Chapter 3

Le missioni della Cina sono l’epopea de’ Gesuiti, che si può dire, la scopersero; nè fu colpa loro se non venne alla nostra civiltà. Quando vi si avviò primiero Francesco Saverio, vi condusse il padre Paolo da Camerino. Il padre Matteo Ricci da Macerata, mandatovi coi due altri italiani Rogero e Pasio, vi fondò le prime missioni; e conoscendo che bisognava mostrarsi letterato, fece un mappamondo ove collocava la Cina nel mezzo, e un breve catechismo in quella lingua; insegnò chimica e matematica; e le quindici opere sue sono le prime che Europei dettassero in cinese, e alcuna è posta fra le classiche da quel popolo geloso. Avea creduto dover condiscendere ai costumi e alle opinioni dei Cinesi fin dove non cozzassero colla vera fede, onde togliere le repugnanze che un popolo eminentemente storico aveva al cristianesimo: e siffatta tolleranza fu l’accusa più violenta che poi recarono ai Gesuiti quelli che per avventura continuavano a imputare l’intolleranza cattolica. Come superiore di quelle missioni gli fu surrogato Nicola Lombardi siciliano, autore di scritti importanti su Confucio.

Il padre Giacomo Ro milanese, dopo predicato molti anni nel Scian-si, fu chiamato alla Corte perchè attendesse alla compilazione del calendario imperiale, come fece col celebre padre Schall; più di cento opere scrisse in cinese di pietà e d’astronomia; ricusò dignità e favori, sol chiedendo agevolezze pe’ Cristiani. Come astronomo e ambasciatore vi fu pure adoperato il napoletano padre Francesco Sambiasi. Frà Castiglione pittore, fattosiconverso ne’ Gesuiti, e mandato a Pechino, lavorò per quella Corte anche da architetto. Martino Martini di Trento diede l’Atlas Sinensis(1655), l’opera più compiuta che ancor si fosse vista sul grand’impero, e voltò in quella lingua diverse opere. Il siciliano Francesco Brancato vi pubblicò molti scritti, e specialmente ilTrattenimento degli Angeli(1637), catechismo rimasto classico. Luigi Buglio palermitano missionò a Goa, nel Giappone, nella Cina, e morì a Pechino il 1682, lasciando in cinese alquante opere. Giulio Aleni bresciano, professore di matematica a Macao, penetrò nell’impero, e per trentasei anni vi predicò e scrisse, ed era detto il Confucio d’Occidente. Prospero Intorcetta siciliano missionò colà col padre Martini e quindici altri Gesuiti, adoperando zelo immenso: nella persecuzione del 1664 fu condannato alla bastonatura e all’esiglio: calmata l’ira, venne a Roma per implorare nuovi operaj, che esso incoraggì fin alla nuova persecuzione del 90, quando coraggioso affrontò i tribunali: scrisse più libri in cinese e in latino, massime intorno alle dottrine di Confucio, e morì vecchissimo nel 1696. Molto stimato fu pure nella Cina il padre Paolantonio Mainardi torinese, vissuto fin al 1767.

Ippolito Desideri gesuita pistojese fu nel Tibet, e con coraggio indicibile traversò paesi ignoti e sostenne avversità. Ivi poi faticò lungamente il padre Della Penna maceratese con altri Cappuccini, ed espose la storia e i costumi di que’ paesi e singolarmente la religione, dove tante somiglianze trovava colla nostra. Più tardi il padre Percoto da Udine tradusse i libri dogmatici de’ Birmani fra cui avea predicato, e ragguagliò sul governo e la religione dei paesi di Ava e di Pegù. Il padre Giuseppe Maria Bernini di Carignano corse l’India, descrisse il Nepal, fece dialoghi in lingua indiana, e ne tradusse varie opere. Antonio Ardizzoni napoletano vimissionò col padre Francesco Manco e altri cherici regolari; dimorò otto anni a Goa, poi lungamente a Lisbona, varie cose dettando in portoghese. Costantino Beschi gesuita arrivò il 1700 a Goa, e molto lavorato nel regno di Madera, e scritte assai cose e nominatamente ilTembavani, poema di tremila seicentoquindici tetrastici, con commenti a ciascuno, in lode della Madonna, fece grammatiche e un dizionario tamulo-francese. Gianfilippo Marini da Genova apostolo per quattordici anni nel Tonking, e descrisse le missioni e il paese. Cristoforo Borro da Milano diede una relazione della nuova missione de’ Gesuiti alla Cocincina, e meditava una nuova strada per passare all’Oriente dalla parte occidentale. Apostolo dell’Oriente fu intitolato Alessandro Valignani imolese, che speditovi il 1573, più volte corse il Giappone e l’India.

Andrea Borromeo milanese teatino, ito il 1652 nella Mingrelia e Georgia, vi faticò undici anni, e ne lasciò una relazione. In Arabia predicò Alessandro Botto cremonese. Carlo Francesco Breno di Valcamonica, minor riformato, preparò libri pei missionarj in Oriente. Galano Clemente, teatino di Sorrento, stando dodici anni in Armenia, raccolse assai carte, atti e monumenti, che stampò poi a Roma in latino e in armeno[25], e compilò pure una grammatica di quella lingua. Colà Paolo Maria Facentino rese importanti servizj ai Cristiani, stabilì nuove missioni, scrisse pei nuovi convertiti, e tornato a Roma il 1620, fu superiore delle missioni dei Domenicani. Anche il calabrese Piromalli domenicano molti Monoteliti convertì. Fu approvato dal papa a riunire gli Armeni di Polonia e di Russia, e ad Urbano VIII presentò una grammatica e un lessico armeno, oltre lavori di controversia. Ignazio di Gesù, carmelitanoscalzo, descrive i Mandaj, cristiani viventi presso Bàssora. Tommaso Obicini novarese minorita, missionando in Oriente, diede una grammatica araba lodata, e un fallace dizionario siriaco. Una grammatica della lingua georgiana e una della turca, oltre molte opere ascetiche, lasciò pure Francesco Maria Maggi palermitano teatino, ito a visitar i conventi de’ suoi fratelli in Oriente e principalmente nella Georgia, e che a Caffa stabilì una casa di Teatini. Pietro Foglia medico a Capua, fatto carmelitano col nome di Matteo di San Giuseppe, missionò nella Siria poi nell’India, facendo anche da medico, e raccogliendo molte notizie botaniche, di cui giovò i dotti. Arcangelo Lamberti teatino diede una relazione della Mingrelia. Gianandrea Carga friulano de’ Predicatori apostolò il Levante, fu vescovo di Sira, ove perì martire de’ Turchi nel 1617.

Francesco Giuseppe Bressoni, gesuita romano, predicò ai Canadesi e agli Uroni; preso dagli Irochesi, fu venduto agli Olandesi mutilo e ferito; appena guarito tornò fra gli Uroni, ove i segni del suo martirio lo rendeano più venerabile; distrutti questi, rivide l’Italia, dove si diede alla predicazione, e stese un breve ragguaglio delle missioni nella Nuova Francia. Filippo Salvatore Gilli, gesuita romano, predicò per diciott’anni sull’Orenoco, sette anni a Santa Fè di Bogota, e ne diè la descrizione. E quanto deva la geografia ai missionarj, può raccogliersi da una dissertazione del cardinale Zurla.

Pochi noi accenniamo de’ moltissimi che, senz’altra speranza che del paradiso, senz’altra ricerca che delle anime, corsero fra’ popoli selvaggi o fra’ rimbambiti: ma non ci parve dover dimenticare questi eroi della fede e della civiltà, e riposammo sui loro trofei prima di raccontare le troppe miserie della loro e nostra patria.


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