NELLA VECCHIA STRADA.

NELLA VECCHIA STRADA.

Incomincia il nome a indicare che la via è antica; un nome ispirato non a grandi o medi o piccoli uomini come si usa adesso, ma che, tolto dalla posizione stessa della via, ne rievoca la vita primitiva e i confini angusti entro i quali chiudevasi un tempo la città.

Parimenti non appare, la vecchia strada, tagliata dritta con un colpo d’accetta, rigida nella regolarità di misure prestabilite che ne costringano lo sviluppo a guisa di giovane corpo spianato nella guaina di un busto dozzinale; e non è tutta bianca, e non è tutta bella, e non è nemmeno tutta pulita perchè quando il carbonaio scarica la merce dinanzi alla botola del suo stambugio una larga striscia nera rimane per molti giorni sul lastrico. Corrono, è vero, i fili elettrici da una casa all’altra, ma poichè pendono da essi brandelli di carta rossa e celeste noi sappiamo subito che corrono pure i fanciulli traendosi dietro nell’aria le loro comete e cervi volanti, ciò che non potrebbe accadere in unavia nuova rispettabile e imponente percorsa da automobili.

La vecchia strada si distende a sghimbescio dietro una vecchia chiesa e un vecchio palazzo che ne occupano buona parte, di fronte a casuccie meschine, a botteghe umili di prima necessità: il fornaio, il macellaio, il fruttaiolo, il ciabattino, il ramaio, il venditore di legna e carbone e l’osteria, si sa, più necessaria di tutte. In un certo punto le casuccie si spingono così innanzi (proprio da gente che non conosce le belle creanze e fa i propri comodi) da toccare quasi il cornicione del palazzo signorile il quale, scuro scuro e sempre chiuso, se pure ha l’aria di tenere il broncio, sopporta tutto senza recriminazioni.

Accanto al palazzo la canonica della chiesa, scura anch’essa in una tinta di rosso bruno, accoglie dietro le sue finestre ornate da qualche vaso di violaciocche le piccole suore di San Vincenzo trotterellanti ogni mattina in cerca di elemosine per i loro poveri. Entrano le piccole suore dal fornaio sollevando il coperchio del paniere dove scompariranno i pani già messi da parte per loro e rinchiudendolo si chinano ad accarezzare i piccoli bimbi, a distribuire santini ai più grandicelli. Il sorriso che rivolgono alla fornaia sembra dire: «La vostra missione è di fare dei figlioli, la nostra è di fare carità». La fornaia sorride essa pure, ma è difficile dire che cosa esprima quel sorriso.

Con maggiore titubanza entrano le piccole suore dal macellaio dove la grossa padrona troneggia dietro il banco, pettoruta, rubiconda, sprizzante salute e ciccia, con due buccole di brillanti appese ai loboli carnosi delle orecchie e due occhi cupidi che si rivolgono continuamente al garzone, bel giovinotto ricciuto e forte nella sua camicia color di rosa affaccendato fra i quarti di bue e di vitello appesi in giro. Tutta quella carne, e l’odore del sangue, e le occhiate della donna, turbano le monachelle. Mettendo nel paniere una viscida milza offerta dal garzone, la più vecchia si avvicina al banco a chiede timidamente:

— Vostro marito va meglio?

— Oh! tossisce sempre. Oramai si sa che è etico. Non c’è rimedio.

Il garzone, battendo col matterello una larga bistecca, ripete: «Non c’è rimedio». Le suore escono ad occhi bassi.

Il ciabattino è scapolo, socialista e superuomo insieme. Rifiuta l’elemosina alle mani morte, taccona le ciabatte con dignità, predica alla sera all’osteria contro i signori e nei giorni di festa vestito egli stesso come un signore, col sigaro in bocca, passeggia su e giù gettando sulla sua bottega chiusa guardataccie che sembrano di sfida.

Placidissimi i fruttaioli, marito e moglie, due colossi biondi ruzzolati giù dalle balze del Canton Ticino, stanno piantati all’imboccatura dellastrada a guisa di due molossi custodi, indifferenti a tutto ciò che non sia il loro negozio, vendendo caldarrosti l’inverno e ciliegie in primavera col ritornello invariabile chetutto è cresciuto. Alla finestra della loro abitazione pende una gabbia con dentro un merlo. Nei mesi freddi diventa anche polentaio il buon fruttaiolo. A mezzodì in punto (l’ora che fa uscire gli operai dalla fucina) lo si sente gridare sulla soglia della sua bottega:È cotta!

Il ramaio non si vede mai ma si sente sempre. Toc toc toc, le lastre battute risuonano sotto i colpi cadenzati del martello e questo rumore che sarebbe anacronismo altrove compie a perfezione la fisionomia rugosa e passatella della vecchia strada; questo rumore antico, questo rumore che ai nostri padri, nonni e bisnonni cullò i sensi non ancora raffinati nelle piccole città industriose, nei villaggi solatii, mentre le massaie badavano a tener lucidi i bei rami onore e decoro delle loro cucine, questo rumore caro tuttavia a chi non soffre di nervi per la sua gaia forza evocatrice, questo rumore semplice e onesto è come il cuore della vecchia strada. Durante la rigida stagione gli usci e le finestre chiuse ne attutiscono il rimbombo, ma appena il sole scendendo a scacchi dal bruno palazzo aristocratico balza nella via, tutte le imposte si aprono e la musica del rame percosso e ripercosso trionfa di ogni altro rumore.

Fin qui la prima metà della strada; nella secondale esigenze del progresso hanno fatto abbattere i fabbricati vetusti, poichè i nipoti eredi si credettero in dovere di introdurre un po’ d’ordine, di raddrizzare le linee, di livellare i tetti; così le case da quel lato sono decorosamente moderne e si specchiano con compiacenza nell’ampio fabbricato delle scuole eretto sopra le rovine di un convento. E però questo pezzo di strada vecchia rimesso a nuovo è freddo e senza carattere.

Le arterie della vecchia strada pulsano sempre fra le botteguccie, la canonica e il palazzo. È sotto il panciuto verone di ferro battuto che l’arrotino si ferma una volta la settimana a tendere la sua cote, girando la ruota con un movimento lento della gamba, attento alla chiamata delle donne di tra le persiane semichiuse. Colui che conduce a mano il carretto della terraglia annunciato da uno stridulo suono di tromba non si accontenta di aspettare le donne, le chiama acutamente: Donne! Donne! Passa anche quello che vende pizzi e tendine; passa quello che vende fiori gridando: botanica! Passa quello che vende acciughe, e quello che vende limoni, e il cenciaiolo, e il musicista.

La musica è generalmente rappresentata dall’organetto; organetti scordati da far accapponare la pelle a un sordo; ciò nondimeno i ragazzetti si mettono a ballare in mezzo alla strada, uomo con uomo, molleggiando i ginocchi, i gomiti aperti, ridendo. Fanno pure la loro apparizionei suonatori di chitarra, i canzonettisti napoletani, i ciechi, i pagliacci vestiti di maglia, le scimmie in giubbetto rosso a ricami d’oro e il canto del merlo nella sua gabbia. Alcune volte, di notte, il silenzio altissimo della vecchia strada addormentata viene interrotto da una passata di mandolinisti. È allora tutta una dolcezza di note patetiche che sfiora le finestre facendo sospirare tra il sonno e la veglia qualche fanciulla, qualche sposa desta ancora accanto al marito che dorme.

Tutti coloro che abitano nella vecchia strada o che la frequentano spesso vi si sentono un po’ padroni. Si conoscono da anni, stanno sulle soglie a ciarlare, si lagnano insieme del caldo in luglio e del freddo in gennaio; amano la loro vecchia strada quantunque brutta, si sentono solidali in essa e par loro quasi una patria.

Ma i veri padroni sono i fanciulli. Ve ne è un nugolo. Durante il giorno vanno e vengono dalla scuola confusi coi loro compagni delle altre contrade che quasi non si distinguono. Alla sera invece, quando dalla vecchia strada non passa più nessuno e sicuramente nessun veicolo attenta ai loro giovani giorni, sgusciano fuori da ogni banda rincorrendosi da un capo all’altro con mosse così giulive e snelle, con tanta gioia di vivere che ne infondono anche a chi li sta a riguardare. Si mettono in fila e si saltano l’un l’altro come paracarri; poi fanno la guerra; poi la maratona. Il lastrico della viaè ricoperto da disegni cabalistici, i muri soffrono purtroppo lo sfogo di artisti impazienti. A tratti una mamma sbuca fuori improvvisamente a prendere qualcuno per le orecchie; acuti strilli allora fendono l’aria.

Vi sono i belli — e le belle — che fanno pensare: quando sarò grande... Vi sono eziandio i meschinucci che si vorrebbero abbracciare per la compassione dei mali che li aspettano. Un umorista decenne osservando dei fili d’erba fra i tegoli del palazzo esclama: Al vecchio tetto spuntano i capelli! Un tuffolino intanto sfuggito per la prima volta dalle dande arriva tutto barcollante e appoggia contro il portone gentilizio le piccole natiche rosee.

A una data ora i fanciulli si squagliano, la strada rimane deserta, è notte. Il cornicione del palazzo protende la sua ombra bruna nel silenzio; alle finestre delle suore, dietro le violaciocche, il lume è spento da un pezzo; gli altri lumi si spengono a poco a poco; non rimangono che i fanali a lunga distanza punteggianti il velo delle tenebre. Un soffio fresco e molle lambe i muri; sembra il respiro della vecchia strada addormentata. Da un balcone, nella casina del macellaio, una cortina si solleva lentamente....

INDICEPROFILIUn idealista — Alberto Sormanipag. 7Un nome che risorge53L’amore che non muore63Un bardo del 183075Una gran dama85Emma Lyon113I travestimenti del secolo XVIII129Il caso straordinario del cavaliere d’Éon137L’ultimo madrigale alla marchesa di Sévigné155Maria dei Medici161I fratelli Zuccari171IMPRESSIONILa coscienza del fanciullo190Storture, deviazioni e atrofia del sentimento203Conforti211L’amore nei grandi uomini221Il sorriso della Duse233Il sentimento nella poesia241RICORDI DI VIAGGIOCapodistria259Impressioni e appunti personali su Londra267Attraverso l’Olanda279Un cantuccio di Parigi291Colmar299Nel paese di Federica309Nella vecchia strada323

NOTE:1.LaVita Internazionale, 1898.2.Un amico mi avverte di modificare il mio giudizio su questo lavoro che è uno dei pezzi più lodati della scoltura moderna. Ecco: come pezzo di scoltura, io non ho nulla a ripetere. La mia impressione, dirò così negativa, è data dalla premessa del titolo a cui non mi pare che l’opera risponda. Non nego che quando lo troveranno in uno scavo di qui a cinque o sei mila anni non l’abbiano a mettere in un Museo al posto d’onore, ma se a qualcuno pigliasse vaghezza di sapere che cosa rappresenta quell’uomo nudo seduto sopra quel cubicolo l’imbarazzo sarà grande. Certo a nessuno verrà in mente che possa essere un pensatore e non sarà niente di male per un oggetto da Museo. Ma quando un artista come Rodin innalza una statua proprio davanti al monumento che racchiude le maggiori glorie della Francia e lo chiama ilPensatoreè permesso, senza mancare di riverenza, di aspettarsi qualche cosa di più che una esercitazione accademica.

1.LaVita Internazionale, 1898.

1.LaVita Internazionale, 1898.

2.Un amico mi avverte di modificare il mio giudizio su questo lavoro che è uno dei pezzi più lodati della scoltura moderna. Ecco: come pezzo di scoltura, io non ho nulla a ripetere. La mia impressione, dirò così negativa, è data dalla premessa del titolo a cui non mi pare che l’opera risponda. Non nego che quando lo troveranno in uno scavo di qui a cinque o sei mila anni non l’abbiano a mettere in un Museo al posto d’onore, ma se a qualcuno pigliasse vaghezza di sapere che cosa rappresenta quell’uomo nudo seduto sopra quel cubicolo l’imbarazzo sarà grande. Certo a nessuno verrà in mente che possa essere un pensatore e non sarà niente di male per un oggetto da Museo. Ma quando un artista come Rodin innalza una statua proprio davanti al monumento che racchiude le maggiori glorie della Francia e lo chiama ilPensatoreè permesso, senza mancare di riverenza, di aspettarsi qualche cosa di più che una esercitazione accademica.

2.Un amico mi avverte di modificare il mio giudizio su questo lavoro che è uno dei pezzi più lodati della scoltura moderna. Ecco: come pezzo di scoltura, io non ho nulla a ripetere. La mia impressione, dirò così negativa, è data dalla premessa del titolo a cui non mi pare che l’opera risponda. Non nego che quando lo troveranno in uno scavo di qui a cinque o sei mila anni non l’abbiano a mettere in un Museo al posto d’onore, ma se a qualcuno pigliasse vaghezza di sapere che cosa rappresenta quell’uomo nudo seduto sopra quel cubicolo l’imbarazzo sarà grande. Certo a nessuno verrà in mente che possa essere un pensatore e non sarà niente di male per un oggetto da Museo. Ma quando un artista come Rodin innalza una statua proprio davanti al monumento che racchiude le maggiori glorie della Francia e lo chiama ilPensatoreè permesso, senza mancare di riverenza, di aspettarsi qualche cosa di più che una esercitazione accademica.

Nota del TrascrittoreOrtografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.Copertina elaborata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.

Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.

Copertina elaborata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.


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