GOETHE E DIDEROT[15]

GOETHE E DIDEROT[15]

Quando il Barbey d’Aurevilly scriveva i suoi articoli intorno al Goethe e al Diderot, dovea essere proprio sublime in quel suo piccolo appartamento di vecchio celibe, colla sua veste da camera tutta orlata di trine come quella di una marchesade l’ancien régime, col viso dipinto e i baffi incerati ad ago! Dovea esser sublime quando, stretto nel suo solito busto a stecche di balena (egli porta dei busti per far meglio spiccare la sveltezza della sua vita e un po’, forse, per reggersi diritto) quandocol soprabito della foggia di trent’anni fa, abbottonato fin sotto il mento, coll’immensa tuba dalle falde rovesciate in su e un pochino inclinata con aria spaccona sull’orecchio, la mazzettina dal pomo dorato palleggiata fra le mani, scendeva dalla sua casa per le vie di Parigi, caldo ancora dell’entusiasmo del suo lavoro, dando occhiate di compassione ai grossolani borghesi che si fermavano a guardarlo. —Gare à l’iconoclaste!Ho atterrato due colossi! — Doveva aver l’aria di gridare così.

Il suo volume infatti porta l’epigrafe:Iconoclaste.

Quel che piace in questo vecchio brontolone è la franchezza, e stavo per dire l’impertinenza delle sue opinioni. Lo scritto sembra stampato con inchiostro color di bile. La nervosità accidentata dello stile mette sotto occhio con evidenza, più che un temperamento, una figura. È impossibile non imaginarsi un personaggio secco, lungo, bruno, qualcosa tra il Mefistofele, il don Basilio e un marchese del secolo scorso. È impossibile non sentire una voce un po’ roca, che parli a scossettine, sprezzosamente, fra un colpetto di tosse e l’altro, con delle piccole pauseche significano: — Eh? eh? Li concio bene questi signori?

Lui crede sinceramente di far un atto di coraggio dicendo quelle che gli sembrano delle novità, delle vere scoperte. S’è arrampicato sul piedistallo delle statue colossali del Goethe e del Diderot, ha dato un colpo qua, un colpo là, ha fatto volar per aria qualche piccola scheggia di granito, ha fatto della polvere che gli è andata negli occhi, e per questo s’imagina che le statue debbano essere cadute giù, giacchè lui più non le veda.

Ah! quel Goethe egli lo ha addirittura sullo stomaco.Quell’immensa personalità che riempie fino agli orli il secolo XIX e chiude tutti gli orizzonti del pensiero moderno(pag. III), lo secca, lo irrita per la suainsupportable ubiquité! A lui francese, romantico e cattolico, Goethe deve naturalmente riuscireinsupportable. Romantico, il naturalismo del poeta tedesco offende le sue vaporose idealità e lo lascia freddo e disgustato; cattolico, il panteismo indiano, più che spinoziano, dal quale è animata ogni creazione letteraria ed anche la vita stessa del Goethe rivolta la sua fiera intolleranza di credente e di fanatico; francese, la gloria di Goethe gli ha l’aria d’unainvasione artistica e intellettuale che ha precesso e prodotto l’invasione tedesca del settanta, e il suochauvinismenon può ingojarla. I lavori del Faivre sulle opere scientifiche del Goethe, del Caro sullaFilosofia del Goethe, del Mézieres sulla vita e le opere letterarie del Goethe per poco non gli paion delitti di leso patriottismo. Se c’è qualcosa che lo consoli è il pensiero che infine il Goethe non sia altro che un figlio mal riuscito del Diderot. E così, dopo aver dato botte da orbo al figlio, va addosso al padre con tutta la sua rabbia di sagrestano. Giacchè col Diderot ce l’abbia anche perchè è il redattore dell’Enciclopedia, il filosofo materialista, il nemico della religione, l’ateo e (cosa che dalla parte di Barbey d’Aurevilly sorprende molto) il romanziere sudicio dellaReligieusee deiBijoux indiscrets. Barbey d’Aunevilly ha dimenticatoLes Diaboliques, che la sua penna cattolica scrisse senza nessuna scusa, nemmeno quella dell’arte!

Ho detto ch’egli creda sinceramente far atto di coraggio. Ma le novità, buttate fuori con la vivace intonazione d’un oracolo, sono già vecchie da un pezzo, e le sue grandi scoperte non sono niente affatto delle scoperte. Egliha veduto ammassare una catasta di volumi colle due edizioni delle opere complete del Goethe tradotte dal Porchart e delle opere complete del Diderot raccolte dall’Azzerat; si è messo in testa che il pubblico, che gli ammiratori dei due grandi uomini confondano tutte le opere loro nella medesima ammirazione; ilFaustoeClavijo;Werthere ilDivano; i drammi sentimentaliLe père de famille, Le Fils natureleLe Neveu de Rameau;Les Bijoux indiscrets, l’Essai sur le beaue la storia di Madame la Pommeray nelJacques le fatalistee iSalons; ed eccolo a combattere dei fantasmi, come il pazzo Don Chisciotte, a sventrare degli otri e delle vesciche che ha prima compiacentemente gonfiati.

Edmondo Scherer è l’opposto di lui, d’ingegno, di carattere, di convinzioni religiose. Ha gusto squisito, raffinato e una coltura profonda. Dal protestantismo è passato a uno stato di scetticismo scientifico che dà ai suoi giudizii l’impronta d’una serenità elevata, di un’imparzialità severa. Ebbene; le conchiusioni letterarie dello studio dello Scherer sul Diderot differiscono in poco, quasi in nulla da quelle del Barbey d’Aurevilly. Solamente quando si termina di leggere lo studio delBarbey d’Aurevilly si prova una specie di picca che fa rivoltare il nostro spirito: l’esagerazione vi nuoce alla verità; la passione e i secondi fini ci fan diffidare, anche quando siam sicuri della giustizia d’un apprezzamento. Ci riman l’impressione d’una superchieria voluta esercitare sopra di noi; ci riman l’impressione indistinta o d’una canzonatura o d’una ciarlataneria cercata di nascondere col luccichio delle pagliuzze di similoro della forma. Invece, terminato di leggere lo studio dello Scherer, la figura del Diderot resta impressa negli occhi come nel somigliantissimo ritratto del Garand, del quale il Diderot diceva doversi esclamare:ecco il vero Pulcinella!

Lo Scherer non è indulgente. Come carattere, egli ammira poco Diderot. Non sa perdonargli il gusto per le cose sconce. «Da un lato emozioni generose e qualche volta elevate, dall’altra un’immaginazione sudicia che non è un semplice difetto dello spirito, come si vorrebbe far credere, ma una prova di depravazione, incompatibile affatto col pudore, colla dignità personale, colla elevatezza morale. In Diderot ci sono due sorgenti ugualmente facili a sgorgare, una di sensibilitàamabile e di onesti sentimenti, l’altra di discorsi grossolani ed infetti.»

Letterariamente il suo giudizio non è meno severo. «Diderot, più che un artista è un improvvisatore. Ha tutti i doni dell’improvvisazione: la facilità, l’abbondanza, il calore; presa la penna in mano, le idee e i vocaboli gli s’affollano nella mente: tutto l’esser suo n’è commosso, e l’emozione lo rende eloquente. Per compenso, egli non compone mai. Non si preoccupa di transizioni, nè di gradazioni. Non sente il bisogno della perfezione. Per questo interessa più che non diletti.»

Egli conchiude col dire che sul conto del Diderot ci saranno sempre dei pareri discordi. I lettori che amano le cose forti non saranno urtati dai suoi difetti; gli uomini di gusto non potranno ammirare completamente un uomo che ne aveva così poco. Ma oggi Diderot guadagna terreno. La raffinatezza ha ceduto il posto all’amore per le cose violenti: la scienza degli effetti che si frena e sa dissimularsi fa largo alla forza che sfoggia, che s’agita e si prodiga.

Il Barbey d’Aurevilly dice la stessa cosa, a modo suo. Diderot fu uno spirito senza unità, senza solidità, senza consistenza, senzanessuna delle qualità primordiali e sacre del genio. Fu un gran cervello anarchico, ed ebbe le due anarchie, quella del cervello e quella del cuore. Non filosofo, non critico, non drammaturgo, a che si riduce l’immenso Diderot che pareva un Creso del pensiero? A un novelliere di ristrette proporzioni.Rien que cela sous l’enjolivement des phrases, mais rien que cela!

Il Barbey d’Aurevilly, come francese, ha rabbia che il Goethe sia, più assai che il Diderot, l’idolo e l’ideale del secolo XIX... «La salamandra che si chiamava Diderot e che viveva nel fuoco dello spirito, nel fuoco del cuore, nel fuoco dei sensi, nel fuoco dello entusiasmo, nel fuoco dell’allegria, nel fuoco delle lagrime, in tutti i fuochi che l’uomo, di essenza immortale, può accendere sulla terra colla fiaccola sublime delle sue facoltà, vi si è consumato... E Goethe, questa gelatina coagulata, vive sempre!» È il tono di tutto il libro.

A me pare che lo Scherer abbia torto nell’attribuire la voga che riguarda il Diderot ad una ragione molto secondaria: il gusto prevalente per le cose violenti. L’unica ragione per cui il Diderot guadagna terreno, e neguadagnerà sempre più, è il suo pregio principale: la sincera e forte impronta della propria personalità lasciata in tutte le sue opere. Il segreto della simpatia ch’egli ispira è tutto in quelle poche righe di uno dei suoiSalons. «È per me e pei miei amici che io leggo, rifletto, scrivo, medito, intendo, guardo e sento. Nella loro assenza, il mio affetto riferisce tutto ad essi. Io penso incessantemente alla loro felicità. Una bella linea mi colpisce? Lo sapranno. Incontro un bel tratto? Ne saranno messi a parte. Ho sotto gli occhi uno spettacolo incantevole? Senza avvedermene, io ne medito la descrizione per loro. Io ho loro consacrato l’uso di tutti i miei sensi, di tutte le mie facoltà, ed è forse questa la ragione per cui tutto si esagera, tutto si arricchisce un po’ nella mia immaginazione e nei miei discorsi: ed essi qualche volta me ne fanno rimprovero, gl’ingrati!» Diderot infatti non fa altro che discorrere, anche quando non fa altro che scrivere e scrivere. I diversi soggetti che gli vengon sotto la penna sono un seguito di digressioni, come quando gli accadeva di parlare per delle ore intiere, saltando da un argomento all’altro, picchiando sulle cosce dei suoi ascoltatori come sullasponda d’una tribuna, non si frenando in nulla durante il focoso monologo, interminabile eruzione di sentimenti e di idee.

In Diderot noi riconosciamo subito un vero uomo moderno con tutto l’impaccio e tutta la franchezza del borghese, ed anche con tutta la grossolanità. Ogni pagina dei suoi scritti contiene una schietta confessione. Qua la sua ghiottoneria, lì la sua distrazione, altrove la sua timidità e la sua sensibilità. A proposito della quale una volta disse: «Affermando che la sensibilità è la caratteristica della bontà dell’animo e della mediocrità del genio, ho fatto una confessione che non è punto ordinaria, perchè se la Natura ha creato un’anima sensibile, questa è la mia.» Tutto quello che lui scrive esce dal fondo del suo essere, come tutto quello che lui fa. Una lettera a madamigella Volland, scritta a quarantasette anni, una vera lettera di fuoco, trova riscontro nel suo entusiasmo alla vista del Grimm tornato dopo un viaggio di otto mesi, nella gioia provata alla terza rappresentazione delPhilosophe sans le savoirdi Sedaine, una gioia, che fece esclamare il freddo Sedaine:Ah! monsieur Diderot, que vous êtes beau!

E la sincerità del sentimento, giusto o esageratoche sia, ci alletta ancora più per la sincerità della forma. Diderot non ha pudore; ama i racconti grassi, ci si diverte; e neppure in questo caso vien meno alla sua formola letteraria che par quella d’Otello: esprimi la peggiore idea colla peggiore parola. Or che c’importa che le sue qualità di scrittoresiano tutte di slancio, d’entusiasmo, d’esaltazione?(Scherer) Che una complessione di questo genere escluda le qualità critiche dello spiritoet predispose celui qui la posséde à l’engouement?Che c’importa che quest’uomo non rispetti tanto la donna da lui amata da risparmiarle i discorsi equivoci e gli aneddoti rivoltanti? Noi troviamo un uomo in tutta la sua vasta opera (venti grossi volumi) e questo, oggi, ci fa assai più piacere che il trovarvi un semplice scrittore, nel senso comunemente dato a questa parola.

Per la stessa ragione il Goethe domina colla sua grandiosa persona il movimento letterario moderno che lo riconosce suo capo. Heine ha detto:Volendo avere il proprio ritratto, la Natura creò Goethe. Egli è lo specchio della Natura.

Però nel Goethe la sincerità ha trovato il freno dell’arte. Non abbiamo più l’improvvisatorema lo scrittore dalla forma perfetta. E questo spiega perchè la sua influenza sia assai maggiore di quella di Diderot. Barbey d’Aurevilly lo constata con dolore e con commiserazione. «Realisti d’ieri e Naturalisti d’oggi, tutti procedono, più o meno, da Goethe; la sua teoria dell’arte per l’arteessendo riuscita, per gli spiriti grossolani ma conseguenti, alla teorica dellanatura per la naturache in fondo è assolutamente la stessa cosa!....»

Il fatto è che oggi non cerchiamo più nell’opera d’arte una rappresentazione sbiadita, fredda, pulita, ma l’uomo ed intiero, buono e cattivo, spirito e bestia. E quando dalle pagine dello scrittore questa sensazione, questo sentimento umano vengon fuori prepotenti in guisa da metterci in contatto col profondo organismo dell’essere vivo e pensante, non cerchiamo altro e battiamo le mani; le nostre simpatie sono per lui. Diderot, Goethe; ecco due caratteri opposti, due nature diverse, due temperamenti che s’elidono. Ma tanto l’uno che l’altro ci si son dati intieramente, cuore e spirito, senza riserva veruna; la loro potenza, il segreto della loro influenza è tutto lì. E lasciamo dire al rabbioso Barbey d’Aurevillyche Goethe sia un figlio mal riuscito di Diderot. In quelvague sur les hommes et sur les chosesch’egli vede in Goethe, c’è qualcosa di più elevato e dirò anche di più reale che nella semplice sensazione del Diderot. Questi ha detto bene:la sensibilità è la caratteristica della mediocrità del genio. Il nostro vecchio celibe, romantico e cattolico, ricorda l’addio del Goethe alla bella milanese in Roma, e si sdegna perchè questi seppe contenersi, vincersi e partire.Portò via quel sentimento come uno stucco di più. Ah! plâtre toi-même je te casserai!... egli esclama; e non capisce che dice una sciocchezza di più.


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