IX.F. FONTANA[29]e L. STECCHETTI.[30]
Due poeti, due sorti diverse.
Il Fontana, giovanissimo, pubblica una sua poesia in un giornale di Milano: i lettori la trovano bella, ardita, piena di promesse, e il poeta acquista a un tratto una fama che, forse, non aveva osato sperare. Di tanto in tanto, in occasioni benissimo scelte, egli manda fuori ora questo ora quell’altro dei suoi canti, e il pubblico applaude sempre, e i giornali ne levano a cielo l’ingegno e ne fanno conoscere il nome oltre le provincie lombarde.
Un bel giorno al fortunato poeta vien l’idea di riunire in un mazzo quei fiori del giardino delle Muse da lui còlti uno alla volta. Non avevano ancoraavuto il tempo di perdere i colori e il profumo; eran freschi tuttavia, bagnati ancora dalla rugiada... Ma, all’apparire del volume, i giornali si mostrano inesplicabilmente ammutoliti. Quel pubblico, che in politica e in letteratura compra le sue opinioni belle e fatte, s’adombra del silenzio e tien broncio al poeta. Qualcuno dà un’occhiata e tira via. Qualch’altro dice poche parole, e tentenna la testa. Due o tre coraggiosi salutano il poeta con lodi parche, con consigli amichevoli. Il resto ne mormora sottovoce, ne parla con aria impacciata...; insomma, tutti gli fanno scontare, a lui che non n’ha colpa, una fama precoce prodigatagli con ostentazione, quasi fossero stati i giornalisti ed il pubblico che gli avessero per grazia dato ad imprestito l’ingegno.
Prima lodato certamente un po’ troppo, si è visto all’improvviso trascurato un po’ troppo. Se fosse uno di quegli spiriti miti, dubbiosi, ai quali una buona parola dà lena e coraggio, e una critica amara o, peggio, il silenzio sprezzante fan rompere la penna, a quest’ora il Fontana avrebbe dato un addio alla poesia e sarebbe pronto a far tutto fuorchè una quartina foss’anche di versi bisillabi. Per fortuna non è tale.
Siamo al solito caso: nessuna misura nella lode o nel biasimo; l’opera d’arte giudicata non come semplice opera d’arte, ma a seconda di canoni che spesso non hanno nulla da vedere coll’arte; l’individuo accarezzato a traverso l’artista, l’artista biasimato col pretesto dell’individuo!
Ed ecco ora una sorte opposta.
Poche settimane fa comparve nelle vetrine dei librai un volumetto in-16º piccolo, colla copertina color paglia, col frontispizio rosso e nero, un amore di edizione elzeviriana in cartachamoisdal titolo:Postuma, canzoniere di Lorenzo Stecchetti(Mercutio).
Chi era questo Stecchetti?
Nessuno sin’allora n’aveva inteso pronunziare il nome. I primi che apersero il volumetto, lettane qualche strofa ebbero una vera sorpresa. La diffidenza ispirata dallecose postume edite a cura degli amicivenne subito vinta dalla curiosità e dal piacere che la lettura produceva. Per una settimana fu un continuo impietosirsi sulla sorte del misero giovane morto stoicamente di tisi, a trent’anni, come narrava nella prefazione il dottor Olinto Guerrini, suo parente ed uno degli intimi amici. Peccato! C’era in quel giovane la stoffa d’un vero poeta moderno! Che semplicità elegante e che vigore di forma! Che sincerità d’ispirazione e che malinconia!
Muoio. Cantan le allodoleFerme sull’ali nel profondo ciel,E il sol di ottobre tiepidoAlbeggia e rompe della nebbia il vel.Caldo di vita un alitoSale fumando dall’arato pian;Muoio: cantan le allodoleE le giovenche muggon da lontan.La vostra lieta porporaRoselline d’inverno io non vedrò;Le carni mie si sfasciano...Domani al mio balcon non tornerò.
Muoio. Cantan le allodoleFerme sull’ali nel profondo ciel,E il sol di ottobre tiepidoAlbeggia e rompe della nebbia il vel.Caldo di vita un alitoSale fumando dall’arato pian;Muoio: cantan le allodoleE le giovenche muggon da lontan.La vostra lieta porporaRoselline d’inverno io non vedrò;Le carni mie si sfasciano...Domani al mio balcon non tornerò.
Muoio. Cantan le allodole
Ferme sull’ali nel profondo ciel,
E il sol di ottobre tiepido
Albeggia e rompe della nebbia il vel.
Caldo di vita un alito
Sale fumando dall’arato pian;
Muoio: cantan le allodole
E le giovenche muggon da lontan.
La vostra lieta porpora
Roselline d’inverno io non vedrò;
Le carni mie si sfasciano...
Domani al mio balcon non tornerò.
E con questi versi dell’ultima pagina il commossolettore chiudeva il volumetto: le lettrici avevano gli occhi pregni di lagrime.
Ma, che è che non è, si diffonde una voce: lo Stecchetti non ha mai esistito e quindi non è morto nè di tisi nè d’altro male: l’autore di questa bella mistificazione è il dottor Olinto Guerrini, quello stesso della prefazione, giovane, sano e pieno di vita, con moglie e figliuoli. Ed ecco il dottor Guerrini, ieri conosciuto poco più in là di Bologna come poeta di facile e mordacissima vena nel suo dialetto, eccolo celebre a un tratto da un capo all’altro d’Italia per uno di quei troppo caldi entusiasmi che fanno dubitare della lunga durata.
Arrivando quasi l’ultimo a parlare di questi due poeti, tenterò di fare ciò che mi sembra non abbiano fatto gli altri. Dimenticherò i facili trionfi del Fontana e la freddezza con che è stato accolto il suo volume; dimenticherò la leggenda che ha riverberato la poetica tristezza della sua finzione nell’animo dei lettori ed ha un pochino aiutato l’effetto dei canti del supposto Stecchetti; e tenterò di mettermi rimpetto a queste opere d’arte nella condizione di sentirne l’immediata impressione, fuor di qualunque circostanza che potrebbe mescolarvi elementi d’altro genere.
Non farò paragoni: i paragoni sono inutili quando non sono nocivi. Nei due poeti c’è l’alito, il carattere della poesia moderna, ma in modo diverso. Spesso manca all’uno quello che all’altro sovrabbonda, senza che per questo l’uno valga meno o piùdell’altro; ed hanno tutti e due una personalità propria, spiccatissima, da non confondersi facilmente con quella dei soliti strimpellatori di lira. È il loro passaporto di poeti.
Il Fontana, un carattere più fantastico, più indefinito del Guerrini, spazia incessantemente in un orizzonte vastissimo. Ha la curiosità , l’impressionabilità della donna e del fanciullo, e com’essi un sentimento di contento e di tristezza, di mobilità e d’insistenza, di chiarezza e di nebbia, di semplicità e d’artifizio che la facilità del verso e della strofa, la trascuratezza, l’indecisione dello stile, la stranezza o la bellezza dell’imagine rendono perfettamente, con giustezza che colpisce. Il suo concetto poetico ordinariamente apparisce, fluttua, brilla, s’ecclissa, torna a comparire come una figura proiettata da una lente ora sì ora no messaa fuoco; e i contorni degli oggetti che la sua imaginazione vorrebbe fissare qua si disegnano netti, più in là si perdono molto indecisi nel fondo. Si capisce che lì tra il concetto e la forma vi è una lotta continua; che la forma non arriva sempre a imprigionare nel suo organismo le mille gradazioni di un’idea, e si contenta del press’a poco per paura di vedersela sfuggire tutt’intiera di mano. Ma nello stesso tempo si capisce che è appunto in questopress’a pocodove talvolta il concetto, perseguitato con insistenza, acquista un colorito poetico più spinto, da far quasi rallegrare che la vittoria della forma non sia stata completa.
Sovente l’effetto di una poesia del Fontana èquello d’un abbozzo in cui il pittore ha tentato di fissare con quattro colpi di pennello l’impressione d’un momento. La mano dell’artista ha segnato qua e là dei tratti, ha messo degli appunti di colorito; ombre crude, luci crudissime, qualcosa che si vede e si intravvede, che si capisce e non si capisce; ma un che di caldo, di vivo che si agita, che ci spinge a lavorar d’immaginazione, a vincere, a correggere gli audaci trapassi, a rammorbidire i contrasti, ad armonizzare le stonature; qualcosa insomma che ci mette in un inatteso travaglio di creazione simile a quello del poeta e, compenetrando lettore e poeta, dà l’illusione di fare insieme l’opera di arte che si sta leggendo.
Non è una cosa indifferente, non è una cosa comune. In quei versi, in quelle strofe che talvolta, a ragione, giudichiamo mediocri, si cela il misticoquidche rivela un artista. Nella loro mediocrità di stile non ci lasciano in pace; nella loro falsità di concetto ci fanno pensosi; nella loro nudità ci spingono a ruminare un sentimento che non viene soltanto dalla carne, e saremmo imbarazzati ad esprimere precisamente che mai sia.
In esse c’è sempre, o quasi sempre, qualcosa che fa difetto o trascende; ma questa sproporzione, questa mancanza rivelano un’elevatezza, uno slancio da compensarci ad usura, un’ingenuità , una sincerità spensierata che legano e si fanno amare. Notate laPrefazione ai miei versi.
Esser poeti è legger nei futuriGiorni: è spaziar nel cielo delle indaginiCondannate dai timidi cervelli.. . . . . . . . . . . . . . .Esser poeti è librarsi gigantiSull’universo..........È accogliere del par sorrisi e pianti,Inni e bestemmie, rantoli e vagiti,. . . . . . . . . . . . . . .Esser poeti è salir sopra un monteDi notte quando il ciel di stelle è fulgido,E in estasi esclamar: Credo! vi è un Dio!E inginocchiarsi, e chinare la fronte,Ripieno il cor di mistica paura...Poscia negarlo e metterlo in oblioDiscesi alla pianura.Esser poeti è viver d’illusioniChe nell’Eterno Nulla il piede appoggiano.... . . . . . . . . . . . . . .Esser poeti è abbandonarsi ai sensi;. . . . . . . . . . . . . . .È mutar l’alimento del mattino,A vespro giunti, in voli eccelsi, immensi...E, invero, questi versi sono uscitiDalle vivande e dalpretesovinoChe l’oste m’ha imbanditi.
Esser poeti è legger nei futuriGiorni: è spaziar nel cielo delle indaginiCondannate dai timidi cervelli.. . . . . . . . . . . . . . .Esser poeti è librarsi gigantiSull’universo..........È accogliere del par sorrisi e pianti,Inni e bestemmie, rantoli e vagiti,. . . . . . . . . . . . . . .Esser poeti è salir sopra un monteDi notte quando il ciel di stelle è fulgido,E in estasi esclamar: Credo! vi è un Dio!E inginocchiarsi, e chinare la fronte,Ripieno il cor di mistica paura...Poscia negarlo e metterlo in oblioDiscesi alla pianura.Esser poeti è viver d’illusioniChe nell’Eterno Nulla il piede appoggiano.... . . . . . . . . . . . . . .Esser poeti è abbandonarsi ai sensi;. . . . . . . . . . . . . . .È mutar l’alimento del mattino,A vespro giunti, in voli eccelsi, immensi...E, invero, questi versi sono uscitiDalle vivande e dalpretesovinoChe l’oste m’ha imbanditi.
Esser poeti è legger nei futuri
Giorni: è spaziar nel cielo delle indagini
Condannate dai timidi cervelli.
. . . . . . . . . . . . . . .
Esser poeti è librarsi giganti
Sull’universo..........
È accogliere del par sorrisi e pianti,
Inni e bestemmie, rantoli e vagiti,
. . . . . . . . . . . . . . .
Esser poeti è salir sopra un monte
Di notte quando il ciel di stelle è fulgido,
E in estasi esclamar: Credo! vi è un Dio!
E inginocchiarsi, e chinare la fronte,
Ripieno il cor di mistica paura...
Poscia negarlo e metterlo in oblio
Discesi alla pianura.
Esser poeti è viver d’illusioni
Che nell’Eterno Nulla il piede appoggiano...
. . . . . . . . . . . . . . .
Esser poeti è abbandonarsi ai sensi;
. . . . . . . . . . . . . . .
È mutar l’alimento del mattino,
A vespro giunti, in voli eccelsi, immensi...
E, invero, questi versi sono usciti
Dalle vivande e dalpretesovino
Che l’oste m’ha imbanditi.
Possibile che l’esser poeta sia tutto questo? Sì e no, come vorrete. Nella mente del Fontana è accaduta una specie d’allucinazione; i secoli si sono accorciati, la storia si è compendiata, mille figure di poeti si son fuse in una sola. Valmichi, Mosè, Omero, Anacreonte, Shakespeare, Molière, Lamartine, Goethe, Vittor Hugo, Heine, Prati, Praga, egli stesso, tutti gli son passati dinanzi rapidamente, quasi senza farsi riconoscere, in una mescolanza bizzarra. Ogni verso, ogn’emistichio, ogn’epiteto, ogn’imagine delle otto strofe è uno sprazzo di luce di quelle figure, di centoaltre figure e di fantasmi personali che gli han danzato nel cervello durante l’esaltazione d’un momento. Che ha voluto dunque fare? Nulla, o piuttosto dirvi il suo motto d’un minuto. È la sua arte poetica? Sì e no, come vorrete; ma sopra tutto è unapoesiach’egli ha fatta insieme a voi, una creazione, meglio, unpartodel suo spirito di cui voi, per fortuna, non avete sentito i dolori. — È un assurdo! Un ammasso di contraddizioni! — Ma non mi negate (nol potrete) che dopo quella lettura vi si è mossa nell’imaginazione, nel cuore e nel cervello qualcosa che prima di leggere se ne stava a dormire. Vi siete fermati ad una strofa, ad un verso scadente, avete esitato; ma poi, vostro malgrado, siete stato stimolato a procedere, ad andar sino in fondo. E se vi è accaduto d’indispettirvi col poeta di ciò che vi ha fatto provare, chi sa che sapendolo egli non vi dica: questo dispetto è la mia vera poesia!
Ecco, poco più in là , leggeteLa Forma e l’Idea. Rileggete; è bene. Vi persuaderete che il poeta, se non vince sempre, se si stanca presto della lotta del suo concetto colla forma, però sa benissimo di dover lottare e che, a modo suo, lotta e lotta, quantunque talvolta dubiti della utilità di quest’arduo travagliarsi.
Forse esistonoIdee sì vaghe e arcaneChe invan le menti umaneSi attentano a scolpir!Forse passò fra gli uominiIl sommo dei poeti,Fra la schiera dei mutoliE degli analfabeti...E, forse, il suo silenzioFu incompresa epopeaIn cui sfuggì l’Idea,Della Forma il martir!
Forse esistonoIdee sì vaghe e arcaneChe invan le menti umaneSi attentano a scolpir!Forse passò fra gli uominiIl sommo dei poeti,Fra la schiera dei mutoliE degli analfabeti...E, forse, il suo silenzioFu incompresa epopeaIn cui sfuggì l’Idea,Della Forma il martir!
Forse esistono
Idee sì vaghe e arcane
Che invan le menti umane
Si attentano a scolpir!
Forse passò fra gli uomini
Il sommo dei poeti,
Fra la schiera dei mutoli
E degli analfabeti...
E, forse, il suo silenzio
Fu incompresa epopea
In cui sfuggì l’Idea,
Della Forma il martir!
Non vi arrestate per analizzare il sentimento grandiosamente poetico di questa strofa: è proprio un assurdo. Quell’idea che sfugge il martirio della forma non può essere un’idea e molto meno un’epopea!... Ma l’imagine di quel mutolo, di quell’analfabeta nelle menti dei quali si schiudono i più grandi e ineffabili sentimenti poetici; ma quei sentimenti che si agitano maestosamente, divinamente in un’impotenza gigantesca... quest’assurdo insomma vi ha detto di più d’ogni concetto preciso. Nuotate in un mare senza limite: sentite che la vibrazione di quell’onda sonora si perde nell’infinito.
Una delle qualità più spiccate della poesia contemporanea è lo accostarsi, alla sua maniera e nei limiti che la determinatezza della parola concede, all’indeterminatezza della musica, la vera arte moderna. Le poesie del Fontana possiedono questa indefinibile espressione musicale dei sentimenti e delle cose; ma si scorge più nell’insieme che non nel particolare d’ognuna d’esse.
Questo volume, più che altro, è una solenne promessa. Il Fontana può appropriarsi ciò che diceva il Musset delle sue prime poesie:
Ce livre est toute ma jeunesse;Je l’ai fait sans presque y songer.Il y paraît, je le confesse,Et j’aurais pu le corriger.
Ce livre est toute ma jeunesse;Je l’ai fait sans presque y songer.Il y paraît, je le confesse,Et j’aurais pu le corriger.
Ce livre est toute ma jeunesse;
Je l’ai fait sans presque y songer.
Il y paraît, je le confesse,
Et j’aurais pu le corriger.
Io dico intanto sia bene ce l’abbia dato così com’è. Questi saggi, questi tentativi di una poesia esclusivamente individuale che coglie a volo l’impressione, la sensazione, il sentimento e s’ingegna a renderli tali e quali gli ha provati, cercando la forma più semplice, più immediata per farli risentire agli altri allo stesso grado d’intensità , non sono punto dei saggi, dei tentativi superflui o inutili, per quanto possano avere un valore effimero e passeggiero. Nella storia generale dell’arte non segnano certamente una novità . La reazione contro la forma accademica, convenzionale, sempre intenta a riprodurre con una formola antica lo spirito moderno (e che, pur di farcelo entrare, o lo strozza, o lo mutila, o lo sfigura), ci ha già preceduto in Germania, in Francia ed anche in Inghilterra. Rimane a riprendere per nostro conto e nelle proporzioni del nostro genio nazionale questa lotta contro l’antico. Non foss’altro per pochi istanti, noi dobbiamo passare per gli stessi punti di sviluppo, ripeterne intiero il processo. E troveremo più facile il cammino; più sicura, anzi infallibile la vittoria.
Pari agli altri fatti dello spirito umano, anche il sentimento poetico ha la sua storia. E dicendo storia intendo un ordine progressivo d’evoluzione, una legge intima che lo governi e lo faccia andare verso un fine in onta alle mille accidentalità che gli sbarrano e gli contendono il passo. Il sentimento poetico non è altro che la ragione umana ancora avviluppata in quella forma bassa e secondaria dello spirito:è l’idea non veduta ma intravveduta sotto il roseo velo della fantasia: e corrisponde a speciali facoltà , e si riduce ad un maggiore sviluppo o almeno ad una maggiore attività d’esse nel gran momento della funzione poetica.
Ora è accaduto nella storia del sentimento poetico quel che è avvenuto nel corso di tutti gli altri avvenimenti umani; il suo procedere è stato nel nostro secolo assai più celere del consueto, quasi vertiginoso: ha fatto in pochi anni tal sviluppo che prima non avrebbe compito nel periodo d’intieri secoli.
La forma poetica (giacchè il sentimento e la forma nell’arte son tutt’uno) ormai può dirsi arrivata alla sua estrema sottigliezza, alla sua possibile trasparenza. Si è naturalmente rimpiccinita, circoscritta; non s’attenta più alle grandi creazioni, ma si rassegna alla minuta rappresentazione del mondo interiore. Non sdegna la semplice rappresentazione del mondo esterno, e fa del paesaggio un puro sfoggio di sè stessa, un mero affermarsi come forma assoluta: la quale cosa indica raffinatezza e corruzione nello stesso punto.
Queste evoluzioni, questi passaggi graduati, più o meno rapidi, più o meno importanti, contano nelle letterature francese e tedesca contemporanee una gran lista di nomi che ne rappresentano le diverse fasi con straordinaria ricchezza. Victor Hugo, Musset, Heine sono oramai sorpassati per ciò che riguarda il sentimento poetico. Lenuancesd’ognunod’essi hanno ricevuto dei larghi svolgimenti che non debbono giudicarsi come semplici amplificazioni, ma fusioni, amalgame, combinazioni chimiche ben riuscite, alle quali l’impronta dell’individualità di ogni poeta ha aggiunto una nuova nota, un punto di colore. Però, fra tanta produzione che ha affaticati e affatica ingegni vigorosissimi, rotti a tutte le difficoltà della versificazione e dello stile, sorprende assai il non veder spiccare un poeta il quale valga ad imporsi ai suoi contemporanei come il rappresentante d’un sentimento generale.
In Italia è avvenuto un che di simile sebbene in proporzioni più ristrette. Il Praga, il Boito, il Carducci, il Rapisardi, il Fontana e parecchi altri che è inutile rammentare hanno un’originalità relativa, se si riguarda alla storia parziale della poesia italiana; ma la loro originalità consiste più specialmente nell’essere il riflesso di questa gran rivoluzione artistica che sembra l’ultima espressione della forma poetica agonizzante. Infatti vi è in loro qualche cosa d’estraneo alla coscienza, al sentimento artistico italiano come volgarmente s’intende; ben pochi essendo penetrati della convinzione che il sentimento poetico abbia perduto anch’esso il suo carattere nazionale e sia diventato europeo, come europee son già diventate tutte le altre forme dell’arte.
La ragione che rende immensamente difficile la produzione poetica è la legge che presiede alle incarnazioni del sentimento. Come qualunque altra produzione della natura, un sentimento poetico trovatala sua splendida forma non ha più la possibilità di farsene un’altra. Le mille circostanze che concorsero a quella creazione, che la prepararono, la aiutarono, la svilupparono, mutansi anch’esse e non si rinnovano. Per questo riesce vano il voler rifare Byron, Victor Hugo, Musset, Leopardi, Heine e tutti i fortunati che poterono pervenire alla più alta rivelazione d’un dato sentimento poetico. L’ambiente è cambiato. Quella data forma è già entrata, appena venuta fuori, nel gran dominio della storia dell’arte, rappresenta un vero progresso, un vero momento dello spirito umano fissato in modo indistruttibile nelle sue immortali creazioni; e qualunque tentativo di risuscitarla riducesi un tentativo retorico senza nessuna giustificazione, un capriccio, una foggia momentanea, vera prova della sterilità dell’ingegno poetico che vi si abbandona.
Il Fontana, al pari di molti altri, non ha un concetto preciso nè dell’Arte nè della sua storia. Questo non significa gliene manchi un sentimento, una intuizione, una divinazione che diffonde inconsciamente una tinta d’originalità sulle poesie di questo volume. La quale originalità spiccherebbe di più se il poeta desse meno retta ai consigli del Nodier che paiono il suo credo poetico riguardo allo stile.
Le vers qui vient sans qu’on l’appelleVoilà le vers qu’on se rappelle:Rimer autrement c’est ennui.La parole est la voix de l’âmeSi quelque gêne l’emprisonne,Défiez-vous de tout lien,Tout effort est contraire au bien.
Le vers qui vient sans qu’on l’appelleVoilà le vers qu’on se rappelle:Rimer autrement c’est ennui.La parole est la voix de l’âmeSi quelque gêne l’emprisonne,Défiez-vous de tout lien,Tout effort est contraire au bien.
Le vers qui vient sans qu’on l’appelle
Voilà le vers qu’on se rappelle:
Rimer autrement c’est ennui.
La parole est la voix de l’âme
Si quelque gêne l’emprisonne,
Défiez-vous de tout lien,
Tout effort est contraire au bien.
Egli farebbe meglio a ricordarsi del consiglio di un grande artefice di stile:
Oui, l’oeuvre sort plus belleD’une forme au travailRebelle,Vers, marbre, onyx, émail.Point de contraintes fausses!Mais que pour marcher droitTu chausses,Muse, un cothurne étroit.Fi, du rythme commodeComme un soulier trop grandDe modeQue tout pied quitte et prend!
Oui, l’oeuvre sort plus belleD’une forme au travailRebelle,Vers, marbre, onyx, émail.Point de contraintes fausses!Mais que pour marcher droitTu chausses,Muse, un cothurne étroit.Fi, du rythme commodeComme un soulier trop grandDe modeQue tout pied quitte et prend!
Oui, l’oeuvre sort plus belle
D’une forme au travail
Rebelle,
Vers, marbre, onyx, émail.
Point de contraintes fausses!
Mais que pour marcher droit
Tu chausses,
Muse, un cothurne étroit.
Fi, du rythme commode
Comme un soulier trop grand
De mode
Que tout pied quitte et prend!
Ma già il Fontana per persuadersi della giustezza di questi suggerimenti ha soltanto bisogno di guardare ai suoi stessi lavori. I migliori del volume sono appunto quelli dove la forma è più accurata,La notte di S. Silvestro, Circolo, Quando? Ars alma Mater, Melodia, Serae qualche altro presentano le promesse d’una più bella e più artistica evoluzione del suo ingegno; e quanti gli voglion bene si augurano di vederla maturata al calore di studî più serî e di un lavoro di lima più paziente. A me piace finire rammentandogli ch’oramai il dubbio, il dolore disperato del Leopardi, il ghigno dello Heine han fatto il lor tempo: la profonda, la nuova poesia della vita non consiste nel disquilibrio delle facoltà umane, nè tutta nella carne, nè tutta nello spirito, ma in un contemperarsi serenissimo d’ambidue. L’uomo moderno non maledice, non irride la natura; è già conciliato con essa: e quest’inno diconciliazione può forse essere l’ultima espressione della forma poetica, che muore come forma per vivere immortale come sentimento.
La forma poetica e il sentimento poetico son tutt’uno soltanto nei giorni in cui l’Arte è una realtà vivente non una storia; ma ormai siamo a questo punto. Il Fontana lo ha cantato quasi piangendo.
Queste considerazioni avrebbero risparmiato a parecchi critici molte ciancie sulle poesie dello Stecchetti (il dottor Guerrini mi sembra condannato a perdere letterariamente il suo vero cognome) e avrebbero fatto dare un più giusto giudizio del loro valore.
Il contenuto poetico dello Stecchetti non è una novità . Può crederlo tale chi ignora la storia del sentimento poetico di questi ultimi cinquant’anni. Il vero pregio sta nella forma.
La forma, in mano di lui, è di una docilità , di una compiacenza ammirabili. Il concetto si presenta nettissimo, colla limpida trasparenza del più puro cristallo. Il poeta dice tutto quello che vuol dire, e proprio nient’altro di ciò che vuol dire. Non vi domanda la vostra collaborazione, ha lavorato per voi: non vuol che voi facciate coll’opera sua ciò che egli ha fatto colla realtà , che sentiate quasi personalmente e che egli vi serva come pretesto di una interpretazione subbiettiva, no. A lui piace piuttosto d’imporvi il suo preciso e determinato sentimento. Egli non tollera che, leggendo, vi sentiate un solo istante voi; vuole, al contrario, che vi assorbiatetutto in lui, e che la sua personalità vi apparisca scultoriamente trionfante.
La forma dello Stecchetti somiglia un getto in bronzo o in oro. L’autore avrà certamente mutato e rimutato il suo modellino in creta; quella facilità , quella sobrietà , quell’unito, quella precisione di particolari gli saranno costati un lavoro diabolico. Egli potrebbe farci la storia delle sue esitazioni, dei suoi pentimenti, dei suoi dubbî, delle sue disperazioni prima che la linea, il movimento intraveduti e ricercati trovassero l’espressione perfettamente adeguata. Ma noi non vediamo qui nulla che ci rammenti il modellino in creta. Vediamo il gioiello fuso, un getto stupendamente riuscito: non ci resta altro che guardare e ammirare.
Se c’è qualcosa che si scorga, forse, è appunto l’eccessiva cura d’imprimere a queste piccole opere d’arte che formano il volumetto dellePostumauna personalità troppo esclusiva. A furia di voler apparir lui, proprio lui, il poeta ha ristretto il campo dei suoi sentimenti. Sembra si sia imposto un severo lavoro di scarto per tutto ciò che avrebbe potuto in qualche modo riguardar gli altri e accomunarli ad esso. Si nota infatti, come impronta generale di queste brevi poesie, una tal quale aridità , anche quando l’artista vorrebbe dar a vedere che l’affetto sgorga abbondante e che la passione trabocca sfrenata. Ma, si badi bene, è un’aridità voluta, cercata per amore di uscire dal comune e dal trito; un’aridità che fa spesso sospettare come sottola perfetta sincerità della forma non si celi un’uguale sincerità di sentimento.
Questo può darsi avvenga perchè molti componimenti debbono essere stati fatti dal Guerrini a fine di meglio colorir la finzione d’un poeta morto a trent’anni, il suo Lorenzo Stecchetti. Il morto allora serve di ragionevole scusa pel vivo. Però talvolta ci tocca di ringraziare di vero cuore il finto morto se gli riescì d’ispirare delle cose belle e gentili come questo componimentino di otto versi:
Quando cadran le foglie e tu verraiA cercar la mia croce in camposanto,In un cantuccio la ritroveraiE molti fior le saran nati accanto.Cògli allor tu pe’ tuoi biondi capelliI fiori nati dal mio cor: son quelliI canti che pensai ma che non scrissi,Le parole d’amor che non ti dissi.
Quando cadran le foglie e tu verraiA cercar la mia croce in camposanto,In un cantuccio la ritroveraiE molti fior le saran nati accanto.Cògli allor tu pe’ tuoi biondi capelliI fiori nati dal mio cor: son quelliI canti che pensai ma che non scrissi,Le parole d’amor che non ti dissi.
Quando cadran le foglie e tu verrai
A cercar la mia croce in camposanto,
In un cantuccio la ritroverai
E molti fior le saran nati accanto.
Cògli allor tu pe’ tuoi biondi capelli
I fiori nati dal mio cor: son quelli
I canti che pensai ma che non scrissi,
Le parole d’amor che non ti dissi.
Il lettore troverà altri gioielli di simil genere e se li sentirà subito fissati nella memoria per non dimenticarli più.
Alla domanda: quale di questi due ingegni poetici io preferisca, mi troverei imbarazzato. Se il Fontana raggiungesse la precisione e l’eleganza della forma dello Stecchetti, la mia scelta non sarebbe dubbia; egli mi fa sentire erêverdi più. Ma, oh la potenza e le seduzioni della forma! Decisamente, l’Arte non è altro che la Forma.
25 Luglio 1877.