, perchè la fiamma del primo benchè spontanea ed ardente, si fa impercettibile dinanzi al divorante incendio del secondo amore di lei. Per D’Alembert essa non ebbe che amicizia; per il signor De Mora, amore; per il signor De Guibert, passione.

E la passione per il signor De Guibert nacque prima che fosse spento nel cuore della infelice donna l’amore per il signor De Mora. Le lettere di lei ci fanno assistere al doloroso dramma della lotta di due amori, uno angosciosamente morente, l’altro audacemente invasore e sovrano. La ragione, il dovere, il rimorso, son dissipati ai primi soffi vulcanici della imminente tempesta, e la passione tiranna, regna, imperversa, devasta, e non si ritira neppur dinanzi alla morte!

Figlio del conte di Fuentes ambasciatore di Spagna alla corte di Francia, il signor De Mora era, secondo ciò che ne scrive il Galiani, acuto e credibile giudice, un uomo di merito straordinario e che pareva destinato al più glorioso avvenire. Era venutoa Parigi nel 1766. Giovine, bello, famoso, nobile di sentimenti e di modi, cavalleresco come uno spagnuolo, amabile come un francese, s’innamorò della Lespinasse, e ne fu riamato con pari ardore. Malato di petto, dovè lasciar Parigi l’agosto del 1772 per andare a respirare l’aria nativa. La separazione dei due amanti fu dolorosa.... pareva che ambedue presentissero il tragico loro destino e che non si sarebbero mai più rivisti. Indiecigiorni egli le scrisseventicinquelettere (cifre eloquenti, infallibile termometro), e Giulia non sapea darsi pace....

Essa soffriva molto per l’assenza dell’amante, e cercava talvolta qualche innocente distrazione al suo dolore, qualche svago per passare le ore intollerabilmente eterne della lontananza. Un giorno, il suo cattivo genio le suggerì di andar a far visita al pittore Watelet, alla sua villa di Moulin-Joli, sulle rive della Senna, presso Montmorency. Fu là che Giulia vide per la primavolta il giovine colonnello De Guibert. Questo brillante ufficiale a cui era noto l’amore di Giulia per il signor De Mora e vedeva la sua malinconia, cercò di distrarla, di confortarla, e riuscì sventuratamente troppo al di là del suo intento. Bastò quel giorno (che essa invoca ed esecra, adora e maledice nelle sue lettere), per trasfonderle in tutte le vene il veleno che la dovea consumare.

O misteri, o contradizioni del cuore! Come potè questo signor De Guibert, in un sol giorno, contrabbilanciare nel cuore di una donna innamorata, e naturalmente buona e sincera come la Lespinasse, l’amore che essa provava per il signor De Mora, lontano, fedele e sofferente? Questo Guibert che non era altro che un fortunato ambizioso, di una immensa vanità e di un mediocre ingegno; autore di opuscoli militari che fecero un certo rumore; adulato adulatori delle celebrità contemporanee; uomo diun carattere comune, e qualche volta anche volgare! Eppure il fortunato ufficiale fece dimenticare a una donna come la Lespinasse un uomo come il signor De Mora; le fece disprezzare i teneri sentimenti di un D’Alembert.... e dopo l’agonia della povera Giulia, morta d’amore per lui, egli seppe ispirare i primi sentimenti d’amore alla figlia di Necker, e fa parlare anche oggi di sè, grazie ai nomi famosi della Lespinasse e di madama di Staël.

Era passato appena un anno dal giorno della fatale visita a Moulin-Joli, e la passione di Giulia per il signor De Guibert aveva trionfato, dopo strazianti contrasti, di ogni dovere, d’ogni rimorso, d’ogni pietà. E il signor De Mora, fortunatamente ignaro della infedeltà di lei, moriva quasi improvvisamente a Bordeaux.

Qui comincia la storia straziante, il dramma interno continuo, che conduce alla inevitabile catastrofe. Notiamo le gradazionidi questo fatalecrescendonelleLettereche ci rimangono della infelicissima donna. Il gemito di Eloisa, il grido di Fedra, il delirio di Saffo si alternano in questeLettereveramente uniche, e che sembrano bruciare la pagina....

Maraviglia, dolce commozione, dubbio, rimorsi, contrasto e lotta, debolezza e abbandono, trionfo dispotico della passione, estasi e spasimi, amari disinganni, sforzi inutili per guarire, gelosia, umiliazioni, abbattimento fisico e morale, delirio, agonia e morte — sono le fasi che percorre questa tragedia d’un’anima.

NelleLetteredi M.llede Lespinasse è una volta chiaramente indicato, e più volte indirettamente accennato, il giorno nel quale la passione, più forte d’ogni altro sentimento,la gettò nelle braccia del nuovo amante. Il 10 febbraio 1774, così essa scrive al signor De Guibert: «Minuit sonne; mon ami, je viens d’être frappée d’un souvenir qui glace mon sang. C’est le 10 février de l’année dernière que je fus énivrée d’un poison dont l’effet dure encore. Dans cet instant même, il altère la circulation de mon sang: il le porte à mon cœur avec plus de violence. Hélas! Par quelle fatalité faut-il que le sentiment du plasir le plus vif et le plus doux soit lié au malheur le plus accablant?... Je me sens entraînée vers vous par un charme que j’abhorre, mais qui a le pouvoir de la malédiction et de la fatalité.» E segue dicendo che il fantasma vendicatore del signor De Mora la perseguita, e non le dà un’ora di pace.... per poi concludere: «Je vous attends, je vous aime, je voudrais être toute à vous, et mourir après.» Il giorno dopo gli scrive una lettera di fuoco in cui sembra domandargliperdono dei suoi rimorsi, e gli parla con una sottomissione da bambina tremante, e finisce: «Je vous aime comme il faut aimer, avec excès, avec folie, transport et désespoir.» Negli ultimi giorni del 1774 gli scrive un biglietto di un rigo che si direbbe l’epilogo di tutte le sue lettere. È datatode tous les instants de ma vie, e dice così: «Mon ami; je souffre, je vous aime, et je vous attends.» Essa gli rivela giornalmente ogni suo sentimento, ogni suo pensiero, e gli confessa: «Je ne crois m’assurer la propriété de mes pensées, qu’en vous les communiant.» Chiude la porta alle visite, non vuol più ricevere ne D’Alembert, nè Diderot, quando il signor De Guibert è assente da Parigi, e passa le giornate intere a scrivergli, o a sognare, da desta, di lui: le sere d’estate, sola, senza aprire un libro, senza accendere il lume, assisa presso la finestra, passa delle ore felici a pensare a lui, a lui sempre, a lui solamente....

L’amore fututtoper lei. E dall’altezza eroica a cui la esaltò la passione, misurava e giudicava con ironica pietà la vanità e la piccolezza di tutto quel che più agita il mondo: la gloria, la politica, le accademie, i teatri, le mode, isalons. Tutto le divenne a un trattosupremamente indifferente, e stupiva di essersi tanto preoccupata finora di similinulla....

Da quest’estasi la riscosse un colpo di fulmine. Il signor De Guibert prese moglie; una giovinetta di diciott’anni; un matrimonio diconvenienza, dove il cuore non era compromesso.... (così tenta di farle credere). Essa sulle prime gli scrive lettere di nobile risentimento e di amaro rimprovero. In una lettera del 15 ottobre 1775 gli dice: «Le coup dont vous m’avez frappée a atteintmon âme, et mon corps y succombe. Je le sens; je ne veux ni vous effrayer, ni vous intéresser; mais je sens que j’en meurs: (e non eran frasi!) même en supposant l’impossible, que vous redevinssiez libre, et que vous fussiez pour moi ce que j’avais désiré, il serait trop tard.... mais je vous pardonne; dans peu tout sera égal.» E quando egli ipocritamente osò darle consigli di saggezza e di prudenza, e parlarle dimorale, gli rispose con queste parole, dove freme tutta l’indignazione della donna ingannata: «Ne prenez pas l’envie de me faire la victime de votre morale, après m’avoir fait celle de votre légèreté.» E quando egli mendicava pretesti, e voleva dare spiegazioni di impegni antecedenti ecc., essa gli rispondeva: «Sauvons les détails: quand une fois le fil de la vérité a été rompu, il ne faut pas le rajouter; cela va toujours mal.» Seppe poi che da un pezzo egli era fidanzato alla giovine che sposò: eppure non le riuscì ditroncare la corrispondenza e guarire. Egli crudelmente le manteneva aperta la ferita con lunghe lettere dove simulava l’accento dell’amore. E l’infelice era troppo interessata a crederlo vero!

Avea però dei rari momenti di riflessione, dei lucidi intervalli, nei quali le cadeva la benda dagli occhi, e allora provava una gran pietà di sè stessa e piangeva: piangeva per delle ore, con lacrime abbondanti, incessanti, che le facevan bene, la sollevavano, come un diluvio d’estate che alleggerisce e purifica l’aria diventata afosa e irrespirabile. In quei momenti vedeva a nudo la vanità artificiosa, la leggerezza, la nullità dell’uomo a cui avea consacrato inutilmente tesori di affetto, la pace, la riputazione, l’ingegno, la salute, la vita; e ripensava al signor De Mora, e si sentiva colpevole, e provava un’acre voluttà nel suo pianto, riguardandolo come espiazione del suo tradimento.

In uno di questi giorni, avendole il signor De Guibert scritta una lettera in cui la umiliava con crudeli parole, essa gli rispose così: «Quoi! j’ai été aimée de M^r De Mora, j’ai été l’objet de la passion de l’âme la plus noble, la plus grande, et vous voudriez m’humilier? Ah! laissez-moi à mes remords: ils m’anéantissent....»

Eppure, poche settimane dopo, è la prima a riscrivergli: a scusarsi, a mendicare una parola d’amore, a tentare di impietosirlo descrivendogli le sue orribili notti d’insonnia, di tosse, di febbre, di disperazione. Gli promette dinon annoiarlo piùcoi rimproveri.... gli chiede (essa a lui!) compatimento e perdono.... «Ne m’aimez pas, mais souffrez que je vous aime toujours!» E con la mano ardente di quella febbre che la conduceva a passi precipitati alla tomba, aggiungeva: «Les battements de mon cœur, les pulsations de mon pouls, ma respiration,tout cela n’est plus en moi que l’effet de la passion.»

Questo veleno, questo filtro di Medea, la consumava visibilmente. Era diventata uno spettro. E spesso si tratteneva davanti allo specchio, guardando come istupidita, con lunghi sguardi di compassione, le sue povere gote incavate, le sue magre braccia; e pensava a lui giovane, bello, pieno di salute, sorridente nella sua elegante uniforme di colonnello, al braccio della giovane sposa.... Allora dava in uno di quegli scoppi di risa che si odon soltanto quando si passa vicino ad un manicomio.

Quest’agonia della infelice Giulia fu spaventosa e lenta. Durò quasi tre anni. L’intensitàdell’angoscia era talvolta sì grande, che essa ricorreva all’oppio per ottenere qualche ora di tregua, per dormire un poco, per non pensare a lui. L’oppio e la musica furono i suoi unici sollievi. Quando andava a sentir l’Orfeo, le note elegìache di Gluck, l’aria famosaJ’ai perdu mon Eurydice, le facevan versar dolci lagrime: le pareva allora di essere soavemente rassegnata al suo fato, le pareva possibile di morire in pace.

Ma bastava una letteradi lui, un ricordo, un nulla, per rimetterle l’inferno nell’anima, per farla delirare di nuovo. La gelosia la torturava con la fisica rappresentazione di voluttà coniugali che le parevan rubate, rubate a lei; e si sentiva agitata da smanie intollerabili. La gelosia le fulminava nel cuore, feroce e incessante, come le pulsazioni spasmodiche di un tumore o di un dente cariato; e allora, delirante, fuori di sè, raddoppiava le dosi dell’oppio; e alle smanie febbrili succedevano mortali letarghi.

Una sola volta in questi tre anni, quasi per miracolo, essa si destò calma, e come se fosse diventata a un tratto un’altra persona. Ripensò ai casi di Giulia Lespinasse come ai casi di un’altra donna, si sentì riconciliata alla vita, potè leggere, conversò con D’Alembert, andò a fare una passeggiata nel giardino delle Tuileries. Era un giorno di settembre del 1775. Ne parla in una sua lettera, la sola lettera tranquilla in tutto il volume: «C’était une belle matinée de soleil: j’ai été aux Tuileries: oh, qu’elles étaient belles! le divin temps qu’il faisait! l’air que je respirais me servait de calmant: j’aimais, je regrettais, je désirais; mais tous ces sentiments avaient l’empreinte de la douceur et de la mélancolie.... Oh, je ne veux plus aimer fort, mais j’aimerai doucement....»

Ecco finalmente, la prima volta, per la misera donna un giorno di pace, di rassegnazione, di autunnale poesia. Essa stessane rimase sorpresa, trasognata; avvezza com’era a vivere vertiginosamente nel terribile cerchio d’un uragano, a respirar sempre l’aria elettrica della tempesta.

La sera di una burrascosa giornata di novembre, a Roma, nell’ora del tramonto, io vidi dall’orto di Sant’Onofrio sul Gianicolo uno spettacolo che non potrò dimenticar mai. La città tra il barlume crepuscolare e la nebbia pareva un’enorme Pompei sotto la cenere. Il cielo era spaventoso. Blocchi giganteschi di nuvole color di rame si affollavano verso oriente: a occidente, una immensa tenda di fuoco, candescente come una fornace dove il mantice soffii continuo. Qua e là, immani forme di mostri apocalittici, tizzoni fumanti, striscie di sangue,rovine babiloniche, confusi avanzi di enormi naufragi.... E tutto era immobile, peso, senza un alito di vento. Solo in fondo all’orizzonte, verso Albano, si vedeva un pezzo di cielo turchino, un piccolo triangolo d’un azzurro ineffabilmente tenero e profondo, un occhio di paradiso su quella babele di nuvoli minacciosi....

La storia della passione di Giulia Lespinasse a me pare che rassomigli a quel sinistro cielo crepuscolare. È una scena d’orrore, consolata solo da un lembo d’azzurro, da un breve sorriso di pace.

Fu il primo e l’ultimo. Un letargo di due giorni precedè la morte di lei. Quando riuscirono a farla tornare in sè, disse con accento di dolore e di spavento: «Dunque son sempre viva?...» Sperava che l’orribile palpitofosse finito: la vita le faceva terrore.

Ma la morte, la consolatrice, venne; e posò le sue fredde mani sulla fronte ardente,sul petto in sussulto dell’infelice.... e il cuore e il cervello di Giulia Lespinasse si acquietarono — finalmente.

Il 23 di maggio del 1776, alle due dopo la mezzanotte, era guarita per sempre.


Back to IndexNext