CAPITOLO NONOCOSTANTINO IL GRANDE(306-337)
(306-337)
66.La nuova guerra civile (305-314).— Meno di un anno dopo l’abdicazione di Diocleziano e di Massimiano, Costanzo Cloro moriva in Britannia. La sua morte bastò a rovinare la tetrarchia e tutto l’ordinamento dioclezianeo. Non avendo voluto accettare l’eredità come principio di successione, Diocleziano aveva escluso dalla ripartizione dell’impero così il figlio di Costanzo, Costantino, come il figlio di Massimiano, Massenzio. Ma Costantino, appena morto il padre, si fece proclamare Cesare dai soldati adEboracum(25 luglio 306)[83]; e Galerio, il più autorevole e più anziano dei due Augusti, per risparmiare all’impero una guerra civile, riconobbe il fatto compiuto nominando Costantino Cesare e promovendo Severo al rango di Augusto. Ma la guerra civile che Galerio aveva sperato di evitare in Gallia, scoppiò di lì a poco in Italia, dove Roma non si rassegnava ad essere una città di provincia. Spinti da questo malcontento, in occasione di un nuovo censimento indetto da Galerio, il popolo e il corpo dei pretoriani si sollevarono, e proclamarono Augustoil figliuolo di Massimiano, Massenzio, che voleva anche egli esser nominato Cesare, dopochè Costantino era stato assunto all’impero (27 ottobre 306). Massenzio, per rinforzare la propria autorità, chiamò il padre che era poco contento del suo ritiro, e investì anche lui del titolo imperiale. La tetrarchia dioclezianea era spezzata; l’impero contava sei imperatori, quattro Augusti e due Cesari!
Galerio incaricò Severo di reprimere la sedizione dell’Italia. Ma le milizie di Severo non vollero combattere contro Massimiano, il cui nome era ancora venerato; e Severo, abbandonato dai suoi soldati, dovè consegnare a Massimiano in Ravenna la porpora, di cui questi poco prima l’aveva rivestito (307). Un secondo tentativo, fatto da Galerio in persona, non ebbe migliore fortuna. L’Italia si dichiarò tutta solidale con Roma e con Massenzio. Le singole città chiusero le porte in faccia a Galerio, che, giudicando poco prudente assediare Roma, uscì dalla penisola, e invitò aCarnuntum(in Pannonia) lo stesso Diocleziano, perchè con il consiglio e la autorità aiutasse lui e i suoi colleghi a trovare uno scampo: prova manifesta dell’ammirazione di cui il solitario di Salona godeva ancora nella vita privata! Alla conferenza di Carnuntum intervenne anche Massimiano, già in discordia col figliuolo che, dopo il successo, intendeva esercitare su di lui come una mal tollerata preminenza. Ma nè Galerio nè Massimiano poterono indurre di nuovo Diocleziano alla porpora. La conferenza mise capo ad un’unica deliberazione: sostituire a Severo unnuovo Augusto, un vecchio, antico camerata di Galerio, Liciniano Licinio, con il governo dell’Illirio (novembre 307). Massimiano doveva ritornare a vita privata; e Massenzio era escluso dall’impero.
Il rimedio era peggiore del male. Massenzio si mantenne in Italia. Massimiano non depose la porpora, cercò di far causa comune con Costantino, a cui diede in moglie la figlia Fausta. La nomina di Licinio generò nuove difficoltà. Licinio saliva al primo posto nell’impero senza avere attraversato il grado di Cesare, scavalcando Massimino Daio e Costantino. Il primo dei due si fece allora proclamare Augusto dalle sue legioni, e il secondo reclamò per sè da Galerio lo stesso titolo. Ai primi del 308 l’impero ebbe così, oltre Massenzio e Massimiano, quattro Augusti tutti eguali tra di loro. La tetrarchia di Diocleziano era caduta; e il troppo incerto principio di successione nella carica suprema — questa malattia mortale che da Augusto in poi non aveva dato pace all’impero — partoriva un nuovo disordine. La prima vittima fu Massimiano. Si disse che aveva cospirato contro il genero; certo è che Costantino lo fece imprigionare a Marsiglia, e poi, due anni dopo, togliere di mezzo per sempre (310). Ma in mezzo a questi disordini e a questi intrighi, a un tratto, nel 311, tre dei quattro imperatori legittimi, Galerio, Costantino e Licinio, promulgano un editto che sospende le persecuzioni del Cristianesimo[84]. Come si spiega questo improvviso voltafaccia? Più che una resipiscenza, sarà prudente vedere in esso una mossa politica, suggerita dallepericolanti condizioni del potere supremo. Che la concordia tra i cinque Augusti, tra i quali nessuno predominava più per autorità come Diocleziano, fosse precaria; che un giorno o l’altro dovesse nascere una guerra civile, era chiaro. Ma Massenzio e Massimino Daio erano ligi all’antico culto pagano e avversi ai cristiani. È quindi verosimile che gli altri Augusti pensassero di procurarsi con quel decreto il favore dei cristiani, i quali venivano ad approfittare dell’indebolimento dell’autorità suprema.
Il decreto del 311 è dunque un segno di prossima guerra civile. La quale parve scoppiar subito dopo la proclamazione dell’editto, alla morte di Galerio. Licinio e Massimino sembrarono voler disputarsi la successione con le armi: ma poco dopo si accordarono, prendendosi il secondo l’Asia minore, la Siria, l’Egitto, ed il primo il resto delle province orientali dal Bosforo all’Adriatico. Non in Oriente, ma in Europa, doveva scoppiare di lì a poco l’incendio. Da un paio di anni Costantino, che già si era segnalato in guerre fortunate contro Franchi ed Alamanni, osservava attento gli affari d’Italia. Massenzio si rafforzava, approntava milizie, destinate — si diceva — a strappare la Gallia a Costantino e l’Illiria a Licinio; e si intendeva con Massimino, il quale continuava a perseguitare i Cristiani in Siria, in Egitto e altrove. Costantino a sua volta si accostò a Licinio, cui diede in moglie sua sorella Costanza; preparò un forte esercito; allacciò in Italia secrete intelligenze. Quando si ritenne pronto, sui primi del 312, valicò le Alpi per il Cenisio, con 50.000uomini, di cui la metà legionari scelti e provati; ruppe facilmente le prime resistenze; si impadronì della valle del Po, indi marciò contro Roma. Massenzio non si era mosso di qui, confidando nella forte posizione della città, nelle sue numerose milizie e in tutti quegli ostacoli che avevano fatto fallire la spedizione di Severo e di Galerio. Ma quando seppe che Costantino si avvicinava a Roma alla testa di un forte esercito, dopo una marcia vittoriosa, che le popolazioni, stanche del suo governo, avevano favorita, anzichè rimanere chiuso fra le mura aureliane, uscì dalla città ad affrontare in campo aperto il nemico, nei pressi del Ponte Milvio. Sconfitto pienamente, egli stesso perì con gran parte del suo esercito, affogato nel fiume (28 ottobre 312)[85]. Il giorno dopo, il vincitore si rivolgeva in Roma con parole rispettose al senato, quasi promettendogli una restaurazione delle antiche prerogative; scioglieva il corpo dei pretoriani e ne smantellava il campo. N’ebbe dal senato in ricompensa il titolo di primo Augusto, e un arco trionfale, che si leva ancor oggi e che fu ornato con le spoglie dell’arco di Traiano.
La conquista dell’Italia alterava i vecchi rapporti fra i tre imperatori, ma ancor più peggiorava la condizione di Massimino. Appunto per esaminare il nuovo stato di cose Licinio e Costantino convenivano poco dopo, sui primi del 313, a Milano.
67.L’Editto di Milano (primi del 313) e la catastrofe di Massimino (313).— Noi non sappiamo di quali argomenti s’intrattenesse la nuova conferenza.Non è difficile supporre che, mentre Licinio consentiva al nuovo ingrandimento di Costantino, otteneva da questo mano libera contro Massimino. Probabile è pure che, per scuotere ancora più la potenza di Massimino, fu emanato un nuovo editto di tolleranza a favore dei Cristiani, che nella storia del mondo suole segnare il trionfo definitivo del Cristianesimo[86]. In verità il Cristianesimo non trionfava ancora, perchè non era riconosciuto come la sola religione, e quindi come la religione ufficiale. Lo Stato romano non ripudia ancora la sua religione ufficiale, e l’imperatore conserva in questa la carica suprema, il pontificato massimo. L’editto, anzi, non fa che confermare quello precedente del 311, ossia sancisce di nuovo la libertà di culto (τὴν ἐλευθερίαν τῆς θρησκείας) accordata due anni prima, togliendo alcune restrizioni superstiti e ordinando la restituzione alle Chiese cristiane dei luoghi e dei beni, sequestrati durante la grande persecuzione. Ma se esso mirava a mostrare che Licinio e Costantino volevano seguire un indirizzo opposto a quello di Massimino, il quale nelle province orientali, massime dopo la morte di Galerio, aveva inasprito la persecuzione contro i Cristiani, quelle concessioni bastavano. Insomma il Cristianesimo e il Paganesimo diventano nelle mani degli imperatori armi per le guerre civili: Costantino e Licinio mirano a sollevare l’Oriente cristiano contro Massimino, e Massimino a sollevare contro Licinio e Costantino i Pagani dell’Occidente. Massimino lesse chiaro nel gioco degli avversari; e non perdè tempo. Licinio era ancora in Italia;ed egli già invadeva la penisola balcanica, pigliava d’assalto prima Bisanzio, poi Perinto, e si spingeva verso Adrianopoli. Licinio dovette accorrere e porsi sulla difensiva; ma, non lungi da Perinto, a circa diciotto miglia da Eraclea, fu combattuta una grande battaglia (30 aprile 313), che annullò tutti i vantaggi precedenti. Sconfitto, Massimino fuggì in Cilicia, ove morì.
68.Nuova guerra tra Licinio e Costantino (314).— Poco prima Diocleziano era morto a Salona, dopo avere assistito alla rovina della sua costituzione. Ma egli era almeno morto al tempo, per non veder la repressione fatta da Licinio vincitore, nella quale perirono la moglie di Galerio, sua figliuola, e un figlioletto di lei, i quali non avevano altro torto, salvo forse di soggiornare in Oriente. Anima del nuovo impero barbaro-asiatico erano due passioni: la ferocia e la diffidenza. Di fatti dalla caduta di Massimino non tardò a nascere una nuova guerra civile tra i due Augusti superstiti, perchè la vittoria aveva troppo ingrandito la potenza e i dominî di Licinio, il quale ora dava ombra a Costantino. Un pretesto qualunque — il rifiuto di Licinio di consegnare a Costantino un tal Senecione, il quale avrebbe congiurato contro di lui — bastò a far scoppiare la guerra. Licinio fu vinto una prima volta aCibalaein Pannonia sulla Sava l’8 ottobre 314, e poi di nuovo in Tracia, nella pianura dettaMardiensisoJarbiensis. Ma nè l’una nè l’altra furono vittorie decisive. Costantino comprese che, per sconfiggere definitivamente il rivale, sarebbe stato d’uopo portare laguerra fino nel cuore dell’Oriente, sguarnendo le frontiere pericolanti del suo impero. Preferì quindi venire a patti. Ebbe la Grecia, parte della Mesia, la Macedonia, l’Epiro, la Dacia, la Dardania, la Dalmazia, la Pannonia, il Norico. Ma la clausola più importante degli accordi fu questa: che Licinio, che non aveva figliuoli, rinunziava a nominare un successore; mentre Costantino, il cui figliuolo Crispo s’avvicinava alla maggiore età, rimaneva libero d’indicare questo, fra non molto, quale suo legittimo successore.
69.Gli anni della pace (314-323). — La nuova riforma monetaria — La questione Donatista.— Come che sia, la pace del 314 o 315 permise alla fine all’impero di respirare. Per circa nove anni le armi avrebbero taciuto; e si potrebbe provvedere anche alle cose civili, troppo trascurate sino allora. A qualche riforma civile, anzi, Costantino aveva posto mano prima del 314. Nel 312 s’era già occupato della moneta, emettendo con il nuovo nome disolididegliaureidi un peso ridotto, ma fisso, non più di1⁄60di libbra, come Diocleziano, ma di1⁄72. Quanto all’argento, mantenne l’argenteusdioclezianeo di1⁄96di libbra; ma gli pose a fianco due nuove monete, che avrebbero reso più facile lo scambio con la nuova valuta d’oro: ilmiliarensepari a1⁄1000di libbra d’oro, del peso cioè di1⁄72di libbra d’argento, e lasiliqua(o κεράτιον), pari alla metà della precedente. Ma se coniò delle buone monete, non potè neppure egli risanare la circolazione, togliendo di mezzo l’infinito numero di false monete d’argento apparenteche l’infestavano; cosicchè il male, a cui Diocleziano aveva cercato di provvedere con il suo editto dei prezzi, non cessa di tormentare l’impero.
A questo stesso anno risale un’importante innovazione nell’amministrazione finanziaria: la cosiddettaindictioo l’obbligo di rifare, ogni 15 anni, il censimento e il catasto di tutto l’impero. L’anno finanziario sarebbe così cominciato il 1º settembre e terminato il 31 agosto della chiusura del quindicennio; e l’anno primo della nuova êra fu il 312. L’indictioservirà più tardi al conto degli anni, nell’impero bizantino.
Ma di maggior momento che la moneta e la finanza, era allora la religione. L’editto di Milano aveva stabilito la libertà dei vari culti, ma la vecchia dottrina pagana, che la società civile e la religiosa non possono essere separate; che, anzi, la religione è ancella della società civile e la serve, non era stata e non poteva essere cancellata d’un colpo. Se il Cristianesimo era forte, lo Stato era ancora più forte, e non voleva rinunciare al suo alto diritto sulle religioni, così necessario nella varietà dei culti innumerevoli, professati in tutto l’impero. Ma il Cristianesimo era una religione esclusiva che affermava di essere la sola vera; e che voleva imporre alla società civile la sua legge, non riceverla. Era inevitabile che da questa contradizione nascessero ogni sorta di difficoltà; e le prime vennero dalle eresie. La società cristiana cominciava a pullulare di eresie, che si combattevano con un furore esasperato dagli interessi con cui molto spesso le dottrine facevano corpo. LoStato non poteva disinteressarsi di queste contese, che turbavano tutta la vita civile e spesso addirittura l’ordine pubblico. Ma come poteva esso sciogliere delle questioni religiose, in una Chiesa che, per le questioni religiose, riconosceva solo l’autorità dei capi spirituali?
Costantino fece la prima esperienza di tante difficoltà in Africa. In questi anni era nata in Africa una setta intransigente, che escludeva dalla comunione ecclesiastica tutti coloro i quali, durante la persecuzione dioclezianea, avevano ceduto: i così dettitraditoresolapsi. E poichè, ad esempio, il vescovo di Cartagine Ceciliano era stato ordinato da uno dei così dettitraditoresdell’epoca, questa setta gli contrappose prima unMaggiorinoe poi, nel 313, unDonato. Dal nome di quest’ultimo l’eresia si sarebbe appunto denominata con l’appellativo diDonatismo. In un paese ardente di fanatismo e di contrasti sociali come l’Africa e la Numidia del tempo, lo scisma non poteva astenersi da violenze e da rappresaglie. Costantino dovè intervenire, sollecitato dalle due parti, i Ceciliani e i Donatisti; ma come poteva egli, pagano, giudicare un litigio di questo genere? Costantino rimandò la questione ad una commissione di vescovi italiani e gallici, che giudicò contro i Donatisti. Ma questi non se ne diedero per inteso; non riconobbero la sentenza; e l’imperatore allora, il Pontefice Massimo del paganesimo, convocò per la prima volta un concilio cristiano ad Arles, il 1º agosto del 314. La maggioranza del concilio dette nuovamente torto ai Donatisti. Ma neppure la decisione del concilio diArles valse a domare il Donatismo. Allora un ordine imperiale impose l’esclusione dei Donatisti dalle chiese di Africa. Per quanto l’impero avesse, con l’editto di Milano, affermato la libertà dei culti, esso era tratto, dalla necessità di mantenere l’ordine e la pace, a intervenire nelle faccende del culto cristiano, come interveniva in quelle di tutti gli altri culti. Ma i Donatisti, che erano maggioranza, resisterono; e nonostante persecuzioni, torbidi e lotte, l’eresia donatista rimase predominante in Africa. L’impero non aveva, di fronte a una religione come la cristiana, nessuna autorità nelle questioni di fede, ma solo la forza; e la forza non basta a sciogliere questioni di fede.
70.La fine di Licinio (319-324).— Sino al 319 i rapporti fra Licinio e Costantino non furono turbati. Ma da quest’anno incominciarono a guastarsi. Per quale ragione, è poco chiaro. Le ragioni, anzi, possono essere state numerose: il rancore di Licinio per la pace del 314, la diffidenza reciproca inerente ormai alla stessa molteplicità degli imperatori, l’ambizione di Costantino di fondare una vera dinastia, introducendo l’eredità, in luogo della scelta dioclezianea, come principio di successione. La guerra era inevitabile. Ambedue gli imperatori cominciarono in tempo a prepararsi. Costantino apprestò armi; cercò di conciliarsi l’amicizia dei Persiani, nemici naturali dell’Augusto dell’Oriente; emanò nuove leggi a pro dei debitori verso il fisco; largheggiò nella generosità e nelle spese; si studiò di procurarsi il favore e l’appoggio dell’elementocristiano[87]. A sua volta Licinio preparava ingenti forze militari; pur non perseguitandoli, osteggiò i Cristiani, li escluse dall’esercito e dall’amministrazione; pare anche aver cercato di appoggiarsi a quel partito che Costantino in Africa combatteva, ai Donatisti[88].
La guerra scoppiò nel 323 in modo singolare. Poichè in quell’anno una irruzione di Goti era penetrata in Tracia e in Mesia, ossia nelle province europee rimaste a Licinio, Costantino vi accorse per primo a respingerla (323). Licinio considerò questo, che poteva essere un aiuto, come una violazione di territorio. Le armi, da lungo tempo affilate, luccicarono al sole; e, nella seconda metà del 323, il 3 luglio, i due eserciti si scontrarono nella pianura di Adrianopoli. Licinio fu disfatto e, dopo aver combattuto valorosamente, si chiuse in quella Bisanzio, che sbarrava la via terrestre dell’Asia, come la sua possente flotta sbarrava quella del mare. Ma l’armata di Costantino era comandata dal figlio maggiore dell’imperatore, Crispo, che, quantunque giovanissimo, già si era segnalato in precedenti operazioni contro i Franchi e aveva ricevuto il titolo di Cesare. Crispo sconfisse l’armata di Licinio all’ingresso dell’Ellesponto. Licinio allora abbandonò Bisanzio e tentò di impedire a Costantino l’invasione dell’Asia minore. Ma aggirato dal nemico, dovette dar battaglia pressoCrysopolis(l’odierna Scutari), dove fu novamente sconfitto (18 settembre 324). Allora si arrese al vincitore, che, pur avendogli promesso salva la vita, lo fece uccidere nell’anno successivo. Costantino restava unicoimperatore; poteva nel tempo stesso ricostituire l’unità dell’impero, e dargli una vera costituzione monarchica sul modello asiatico, iniziando la dinastia che lo reggerebbe.
71.Le difficoltà religiose; il concilio di Nicea (325).— Gli apologisti cristiani celebrano questa vittoria come il supremo duello fra il Cristianesimo e il Paganesimo. E la loro opinione è più vicina a verità che i moderni critici non pensino. Con Costantino avevano vinto i cristiani, che in tutto l’impero avevano parteggiato per lui contro Licinio. Rimasto solo imperatore, nell’atto stesso in cui si accinge a fondare un pretto regime dinastico, Costantino si affretta ad emanare due editti, con i quali il pontefice del Paganesimo non solo annullava i decreti di Licinio, ma designava la religione, di cui egli era a capo, come «un deplorevole errore», anzi come una «opinione empia», una «potenza delle tenebre», e i suoi fedeli seguaci, come degli «aberranti della verità», sia pur liberi per sovrana benignità di conservare i loro «templi della menzogna»[89].
L’imperatore, che era riuscito a ricostituire nella sua persona e nella sua famiglia l’unità dell’impero, cedeva ormai innanzi allo spirito esclusivo del Cristianesimo, di quella religione che si proponeva di toglier di mezzo tutte le altre, anche quelle che potevano considerarsi come basi e sostegni del potere imperiale: il culto dell’imperatore e il mitraismo. Per conquistare tutto l’impero e per fondare una dinastia, Costantino aveva, appoggiandosi al Cristianesimo, indebolito il potere assoluto,che Aureliano e Diocleziano avevan cercato di consolidare con i culti orientali: così può riassumersi l’opera politica e religiosa di Costantino. Senonchè egli non sembra essersene reso chiaro conto. Ne è prova l’atteggiamento da lui assunto di fronte all’eresia ariana, che egli trovava in pieno rigoglio in Oriente. Un prete di Alessandria, Ario, aveva da qualche tempo preso a sostenere che Cristo era stato creato da Dio, il quale gli preesisteva, ma non già dalla sostanza divina, sibbene dal nulla; onde la supposta perfetta identità delle tre persone della Trinità non era possibile. La eresia era pericolosissima per la stabilità della dottrina; perchè, fatto di Cristo soltanto un essere privilegiato tra gli uomini, non c’era ragione perchè Dio non creasse altri Cristi, dopo il primo; il Vangelo non era quindi la rivelazione definitiva della verità, perchè altre rivelazioni potevano seguire; anche per il Cristianesimo la verità diventava, non un testo rivelato, eterno e immutabile, ma un divenire continuo; e il Cristianesimo si accostava a quelle scuole del Paganesimo, numerose nel terzo secolo, che ammettevano un Dio unico, uno Spirito superiore, considerando le altre divinità come incarnazioni dei suoi attributi particolari. In Oriente, dove la cultura filosofica non era ancora del tutto spenta e l’amore della discussione vivo, questa dottrina aveva suscitato una bufera. Il vescovo di Alessandria, Alessandro, suffragato dal voto di un Sinodo di cento vescovi, aveva espulso Ario dalla comunità cristiana (321).
Ma Ario non era solo: la sua dottrina, semplice e chiara, era comprensibile dalla moltitudine,e quindi popolare; le simpatie che egli ritrovava fra il neoplatonismo pagano, tanto diffuso in Oriente, gli odî, i rancori, l’amore delle rappresaglie, che le precedenti eresie, discussioni e repressioni avevano seminati, gli procacciarono subito un partito numeroso. Alle discussioni seguirono le zuffe nelle strade e le violenze. Costantino decise di intervenire. La lettera, che a tale proposito ebbe a rivolgere ai contendenti, merita d’esser letta. «Io m’ero proposto, egli scrive, di ricondurre a un’unica forma l’opinione che tutti i popoli si fanno della divinità, perchè sentivo bene che, se avessi potuto raggiungere l’accordo su questo punto, come era nei miei desideri, la cosa pubblica ne avrebbe ricevuto beneficio.... Ma oh, bontà divina, quale notizia ha ferito acerbamente le mie orecchie, anzi il mio cuore? Io apprendo che vi sono tra voi più dissensioni che non ce ne fossero testè in Africa.... Pure, a me sembra, la causa è ben piccola e affatto indegna di tanta contesa.... Tu, Alessandro, hai voluto sapere ciò che i tuoi sacerdoti pensavano su un punto della legge, anzi su una parte sola di una questione di nessuna importanza, e tu, Ario, se lo pensavi, dovevi tacere.... Non dovevate nè interrogare nè rispondere, giacchè queste sono discussioni che non servono a nulla, sono suggerimenti dell’ozio e del vizio, buoni solo ad aguzzare gl’ingegni.... È giusto che vi laceriate voi, fratelli contro fratelli, per vane parole?... Sono queste trivialità e fanciullaggini, indegne di sacerdoti o di uomini saggi.... Restituitemi dunque, vi prego, giorni tranquilli e notti senza inquietudini, in modo cheanch’io possa nell’avvenire godere della pura gioia di vivere....»[90].
Questa lettera prova che Costantino intendeva il Cristianesimo alla romana: ossia come uno strumento politico per mantener l’ordine nello Stato. Difatti prese l’iniziativa di un grande concilio, che componesse questa discordia. A Nicea, nella primavera del 325, convennero oltre 250 vescovi, in massima parte orientali. Costantino inaugurò il concilio con un modesto discorso. Ristabilendo, egli disse, la concordia nella Chiesa, i convenuti avrebbero fatto cosa grata a Dio «e reso un grande servigio» al principe[91]. Presiedeva il concilio un suo segretario, il vescovo Osio, avversario dell’arianesimo. Ario fu un’altra volta sconfessato. Cristo — decretò il concilio — non è stato tratto dal nulla, nè è punto diverso dal padre, fu anzi generato da lui «dall’essenzadel padre», «vero Dio da vero Dio» ed è a lui perfettamenteconsustanziale(ὁμοούσιος). La questione, che a Costantino pareva così oziosa, poteva considerarsi come sciolta. Ma il Cristianesimo non era una religione politica, come le altre religioni dell’Oriente e dell’Occidente; era il germe di un mondo nuovo ed immenso, che si proponeva, non già di puntellare il cadente impero di Roma, ma di redimere gli uomini insegnando loro una morale più alta. E il concilio di Nicea, che Costantino aveva convocato per ristabilire la pace e l’unità degli spiriti, doveva essere il principio di una formidabile lotta, che indebolirebbe ancora più lo stanco impero. Era ormai destino che tutto quel che la sapienza umana credevadi dover fare per la salvezza dell’impero, lo spingesse alla rovina.
72.Il nuovo ordinamento dell’impero.— Anche la nuova unificazione dell’impero, compiuta da Costantino, indebolisce lo Stato a paragone del regime di Diocleziano. Solo padrone dell’impero, dopo tante guerre civili, Costantino è meno saldo e sicuro che Diocleziano partecipe del supremo potere con un altro Augusto e due Cesari. Egli diventò sospettoso al punto che, nel 326, per ragioni a noi ignote, e sulle quali non possono farsi che ipotesi assai vaghe, fece trucidare il vincitore dei Franchi e di Licinio, il figliuolo Crispo, insieme con un suo nipote ancor giovanissimo, un Liciniano; e poco dopo, la seconda moglie Fausta, la figliuola di Massimiano, la madre dei suoi tre più giovani figliuoli. La corte è ancor più orientalizzata; la pompa del cerimoniale, le complicazioni dell’etichetta, il lusso dei cortigiani, il mistero, entro cui si asconde l’imperatore, sono notevolmente cresciuti. I grandi dignitari, dal quali dipende un numeroso personale, minuziosamente gerarchizzato e titolato, sono: iprefetti del pretorio, a cui Costantino, completando le riforme di Diocleziano, tolse i poteri militari; imagistri militum, o generalissimi, comandanti supremi della fanteria e della cavalleria; ilquaestor sacri Palatii, che riceve le istanze e prepara e controfirma le leggi che ilConsistoriumdiscuterà e l’imperatore avrà ad emanare; ilmagister officiorum, una specie di ministro della Casa reale, che dirige il personale dipolizia, le guardie del palazzo, gli impiegati dell’amministrazione centrale; i due ministri delle finanze (ilcomes sacrarum largitionume ilcomes rerum privatarum). Il nuovo Consiglio del principe, ilConsistorium, assume anch’esso maggiore regolarità che non sotto Diocleziano. I suoi membri ordinari sono i titolari delle grandi cariche dello Stato, eccezione fatta, pare, dei prefetti del pretorio e deimagistri militum, che partecipavano alle sedute solo in via straordinaria. Ai quattro grandi dignitari si aggiungevano, come membri permanenti delConsistorium, icomites consistoriani, scelti dall’imperatore, e che in epoca più tarda sappiamo con certezza essere stati in numero di venti.
Al di sotto dei ministri della casa imperiale e delConsistorium, si ramifica la sempre più numerosa burocrazia dell’impero. I tre uffici di cancelleria imperiale, esistenti nell’alto impero, l’ab epistulis, l’a libellis, l’a memoria, hanno mutato nome, si chiamano ciascunoscrinium; e a questi tre si aggiunge un quarto, loscrinium dispositionum, incaricato di preparare e provvedere quanto occorreva all’attività dell’imperatore: come viaggi, ispezioni ecc. ecc. Ma il mutamento del nome rivela la novità del sistema. Invece di un funzionario, noi abbiamo un intero ufficio, con una vasta gerarchia di impiegati. Nè gliscriniasono soli quelli enumerati. Tutti i funzionari dell’impero hanno un ufficio (unoscrinium) a loro disposizione; ed ogniscriniumuna copiosa e gerarchizzata burocrazia, che sarà modello alle monarchie assolute della prima storia moderna.
L’ordinamento provinciale è ancora quello di Diocleziano. Non ci sono più i quattro tetrarchi; l’imperatore è uno solo; ma la divisione amministrativa di Diocleziano sussiste integra. L’impero si considera diviso in due o tre, o forse anche quattro, sezioni; a capo delle quali stanno appunto i prefetti del pretorio, che, disperso ormai il corpo dei pretoriani, sono solo grandi funzionari, civili e giudiziarî. Da essi dipendono i vicari; da questi, alla loro volta, ipraesideso iconsulareso icorrectores.
Che cosa è avvenuto delle vecchie magistrature e del senato? Roma conserva ancora il suo senato, i suoi consoli, i suoi pretori, i suoi edili e tribuni. Ma queste non sono quasi più che cariche municipali.
A capo dell’esercito stanno ancora imagistri militum, che hanno sotto i loro ordini iduces, comandanti di una o più province e delle guarnigioni di frontiera. Ma l’ordinamento dioclezianeo è ritoccato in alcuni punti e con innovazioni, che tramutano le cautele del suo predecessore in pericoli. Gli effettivi delle legioni sono ancora più scemati; non solo il comando militare è distinto da quello civile, ma quello della cavalleria da quello della fanteria, come la direzione del servizio dei viveri e degli stipendi dal movimento degli eserciti. Il comando degli eserciti è ormai una macchina farraginosa, pesante e lenta, che non può muoversi senza che l’imperatore faccia agire di concerto tutte queste autorità. Questi difetti sono accresciuti dalla nuova dislocazione delle milizie. L’esercito è diviso in tre generi di milizie: 1) miliziapalatina (domestici, protectores, scolares), un quinto od un sesto di tutti gli effettivi, che può essere paragonato all’antica guardia pretoriana, ma che segue ora, come esercito di riserva, l’imperatore nelle spedizioni di maggior momento; 2) l’esercito di linea ocomitatenses, formato di sudditi e di barbari, agli ordini di magistrati militari provinciali (comitesoduces), sparso in piccole guarnigioni nelle città dell’interno; 3) finalmente, le truppe di frontiera (iripariensesocastricianiolimitanei), reclutate in genere tra i barbari e nella feccia dell’impero, con obblighi di servizio più lunghi e con stipendi minori, le quali dovevano restare acquartierate in certe zone delle frontiere, o in castelli, fortezze, campi trincerati e di cui la maggior parte erano coloni del luogo. Il nerbo dell’esercito (icomitatenses) è polverizzato in piccoli nuclei, che vivono in cittadine dell’interno perdendo lo spirito militare; e tutto l’esercito, nei suoi tre ordini di milizie, è inquinato dai barbari, sempre più numerosi.
Queste riforme sono i segni più manifesti dell’indebolimento dell’impero. Costantino non avrebbe frantumato l’esercito, distribuendone tanta parte per le città dell’interno, lontano dalle frontiere, se l’esercito non avesse ormai dovuto servire a conservare l’ordine interno più che a difendere l’impero contro i barbari. Come sono lontani i tempi felici del secondo secolo, in cui un esercito di poco più che 200.000 uomini bastava a mantenere tranquillo e sicuro l’impero! Ma allora l’impero era governato da un’aristocrazia ricca, numerosa, rispettata, appoggiata al senato diRoma e all’imperatore, il cui prestigio e la cui legittimità erano universalmente riconosciuti. Oggi l’impero è governato da una burocrazia raccogliticcia, detestata e temuta più che rispettata, e da un imperatore, i cui titoli sono dubbi, che non si sa se è uomo o Dio, se è il capo legittimo dell’impero o un avventuriero favorito dalla forza. Non c’è più un vero governo legittimo; e lo Stato si regge anche all’interno solo per forza di armi. Nè si potrebbe spiegare che Costantino abbia aperto così facilmente i ranghi delle legioni ai barbari, se non ammettendo che disperava di vincere la crescente ripugnanza della nuova società cristiana alle armi e tutto il movimento degli spiriti che allontanava i sudditi dalla milizia. Un’altra prova, e anche più palese, di questo indebolimento dell’impero fu la fondazione di Costantinopoli, come nuova capitale. Le ragioni del grande mutamento furono certamente numerose. Ragioni militari, anzitutto. La capitale di un impero, che doveva combattere in Oriente contro i Persiani, e difendere in Occidente il Reno e il Danubio contro i barbari; di un impero, alla cui testa un imperatore unico doveva sorvegliare da vicino così le province dell’Oriente come quelle dell’Occidente, era meglio posta sul Bosforo che nell’Italia meridionale. Poi ragioni politiche. Capitale della nuova monarchia, assoluta ed asiatica, la quale usava tanta benevolenza verso il Cristianesimo, non poteva essere Roma, la città dell’impero pagana e repubblicana per eccellenza. Perciò Costantino scelse la vecchia Bisanzio; e scelse bene, come i fatti provarono. Ma che altroera trasportar la capitale dell’impero sul Bosforo, se non dichiarare che il compito di Roma in Occidente era terminato?
73.L’organizzazione coattiva del lavoro.— È probabile che a Costantino risalgano i primi tentativi di quella organizzazione coercitiva del lavoro, che doveva poi allargarsi nei secoli seguenti a tante arti ed industrie. Ci induce a supporlo il fatto che nelCodice teodosianole leggi più importanti che riguardano inaviculariisono di Costantino. Inaviculariierano gli armatori che eseguivano i trasporti dello Stato per mare. Sembra che Costantino li raccogliesse in una vasta corporazione, reclutata d’ufficio, imperativamente, quando non si trovava un numero bastevole di armatori volontari. Il governatore della provincia compilava la lista di questi armatori obbligati, scegliendoli tra le persone indicate dalla legge. Ogni armatore riceveva dallo Stato il legno e le altre materie necessarie per costruire la nave, e dei sussidi per la navigazione: doveva provvedere a sue spese alla costruzione della nave, alle necessarie riparazioni e al trasporto del grano, dei marmi e delle altre merci di cui lo Stato aveva bisogno. Siccome molti di questi armatori obbligati cercavano di trar profitto da questi viaggi fatti per conto dello Stato, commerciando per conto proprio, fu necessario far delle leggi per frenare questo abuso, per impedire che i viaggi durassero un’eternità per le soste nei porti intermedi, o che gli armatori speculassero sulle derrate che trasportavano per conto dello Stato, massime sul grano. Così noi sappiamo dalCodiceTeodosianoche Costantino concesse per ogni viaggio di andata e ritorno due anni, il che vuol dire che molti armatori impiegavano anche di più per andare da un punto all’altro del Mediterraneo; e che a rincalzo di questa legge Costantino ne fece un’altra per imporre, pur concedendo due anni al viaggio di andata e di ritorno, che il carico dovesse esser consegnato entro il primo anno.
Queste poche notizie bastano a farci capire quanto difficili, lenti, costosi, intralciati erano, al principio del quarto secolo, i trasporti marittimi in un impero, come il romano, di cui il mare era la grande via di comunicazione tra le diverse province. Costantino non può aver emanate tutte queste leggi coercitive, se non perchè gli armatori liberi, di cui gli imperatori del primo e secondo secolo si erano serviti, erano spariti. E non si trovavano più perchè il fiscalismo, l’insicurezza, il disordine, la guerra, la moneta cattiva e di incerto valore, la diminuzione della popolazione, il misticismo cristiano avevano colpito a morte l’industria e il commercio. Rara e cara la mano d’opera, massime nei lavori pericolosi e faticosi; rare e care le materie gregge, anche i trasporti marittimi costavano più, che i tempi non potessero e non volessero pagare; onde la circolazione delle persone e dei beni si rallentava e con esso la civiltà dell’impero, alimentata da questa circolazione, agonizzava. Per impedire questa agonia, lo Stato, come al solito, tentava un supremo espediente della forza.
74.Gli ultimi anni (330-337).— L’11 maggio 330, Costantino inaugurava solennemente la nuova capitaledell’impero — la Νέα Ῥώμη — Costantinopoli. Due anni dopo (332) lo troviamo a combattere felicemente i Goti; e più tardi (334) i Sarmati, i quali diventano, dopo la disfatta, coloni e soldati dell’impero.
Nel 335, il vecchio monarca compie un altro atto, che dimostra novamente, e in modo anche più evidente, la debolezza di tutta la sua faticosa costruzione. Egli distribuiva l’impero fra i tre suoi figliuoli, tutti e tre ormai nominati Cesari, ed un suo nipote, un Dalmazio. Assegnava al maggiore, Costantino, la Spagna, la Gallia, la Britannia; a Costanzo, l’Asia, la Siria, l’Egitto; a Costante, l’Italia, l’Illirico, l’Africa, e a tutti e tre il titolo di Augusto; al nipote Dalmazio poi, col titolo di Cesare, la Tracia, la Macedonia, e la Acaia; infine, a un fratello di Dalmazio, Annibaliano, col titolo di Re dei Re, il trono vacante dell’Armenia e le limitrofe regioni del Ponto. A che valeva aver tanto lottato per rovesciare la tetrarchia di Diocleziano, se egli poi la ricostruiva più debole e in forma più pericolosa, introducendovi il principio debilitante dell’eredità, ancora così poco radicato nell’impero? Ma neppure Costantino poteva venire a capo di quella tremenda difficoltà che era per Roma, da tre secoli, il principio legale della suprema autorità; e messo alle strette, al termine della lunga vita operosa, immolava l’unità dell’impero al principio ereditario, che era sterile perchè le popolazioni dell’impero non ne sentivano la legittimità. Spezzava l’impero, nella illusione che potesse più facilmente restare alla sua famiglia.
Infine — e fu un avvenimento di grandissima importanza — Costantino, che aveva cercato di ristabilire, per mezzo del Cristianesimo l’unità morale dell’impero, si lasciò, negli ultimi anni, trascinare nel fitto delle discordie cristiane, diventando un campione di quella eresia ariana, che aveva fatto condannare nel concilio di Nicea. Condannato dal concilio di Nicea, Ario era andato in esilio; ma l’arianesimo era diffuso e potente, aveva amici devoti, anche alla Corte, tra i quali Costanza, la sorella di Costantino; onde non rinunciò alla lotta. Approfittando degli errori degli avversari, addolcendo e temperando la propria dottrina, Ario e i suoi seguaci riuscirono a riguadagnare il favore di Costantino, persuadendolo che una riconciliazione era possibile. Gli sforzi che l’imperatore fece per effettuare questa riconciliazione, e l’opposizione che trovò specialmente nel nuovo vescovo di Alessandria, Atanasio, spinsero Costantino interamente alla parte di Ario. Il favore imperiale ridiede coraggio alla setta, che nel 335 riuscì a far condannare Atanasio nel concilio di Tiro. Atanasio fu esiliato in Gallia e tutti i suoi partigiani più in vista perseguitati e dispersi; Ario ritornò a Costantinopoli; la Corte fu invasa da Ariani, che diventarono in ogni parte dell’Oriente il partito dominante nella Chiesa. Ma il partito avverso non disarmò, per quanto perseguitato; e da questo momento una lotta implacabile agita tutto l’impero, nuovo fermento di dissoluzione aggiunto agli altri. Il Cristianesimo rinnoverebbe il mondo, ma non poteva puntellare l’impero.
L’ultima impresa, a cui l’infaticabile imperatore pose mano, fu una grande campagna contro la Persia, dove regnava Sapore II. La eterna rivalità dei due imperi era stata gravemente acuita negli ultimi anni da una questione, al tempo stesso politica e religiosa. Il Cristianesimo era penetrato in Iberia (Georgia), in Persia ed in Armenia, ove, nel 302, prima ancora di Costantino, il re Tiridate si era fatto battezzare, dando così all’impero romano, già mezzo cristianizzato, dei punti di appoggio. Sapore aveva ripreso in modo più acceso la propaganda del mitraismo; Costantino aveva replicato, chiedendo protezione per i sudditi cristiani in Persia, e favorendo alla sua Corte un fratello di Sapore, un Armisda. A sua volta Sapore aveva sbalzato dal trono il re di Armenia; e Costantino aveva risposto, assegnando l’Armenia, come abbiamo visto, ad uno dei suoi nipoti, Annibaliano. Sapore allora aveva reclamato le cinque province transtigritane, che Diocleziano aveva strappate alla Persia. L’imperatore dei Romani si apparecchiava a valicare il Tigri, e a recare direttamente la sua risposta a Ctesifonte, quando morì d’improvviso, il 22 maggio del 337, dopo avere poco prima ricevuto il battesimo da un ariano, Eusebio di Nicomedia.
Costantino fu certo un monarca di grande merito. Ma apparso nei tempi in cui si compieva il più decisivo rivolgimento della storia del mondo, egli non è più un pagano e un uomo del mondo antico, e non è ancora un cristiano e un uomo del mondo nuovo. Perciò tutta la sua azione è oscillante, violenta, incoerente, arruffata, e inparte almeno sterile. Fonda una dinastia e la distrugge; ristabilisce l’unità dell’impero e la spezza; vuol ricostituire con il Cristianesimo la concordia spirituale dell’impero ed esaspera invece le stesse lotte che si combattono nel seno della Chiesa. A suo paragone Diocleziano è ben più forte, coerente, vigoroso, semplice e chiaro, nella sua fedeltà piena ed intera allo spirito della civiltà pagana. Diocleziano è l’ultimo grande uomo del mondo antico; Costantino l’inquieto personaggio figurativo di un’epoca di transizione[92].
Note al Capitolo Nono.83.Pare che già, prima dell’abdicazione dei due Augusti, Costantino avesse ricevuto l’assicurazione di essere elevato al posto che uno dei due Cesari avrebbe lasciato vacante. Questa promessa giustificherebbe in parte la proclamazione del 306. Cfr.Lact.,De mort. persec., 18-19. Le monete hanno confermato questo punto: cfr.Westphalen, inRevue Numismatique, 1887, pag. 26 sgg.84.Euseb.,H. Eccl., 8, 17, 1 sgg.;Lact.,De mort. persec., 34.85.Sul piano strategico di Massenzio, che è stato giudicato un po’ troppo alla leggera dagli storici, è curioso leggere quel che scrisseMoltke,Handschriftliche Aufzeichnung aus dem Reisetagebuch, Berlin, 1879 (3ª ediz.), pag. 117 sgg.86.Euseb.,H. Eccl., 10, 5;Lact.,De mort. persec., 48. La critica moderna, come al solito, ha cercato di mettere in dubbio anche l’esistenza di un vero e proprio editto di Milano. Ma il testo diLattanzio(De mort. persec., 48) è troppo esplicito e formale, perchè a storici che per amor della critica non abbiano perduto il buon senso, sia lecito avanzare dubbi. Su tutta questa questione, cfr.T. De Bacci Venuti,Dalla grande persecuzione alla vittoria del Cristianesimo, Milano, 1913,Appendice, pag. 303 sg.87.Cfr.Eus.,H. Eccl., 10, 8;Vita Const., 1, 56.88.Theod.,H. Eccl., 1, 19b.89.Eus.,Vita Const., 2, 24; 56; 60.90.Eus.,Vita Const., 2, 65-72;Socr.,Hist. Eccl., 1, 7.91.Eus.,Vita Const., 3, 11-12.92.Cfr. il curioso giudizio dell’imperatore Giuliano su Costantino (Amm. Marc., 21, 10, 8) che lo accusa di essere statonovator... turbatorque priscarum legum et moris antiquitus recepti...
83.Pare che già, prima dell’abdicazione dei due Augusti, Costantino avesse ricevuto l’assicurazione di essere elevato al posto che uno dei due Cesari avrebbe lasciato vacante. Questa promessa giustificherebbe in parte la proclamazione del 306. Cfr.Lact.,De mort. persec., 18-19. Le monete hanno confermato questo punto: cfr.Westphalen, inRevue Numismatique, 1887, pag. 26 sgg.
83.Pare che già, prima dell’abdicazione dei due Augusti, Costantino avesse ricevuto l’assicurazione di essere elevato al posto che uno dei due Cesari avrebbe lasciato vacante. Questa promessa giustificherebbe in parte la proclamazione del 306. Cfr.Lact.,De mort. persec., 18-19. Le monete hanno confermato questo punto: cfr.Westphalen, inRevue Numismatique, 1887, pag. 26 sgg.
84.Euseb.,H. Eccl., 8, 17, 1 sgg.;Lact.,De mort. persec., 34.
84.Euseb.,H. Eccl., 8, 17, 1 sgg.;Lact.,De mort. persec., 34.
85.Sul piano strategico di Massenzio, che è stato giudicato un po’ troppo alla leggera dagli storici, è curioso leggere quel che scrisseMoltke,Handschriftliche Aufzeichnung aus dem Reisetagebuch, Berlin, 1879 (3ª ediz.), pag. 117 sgg.
85.Sul piano strategico di Massenzio, che è stato giudicato un po’ troppo alla leggera dagli storici, è curioso leggere quel che scrisseMoltke,Handschriftliche Aufzeichnung aus dem Reisetagebuch, Berlin, 1879 (3ª ediz.), pag. 117 sgg.
86.Euseb.,H. Eccl., 10, 5;Lact.,De mort. persec., 48. La critica moderna, come al solito, ha cercato di mettere in dubbio anche l’esistenza di un vero e proprio editto di Milano. Ma il testo diLattanzio(De mort. persec., 48) è troppo esplicito e formale, perchè a storici che per amor della critica non abbiano perduto il buon senso, sia lecito avanzare dubbi. Su tutta questa questione, cfr.T. De Bacci Venuti,Dalla grande persecuzione alla vittoria del Cristianesimo, Milano, 1913,Appendice, pag. 303 sg.
86.Euseb.,H. Eccl., 10, 5;Lact.,De mort. persec., 48. La critica moderna, come al solito, ha cercato di mettere in dubbio anche l’esistenza di un vero e proprio editto di Milano. Ma il testo diLattanzio(De mort. persec., 48) è troppo esplicito e formale, perchè a storici che per amor della critica non abbiano perduto il buon senso, sia lecito avanzare dubbi. Su tutta questa questione, cfr.T. De Bacci Venuti,Dalla grande persecuzione alla vittoria del Cristianesimo, Milano, 1913,Appendice, pag. 303 sg.
87.Cfr.Eus.,H. Eccl., 10, 8;Vita Const., 1, 56.
87.Cfr.Eus.,H. Eccl., 10, 8;Vita Const., 1, 56.
88.Theod.,H. Eccl., 1, 19b.
88.Theod.,H. Eccl., 1, 19b.
89.Eus.,Vita Const., 2, 24; 56; 60.
89.Eus.,Vita Const., 2, 24; 56; 60.
90.Eus.,Vita Const., 2, 65-72;Socr.,Hist. Eccl., 1, 7.
90.Eus.,Vita Const., 2, 65-72;Socr.,Hist. Eccl., 1, 7.
91.Eus.,Vita Const., 3, 11-12.
91.Eus.,Vita Const., 3, 11-12.
92.Cfr. il curioso giudizio dell’imperatore Giuliano su Costantino (Amm. Marc., 21, 10, 8) che lo accusa di essere statonovator... turbatorque priscarum legum et moris antiquitus recepti...
92.Cfr. il curioso giudizio dell’imperatore Giuliano su Costantino (Amm. Marc., 21, 10, 8) che lo accusa di essere statonovator... turbatorque priscarum legum et moris antiquitus recepti...