RACHEL

RACHEL

LaCorrispondenzadella illustre tragica è stata pubblicata ora a Parigi, in un magnifico volume, a cura del signor Giorgio d’Heylli. Le lettere son precedute da brevi notizie sulla famiglia della Rachel e intercalate alla narrazione delle sue trionfali escursioni di attrice. Da questo eccellente libro è apparsa ai miei occhi una nuova Rachel; non più nelle solenni attitudini della tragedia, nel costume di Fedra o di Atalia, ma una donna semplice, affettuosa, spiritosa, e soprattutto sincerasempre; nelle gioie, nei dolori, nei trionfi, nelle umiliazioni (ne toccarono anche a lei), nelle malattie, e nella morte. Più che della stessa arte che era la sua passione, essa parla e si preoccupa in tutte le lettere, dei suoi bambini, della madre, delle sorelle, e ha spesso accenti di ineffabile tenerezza. I bei ritratti ond’è adorno questo volume ci aiutano a rievocare, a risuscitare quella simpatica figura. In una fotografia del 1851 che vi è riprodotta, ci si mostra in un elegante e semplice vestiario, coi capelli divisi sulla fronte, lisci e raccolti in una semplice treccia, assisa, appoggiando malinconicamente la sua bella testa ebraica sulla sua piccola mano di parigina.

Povera Rachel! Come ti hanno calunniata, anche i critici tuoi ammiratori! «La Rachel, diceva un d’essi, è una specie di Lamia, una donna serpente; e riesce grande nella rappresentazione delle passioni perverse e diaboliche. Essa ha un volto e unportamento che paion fatti apposta per esprimere il veleno dei caratteri che rappresenta.» Perchè essa conservava una inalterabile nobiltà statuaria di gesto, anche nei momenti di violenta passione; perchè non ricorreva a contorsioni epilettiche o a isterici singhiozzi da melodramma, l’accusarono di insensibilità: e uno dei più famosiappendicistidi Francia la chiamò addirittura «artista incomparabile, ma senza cuore.»

Questo è un giudicare alla cieca come la fortuna. La sua corrispondenza ci prova invece che essa è morta della sua arte, come la Malibran; e che il suo calmo esteriore nascondeva un interno vulcano.

La verità è questa: essa era l’antica Melpomene, un anacronismo vivente in pieno secolo decimonono. Tutto in lei era fatto a raffigurare e interpretare l’antichità, la sana e forte e serena antichità di Fidia e di Sofocle, che essa traduceva dagli alessandrinidi Racine; i suoi grandi e profondi occhi neri, il suo sguardo da Nemesi, le chiome corvine, l’ovale perfetto del volto, e la fronte d’antica regina, fatta per il cerchio d’oro dei Greci, o per la fascia israelitica. Con un gesto, con una piega del manto, col levare del braccio, con l’inclinar della fronte, essa otteneva effetti più potenti e più sicuri che altre attrici con piangere e scalmanarsi; o col ricorrere a strani mezzi di raffinato artifizio, a dellechatteriesdicocottesvestite da Andromaca o da Medea....

La Rachel era della gran famiglia tragica dei Talma, dei Salvini, delle Ristori; e forse, per doni naturali, per innato sentimento dell’antica semplicità, più grande di tutti. Quando si provò nelle parti febbrili, essenzialmente moderne, dei personaggi di Hugo e di Dumas, non riuscì. Nè poteva riuscire.

Allieva prediletta di Sanson, allorchè a diciannove anni esordì nelle parti di Ermione e di Roxane, il pubblico e la critica le si mostrarono piuttosto ostili. La sera del 30 novembre 1838, doveva recitare nelBajazetdi Racine. La folla era enorme: si battevano alla porta del teatro per entrare i primi.... Eppure, la tragedia finì tra un glaciale silenzio. Il 25, esce un articolo di Janin, il Minosse del teatro, con queste parole: «Mais que voulaient-ils donc que fît M.lleRachel dans ce rôle de Roxane? Cette enfant pouvait-elle deviner cette passion des sens, non de l’âme? Cette enfant si frêle, cette poitrine naissante, ce souffle inquiet pouvaient-ils suffire à représenter la puissante lionne qui a nom Roxane?»

Ma l’indifferenza del pubblico e la crudeltà della critica non scoraggirono puntola magra e pallida giovinetta. E Rachel-Roxane si ripresentò sulla scena, cinque giorni dopo. «Vous n’avez pas peur?» le domanda l’inquieto e trepido impresario, prima che s’alzi il telone. «Non, risponde Rachel, non; je suis furieuse de l’article de Janin, et c’est une raison de plus pour me monter....» E da quella sera, in cui il suo tragico genio si rivelò intiero, datarono i suoi crescenti trionfi. Fu una Roxane terribile. L’uditorio pietrificato non osava nemmeno applaudire.... Poi fu un urlo, un delirio, una valanga di fiori!

Ottenere grandi effetti con semplici mezzi fu il segreto della Rachel, ed è quello di tutti i grandi poeti ed artisti antichi. Le bastava di passarsi la mano fra i capelli, di avvolgersi in uno scialle dicachemire, per rappresentare in qualunque stanza laparte di Medea e di Ermione. Talvolta, a un pranzo, alzatasi, e allontanata da sè la sedia, osava affrontare la grande scena dellaFedra, e faceva fremere e agghiacciare i commensali, come se quella stanzatapisséee piena dei fumi dellochampagnee deicigaritossi fosse convertita a un tratto nell’atrio di Atride o nella reggia di Teseo.

Restando assolutamente immobile, pronunziando a voce bassa un verso, metteva i brividi nel suo uditorio. Certi versi, nella parte di Ermione, gli diceva con tale intensità e profondità di sentimento, che parevano rivelare nuovi abissi del cuore umano. Per esempio:

Je crains de me connaître en l’état où je suis.. . . . . .S’il ne meurt aujourd’hui, je puis l’aimer demain.. . . . . .

Je crains de me connaître en l’état où je suis.. . . . . .S’il ne meurt aujourd’hui, je puis l’aimer demain.. . . . . .

Je crains de me connaître en l’état où je suis.

. . . . . .

S’il ne meurt aujourd’hui, je puis l’aimer demain.

. . . . . .

Vi sono quattro versi ammirabili nella parte di Ermione che interpretati dalla Rachel ottennero sempre frenetici applausi,tanto a Parigi che a Pietroburgo, ad Amsterdam come a New-York. Quando Oreste per comando della gelosa Ermione ha fatto assassinar Pirro, e si presenta a lei e le narra come fu eseguito l’atroce mandato, essa, in una terribile apostrofe, gli dice disperatamente pentita:

Ah! fallait-il en croire une amante insensée?Ne devais-tu pas lire au fond de ma pensée?Et ne voyais-tu pas, dans mes emportements,Que mon cœur démentait ma bouche à tout moment?

Ah! fallait-il en croire une amante insensée?Ne devais-tu pas lire au fond de ma pensée?Et ne voyais-tu pas, dans mes emportements,Que mon cœur démentait ma bouche à tout moment?

Ah! fallait-il en croire une amante insensée?

Ne devais-tu pas lire au fond de ma pensée?

Et ne voyais-tu pas, dans mes emportements,

Que mon cœur démentait ma bouche à tout moment?

E chi può senza un tragico orrore ricordare le scene ultime dellaFedrainterpretate dalla Rachel? l’amaro spaventoso accento con cui faceva la involontaria fatale confessione?

Hélas! du crime affreux dont la honte me suit,Jamais mon triste cœur n’a recueilli le fruit.

Hélas! du crime affreux dont la honte me suit,Jamais mon triste cœur n’a recueilli le fruit.

Hélas! du crime affreux dont la honte me suit,

Jamais mon triste cœur n’a recueilli le fruit.

Ma forse ancor più mirabile era la calma finale, la dignità tragica con cui, raccolto il manto sul petto, guardati tristamente isuoi interlocutori, pallida, e già sulla soglia di Stige, — dopo un lungo silenzio, scandiva lentamente i versi immortali:

J’ai voulu, devant vous exposant mes remords,Par un chemin plus lent descendre chez les morts.J’ai pris, j’ai fait couler dans mes brûlantes veinesUn poison que Médée apporta dans Athènes.Déjà jusqu’à mon cœur le venin parvenuDans ce cœur expirant jette un froid inconnu....

J’ai voulu, devant vous exposant mes remords,Par un chemin plus lent descendre chez les morts.J’ai pris, j’ai fait couler dans mes brûlantes veinesUn poison que Médée apporta dans Athènes.Déjà jusqu’à mon cœur le venin parvenuDans ce cœur expirant jette un froid inconnu....

J’ai voulu, devant vous exposant mes remords,

Par un chemin plus lent descendre chez les morts.

J’ai pris, j’ai fait couler dans mes brûlantes veines

Un poison que Médée apporta dans Athènes.

Déjà jusqu’à mon cœur le venin parvenu

Dans ce cœur expirant jette un froid inconnu....

Eppure, questa terribile Fedra aveva nella conversazione e nelle lettere tutto il brio, tutte le finezze di una vera parigina. In questo volume della sua corrispondenza vi sono una trentina di lettere dove brilla una schietta vena di spirito e di buon umore. Ecco, per esempio, un biglietto col quale chiede un palco all’impresario Verteuil:

O Verteuil! puisque c’est ainsi qu’on vous nomme, et qu’on vous renomme!... une petite, toute petite loge, s’il vous plaît, pourvu qu’elle soit desix places.... Tous mes remercîments.

O Verteuil! puisque c’est ainsi qu’on vous nomme, et qu’on vous renomme!... une petite, toute petite loge, s’il vous plaît, pourvu qu’elle soit desix places.... Tous mes remercîments.

E questa letterina a un’amica, a proposito di regali:

N.... m’envoie pour mes étrennes un œuf, pour avoir un bœuf; on me dit que son hommage est en zing peint en bronze. Je l’ai déjà fourré à quelqu’un, pour m’endezinguerau plus vite. Faites-moi donc le plaisir de passer chez Giroux et d’acheter quelque chose de cent francs, — pas un maravédis de plus. Si ça fait l’effet de deux cents, tant mieux; du flafla! J’avais envie de lui coller un Chinois que j’ai, et collé, c’est bien ça, car il a la patte cassée.... J’ai un drôle de style ce matin, mais que voulez-vous? il pleut si fort!...Votre exploitée amie.

N.... m’envoie pour mes étrennes un œuf, pour avoir un bœuf; on me dit que son hommage est en zing peint en bronze. Je l’ai déjà fourré à quelqu’un, pour m’endezinguerau plus vite. Faites-moi donc le plaisir de passer chez Giroux et d’acheter quelque chose de cent francs, — pas un maravédis de plus. Si ça fait l’effet de deux cents, tant mieux; du flafla! J’avais envie de lui coller un Chinois que j’ai, et collé, c’est bien ça, car il a la patte cassée.... J’ai un drôle de style ce matin, mais que voulez-vous? il pleut si fort!...

Votre exploitée amie.

Una naturale semplicità la manteneva calma e degna al cospetto di regine e di imperatori. Conversando con lo Czar o con Wellington, con la regina Vittoria o col re del Belgio, essa si trovavaà son aisecome con la sorella Rebecca, o col segretario dellaComédie Française.

Ecco una lettera dove, con una grazia e una ironia tutta parigina, racconta un suo trionfo alla Corte di Russia:

J’ai été invitée à un grand banquet donné en mon honneur au palais impérial. Voilà qu’à mon arrivée au palais, de grands laquais galonnés et poudrés m’attendaient et m’escortent: l’un prend ma pelisse, l’autre me précède et m’annonce, et me voici dans un salon tout plein de dorures, où tout le monde se précipite au-devant de moi. C’est un grand-duc frère de l’empereur, qui vient lui-même m’offrir la main pour me conduire à la table du banquet. Quel choix de convives! La famille impériale, les grands-ducs, les petits ducs, et les archiducs, tous les ducs enfin de tous les calibres, et tout ce tralala de princes et de princesses curieux et attentifs, me dévorant des yeux, épiant mes moindres mouvements, mes paroles, mes sourires, en un mot ne me quittant pas du regard. Eh bien! ne croyez pas que j’aie été trop embarrassée. Pas le moins du monde! J’ai été comme d’habitude, au moins jusqu’au milieu du repas, qui d’ailleurs était fort bon. A ce moment, les toasts en mon honneur commencent: il se passe alors un spectacle bien extraordinaire. Les jeunes archiducs, pour me voir de plus près, quittent leurs places, montent sur des chaises, et mettent même un peu les pieds sur la table, — j’allais dire dans le plat! sans que cela ait l’air de choquer personne. Et les voilà qui poussent des cris, des bravos à m’assourdir, et qui me demandent de dire quelque chose. Répondre à des toasts par une tirade de tragédie, c’était bien étrange! maisje ne me suis pas laissé démonter pour si peu. Je me suis levée, et, reculant ma chaise, j’ai pris le geste le plus tragique de mon répertoire, et je leur ai entamé la grande scène dePhèdre. Il se fit alors un silence de mort; on aurait entendu voler une mouche, s’il y en avait dans ce pays-ci. Tous m’écoutaient religieusement, penchés vers moi, se bornant à des gestes admiratifs et à des murmures étouffés. Puis, quand j’eus fini, ce fut un nouvel assaut de cris, de bravos, de chocs de verre, et de nouveaux toasts, au point que j’en demeurai un moment comme interdite. Puis bientôt je me montai moi-même aussi, et, excitée en même temps par l’odeur des vins et des fleurs, et par tout cet enthousiasme qui n’était pas sans châtouiller mon petit orgueil, je me levai de nouveau, et j’entonnai, ou plutôt je déclamai avec beaucoup de châleur l’hymne national russe. Alors, ce ne fut plus de l’enthousiasme, ça devint du délire: on s’empressa autour de moi, on me serrait les mains, on me remerciait; j’étais la plus grande tragédienne du monde, et des temps passés et futurs....

J’ai été invitée à un grand banquet donné en mon honneur au palais impérial. Voilà qu’à mon arrivée au palais, de grands laquais galonnés et poudrés m’attendaient et m’escortent: l’un prend ma pelisse, l’autre me précède et m’annonce, et me voici dans un salon tout plein de dorures, où tout le monde se précipite au-devant de moi. C’est un grand-duc frère de l’empereur, qui vient lui-même m’offrir la main pour me conduire à la table du banquet. Quel choix de convives! La famille impériale, les grands-ducs, les petits ducs, et les archiducs, tous les ducs enfin de tous les calibres, et tout ce tralala de princes et de princesses curieux et attentifs, me dévorant des yeux, épiant mes moindres mouvements, mes paroles, mes sourires, en un mot ne me quittant pas du regard. Eh bien! ne croyez pas que j’aie été trop embarrassée. Pas le moins du monde! J’ai été comme d’habitude, au moins jusqu’au milieu du repas, qui d’ailleurs était fort bon. A ce moment, les toasts en mon honneur commencent: il se passe alors un spectacle bien extraordinaire. Les jeunes archiducs, pour me voir de plus près, quittent leurs places, montent sur des chaises, et mettent même un peu les pieds sur la table, — j’allais dire dans le plat! sans que cela ait l’air de choquer personne. Et les voilà qui poussent des cris, des bravos à m’assourdir, et qui me demandent de dire quelque chose. Répondre à des toasts par une tirade de tragédie, c’était bien étrange! maisje ne me suis pas laissé démonter pour si peu. Je me suis levée, et, reculant ma chaise, j’ai pris le geste le plus tragique de mon répertoire, et je leur ai entamé la grande scène dePhèdre. Il se fit alors un silence de mort; on aurait entendu voler une mouche, s’il y en avait dans ce pays-ci. Tous m’écoutaient religieusement, penchés vers moi, se bornant à des gestes admiratifs et à des murmures étouffés. Puis, quand j’eus fini, ce fut un nouvel assaut de cris, de bravos, de chocs de verre, et de nouveaux toasts, au point que j’en demeurai un moment comme interdite. Puis bientôt je me montai moi-même aussi, et, excitée en même temps par l’odeur des vins et des fleurs, et par tout cet enthousiasme qui n’était pas sans châtouiller mon petit orgueil, je me levai de nouveau, et j’entonnai, ou plutôt je déclamai avec beaucoup de châleur l’hymne national russe. Alors, ce ne fut plus de l’enthousiasme, ça devint du délire: on s’empressa autour de moi, on me serrait les mains, on me remerciait; j’étais la plus grande tragédienne du monde, et des temps passés et futurs....

Ma oh, come essa passò presto da questo tono confidente e gioviale all’accento dello sconforto e dei funebri presentimenti!L’interno turbamento provato quasi quotidianamente nel rappresentare e incarnare le più violente passioni, gli strapazzi dei suoi lunghi viaggi d’attrice, rovinarono presto la sua salute. L’anima ardente consumava e uccideva in lei il gracile corpo. Si può dire della Rachel quel che Musset cantò della Malibran:

C’est le Dieu tout-puissant, c’est la Muse implacableQui dans ses bras en feu t’a portée au tombeau.

C’est le Dieu tout-puissant, c’est la Muse implacableQui dans ses bras en feu t’a portée au tombeau.

C’est le Dieu tout-puissant, c’est la Muse implacable

Qui dans ses bras en feu t’a portée au tombeau.

Ogni grido diFedra, ogni gemito diIfigeniaaccresceva la magrezza e il pallore delle sue gote.

Fin dal ’55 essa sentì che per lei non c’era più speranza, e che i suoi giorni erano contati. La tosse, la febbre non la lasciarono quasi più. Il 7 gennaio essa scriveva dall’Avana queste dolorose parole:

.... Je suis malade, bien malade. Mon cœur et mon esprit sont tombés à rien. Je ne jouerai pas non plus à la Havane; mais j’y suis venue, et le directeur,usant du droit de son contrat, a demandé comme dommage 7000 piastres. J’ai payé les artistes jusqu’à ce jour. Je ramène toute ma pauvre armée en déroute sur les bords de la Seine; et moi peut-être comme un autre Napoléon j’irai mourir aux Invalides et demander une pierre ou reposer ma tête.... Mais non, je trouverai encore mes deux anges gardiens, mes jeunes fils: je les entends qui m’appellent. Aussi, c’est trop de temps passé hors de leurs baisers, de leurs caresses, de leurs chers petits bras. Je ne regrette plus l’argent perdu, je ne regrette plus la fatigue.J’ai porté mon nom aussi loin que j’ai pu, et je rapporte mon cœur a ceux qui l’aiment.

.... Je suis malade, bien malade. Mon cœur et mon esprit sont tombés à rien. Je ne jouerai pas non plus à la Havane; mais j’y suis venue, et le directeur,usant du droit de son contrat, a demandé comme dommage 7000 piastres. J’ai payé les artistes jusqu’à ce jour. Je ramène toute ma pauvre armée en déroute sur les bords de la Seine; et moi peut-être comme un autre Napoléon j’irai mourir aux Invalides et demander une pierre ou reposer ma tête.... Mais non, je trouverai encore mes deux anges gardiens, mes jeunes fils: je les entends qui m’appellent. Aussi, c’est trop de temps passé hors de leurs baisers, de leurs caresses, de leurs chers petits bras. Je ne regrette plus l’argent perdu, je ne regrette plus la fatigue.J’ai porté mon nom aussi loin que j’ai pu, et je rapporte mon cœur a ceux qui l’aiment.

Semplice e antica espressione di un sentimento umano ed eterno! È il grido della madre moribonda, che essa manda dall’Avana e dall’Egitto nelle sue ultime fatali escursioni. Da Tebe, nel ’57, pochi mesi prima di morire, dettò la più bella, sua lettera, la quale rivela in lei rare qualità di scrittore. Descrive le rovine d’Egitto, il placido corso del Nilo, le Piramidi, e le ruine di Burnah che essa contemplò silenziosamente a un magnifico lume di luna, vincendoforse la sua repugnanza a morire nello spettacolo della morte di un mondo. Fragile vaso d’alabastro, rischiarato per pochi anni dalla fiamma interiore del genio, essa posò per qualche giorno sulle tombe dei re; e forse, come Adriano, sentì sospirare la statua di Mèmnone....

Nell’estate del ’57, detto l’ultimo addio allaComédie Française, il teatro delle sue glorie, lasciò Parigi, e andò ad aspettar la morte a Cannes, in villa Sardou.

Il 3 gennaio 1858, Rachel era in agonia. Parenti e correligionari, chiamati dalla famiglia, accorsero in fretta da Nizza. E la figliola d’Isdraello si udì raccomandare alla misericordia del Signore, nella lingua di Giob e di Geremia.

Restarono soli nella funebre camera un vecchio rabbino e due donne. Si avvicinaronoal letto della morente. Essa si voltò dalla loro parte, e con lo sguardo intento parve dire: leggete, aspetto le parole di Gèova!

— Vola, torna al tuo Dio, o figliola d’Israel!Ascolta, Israel; l’Eterno, il nostro Dio, l’Eterno è uno.Va’ ove il Signore ti chiama, va’, e che la sua misericordia ti assista!Dio dei nostri padri, ricevi nella tua misericordia quest’anima che viene a te; riuniscila a quella dei patriarchi tra le gioie del paradiso celeste. —

— Vola, torna al tuo Dio, o figliola d’Israel!

Ascolta, Israel; l’Eterno, il nostro Dio, l’Eterno è uno.

Va’ ove il Signore ti chiama, va’, e che la sua misericordia ti assista!

Dio dei nostri padri, ricevi nella tua misericordia quest’anima che viene a te; riuniscila a quella dei patriarchi tra le gioie del paradiso celeste. —

Rachel ascoltava in solenne raccoglimento: era tutta attenzione a quelle grandi parole: il suo volto parve illuminarsi di una luce divina....

Vi fu un lungo silenzio. La sorella Sara rientrò nella camera, e si appressò al letto della morente. Rachel le strinse la mano, le sorrise, e spirò.

Allora il funebre trio cantò a bassa voce: Benedetto il Giudice di Verità!...

Il volto di Rachel era divenuto severo e maestoso. Le sue labbra eloquenti eran sigillate per sempre. Sul suo profilo di cammeo, sulla sua pura e pallida fronte furono versate lacrime ardenti d’amore e di ammirazione.

Ho qui dinanzi il ritratto della morta. La sua nobile testa è cinta del sacro alloro. Le mani ceree sono distese in un completo abbandono. Tutta la bella persona è composta nel riposo supremo. I capelli nerissimi ombreggiano la faccia e il collo marmoreo.

Anche il cadavere di Rachel ha una tragica fisonomia. Dal volto emana una suprema tristezza. Si direbbe la maschera di Melpomene, o, meglio, il tipo incarnato dei dolori infiniti e delle indomate speranze del popolo d’Isdraele.

FINE

INDICEPrefazionepag.VLa Pompadour3La Du Barry23Sofia Arnould51Julie-Marianne69Giulia Lespinasse89La baronessa di Krüdener113La contessa Guiccioli123Elisabetta Barrett Browning145La signora Carlyle169Rachel191

Nota del TrascrittoreOrtografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.

Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.

Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.


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