IL MISTERO DELL'ANARCAE Dio ha scelto le cose pazze delmondo per svergognare le savie, e lecose spregevoli e le cose che non sonoper ridurre al niente quelle che sono.San Paolo,Ai Corinti.Vi ricordate, signora?La donna imperiale cadde sulla banchina del lago dinanzi al lungo sorriso delle acque, che raccontano spesso i segreti delle Alpi, come lo specchio tradisce quelli della bellezza. Un impeto di orgoglio le gonfiò il cuore ferito, rialzandola nel fulgore di una minaccia, mentre sul volto pallido le calava già l'ombra della morte, ed il murmure della folla stupefatta cresceva come un susurro di foglie sotto il soffio corrucciato del vento. Con gesto rigido e lieve indicò il vascello, che l'aspettava, perchè l'aiutassero a salirvi; cento braccia si protesero in silenzio, e rimasero alzate verso di lei, quando a barella sparve sulla tolda, e il vascello oscillò. Viaggiatrice senza meta, che fuggiva dalle ombre della propria casa, cercando ai monti ed ai mari un refugio contro le memorie, ebbe forse paura di ritornare nella prigione di una camera fra il cerimonioso cordoglio degli indifferenti adunati, dal tristissimo caso senza poterne intendere la tragica rivelazione. Ma il lago stesso parve forse troppo piccolo alla morente, e troppo affollato il vascelloe troppo vicino alla riva e troppo lento a salpare, mentre gli occhi le si chiudevano sotto le carezze pesanti del gran sonno, e la sua anima si levava nell'ansia di quel viaggio lungamente invocato. Come tutti gli infelici rattenuti senza motivo dalla vita, ella guardava da anni all'altra riva invisibile, sulla quale aspettano coloro che amammo: guardava e vagava ingannando il lungo desiderio colla finzione di una fuga troppo breve attraverso paesi sconosciuti, nell'abbarbaglio di visioni salienti dal fondo verde delle valli e dalle cerule distese del mare. Forse alla fissità del suo sogno era necessaria una cornice di ondeggianti orizzonti e di mutevoli moltitudini, coi ritmi delle parole incomprese e il vanire della opera tumultuosa come nel dissolversi di un miraggio.Oramai della imperatrice nessuno più si ricordava.La bionda Valchirie, che aveva stupito l'Europa, non era più che una signora vestita di nero, ancora bella, costretta a mutare spesso di nome per meglio serbare l'incognito, pallida, che non sorrideva più. Fra i poeti amava Heine, fra le terre la Ionia, fra i laghi il Lemano, e al disopra di tutto e di tutti il mare. Ella lo aveva interrogato ad ogni riva e ad ogni ora, sentendo a poco a poco il pensiero addormentarsi sulla ondulazione della sua musica profonda; e quando una improvvisa, stridula voce della memoria la destava davanti alle acque rutilanti di sole, o scure e roche sotto gli sguardi lontani delle stelle, avrebbe voluto essere sola sopra una nave nera, come l'olandese cantato dal suo poeta, per trascorrervi lontano, oltre i confini delle tempeste, alle estreme solitudini, dalle quali Dio ascolta finalmente chi piange. Perchè ella credeva nessun dolore pari al suo di madre e di imperatrice, sempre inseguita dalla follìa e dalla morte, colpita nei genitori, nei figli, nei fratelli, nel regno donde era uscita, nell'impero al quale era stata assunta, in tutto quello che aveva sperato, in tutto quello che aveva amato, sino ad invocare la morte come un compenso e ad errare come un fantasma.Passata quasi, nella rapida magìa del desiderio, da una festa di ballo al trono degli Asburgo ancora vacillante per gli ultimi tremoti rivoluzionari, ebbe appena il tempo di apparirvi leggiadramente nella spensieratezza giovanile, che un'altra bufera si destava e l'imperatore doveva accorrere indarno da Vienna sui piani lombardi contro le vittorie italiane; quindi la regina di Napoli ramingava anch'essa dietro il caduco marito giovanile, nè regina più ne donna, a nascondere nell'ombra di un appartamento parigino l'ultima dissoluzione di una maestà , che nemmeno la morte avrebbe potuto nobilitare. Ma l'antico impero, ferito al cuore dall'Italia, soccombeva poco dopo al giovane regno prussiano, costringendo l'ultimo re bavarese ad uscire dall'incanto, nel quale Wagner cullava il suo sogno d'invitta verginità , per offrire a Guglielmo, il lungo nemico, la vecchia corona del sacro romano impero. Egli compì la prova col sonnambulo eroismo dei cavalieri scendenti insino a lui dal San Graal, coll'anima tesa al dolore dei sacrifici ininterrotti sulla terra; e forse dalla umiltà di quella sottomissione, come dall'atto estremo di una rinuncia a tutte le realtà della vita, sentì di risalire per sempre nel proprio sogno di una bellezza senza amore, dentro un mistero insaziabilmente melodioso, vagando di lago in lago, di castello in castello, fino alla notte prefissa, nella quale le acque gli avrebbero rivolto il funebre invito.Una notte l'ondina chiamò ed egli la seguì.Ma sul morto re l'imperatrice non potè piangere, perchè altri pazzi dalla vecchia casa le erano accorsi d'intorno, ed ella tremò che potessero comprendere quel pianto.Non si sentiva forse pazza essa medesima? Non era pazza Carlotta, la vedova dell'arciduca bello, fucilato a Queretaro come un bandito, egli che aveva sognato una gloria di paladino e d'imperatore? La sua donna entrava ancora per tutte le corti d'Europa a cercare la sua traccia con un sibilo di lontane paure negli orecchi,che la facevano chiedere e singhiozzare come un bambino. Ma nemmeno per essa vi era pietà . Poi un altro arciduca doveva fuggire per sempre, incognito sopra una nave, e l'Erede, l'estremo della lunga dinastia, sparire in un mistero di sangue e di amore, vittima forse ed assassino, colla fanciulla del suo peccato; ed ancora un'altra arciduchessa fra le fiamme e domani forse l'ultima regina di Spagna in una rivoluzione.Quindi la sua ragione e il suo cuore vagavano.S'incantava nei mari che ondulano, nei fiumi che scorrono, nelle nubi che veleggiano, nei vascelli che salpano, nelle vaporiere che scompaiono: ascoltava le musiche profonde delle foreste e le sommesse cantilene dei laghi: talvolta i versi del suo poeta le passavano fra le memorie, come d'autunno gli uccelli migrano affrettando le ali, sola sopra un cavallo lo avventava ancora in una furia improvvisa di Valchirie, ma il sangue non le balzava più sotto le sferzate del vento, e l'anelito della nobile bestia, la bava bianca del suo morso dispersa nell'aria come una piuma, non le richiamavano più sulle labbra pallide il sorriso della vittoria.Perchè fuggire?I vecchi, coloro che rimasero soli, non sanno più dove andare.Amava il mare, ma non amava il popolo che gli somiglia.Nata troppo in alto, aveva vissuto sempre tutta chiusa nell'orgoglio della propria originale magnificenza, che la rendeva straniera fra la folla moderna così uniforme e così bassa nella uniformità ; ed ella, l'Errante, non vi aveva mai guardato, sentendo dalla sua vastità salire come un brivido la voce delle anime abbandonate.Così non sapeva forse che altri vi erravano come lei, più poveri e più soli. Non era di costoro quello zingaro che un giorno, senza riconoscerla, lesse nella sua mano la morte prefissale dal destino? Ella sorrise con mesta incredulità al cencioso profeta ricusante la ricca elemosina;ma l'anarca, che compì la profezia piantandole una lima nel cuore coll'impassibile precisione di chi non discute il proprio mandato, non era anch'esso un Errante fra la folla?Un altro sogno di dolore e di odio rompeva così quel sogno d'amore e di dolore.Lo sconosciuto, subito arrestato, si chiamava Lucheni. Era italiano, ma nato a Parigi da un uomo e da una donna forse ignoti l'uno all'altra e congiunti da un qualche vizio più urgente della fame: poi la madre lo abbandonò ad un ospizio, che gli diede il pane e le scarpe, insegnandogli a mezzo un mestiere col quale non avrebbe potuto vivere. Appena diventato un ragazzo, l'ospizio gli chiuse dietro le porte per sempre.Il ragazzo non sapeva dove andare. Ovunque arrivasse, il luogo non mutava: era sempre la stessa diffidenza ad ogni domanda, il medesimo silenzio in tutti gli occhi, ai quali salivano gli appelli de' suoi sguardi stanchi; quando aveva fame, quando aveva freddo, nessuno se ne accorgeva; i poveri lo guardavano anche più duramente dei ricchi, che gli negavano l'elemosina. Ma siccome voleva vivere, cercava sempre; d'estate come le mosche cercano le immondizie, d'inverno come gli uccelli anche quando il ghiaccio ha indurito la neve sulla campagna. E tuttavia il suo caso non era nuovo. Migliaia di anni prima altre migliaia di bambini nati, come lui, avevano dovuto andare e morire così. Poi qualcuno gli disse: — Tu odii; — e allora capì di avere sempre odiato, anche all'ospizio, nelle sale di lavoro sotto le occhiate gelide dei prefetti, e nei corridoi, ove tante notti non aveva potuto dormire come gli altri, dentro l'oscurità rotta appena dal lucignolo fumoso di una lanterna. Ma siccome l'odio sa ascoltare e rispondere meglio dell'amore, ascoltava e rispondeva. Che cosa aveva egli fatto a quella donna perchè lo mettesse al mondo? Perchè doveva vivere così, niente altro che vivere, lavorare per lavorare, chiedendo quasi sempre indarno un lavoro, senza poternemai trarre una speranza o un significato? Perchè tanti altri non lavoravano? Perchè erano amati? Perchè avevano tutto?La società gli aveva insegnato un catechismo che essa medesima non riusciva ad applicare, e tutto era egualmente ingiustizia contro i poveri, persino la morte, poichè la religione insinuava nei loro cuori il dubbio di un altro inferno. Come un atomo dimenticato nel disegno misterioso della creazione, egli vagava urtandosi a tutti i corpi, sempre respinto e sempre solo; il silenzio l'opprimeva; ma se cominciava a parlare, sentiva subito di non potere essere compreso che da un qualche solitario al pari di lui, mentre tutti gli altri erano come i prefetti nell'ospizio e più tardi gli ufficiali nella caserma, i superiori e i nemici che comandavano sempre, senza spiegare mai la ragione del proprio comando.Dovevano quindi bastare pochi discorsi e poche letture, giacchè sapeva leggere, per alzare quell'istinto di odio a passione, e questa passione nel sogno torbido di un sistema. La caserma compì l'opera dell'ospizio, mutando il trovatello nel soldato, e il soldato in un anarca febbricitante di orgoglio nella prima conquista di se medesimo. Dentro al suo cervello, fosco come un giorno di temporale in un angusto paesaggio vallivo, rare parole e rare idee si urtavano scrosciando, mentre da tutte le lontananze della solitudine gli giungevano voci di altri derelitti, morti e vivi, uomini, donne, vecchi, bambini, adoperati e dimenticati come cose. La schiavitù di ieri era dunque la medesima servitù di oggi, la stessa condanna colpiva ancora i bambini nel ventre delle donne, che il parto non bastava a rendere madri; ogni giorno ancora la vita saliva a un più alto privilegio sulle moltitudini, che l'alimentavano come i concimi fanno coi fiori; lasciandosi suggere dalle loro radici. Tutti i catechismi erano falsi, nessun messia era mai venuto. I governi di oggi, come i più antichi, somigliavano alle testudini, formate cogli scudi delle più vecchie legioni eche nessun urto poteva scomporre; gli imperi sovrastavano, le nazioni si guatavano colla insidiosa compostezza dei lottatori nei circhi. Ora e sempre l'unico libero era il danaro. Tutto il dolore umano non aveva potuto creare nè la giustizia, nè la pietà umana: anche adesso il popolo non sapeva di che cosa nutrirebbe la propria vecchiezza, dopo aver seminato e mietuto, forati i monti, distese le strade, sospinte le navi, alzati i palazzi, adunate colle proprie mani tutte le ricchezze, dato col proprio sangue il battesimo a tutte le vittorie.Quindi coll'entusiasmo degli ignari egli aveva tentato di offrire il proprio pensiero sui giornali anarchici, che lo ricusarono perchè ravvolto nei cenci del linguaggio comune; e questo nuovo silenzio imposto alla sua miseria gli pesò sul cuore più dell'altro, dinanzi a coloro che gli domandavano: — Chi è tua madre? — Chi dunque fra i poveri può dire veramente di averne una, se le madri non s'inginocchiano ancora davanti ai bambini domandando loro perdono di averli partoriti? Egli invece era solo; ma, non avendo nè madre, nè figli, poteva almeno preferire la fame alla schiavitù, o morire cacciandosi innanzi, come un araldo nel mistero della morte, qualunque imperatore. Quindi un orgoglio senza nome gli rialzava talvolta la testa quasi ad una minaccia lontana, della quale nessuno fra i più grandi avrebbe potuto sottrarsi al muto decreto. Egli pure era un re.La sua sovranità , creata dal nuovo diritto di eleggere e di essere eletto, si mutava così in una ribellione alla volontà della legge, nella quale il pensiero dell'individuo dovrebbe confondersi come la goccia nell'onda. Mentre tutte le monarchie, diventate egualmente anonime nel popolo, si abbassavano ogni giorno sotto le ondulazioni del suo numero, una anarchia vi drizzava già le proprie punte, come gli antichi guerrieri levavano più alta l'asta sul campo a farla riconoscere nella assemblea. La legge, che una volta era una violenza dei forti, adesso ingannava; nessuna giustizia era possibile in una libertà che non ammetteva l'uguaglianza; la verità non poteva essere proclamata, finchè qualcuno conservava il diritto di nutrire la propria vita colla morte di un altro. Una guerra senza battaglie si preparava dunque in una ribellione di tutti contro tutti per distruggere le ultime differenze, indarno condannate dalla rivoluzione della libertà , che aveva pareggiato eletto ed elettore.All'eroismo dei grandi, che saliva come un vapore purpureo dalla fusione della folla, doveva quindi seguire quello dei piccoli, che prorompe come una scintilla dai suoi distacchi; dopo la parola del genio, che aduna dalla moltitudine le sillabe della vita, il grido solitario dello ignaro che annunzia l'inespressibile e attraversa tutte le anime come una rivelazione della morte. Ma una sinistra poesia, piena di lampi e di brividi, avvolgerebbe questi interpreti della estrema negazione, che dalla solitudine dell'orgoglio, espandendosi ovunque coll'irresistibile penetrazione di un contagio, dileguerebbero subitamente incomprensibili ed incompresi. Invano qualcuno si vanterebbe poi di averli conosciuti, o nella ultima stretta del dramma essi medesimi, ingannandosi come tutti i messaggieri, pretenderebbero di spiegare il segreto della loro missione simile a quella degli uragani, che passano, devastano, fecondano, e al loro passaggio le anime hanno oscillato nell'infinito.Poi la gente ciarla del danno o del beneficio fra i nuovi sorrisi dell'aria, senza ricordarsi che una medesima legge governa le rivoluzioni e le tempeste, dalle quali la folgore erompe come un ordine misterioso.Quell'anarca cencioso, che la vita non aveva potuto ospitare, l'attraversava dentro a una muta bufera di collere e di pietà . Come la solinga imperatrice anche egli non aveva più nulla, nemmeno quei ricordi di cui si nutre il dolore, o quella commiserazione di se stesso che consola tutti i decaduti. Mentre ella errava di villa in villa, ove più pacificatrice sorride la bellezza della natura, l'altro passava per tutte le vie dell'esiglio, nutrendosidi un pensiero di odio quando non aveva pane, soccombendo alla stanchezza dei giorni lunghi come una assenza, alla vacuità delle notti senza riposo, coll'anima che gli strideva dentro come un cane chiuso in una casa deserta.Nella sua miseria di abbandonato si era mescolato ad ogni miseria: aveva veduti uomini gagliardi tremare per la viltà della fame davanti alla debolezza dei padroni, che negavano loro persino l'elemosina di una promessa; madri colle mammelle secche, abbandonate sul viso sparuto di un bambino, e nessuno dei due piangeva più; vecchi derelitti, che non osavano accostarsi ad alcuno nella vergogna di essere ancora vivi; poi tutte le altre miserie del lavoro micidiale anche quando nutre, accordato pari ad una grazia, invocato e maledetto come la morte; mentre fioriva intorno, dappertutto, la felicità dei ricchi invano creati dalla natura uguali ai poveri, se la volontà di Dio in tutte le religioni permetteva loro di diventare così diversi. Essi avevano la scienza, la libertà , la forza; potevano pesare la vita dei loro fratelli sulle bilance del proprio egoismo senza che nessuna giustizia li vigilasse, e la loro misericordia era come la rugiada nel deserto, che ne rimane ugualmente arido. Allora, sul silenzio violento della sua anima, quelle voci profonde di morti e di viventi, adoperati e dimenticati come cose, salivano simili ad un coro funebre sollevato da urli improvvisi, percorso da gemiti aspri come minacce. Perchè la morte non avrebbe finalmente vinta l'ingiustizia della vita? La morte sola sapeva il segreto della redenzione indarno proclamata da tanti messia, che avevano voluto consolare il dolore umano senza distruggere chi lo aumentava. Quante vittime sarebbero ancora indispensabili alla morte, perchè la vita potesse finalmente mutare? Tutti quei morti, che la terra sembrava aver disciolto nelle proprie viscere, si agitavano dentro le anime nate dalla loro, sospingendole sempre più in alto col grido dell'ultima resurrezione. Essi volevano risorgere nei figli controi figli dei propri sacrificatori per cancellare colle fiamme dell'estremo olocausto le vestigia di tutte le ingiustizie; ma non vi sarebbe più alcun giusto nel giorno della espiazione finale, nè fra coloro che colpirebbero, nè fra coloro che sarebbero colpiti, giacchè l'eredità aveva macchiata ogni innocenza colla trasmissione del privilegio.Forse l'innocenza salvò mai qualcuno?Non poteva egli pure vantarsi innocente? Il suo odio non era una invocazione del dolore alla giustizia?Come quei penitenti, che fuggivano dal mondo per nascondersi a pregare da Dio la pietà del perdono, egli era rimasto solo fra la moltitudine. Anarchi ed anacoreti possono trovare chi loro somigli, ma sono sempre egualmente solitari nell'eremo e nel partito, finchè il loro sogno non si dissipi, e la vita li riattivi nella minuta vicenda delle lotte quotidiane. Così egli non aveva forse cercato talvolta fra compagni che qualche soffio per la propria fiamma o un nuovo argomento contro un dubbio, mentre, contrapponendosi al mondo come un giudice, l'orgoglio stesso del proprio odio doveva renderlo incapace di comprenderne le leggi e di esservi compreso. Quindi ridotto all'unica misura di se medesimo, vi aveva sottoposto nella facilità di un sogno tutto quanto non consente a misura, la vita coi suoi istinti e la storia colle sue trasformazioni. Lungamente il suo dolore aveva creduto di divorare tutti i dolori, e il suo odio tutti gli odii, e la sua negazione tutte le negazioni.Quanto più piccolo lo aveva fatto la natura o in basso respinto la società , e più alto egli si levava sopra entrambe, stringendo la propria vita in pugno come un'arma per colpire lassù, dove l'individuo è simbolo, cui la folla si prosterna, e morire così al disopra di ogni giustizia. Che importano le sentenze della legge o del costume, se qualunque atto, salga da troppa profondità o attinga troppo in alto, deve sempre essere falsamente misurato, e chi lo compie ha in se stesso l'indiscutibile ragione della morte?Non vi può essere delitto quando l'egoismo non ne sperò alcun frutto.Una superbia lucida come i ghiacci delle cime più inaccesse illumina allora di spettrali chiarori la lunga vigilia dell'azione. Ebbrezze mute di un segreto superiore a tutte le curiosità , inesprimibili melanconie della dedizione suprema, amaritudini della morte lungamente assaporata nella fatica febbrile della volontà , entusiasmi di eroe che sconfigge e di martire che perdona, ondeggiamenti di tempesta e impeti di folgore, l'anima solitaria sopporta tutto, delira di tutto. Il sogno diventa incantesimo, che si dilata tra vampe e vapori entro una scena immobile, per la quale una forza arcana ci spinge direttamente.Quel Caserio, che pugnalò il secondo presidente della repubblica francese, non compì forse l'atto ferale colla impassibile precisione di un sonnambulo, e non si destò gettando quel grido che lo scoperse già salvo tra la folla? Quell'Angiolillo, che uccise Canovas, ministro presidente di Spagna, non rimase assorto nel proprio atteggiamento di cavaliere sino sulla sedia della garotta? Quell'Henry, che gettò una bomba in un caffè parigino massacrandone la folla, non serbò la faccia opaca di un allucinato dinanzi alla lunga processione dei feriti, e non rispose con un gesto di statua alla madre piangente, la quale tendeva le braccia verso di lui?Tutti costoro oltrepassarono il delitto o guardandolo dalle regioni della morte non lo riconobbero più. Che se l'incantesimo vanì prima di essa e ricaddero nelle perplessità del rimorso davanti al patibolo, non capirono egualmente il proprio atto, come il poeta non può risalire nell'ode già caduta dal cielo della sua ispirazione.E trascurabili sono le differenze intellettuali fra questi messi del dolore, che la follia conduce per mano alla morte, e la morte non può rilevare a se stessi. Precursori di un messia, che evochi dalla distruzione del nostro mondo un'altra umanità , essi ne annunziano l'avventocoll'orrore degli antichi olocausti: quindi la vittima prescelta è sempre simbolica o anonima, un re o una folla, che il sacrificio deve consumare col sacrificatore. Delitto? certamente per la legge. Errore? senza dubbio per la scienza; ma la vita e la storia poterono mai fare a meno dell'errore?Invincibile come tutti i solitari, l'anarca non ha partito.Coloro adunati in tale nome sono sofisti, i quali non sanno che l'anarchia nella propria suprema negazione prova appunto la stessa insufficienza in tutti i partiti, o saccomanni che impazienza dell'imminente battaglia disfrena già negli accampamenti.Contro gli uni e gli altri basta il grido delle sentinelle o l'impeto disciplinato di qualche manipolo; quegli sovrasta a giudici e a patiboli.Caserio non conosceva Carnot, Angiolillo non conosceva Canovas, Henry non conosceva alcuno nella folla di quel caffè parigino, Lucheni non conosceva l'imperatrice Elisabetta, come uccisero dunque? Le loro spiegazioni non valgono meglio dell'altre, che la gente si baratta per sottrarsi al peso del mistero: l'arte sola potrà forse un giorno spiegarlo, perchè l'arte sola crea attingendo alle profondità dell'inconscio, e come la natura accettando tutti i modi della morte.Adesso Lucheni e l'imperatrice Elisabetta, questa nella cripta imperiale di Vienna, quello in un carcere di Ginevra si lagnano egualmente del proprio sepolcro. Ella lo aveva chiesto fra la quiete di grandi alberi, inghirlandato di edere e di rose, perchè le lucertole e gli usignoli potessero visitarlo nella primavera; o forse lo sognò talvolta davanti al mare Ionio, sul gran sasso di Leucade, dal quale Saffo cantò l'ultima volta e sparve volando sotto le acque. Egli aveva preteso alla gloria del patibolo nei primi chiarori dell'alba, quando pel sereno si diffonde la gioia di una nuova promessa alla vita: pallido, scamiciato, la testa nuda, si sarebbe fermato un istante sotto la mannaia, guardando al cielo e alla follaper respingerli entrambi col medesimo sorriso prima di piegare il collo e di chiudere gli occhi per sempre.Invece li hanno seppelliti così: la morte non fu loro meno crudele della vita.Perchè compiangerli, signora, se lo sguardo della pietà è quasi sempre come quello del naufrago, che si volge sulla riva a guatare l'acqua perigliosa, dalla quale potè uscire?
E Dio ha scelto le cose pazze delmondo per svergognare le savie, e lecose spregevoli e le cose che non sonoper ridurre al niente quelle che sono.San Paolo,Ai Corinti.
E Dio ha scelto le cose pazze delmondo per svergognare le savie, e lecose spregevoli e le cose che non sonoper ridurre al niente quelle che sono.San Paolo,Ai Corinti.
E Dio ha scelto le cose pazze del
mondo per svergognare le savie, e le
cose spregevoli e le cose che non sono
per ridurre al niente quelle che sono.
San Paolo,Ai Corinti.
Vi ricordate, signora?
La donna imperiale cadde sulla banchina del lago dinanzi al lungo sorriso delle acque, che raccontano spesso i segreti delle Alpi, come lo specchio tradisce quelli della bellezza. Un impeto di orgoglio le gonfiò il cuore ferito, rialzandola nel fulgore di una minaccia, mentre sul volto pallido le calava già l'ombra della morte, ed il murmure della folla stupefatta cresceva come un susurro di foglie sotto il soffio corrucciato del vento. Con gesto rigido e lieve indicò il vascello, che l'aspettava, perchè l'aiutassero a salirvi; cento braccia si protesero in silenzio, e rimasero alzate verso di lei, quando a barella sparve sulla tolda, e il vascello oscillò. Viaggiatrice senza meta, che fuggiva dalle ombre della propria casa, cercando ai monti ed ai mari un refugio contro le memorie, ebbe forse paura di ritornare nella prigione di una camera fra il cerimonioso cordoglio degli indifferenti adunati, dal tristissimo caso senza poterne intendere la tragica rivelazione. Ma il lago stesso parve forse troppo piccolo alla morente, e troppo affollato il vascelloe troppo vicino alla riva e troppo lento a salpare, mentre gli occhi le si chiudevano sotto le carezze pesanti del gran sonno, e la sua anima si levava nell'ansia di quel viaggio lungamente invocato. Come tutti gli infelici rattenuti senza motivo dalla vita, ella guardava da anni all'altra riva invisibile, sulla quale aspettano coloro che amammo: guardava e vagava ingannando il lungo desiderio colla finzione di una fuga troppo breve attraverso paesi sconosciuti, nell'abbarbaglio di visioni salienti dal fondo verde delle valli e dalle cerule distese del mare. Forse alla fissità del suo sogno era necessaria una cornice di ondeggianti orizzonti e di mutevoli moltitudini, coi ritmi delle parole incomprese e il vanire della opera tumultuosa come nel dissolversi di un miraggio.
Oramai della imperatrice nessuno più si ricordava.
La bionda Valchirie, che aveva stupito l'Europa, non era più che una signora vestita di nero, ancora bella, costretta a mutare spesso di nome per meglio serbare l'incognito, pallida, che non sorrideva più. Fra i poeti amava Heine, fra le terre la Ionia, fra i laghi il Lemano, e al disopra di tutto e di tutti il mare. Ella lo aveva interrogato ad ogni riva e ad ogni ora, sentendo a poco a poco il pensiero addormentarsi sulla ondulazione della sua musica profonda; e quando una improvvisa, stridula voce della memoria la destava davanti alle acque rutilanti di sole, o scure e roche sotto gli sguardi lontani delle stelle, avrebbe voluto essere sola sopra una nave nera, come l'olandese cantato dal suo poeta, per trascorrervi lontano, oltre i confini delle tempeste, alle estreme solitudini, dalle quali Dio ascolta finalmente chi piange. Perchè ella credeva nessun dolore pari al suo di madre e di imperatrice, sempre inseguita dalla follìa e dalla morte, colpita nei genitori, nei figli, nei fratelli, nel regno donde era uscita, nell'impero al quale era stata assunta, in tutto quello che aveva sperato, in tutto quello che aveva amato, sino ad invocare la morte come un compenso e ad errare come un fantasma.
Passata quasi, nella rapida magìa del desiderio, da una festa di ballo al trono degli Asburgo ancora vacillante per gli ultimi tremoti rivoluzionari, ebbe appena il tempo di apparirvi leggiadramente nella spensieratezza giovanile, che un'altra bufera si destava e l'imperatore doveva accorrere indarno da Vienna sui piani lombardi contro le vittorie italiane; quindi la regina di Napoli ramingava anch'essa dietro il caduco marito giovanile, nè regina più ne donna, a nascondere nell'ombra di un appartamento parigino l'ultima dissoluzione di una maestà , che nemmeno la morte avrebbe potuto nobilitare. Ma l'antico impero, ferito al cuore dall'Italia, soccombeva poco dopo al giovane regno prussiano, costringendo l'ultimo re bavarese ad uscire dall'incanto, nel quale Wagner cullava il suo sogno d'invitta verginità , per offrire a Guglielmo, il lungo nemico, la vecchia corona del sacro romano impero. Egli compì la prova col sonnambulo eroismo dei cavalieri scendenti insino a lui dal San Graal, coll'anima tesa al dolore dei sacrifici ininterrotti sulla terra; e forse dalla umiltà di quella sottomissione, come dall'atto estremo di una rinuncia a tutte le realtà della vita, sentì di risalire per sempre nel proprio sogno di una bellezza senza amore, dentro un mistero insaziabilmente melodioso, vagando di lago in lago, di castello in castello, fino alla notte prefissa, nella quale le acque gli avrebbero rivolto il funebre invito.
Una notte l'ondina chiamò ed egli la seguì.
Ma sul morto re l'imperatrice non potè piangere, perchè altri pazzi dalla vecchia casa le erano accorsi d'intorno, ed ella tremò che potessero comprendere quel pianto.
Non si sentiva forse pazza essa medesima? Non era pazza Carlotta, la vedova dell'arciduca bello, fucilato a Queretaro come un bandito, egli che aveva sognato una gloria di paladino e d'imperatore? La sua donna entrava ancora per tutte le corti d'Europa a cercare la sua traccia con un sibilo di lontane paure negli orecchi,che la facevano chiedere e singhiozzare come un bambino. Ma nemmeno per essa vi era pietà . Poi un altro arciduca doveva fuggire per sempre, incognito sopra una nave, e l'Erede, l'estremo della lunga dinastia, sparire in un mistero di sangue e di amore, vittima forse ed assassino, colla fanciulla del suo peccato; ed ancora un'altra arciduchessa fra le fiamme e domani forse l'ultima regina di Spagna in una rivoluzione.
Quindi la sua ragione e il suo cuore vagavano.
S'incantava nei mari che ondulano, nei fiumi che scorrono, nelle nubi che veleggiano, nei vascelli che salpano, nelle vaporiere che scompaiono: ascoltava le musiche profonde delle foreste e le sommesse cantilene dei laghi: talvolta i versi del suo poeta le passavano fra le memorie, come d'autunno gli uccelli migrano affrettando le ali, sola sopra un cavallo lo avventava ancora in una furia improvvisa di Valchirie, ma il sangue non le balzava più sotto le sferzate del vento, e l'anelito della nobile bestia, la bava bianca del suo morso dispersa nell'aria come una piuma, non le richiamavano più sulle labbra pallide il sorriso della vittoria.
Perchè fuggire?
I vecchi, coloro che rimasero soli, non sanno più dove andare.
Amava il mare, ma non amava il popolo che gli somiglia.
Nata troppo in alto, aveva vissuto sempre tutta chiusa nell'orgoglio della propria originale magnificenza, che la rendeva straniera fra la folla moderna così uniforme e così bassa nella uniformità ; ed ella, l'Errante, non vi aveva mai guardato, sentendo dalla sua vastità salire come un brivido la voce delle anime abbandonate.
Così non sapeva forse che altri vi erravano come lei, più poveri e più soli. Non era di costoro quello zingaro che un giorno, senza riconoscerla, lesse nella sua mano la morte prefissale dal destino? Ella sorrise con mesta incredulità al cencioso profeta ricusante la ricca elemosina;ma l'anarca, che compì la profezia piantandole una lima nel cuore coll'impassibile precisione di chi non discute il proprio mandato, non era anch'esso un Errante fra la folla?
Un altro sogno di dolore e di odio rompeva così quel sogno d'amore e di dolore.
Lo sconosciuto, subito arrestato, si chiamava Lucheni. Era italiano, ma nato a Parigi da un uomo e da una donna forse ignoti l'uno all'altra e congiunti da un qualche vizio più urgente della fame: poi la madre lo abbandonò ad un ospizio, che gli diede il pane e le scarpe, insegnandogli a mezzo un mestiere col quale non avrebbe potuto vivere. Appena diventato un ragazzo, l'ospizio gli chiuse dietro le porte per sempre.
Il ragazzo non sapeva dove andare. Ovunque arrivasse, il luogo non mutava: era sempre la stessa diffidenza ad ogni domanda, il medesimo silenzio in tutti gli occhi, ai quali salivano gli appelli de' suoi sguardi stanchi; quando aveva fame, quando aveva freddo, nessuno se ne accorgeva; i poveri lo guardavano anche più duramente dei ricchi, che gli negavano l'elemosina. Ma siccome voleva vivere, cercava sempre; d'estate come le mosche cercano le immondizie, d'inverno come gli uccelli anche quando il ghiaccio ha indurito la neve sulla campagna. E tuttavia il suo caso non era nuovo. Migliaia di anni prima altre migliaia di bambini nati, come lui, avevano dovuto andare e morire così. Poi qualcuno gli disse: — Tu odii; — e allora capì di avere sempre odiato, anche all'ospizio, nelle sale di lavoro sotto le occhiate gelide dei prefetti, e nei corridoi, ove tante notti non aveva potuto dormire come gli altri, dentro l'oscurità rotta appena dal lucignolo fumoso di una lanterna. Ma siccome l'odio sa ascoltare e rispondere meglio dell'amore, ascoltava e rispondeva. Che cosa aveva egli fatto a quella donna perchè lo mettesse al mondo? Perchè doveva vivere così, niente altro che vivere, lavorare per lavorare, chiedendo quasi sempre indarno un lavoro, senza poternemai trarre una speranza o un significato? Perchè tanti altri non lavoravano? Perchè erano amati? Perchè avevano tutto?
La società gli aveva insegnato un catechismo che essa medesima non riusciva ad applicare, e tutto era egualmente ingiustizia contro i poveri, persino la morte, poichè la religione insinuava nei loro cuori il dubbio di un altro inferno. Come un atomo dimenticato nel disegno misterioso della creazione, egli vagava urtandosi a tutti i corpi, sempre respinto e sempre solo; il silenzio l'opprimeva; ma se cominciava a parlare, sentiva subito di non potere essere compreso che da un qualche solitario al pari di lui, mentre tutti gli altri erano come i prefetti nell'ospizio e più tardi gli ufficiali nella caserma, i superiori e i nemici che comandavano sempre, senza spiegare mai la ragione del proprio comando.
Dovevano quindi bastare pochi discorsi e poche letture, giacchè sapeva leggere, per alzare quell'istinto di odio a passione, e questa passione nel sogno torbido di un sistema. La caserma compì l'opera dell'ospizio, mutando il trovatello nel soldato, e il soldato in un anarca febbricitante di orgoglio nella prima conquista di se medesimo. Dentro al suo cervello, fosco come un giorno di temporale in un angusto paesaggio vallivo, rare parole e rare idee si urtavano scrosciando, mentre da tutte le lontananze della solitudine gli giungevano voci di altri derelitti, morti e vivi, uomini, donne, vecchi, bambini, adoperati e dimenticati come cose. La schiavitù di ieri era dunque la medesima servitù di oggi, la stessa condanna colpiva ancora i bambini nel ventre delle donne, che il parto non bastava a rendere madri; ogni giorno ancora la vita saliva a un più alto privilegio sulle moltitudini, che l'alimentavano come i concimi fanno coi fiori; lasciandosi suggere dalle loro radici. Tutti i catechismi erano falsi, nessun messia era mai venuto. I governi di oggi, come i più antichi, somigliavano alle testudini, formate cogli scudi delle più vecchie legioni eche nessun urto poteva scomporre; gli imperi sovrastavano, le nazioni si guatavano colla insidiosa compostezza dei lottatori nei circhi. Ora e sempre l'unico libero era il danaro. Tutto il dolore umano non aveva potuto creare nè la giustizia, nè la pietà umana: anche adesso il popolo non sapeva di che cosa nutrirebbe la propria vecchiezza, dopo aver seminato e mietuto, forati i monti, distese le strade, sospinte le navi, alzati i palazzi, adunate colle proprie mani tutte le ricchezze, dato col proprio sangue il battesimo a tutte le vittorie.
Quindi coll'entusiasmo degli ignari egli aveva tentato di offrire il proprio pensiero sui giornali anarchici, che lo ricusarono perchè ravvolto nei cenci del linguaggio comune; e questo nuovo silenzio imposto alla sua miseria gli pesò sul cuore più dell'altro, dinanzi a coloro che gli domandavano: — Chi è tua madre? — Chi dunque fra i poveri può dire veramente di averne una, se le madri non s'inginocchiano ancora davanti ai bambini domandando loro perdono di averli partoriti? Egli invece era solo; ma, non avendo nè madre, nè figli, poteva almeno preferire la fame alla schiavitù, o morire cacciandosi innanzi, come un araldo nel mistero della morte, qualunque imperatore. Quindi un orgoglio senza nome gli rialzava talvolta la testa quasi ad una minaccia lontana, della quale nessuno fra i più grandi avrebbe potuto sottrarsi al muto decreto. Egli pure era un re.
La sua sovranità , creata dal nuovo diritto di eleggere e di essere eletto, si mutava così in una ribellione alla volontà della legge, nella quale il pensiero dell'individuo dovrebbe confondersi come la goccia nell'onda. Mentre tutte le monarchie, diventate egualmente anonime nel popolo, si abbassavano ogni giorno sotto le ondulazioni del suo numero, una anarchia vi drizzava già le proprie punte, come gli antichi guerrieri levavano più alta l'asta sul campo a farla riconoscere nella assemblea. La legge, che una volta era una violenza dei forti, adesso ingannava; nessuna giustizia era possibile in una libertà che non ammetteva l'uguaglianza; la verità non poteva essere proclamata, finchè qualcuno conservava il diritto di nutrire la propria vita colla morte di un altro. Una guerra senza battaglie si preparava dunque in una ribellione di tutti contro tutti per distruggere le ultime differenze, indarno condannate dalla rivoluzione della libertà , che aveva pareggiato eletto ed elettore.
All'eroismo dei grandi, che saliva come un vapore purpureo dalla fusione della folla, doveva quindi seguire quello dei piccoli, che prorompe come una scintilla dai suoi distacchi; dopo la parola del genio, che aduna dalla moltitudine le sillabe della vita, il grido solitario dello ignaro che annunzia l'inespressibile e attraversa tutte le anime come una rivelazione della morte. Ma una sinistra poesia, piena di lampi e di brividi, avvolgerebbe questi interpreti della estrema negazione, che dalla solitudine dell'orgoglio, espandendosi ovunque coll'irresistibile penetrazione di un contagio, dileguerebbero subitamente incomprensibili ed incompresi. Invano qualcuno si vanterebbe poi di averli conosciuti, o nella ultima stretta del dramma essi medesimi, ingannandosi come tutti i messaggieri, pretenderebbero di spiegare il segreto della loro missione simile a quella degli uragani, che passano, devastano, fecondano, e al loro passaggio le anime hanno oscillato nell'infinito.
Poi la gente ciarla del danno o del beneficio fra i nuovi sorrisi dell'aria, senza ricordarsi che una medesima legge governa le rivoluzioni e le tempeste, dalle quali la folgore erompe come un ordine misterioso.
Quell'anarca cencioso, che la vita non aveva potuto ospitare, l'attraversava dentro a una muta bufera di collere e di pietà . Come la solinga imperatrice anche egli non aveva più nulla, nemmeno quei ricordi di cui si nutre il dolore, o quella commiserazione di se stesso che consola tutti i decaduti. Mentre ella errava di villa in villa, ove più pacificatrice sorride la bellezza della natura, l'altro passava per tutte le vie dell'esiglio, nutrendosidi un pensiero di odio quando non aveva pane, soccombendo alla stanchezza dei giorni lunghi come una assenza, alla vacuità delle notti senza riposo, coll'anima che gli strideva dentro come un cane chiuso in una casa deserta.
Nella sua miseria di abbandonato si era mescolato ad ogni miseria: aveva veduti uomini gagliardi tremare per la viltà della fame davanti alla debolezza dei padroni, che negavano loro persino l'elemosina di una promessa; madri colle mammelle secche, abbandonate sul viso sparuto di un bambino, e nessuno dei due piangeva più; vecchi derelitti, che non osavano accostarsi ad alcuno nella vergogna di essere ancora vivi; poi tutte le altre miserie del lavoro micidiale anche quando nutre, accordato pari ad una grazia, invocato e maledetto come la morte; mentre fioriva intorno, dappertutto, la felicità dei ricchi invano creati dalla natura uguali ai poveri, se la volontà di Dio in tutte le religioni permetteva loro di diventare così diversi. Essi avevano la scienza, la libertà , la forza; potevano pesare la vita dei loro fratelli sulle bilance del proprio egoismo senza che nessuna giustizia li vigilasse, e la loro misericordia era come la rugiada nel deserto, che ne rimane ugualmente arido. Allora, sul silenzio violento della sua anima, quelle voci profonde di morti e di viventi, adoperati e dimenticati come cose, salivano simili ad un coro funebre sollevato da urli improvvisi, percorso da gemiti aspri come minacce. Perchè la morte non avrebbe finalmente vinta l'ingiustizia della vita? La morte sola sapeva il segreto della redenzione indarno proclamata da tanti messia, che avevano voluto consolare il dolore umano senza distruggere chi lo aumentava. Quante vittime sarebbero ancora indispensabili alla morte, perchè la vita potesse finalmente mutare? Tutti quei morti, che la terra sembrava aver disciolto nelle proprie viscere, si agitavano dentro le anime nate dalla loro, sospingendole sempre più in alto col grido dell'ultima resurrezione. Essi volevano risorgere nei figli controi figli dei propri sacrificatori per cancellare colle fiamme dell'estremo olocausto le vestigia di tutte le ingiustizie; ma non vi sarebbe più alcun giusto nel giorno della espiazione finale, nè fra coloro che colpirebbero, nè fra coloro che sarebbero colpiti, giacchè l'eredità aveva macchiata ogni innocenza colla trasmissione del privilegio.
Forse l'innocenza salvò mai qualcuno?
Non poteva egli pure vantarsi innocente? Il suo odio non era una invocazione del dolore alla giustizia?
Come quei penitenti, che fuggivano dal mondo per nascondersi a pregare da Dio la pietà del perdono, egli era rimasto solo fra la moltitudine. Anarchi ed anacoreti possono trovare chi loro somigli, ma sono sempre egualmente solitari nell'eremo e nel partito, finchè il loro sogno non si dissipi, e la vita li riattivi nella minuta vicenda delle lotte quotidiane. Così egli non aveva forse cercato talvolta fra compagni che qualche soffio per la propria fiamma o un nuovo argomento contro un dubbio, mentre, contrapponendosi al mondo come un giudice, l'orgoglio stesso del proprio odio doveva renderlo incapace di comprenderne le leggi e di esservi compreso. Quindi ridotto all'unica misura di se medesimo, vi aveva sottoposto nella facilità di un sogno tutto quanto non consente a misura, la vita coi suoi istinti e la storia colle sue trasformazioni. Lungamente il suo dolore aveva creduto di divorare tutti i dolori, e il suo odio tutti gli odii, e la sua negazione tutte le negazioni.
Quanto più piccolo lo aveva fatto la natura o in basso respinto la società , e più alto egli si levava sopra entrambe, stringendo la propria vita in pugno come un'arma per colpire lassù, dove l'individuo è simbolo, cui la folla si prosterna, e morire così al disopra di ogni giustizia. Che importano le sentenze della legge o del costume, se qualunque atto, salga da troppa profondità o attinga troppo in alto, deve sempre essere falsamente misurato, e chi lo compie ha in se stesso l'indiscutibile ragione della morte?
Non vi può essere delitto quando l'egoismo non ne sperò alcun frutto.
Una superbia lucida come i ghiacci delle cime più inaccesse illumina allora di spettrali chiarori la lunga vigilia dell'azione. Ebbrezze mute di un segreto superiore a tutte le curiosità , inesprimibili melanconie della dedizione suprema, amaritudini della morte lungamente assaporata nella fatica febbrile della volontà , entusiasmi di eroe che sconfigge e di martire che perdona, ondeggiamenti di tempesta e impeti di folgore, l'anima solitaria sopporta tutto, delira di tutto. Il sogno diventa incantesimo, che si dilata tra vampe e vapori entro una scena immobile, per la quale una forza arcana ci spinge direttamente.
Quel Caserio, che pugnalò il secondo presidente della repubblica francese, non compì forse l'atto ferale colla impassibile precisione di un sonnambulo, e non si destò gettando quel grido che lo scoperse già salvo tra la folla? Quell'Angiolillo, che uccise Canovas, ministro presidente di Spagna, non rimase assorto nel proprio atteggiamento di cavaliere sino sulla sedia della garotta? Quell'Henry, che gettò una bomba in un caffè parigino massacrandone la folla, non serbò la faccia opaca di un allucinato dinanzi alla lunga processione dei feriti, e non rispose con un gesto di statua alla madre piangente, la quale tendeva le braccia verso di lui?
Tutti costoro oltrepassarono il delitto o guardandolo dalle regioni della morte non lo riconobbero più. Che se l'incantesimo vanì prima di essa e ricaddero nelle perplessità del rimorso davanti al patibolo, non capirono egualmente il proprio atto, come il poeta non può risalire nell'ode già caduta dal cielo della sua ispirazione.
E trascurabili sono le differenze intellettuali fra questi messi del dolore, che la follia conduce per mano alla morte, e la morte non può rilevare a se stessi. Precursori di un messia, che evochi dalla distruzione del nostro mondo un'altra umanità , essi ne annunziano l'avventocoll'orrore degli antichi olocausti: quindi la vittima prescelta è sempre simbolica o anonima, un re o una folla, che il sacrificio deve consumare col sacrificatore. Delitto? certamente per la legge. Errore? senza dubbio per la scienza; ma la vita e la storia poterono mai fare a meno dell'errore?
Invincibile come tutti i solitari, l'anarca non ha partito.
Coloro adunati in tale nome sono sofisti, i quali non sanno che l'anarchia nella propria suprema negazione prova appunto la stessa insufficienza in tutti i partiti, o saccomanni che impazienza dell'imminente battaglia disfrena già negli accampamenti.
Contro gli uni e gli altri basta il grido delle sentinelle o l'impeto disciplinato di qualche manipolo; quegli sovrasta a giudici e a patiboli.
Caserio non conosceva Carnot, Angiolillo non conosceva Canovas, Henry non conosceva alcuno nella folla di quel caffè parigino, Lucheni non conosceva l'imperatrice Elisabetta, come uccisero dunque? Le loro spiegazioni non valgono meglio dell'altre, che la gente si baratta per sottrarsi al peso del mistero: l'arte sola potrà forse un giorno spiegarlo, perchè l'arte sola crea attingendo alle profondità dell'inconscio, e come la natura accettando tutti i modi della morte.
Adesso Lucheni e l'imperatrice Elisabetta, questa nella cripta imperiale di Vienna, quello in un carcere di Ginevra si lagnano egualmente del proprio sepolcro. Ella lo aveva chiesto fra la quiete di grandi alberi, inghirlandato di edere e di rose, perchè le lucertole e gli usignoli potessero visitarlo nella primavera; o forse lo sognò talvolta davanti al mare Ionio, sul gran sasso di Leucade, dal quale Saffo cantò l'ultima volta e sparve volando sotto le acque. Egli aveva preteso alla gloria del patibolo nei primi chiarori dell'alba, quando pel sereno si diffonde la gioia di una nuova promessa alla vita: pallido, scamiciato, la testa nuda, si sarebbe fermato un istante sotto la mannaia, guardando al cielo e alla follaper respingerli entrambi col medesimo sorriso prima di piegare il collo e di chiudere gli occhi per sempre.
Invece li hanno seppelliti così: la morte non fu loro meno crudele della vita.
Perchè compiangerli, signora, se lo sguardo della pietà è quasi sempre come quello del naufrago, che si volge sulla riva a guatare l'acqua perigliosa, dalla quale potè uscire?