L'ADDIO6 maggio 1899.Il duca è partito.Un mio compagno di università, da molti anni assessore delle scuole, gli recò al Quirinale il saluto di Roma distratta da una delle solite crisi ministeriali: qualche giornale aggiunse un augurio, poi null'altro. A quest'ora egli è già sulla via di Torino, domani o posdomani passerà le Alpi affrettando nell'impaziente pensiero la corsa del treno attraverso le campagne francesi, verdeggianti in questi primi giorni di maggio; la sua prima meta è in un porto della Scandinavia, l'ultima al polo non anco violato da alcuno.Tornerà egli?Non importa. Il suo cuore deve essere ancora gonfio di una emozione senza nome, ripensando a tutta la gente lasciata nella vita ordinaria; al re, ai fratelli, alle amiche, le quali tentarono per rattenerlo il dolce sorriso: a suo padre, a sua madre morti, che non possono più tremare segretamente della sua partenza. Egli ha voluto. Passeranno forse trenta o quaranta giorni prima che la suaStella polarepossa salpare l'àncora, ma l'impresa irrevocabile ha sollevata già la sua anima nella gloria fredda della morte. Che egli soccomba lassù, nel desertodel ghiaccio, forse solo dopo l'ultimo cane e l'ultimo compagno, o ritorni colla fronte radiosa del grande segreto vinto, la sua vita di giovane duca nelle più belle capitali d'Italia è già morta.Nel nostro spirito vi sono frontiere, oltre le quali diventiamo stranieri a noi stessi, perchè non potremmo più rivarcarle per riprendere ciò che vi abbandonammo; che cosa significherebbe infatti un ritorno? La religione e l'amore, l'arte e la scienza, non si rivelano che al di là di esse e, come la morte, concedendo a qualcuno di ritornare, non gli consentono più l'esistenza di prima.Così coloro, che la nostalgia del mistero attrasse nell'infinito, ne rimangono il segno, e i loro occhi guardano sempre lontano, e una distrazione di sogno li rende egualmente riconoscibili ed incompresi: si chinarono sull'abisso e l'abisso soffiò loro sulla faccia. Incontrandosi a caso, s'intendono come i barcaioli di Venezia con una sillaba inintelligibile: talvolta la folla li segue, ma un'arcana distanza li isola fra la moltitudine, alla quale appartengono solamente come i fanali alla notte. Comunque si allontani Colombo verso l'America o Galileo nel cielo, entrambi al ritorno saranno del pari disconosciuti; che Empedocle sparisca dentro l'Etna o Andrée al polo, la loro passione serba alla gente il medesimo segreto: altri li seguiranno per cammini diversi, ad altri più infelici ogni cammino sarà precluso senza che la tragedia umana muti per oscurità di silenzi o per splendori di gloria.Adesso che egli è partito, il cuore di molti lo insegue nella rapida corsa verso quella spiaggia scandinava, alla quale si dondola il vascello dell'eroica scoperta. Già l'estate ed il giorno cominciarono anche al polo; i cani esquimesi sono in viaggio verso il convegno, il mare di Kara aperto come quello delle altre terre, e i suoi venti e le sue acque, che sanno il segreto tremendo, mormorano misteriosamente. Bisogna affrettare la partenza. Quei pochi, i quali chiesero indarno o solamentedesiderarono di partecipare all'impresa, si aggirano col pensiero intorno alla nave, guardando, sospingendola come i prigionieri fanno intorno alla carrozza, che li sottrarrà agli occhi insolenti della folla; anch'essi hanno fretta che laStella polaresi perda nella lontananza del mare col loro sogno, perchè a loro soltanto è dato sapere quale dolore possa venire da un rifiuto, e quanta nuova solitudine cada sopra un'anima, che non potè partire per un viaggio senza ritorno.Il duca non lo sa.Il suo spirito sentirà tuttora i fremiti tormentosi dell'orgoglio come in un mattino di battaglia, quando il calpestìo dei soldati pare già un murmure di applausi, e le bandiere fluttuano, i cavalli nitriscono, l'aria vibra, il sole splende. Dietro di lui i monti scandinavi nereggiano nelle verdi profondità; dinanzi il mare ha un azzurro diverso dall'azzurro italiano, mentre le sue piccole onde rompendosi susurrano altre parole, e gli uccelli vi battono l'ali con dissimile volo. Intorno a lui la vita dei pochi compagni ferve intensamente; già fra essi scemarono le differenze di grado: una secreta fraternità, quasi una prima ebbrezza, mutò qualche cosa nei loro modi e nei loro accenti. I giorni e le notti si fanno più brevi al lavoro e lunghe all'attesa; un'attenzione di pericolo vigila ogni preparativo; ciascuno scruta ed avvisa; il duca ascolta e ordina; tutte le volontà sono tese nella battaglia già incominciata, nell'orgasmo della sfida, che si rinnova ad ogni minuto. L'Italia, il mondo, sono lontani: forse qualche ricordo ritorna sui cuori come una nuvola sul mare; ma subito una voce di appello, un gesto frettoloso di comando, un urto improvviso di difficoltà sospendono o precipitano tutte le forze ad un intento, restringendo quasi in una sola le loro vite. Come saprebbero essi quella di coloro, ai quali nessun viaggio sorride più? Forse qualcuno aveva voluto andare al polo per uscire dal mondo attraverso una solitudine vuota come il proprio cuore, immutabilmente silenziosa. La morte non è spessoabbastanza diversa dalla vita per potervisi rifugiare. Talvolta prima di arrivare ad essa bisogna sopportare l'ultima degradazione, sentendosi intorno nel disprezzo, forse nel trionfo degli altri, l'intollerabile caparbietà di una ingiustizia, che ci provoca a nuove rivolte e profana il nostro coraggio. Nella suprema vittoria della morte si mescola quindi una ignominia di sconfitta: ascoltiamo anticipatamente i giudizi di coloro, che crederanno di aver saputo abbastanza di noi per fare il processo alla nostra agonia colla superbia di uno spettatore, al quale ogni tragedia non offre che un nuovo tema di conversazione, perchè il suicida ha quasi sempre torto per tutti, anche se la sua morte fu un delitto di altri. E allora diventa troppo triste sapere prima che il nostro cadavere resterà in ostaggio alla volgarità degli amici e dei nemici!Così qualcuno non osa più morire.Meglio partire per una guerra, quando le piazze tumultuano di entusiasmo, e mascherato da fantaccino cadere fra lo schianto di una battaglia; o uscire silenziosamente una notte dalla propria casa, attraversando la piccola città oscura, e salire sul primo treno senza rivolgere la testa. Perchè rivolgerla? Chi salutare? Coloro, che sono amati, non partono per la morte: coloro invece, che partono per la gloria, sanno di essere attesi. Tanto meglio per loro. Ma vi è qualcuno, il quale da tempo non crede e non spera più.Anch'egli aveva pregato un amico di ottenergli dal duca un invito, sapendo di meritarlo e che nullameno gli sarebbe negato. Invece fu peggio. L'amico ed altri, deputati e senatori, che credevano di conoscerlo per aver letto i suoi libri, giudicando impossibile tale domanda, lo sconsigliarono dal viaggio troppo pericoloso perchè l'onore di scriverne i commentari fosse una scusa sufficiente. A che cercare infatti un motivo letterario al polo? Essi non avevano capito. Lo scrittore aveva già mandato alla Nuova Antologia un articolo sopra Andrée, colla fanciullesca lusinga che il duca nel leggerlo potesse intendernel'appello supremo: ma invece l'articolo non era stato ancora stampato.Bisognava tacere e restare.Mentre il duca partiva da Roma, lo scrittore tornava in bicicletta alla propria villa, sotto un crepuscolo piovigginoso. La stretta valle, asserragliata nel fondo da un ciclopico muraglione di gessi, pareva singhiozzare nella sera: gli alberi ancora stillanti lasciavano cadere lagrime sonore ad ogni soffio di vento sulla strada deserta e fangosa. Poi l'ombra crebbe sospendendo lunghe gramaglie a tutti i rami; alcuni uccelli si richiamavano fra le siepi con brevi strida trepidanti. Egli non veniva da lontano, ma era stanco: vide dallo scorcio del ponte, sul fianco della propria villa, il profilo squallido della torre, e il nero antico cipresso solitario, quasi più alto di questa. Quando giunse sul prato, un fanciullo, solitario anch'esso, guardava coi grandi occhi pensosi la sera dallo scalino della porta. La tenebra era già nella casa silenziosa: lo scrittore appoggiò la bicicletta al muro, e tornò indietro. Il suo pensiero era invecchiato sotto quella torre, nella quale i topi famelici avevano più di una volta distrutti i piccioni, che vi nidificavano: adesso qualcuno di questi, uscendo da minuscole casette incastrate nella facciata, volava ancora per l'aria grigia fra le rondini delle grondaie: le galline si erano rifuggite nel pollaio: solo il grande anitrone muto, rimasto vedovo nell'inverno, stava immobile fra l'erba alta del prato. La sua testa, diventata quasi bianca su tutto il corpo nero, si scosse appena, mentre la bocca gli si apriva ad un rauco soffio di saluto; poi, dondolandosi pesantemente sulle palme, rientrò nella stalla vuota.La casa era anche più triste della sera: lunghi brividi passavano per la campagna.Non vi è ora più mesta del tramonto per coloro che non sanno ove andare.Il pensiero dello scrittore fuggiva lontano per quell'ombra verso la spiaggia oscura, alla quale correva inquell'ora il duca degli Abruzzi. Perchè questo principe giovane, quasi bello, aveva voluto esulare dal mondo, mentre la primavera raggiava tutta intorno di sorrisi, e le donne gli apparivano ancora dentro l'incanto del desiderio? Quale profondo dolore, quale eccelsa gioia gli aveva detto la propria irresistibile parola? Era partito per tornare, o come Andrée cercava al polo la bellezza segreta di una morte lungi da ogni volgo? Certamente per i suoi compagni l'avventura non aveva altra seduzione che l'originalità dei rischi e l'ammirazione della gente, alla quale ogni grandezza diventa spettacolo ed ogni grand'uomo un attore; ma difficilmente la vanità dell'applauso basta a destare in un'anima la passione di Prometeo. I capitani delle inverosimili conquiste, gli argonauti dei mari misteriosi, tutti i profanatori del secreto, che ricinge la nostra vita, si sentirono nelle lunghe ore della preparazione sospingere dal soffio gelato della morte; l'amore stesso l'invoca nel delirio supremo e, mentre le fiamme dissolvono la sua ultima impurità, vorrebbe vanire nella pura luce bianca dell'empireo.Ma forse il duca non volle salpare che verso la gloria più lontanamente difficile agli occhi di tutto il mondo.Nel suo cuore di soldato ferveano profonde ed eroiche le memorie degli avi discesi come uno stormo di falchi dalle torri di Morienna su le valli alpine a ghermirvi ferocemente corone marchionali e principesche: e poichè nella prosaica vita moderna nessuna bella avventura è concessa alla fantasia di un principe, cercò al di là di ogni confine, nel mistero del polo, la più intrepida ed inutile delle umane conquiste. Già con pochi compagni un anno prima aveva valicato l'Atlantico per salire la cima dell'Alaska, un immenso cono di pietra e di ghiaccio, indarno tentato dalle più temerarie superbie di America, senza altro scopo che di respirare lassù, dove nessun uomo aveva ancora respirato, piantandovi, simbolo effimero di trionfo, la bandiera antica dei Savoia. Ma il polo l'affascinò. L'esploratore Nansen, reduce dal piùostinato e fortunoso dei viaggi verso l'irraggiungibile meta, gli apprese in lunghi racconti tutte le meraviglie di quel mondo, nel quale la notte è così simile al giorno, e il silenzio così puro sull'immacolato candore del ghiaccio.Tutta la nostra vita finisce lassù: nessuna traccia vi significa l'immensa tragedia del nostro pensiero; la natura stessa vi si nascose dentro una armatura di cristallo, sulla quale la luce si rompe in baleni silenziosi.Tratto tratto l'armatura si fende e un'acqua scorre fra vitree pareti, che tosto un soffio più gelato rinsalda con un fracasso di macigni lanciati da una catapulta su muraglioni frananti. Qualche orso più bianco di quella solitudine vi erra come un fantasma dentro un sogno, raddoppiandone il mistero. Come vivono gli orsi lassù? La loro fame per quanti di quei crepuscoli senza giorno e senza notte si allunga? Che cosa cercano sulla immensa lastra di quel deserto? Talvolta fra le spaccature dell'immenso specchio appare una foca dalla faccia rotonda di donna, battendosi con ingenua civetteria le larghe e brevi mani sul ventre, mentre guarda coi grandi occhi buoni, che sanno anche piangere.Tal'altra una procellaria, messaggiera misteriosa, passa come un soffio e dilegua. Dove? Che cosa vi è al polo? Lo ha essa attraversato? Il polo non è una tentazione che per noi, e, come tutti i misteri, rivelandosi non ci toglierà che una illusione: non importa. Meglio lassù a fianco dei cani, che tirano le slitte cariche delle ultime provvigioni per quella landa rotta da canali, sbarrata da trincee di ghiaccio, respirando un'aria a cinquanta gradi sotto zero, colle lagrime incastrate dal gelo negli occhi come i dannati della Caina, che qui nel verde insopportabile di questa valle, senza amore, senza gloria, nell'ozio del pensiero, nel deserto della propria anima!Io pure sognavo, mio principe, di venire con voi.Tutta una notte di questo inverno il mio spirito aveva gridato dietro Andrée, l'eroe bello, volato a quel medesimopolo, cui vorreste giungere coll'industre coraggio e colla instancabile pazienza del pellegrino; ma scrivendo pensavo a voi, come all'amico atteso tutta la vita per compierne finalmente l'ultima solenne giornata. Prima di voi, meglio di voi, avevo rifatta col pensiero la strada di tutti coloro, che vi si erano perduti o n'erano ritornati: sempre, ne' miei giorni più vuoti e nelle mie notti più lunghe, erravo per quella solitudine senza cercarvi una meta. Se per la fede di quelle pagine, che non leggerete, mi aveste detto: — Venite, siate l'aedo della mia nave — forse nel tremito della riconoscenza vi avrei confessato la menzogna. Non ho saputo essere il poeta di Andrée, non potevo diventare il vostro: bisogna credere alla bellezza della vita perchè l'amore ci ascolti, o almeno a quella della morte perchè la gloria ci risponda. Io non sono un poeta, non ho più nell'animale speranze che cantano, non mi veggo più dinanzi i fantasmi che insegnano la strada.Nullameno vi avrei seguito lassù inutilmente: che cosa avrei infatti potuto trovarvi? La mia gloria era altrove, e l'ho vista sparire adagio, per sempre, in una lontananza ben più incerta, in un crepuscolo ben più triste di tutte le aurore boreali. La verginità del polo non vale per me più che una verginità di donna o di casa; comprendo la compiacenza di entrare primo per incidervi il proprio nome, ma il mio orgoglio non ne palpita più dopo l'ultima abdicazione. Come quei pellegrini, che durano a camminare, giacchè, fermandosi, non vorrebbero più alzarsi, vi avrei accompagnato fedelmente per aiutare la vostra costanza colla mia indifferenza, o per aprirvi la solitudine del mio cuore il giorno che quell'altra vi avesse fatto paura.Forse voi non sapete ancora che cosa sia il deserto.Se quell'illustre deputato, vostro amico, avesse osato parlarvi di me prima che i modi statuiti all'impresa vietassero di aggiungervi un inutile scrittore, ieri sera sarei balzato in sella verso la città ove nacqui, e nella qualenon abito quasi più. L'anno passato vi era ancora un buon ragazzo, il mio maestro di bicicletta, che morì anche col dolore di non averne mai potuto possedere una. Non so perchè, ma sento che sarei andato a deporre la mia sotto la sua finestra, in quel giardinetto presso l'antica stazione della ferrovia. Il villino, non più suo, adesso è vuoto, riverniciato, azzimato quasi per la festa di un nuovo effimero lusso; ma veggo ancora all'ultima finestra del pianterreno, a sinistra, quel povero ragazzo scarno, coi grandi occhi infossati, il giorno che andai a mostrargli la mia nuovaPrinetti. Nelle sue pupille bruciò un lampo di desiderio, ma il suo sorriso fu senza invidia. Poco dopo morì come un uccello: egli era il mio piccolo compagno, l'ultima innocenza della mia vita. Quante volte non sono partito dalla città col cuore superbamente chiuso, perchè non v'entrasse l'umiliazione di essere così solo! Allora credevo che alla mia anima basterebbe la gloria come un altro amore più vasto e più luminoso, con le medesime tenerezze e i profondi abbandoni. Ma nemmeno questo fu vero. Sarei quindi partito col primo treno, nascondendo la testa nell'angolo di qualche compartimento vuoto per non riaffacciarmi allo sportello, quando il sibilo della vaporiera mi avrebbe sferzato l'orecchio come un supremo sarcasmo.Che importa, purchè l'ultimo?Anche questa mattina piovigginava. I primi colli dell'Appennino, dietro i quali è passata quasi tutta la mia vita, sarebbero fuggiti nella luce crepuscolare davanti al finestrino del vagone come per una incertezza di sogno; avrei sentito coll'instintivo terrore di una novissima sensazione l'anelito violento della locomotiva, i suoi crolli cupi sui ponti, lo scricchiolìo de' suoi ondeggiamenti nelle curve, tutto l'impeto della sua forza costretta dalle rotaie e che rugge per la caminiera, ansa e trema, fuma e fischia. Lungi, lungi è la meta, più lungi ancora dilegua il passato. I campi verdi, i colli violacei, le stazioni, le città vaniscono nella corsa davanti al pensiero fiso sull'immensodeserto polare: lassù è la meta, lassù il silenzio, lassù la solitudine, che gli uomini non potranno mai profanare. Voi non riuscirete, mio principe, a segnarvi una strada: la vostra idea non vi passerà che come la procellaria sopra una linea invisibile, il vostro piede non vi lascerà un'orma più precisa che il piede di una volpe bianca. Se qualcuno dei vostri compagni morrà, gli taglierete nel cristallo una tomba diafana, dentro la quale dormirà incorruttibile nei secoli: v'inginocchierete a pregare; poi i cani si rialzeranno per tirare le slitte, e che il vostro Dio vi accompagni! L'inverno è pronto e lungo lassù: raddoppiate il coraggio, non abbiate pietà dei cani nè di voi stesso, perchè i giorni dell'ultima spedizione vi saranno contati come a Nansen. Come a lui, gli abiti vi diventeranno di vetro nel giorno, e quel vetro ridiventerà acqua dentro il sacco di pelle, nel quale vi caccerete la notte per dormire: i vostri cronometri si guasteranno, vi mancheranno le provviste, dovrete nutrire i cani vivi coi cani moribondi, nutrirvene voi stesso; vi si romperanno la tenda e il canotto, e, come a Nansen, non vi resterà che un compagno, una carabina, qualche cartuccia e la lampada del fornello. Andate, andate, la meta è ancora lontana: forse Dio, che vi aspetta lassù, disse misericordiosamente alla Morte di venirvi incontro.Dove è morto Andrée?Nessuno lo sa.Ma allora imparerete perchè volle morire, non lasciandosi dietro, fra noi, che uno stupore di sogno.Forse io non avrei potuto seguirvi fino là: non sono più giovane, non so nuotare, pattinare, remare, tiro male di fucile, non ho provato che un freddo di diciotto gradi, l'anno nel quale morì la pineta di Ravenna. Hanno avuto ragione coloro che non vollero chiedervi per me un invito: per accompagnarvi lassù bisognava meritarlo altrimenti che per qualche libro stampato o per non sapere più dove andare. Si può soffrire anche qui al cuoreun freddo più intenso che al polo; vi è anche qui un deserto nel quale si è sicuri di rimanere soli; si può anche qui camminare verso una meta irraggiungibile.Vincitore o vinto, voi potete tornare, mio principe: io invece avrei dovuto restare lassù, e probabilmente voi solo vi sareste qualche volta ricordato di me.
6 maggio 1899.
Il duca è partito.
Un mio compagno di università, da molti anni assessore delle scuole, gli recò al Quirinale il saluto di Roma distratta da una delle solite crisi ministeriali: qualche giornale aggiunse un augurio, poi null'altro. A quest'ora egli è già sulla via di Torino, domani o posdomani passerà le Alpi affrettando nell'impaziente pensiero la corsa del treno attraverso le campagne francesi, verdeggianti in questi primi giorni di maggio; la sua prima meta è in un porto della Scandinavia, l'ultima al polo non anco violato da alcuno.
Tornerà egli?
Non importa. Il suo cuore deve essere ancora gonfio di una emozione senza nome, ripensando a tutta la gente lasciata nella vita ordinaria; al re, ai fratelli, alle amiche, le quali tentarono per rattenerlo il dolce sorriso: a suo padre, a sua madre morti, che non possono più tremare segretamente della sua partenza. Egli ha voluto. Passeranno forse trenta o quaranta giorni prima che la suaStella polarepossa salpare l'àncora, ma l'impresa irrevocabile ha sollevata già la sua anima nella gloria fredda della morte. Che egli soccomba lassù, nel desertodel ghiaccio, forse solo dopo l'ultimo cane e l'ultimo compagno, o ritorni colla fronte radiosa del grande segreto vinto, la sua vita di giovane duca nelle più belle capitali d'Italia è già morta.
Nel nostro spirito vi sono frontiere, oltre le quali diventiamo stranieri a noi stessi, perchè non potremmo più rivarcarle per riprendere ciò che vi abbandonammo; che cosa significherebbe infatti un ritorno? La religione e l'amore, l'arte e la scienza, non si rivelano che al di là di esse e, come la morte, concedendo a qualcuno di ritornare, non gli consentono più l'esistenza di prima.
Così coloro, che la nostalgia del mistero attrasse nell'infinito, ne rimangono il segno, e i loro occhi guardano sempre lontano, e una distrazione di sogno li rende egualmente riconoscibili ed incompresi: si chinarono sull'abisso e l'abisso soffiò loro sulla faccia. Incontrandosi a caso, s'intendono come i barcaioli di Venezia con una sillaba inintelligibile: talvolta la folla li segue, ma un'arcana distanza li isola fra la moltitudine, alla quale appartengono solamente come i fanali alla notte. Comunque si allontani Colombo verso l'America o Galileo nel cielo, entrambi al ritorno saranno del pari disconosciuti; che Empedocle sparisca dentro l'Etna o Andrée al polo, la loro passione serba alla gente il medesimo segreto: altri li seguiranno per cammini diversi, ad altri più infelici ogni cammino sarà precluso senza che la tragedia umana muti per oscurità di silenzi o per splendori di gloria.
Adesso che egli è partito, il cuore di molti lo insegue nella rapida corsa verso quella spiaggia scandinava, alla quale si dondola il vascello dell'eroica scoperta. Già l'estate ed il giorno cominciarono anche al polo; i cani esquimesi sono in viaggio verso il convegno, il mare di Kara aperto come quello delle altre terre, e i suoi venti e le sue acque, che sanno il segreto tremendo, mormorano misteriosamente. Bisogna affrettare la partenza. Quei pochi, i quali chiesero indarno o solamentedesiderarono di partecipare all'impresa, si aggirano col pensiero intorno alla nave, guardando, sospingendola come i prigionieri fanno intorno alla carrozza, che li sottrarrà agli occhi insolenti della folla; anch'essi hanno fretta che laStella polaresi perda nella lontananza del mare col loro sogno, perchè a loro soltanto è dato sapere quale dolore possa venire da un rifiuto, e quanta nuova solitudine cada sopra un'anima, che non potè partire per un viaggio senza ritorno.
Il duca non lo sa.
Il suo spirito sentirà tuttora i fremiti tormentosi dell'orgoglio come in un mattino di battaglia, quando il calpestìo dei soldati pare già un murmure di applausi, e le bandiere fluttuano, i cavalli nitriscono, l'aria vibra, il sole splende. Dietro di lui i monti scandinavi nereggiano nelle verdi profondità; dinanzi il mare ha un azzurro diverso dall'azzurro italiano, mentre le sue piccole onde rompendosi susurrano altre parole, e gli uccelli vi battono l'ali con dissimile volo. Intorno a lui la vita dei pochi compagni ferve intensamente; già fra essi scemarono le differenze di grado: una secreta fraternità, quasi una prima ebbrezza, mutò qualche cosa nei loro modi e nei loro accenti. I giorni e le notti si fanno più brevi al lavoro e lunghe all'attesa; un'attenzione di pericolo vigila ogni preparativo; ciascuno scruta ed avvisa; il duca ascolta e ordina; tutte le volontà sono tese nella battaglia già incominciata, nell'orgasmo della sfida, che si rinnova ad ogni minuto. L'Italia, il mondo, sono lontani: forse qualche ricordo ritorna sui cuori come una nuvola sul mare; ma subito una voce di appello, un gesto frettoloso di comando, un urto improvviso di difficoltà sospendono o precipitano tutte le forze ad un intento, restringendo quasi in una sola le loro vite. Come saprebbero essi quella di coloro, ai quali nessun viaggio sorride più? Forse qualcuno aveva voluto andare al polo per uscire dal mondo attraverso una solitudine vuota come il proprio cuore, immutabilmente silenziosa. La morte non è spessoabbastanza diversa dalla vita per potervisi rifugiare. Talvolta prima di arrivare ad essa bisogna sopportare l'ultima degradazione, sentendosi intorno nel disprezzo, forse nel trionfo degli altri, l'intollerabile caparbietà di una ingiustizia, che ci provoca a nuove rivolte e profana il nostro coraggio. Nella suprema vittoria della morte si mescola quindi una ignominia di sconfitta: ascoltiamo anticipatamente i giudizi di coloro, che crederanno di aver saputo abbastanza di noi per fare il processo alla nostra agonia colla superbia di uno spettatore, al quale ogni tragedia non offre che un nuovo tema di conversazione, perchè il suicida ha quasi sempre torto per tutti, anche se la sua morte fu un delitto di altri. E allora diventa troppo triste sapere prima che il nostro cadavere resterà in ostaggio alla volgarità degli amici e dei nemici!
Così qualcuno non osa più morire.
Meglio partire per una guerra, quando le piazze tumultuano di entusiasmo, e mascherato da fantaccino cadere fra lo schianto di una battaglia; o uscire silenziosamente una notte dalla propria casa, attraversando la piccola città oscura, e salire sul primo treno senza rivolgere la testa. Perchè rivolgerla? Chi salutare? Coloro, che sono amati, non partono per la morte: coloro invece, che partono per la gloria, sanno di essere attesi. Tanto meglio per loro. Ma vi è qualcuno, il quale da tempo non crede e non spera più.
Anch'egli aveva pregato un amico di ottenergli dal duca un invito, sapendo di meritarlo e che nullameno gli sarebbe negato. Invece fu peggio. L'amico ed altri, deputati e senatori, che credevano di conoscerlo per aver letto i suoi libri, giudicando impossibile tale domanda, lo sconsigliarono dal viaggio troppo pericoloso perchè l'onore di scriverne i commentari fosse una scusa sufficiente. A che cercare infatti un motivo letterario al polo? Essi non avevano capito. Lo scrittore aveva già mandato alla Nuova Antologia un articolo sopra Andrée, colla fanciullesca lusinga che il duca nel leggerlo potesse intendernel'appello supremo: ma invece l'articolo non era stato ancora stampato.
Bisognava tacere e restare.
Mentre il duca partiva da Roma, lo scrittore tornava in bicicletta alla propria villa, sotto un crepuscolo piovigginoso. La stretta valle, asserragliata nel fondo da un ciclopico muraglione di gessi, pareva singhiozzare nella sera: gli alberi ancora stillanti lasciavano cadere lagrime sonore ad ogni soffio di vento sulla strada deserta e fangosa. Poi l'ombra crebbe sospendendo lunghe gramaglie a tutti i rami; alcuni uccelli si richiamavano fra le siepi con brevi strida trepidanti. Egli non veniva da lontano, ma era stanco: vide dallo scorcio del ponte, sul fianco della propria villa, il profilo squallido della torre, e il nero antico cipresso solitario, quasi più alto di questa. Quando giunse sul prato, un fanciullo, solitario anch'esso, guardava coi grandi occhi pensosi la sera dallo scalino della porta. La tenebra era già nella casa silenziosa: lo scrittore appoggiò la bicicletta al muro, e tornò indietro. Il suo pensiero era invecchiato sotto quella torre, nella quale i topi famelici avevano più di una volta distrutti i piccioni, che vi nidificavano: adesso qualcuno di questi, uscendo da minuscole casette incastrate nella facciata, volava ancora per l'aria grigia fra le rondini delle grondaie: le galline si erano rifuggite nel pollaio: solo il grande anitrone muto, rimasto vedovo nell'inverno, stava immobile fra l'erba alta del prato. La sua testa, diventata quasi bianca su tutto il corpo nero, si scosse appena, mentre la bocca gli si apriva ad un rauco soffio di saluto; poi, dondolandosi pesantemente sulle palme, rientrò nella stalla vuota.
La casa era anche più triste della sera: lunghi brividi passavano per la campagna.
Non vi è ora più mesta del tramonto per coloro che non sanno ove andare.
Il pensiero dello scrittore fuggiva lontano per quell'ombra verso la spiaggia oscura, alla quale correva inquell'ora il duca degli Abruzzi. Perchè questo principe giovane, quasi bello, aveva voluto esulare dal mondo, mentre la primavera raggiava tutta intorno di sorrisi, e le donne gli apparivano ancora dentro l'incanto del desiderio? Quale profondo dolore, quale eccelsa gioia gli aveva detto la propria irresistibile parola? Era partito per tornare, o come Andrée cercava al polo la bellezza segreta di una morte lungi da ogni volgo? Certamente per i suoi compagni l'avventura non aveva altra seduzione che l'originalità dei rischi e l'ammirazione della gente, alla quale ogni grandezza diventa spettacolo ed ogni grand'uomo un attore; ma difficilmente la vanità dell'applauso basta a destare in un'anima la passione di Prometeo. I capitani delle inverosimili conquiste, gli argonauti dei mari misteriosi, tutti i profanatori del secreto, che ricinge la nostra vita, si sentirono nelle lunghe ore della preparazione sospingere dal soffio gelato della morte; l'amore stesso l'invoca nel delirio supremo e, mentre le fiamme dissolvono la sua ultima impurità, vorrebbe vanire nella pura luce bianca dell'empireo.
Ma forse il duca non volle salpare che verso la gloria più lontanamente difficile agli occhi di tutto il mondo.
Nel suo cuore di soldato ferveano profonde ed eroiche le memorie degli avi discesi come uno stormo di falchi dalle torri di Morienna su le valli alpine a ghermirvi ferocemente corone marchionali e principesche: e poichè nella prosaica vita moderna nessuna bella avventura è concessa alla fantasia di un principe, cercò al di là di ogni confine, nel mistero del polo, la più intrepida ed inutile delle umane conquiste. Già con pochi compagni un anno prima aveva valicato l'Atlantico per salire la cima dell'Alaska, un immenso cono di pietra e di ghiaccio, indarno tentato dalle più temerarie superbie di America, senza altro scopo che di respirare lassù, dove nessun uomo aveva ancora respirato, piantandovi, simbolo effimero di trionfo, la bandiera antica dei Savoia. Ma il polo l'affascinò. L'esploratore Nansen, reduce dal piùostinato e fortunoso dei viaggi verso l'irraggiungibile meta, gli apprese in lunghi racconti tutte le meraviglie di quel mondo, nel quale la notte è così simile al giorno, e il silenzio così puro sull'immacolato candore del ghiaccio.
Tutta la nostra vita finisce lassù: nessuna traccia vi significa l'immensa tragedia del nostro pensiero; la natura stessa vi si nascose dentro una armatura di cristallo, sulla quale la luce si rompe in baleni silenziosi.
Tratto tratto l'armatura si fende e un'acqua scorre fra vitree pareti, che tosto un soffio più gelato rinsalda con un fracasso di macigni lanciati da una catapulta su muraglioni frananti. Qualche orso più bianco di quella solitudine vi erra come un fantasma dentro un sogno, raddoppiandone il mistero. Come vivono gli orsi lassù? La loro fame per quanti di quei crepuscoli senza giorno e senza notte si allunga? Che cosa cercano sulla immensa lastra di quel deserto? Talvolta fra le spaccature dell'immenso specchio appare una foca dalla faccia rotonda di donna, battendosi con ingenua civetteria le larghe e brevi mani sul ventre, mentre guarda coi grandi occhi buoni, che sanno anche piangere.
Tal'altra una procellaria, messaggiera misteriosa, passa come un soffio e dilegua. Dove? Che cosa vi è al polo? Lo ha essa attraversato? Il polo non è una tentazione che per noi, e, come tutti i misteri, rivelandosi non ci toglierà che una illusione: non importa. Meglio lassù a fianco dei cani, che tirano le slitte cariche delle ultime provvigioni per quella landa rotta da canali, sbarrata da trincee di ghiaccio, respirando un'aria a cinquanta gradi sotto zero, colle lagrime incastrate dal gelo negli occhi come i dannati della Caina, che qui nel verde insopportabile di questa valle, senza amore, senza gloria, nell'ozio del pensiero, nel deserto della propria anima!
Io pure sognavo, mio principe, di venire con voi.
Tutta una notte di questo inverno il mio spirito aveva gridato dietro Andrée, l'eroe bello, volato a quel medesimopolo, cui vorreste giungere coll'industre coraggio e colla instancabile pazienza del pellegrino; ma scrivendo pensavo a voi, come all'amico atteso tutta la vita per compierne finalmente l'ultima solenne giornata. Prima di voi, meglio di voi, avevo rifatta col pensiero la strada di tutti coloro, che vi si erano perduti o n'erano ritornati: sempre, ne' miei giorni più vuoti e nelle mie notti più lunghe, erravo per quella solitudine senza cercarvi una meta. Se per la fede di quelle pagine, che non leggerete, mi aveste detto: — Venite, siate l'aedo della mia nave — forse nel tremito della riconoscenza vi avrei confessato la menzogna. Non ho saputo essere il poeta di Andrée, non potevo diventare il vostro: bisogna credere alla bellezza della vita perchè l'amore ci ascolti, o almeno a quella della morte perchè la gloria ci risponda. Io non sono un poeta, non ho più nell'animale speranze che cantano, non mi veggo più dinanzi i fantasmi che insegnano la strada.
Nullameno vi avrei seguito lassù inutilmente: che cosa avrei infatti potuto trovarvi? La mia gloria era altrove, e l'ho vista sparire adagio, per sempre, in una lontananza ben più incerta, in un crepuscolo ben più triste di tutte le aurore boreali. La verginità del polo non vale per me più che una verginità di donna o di casa; comprendo la compiacenza di entrare primo per incidervi il proprio nome, ma il mio orgoglio non ne palpita più dopo l'ultima abdicazione. Come quei pellegrini, che durano a camminare, giacchè, fermandosi, non vorrebbero più alzarsi, vi avrei accompagnato fedelmente per aiutare la vostra costanza colla mia indifferenza, o per aprirvi la solitudine del mio cuore il giorno che quell'altra vi avesse fatto paura.
Forse voi non sapete ancora che cosa sia il deserto.
Se quell'illustre deputato, vostro amico, avesse osato parlarvi di me prima che i modi statuiti all'impresa vietassero di aggiungervi un inutile scrittore, ieri sera sarei balzato in sella verso la città ove nacqui, e nella qualenon abito quasi più. L'anno passato vi era ancora un buon ragazzo, il mio maestro di bicicletta, che morì anche col dolore di non averne mai potuto possedere una. Non so perchè, ma sento che sarei andato a deporre la mia sotto la sua finestra, in quel giardinetto presso l'antica stazione della ferrovia. Il villino, non più suo, adesso è vuoto, riverniciato, azzimato quasi per la festa di un nuovo effimero lusso; ma veggo ancora all'ultima finestra del pianterreno, a sinistra, quel povero ragazzo scarno, coi grandi occhi infossati, il giorno che andai a mostrargli la mia nuovaPrinetti. Nelle sue pupille bruciò un lampo di desiderio, ma il suo sorriso fu senza invidia. Poco dopo morì come un uccello: egli era il mio piccolo compagno, l'ultima innocenza della mia vita. Quante volte non sono partito dalla città col cuore superbamente chiuso, perchè non v'entrasse l'umiliazione di essere così solo! Allora credevo che alla mia anima basterebbe la gloria come un altro amore più vasto e più luminoso, con le medesime tenerezze e i profondi abbandoni. Ma nemmeno questo fu vero. Sarei quindi partito col primo treno, nascondendo la testa nell'angolo di qualche compartimento vuoto per non riaffacciarmi allo sportello, quando il sibilo della vaporiera mi avrebbe sferzato l'orecchio come un supremo sarcasmo.
Che importa, purchè l'ultimo?
Anche questa mattina piovigginava. I primi colli dell'Appennino, dietro i quali è passata quasi tutta la mia vita, sarebbero fuggiti nella luce crepuscolare davanti al finestrino del vagone come per una incertezza di sogno; avrei sentito coll'instintivo terrore di una novissima sensazione l'anelito violento della locomotiva, i suoi crolli cupi sui ponti, lo scricchiolìo de' suoi ondeggiamenti nelle curve, tutto l'impeto della sua forza costretta dalle rotaie e che rugge per la caminiera, ansa e trema, fuma e fischia. Lungi, lungi è la meta, più lungi ancora dilegua il passato. I campi verdi, i colli violacei, le stazioni, le città vaniscono nella corsa davanti al pensiero fiso sull'immensodeserto polare: lassù è la meta, lassù il silenzio, lassù la solitudine, che gli uomini non potranno mai profanare. Voi non riuscirete, mio principe, a segnarvi una strada: la vostra idea non vi passerà che come la procellaria sopra una linea invisibile, il vostro piede non vi lascerà un'orma più precisa che il piede di una volpe bianca. Se qualcuno dei vostri compagni morrà, gli taglierete nel cristallo una tomba diafana, dentro la quale dormirà incorruttibile nei secoli: v'inginocchierete a pregare; poi i cani si rialzeranno per tirare le slitte, e che il vostro Dio vi accompagni! L'inverno è pronto e lungo lassù: raddoppiate il coraggio, non abbiate pietà dei cani nè di voi stesso, perchè i giorni dell'ultima spedizione vi saranno contati come a Nansen. Come a lui, gli abiti vi diventeranno di vetro nel giorno, e quel vetro ridiventerà acqua dentro il sacco di pelle, nel quale vi caccerete la notte per dormire: i vostri cronometri si guasteranno, vi mancheranno le provviste, dovrete nutrire i cani vivi coi cani moribondi, nutrirvene voi stesso; vi si romperanno la tenda e il canotto, e, come a Nansen, non vi resterà che un compagno, una carabina, qualche cartuccia e la lampada del fornello. Andate, andate, la meta è ancora lontana: forse Dio, che vi aspetta lassù, disse misericordiosamente alla Morte di venirvi incontro.
Dove è morto Andrée?
Nessuno lo sa.
Ma allora imparerete perchè volle morire, non lasciandosi dietro, fra noi, che uno stupore di sogno.
Forse io non avrei potuto seguirvi fino là: non sono più giovane, non so nuotare, pattinare, remare, tiro male di fucile, non ho provato che un freddo di diciotto gradi, l'anno nel quale morì la pineta di Ravenna. Hanno avuto ragione coloro che non vollero chiedervi per me un invito: per accompagnarvi lassù bisognava meritarlo altrimenti che per qualche libro stampato o per non sapere più dove andare. Si può soffrire anche qui al cuoreun freddo più intenso che al polo; vi è anche qui un deserto nel quale si è sicuri di rimanere soli; si può anche qui camminare verso una meta irraggiungibile.
Vincitore o vinto, voi potete tornare, mio principe: io invece avrei dovuto restare lassù, e probabilmente voi solo vi sareste qualche volta ricordato di me.