PROMETEO NELLA POESIA[21]

PROMETEO NELLA POESIA[21]

Arturo Graf è nato da padre tedesco e da madre italiana, in Italia. Biondo, pallido, il suo aspetto mostra le due origini fuse insieme, forse con un che di prevalenza paterna; così anche il suo ingegno. È critico, erudito e poeta non dei volgari. Nei suoi versi la profondità del sentimento, la mobilità dell’immaginazione, la tristezza ora piena di virilità, ora piena di delicatezza nervosa e femminile, che scaturiscono evidentemente da fonte tedesca, si rivelano in una forma semplice,schietta e nello stesso tempo, lavorata con accuratezza d’artista meridionale pel quale la forma suol ridursi a tutto. La sua poesia potrebbe dirsi (se non sembrasse contraddizione) un sentimento pensato. Il sentimento v’è rimuginato, scrutato con insistenza, con compiacenza d’uomo del settentrione. Coscienza irrequieta, fantasia piena di ombre e di terrori, il mistero della vita lo attira, come la profondità d’un abisso, ma gl’ispira anche ripugnanze e paure invincibili. Anela a riconciliarsi col mondo, colla natura, con sè stesso; però la sua riflessione non sa svincolarsi affatto dalle strette del sentimento, e scoppia in un grido angoscioso. Sembra un uomo che senta soffocarsi in un ambiente ristretto e viziato. Dell’aria! Dell’ideale! Un po’ di cielo fra queste miserie della terra! È il grido dell’autore diMedusae delPrometeo nella poesia.

Il Graf adopera nella critica le stessissime facoltà con le quali ci si rivela poeta. Il soggetto lo prende tutto; mente e cuore. La ricerca erudita non impedisce al suo sentimento di commuoversi, d’esaltarsi; anzi se la ricerca erudita ha per lui una ragione,questa trovasi appunto nelle relazioni d’essa col sentimento.

La poesia sgorga tanto abbondante da un tema il quale, a prima vista, pareva dovesse unicamente ridursi a delle idee nude e severe, che la riflessione n’è sopraffatta. Il critico si tira indietro per lasciar libero al poeta l’entusiastico sfogo delle sue apocalittiche aspirazioni.

Egli non ne fa mistero. «Scrivendo le pagine (Prometeo nella poesia) ch’io presento al lettore, molti giorni passai pieni di varie, indimenticabili emozioni. Sentiva nell’anima un’espansione salutare, un calore benefico quale d’una giornata di primavera, e mi pareva che qualche cosa inverdisse dentro di me. Inorgoglivo di raccogliere nel mio pensiero la coscienza dei secoli significata nel mirabile simbolo, e più portentosa mi pareva la virtù di quell’antico genio ellenico che impresse in tutte le sue creazioni il carattere dell’immortalità (pag. X.)»

Il Graf aggiunge che il suo lavoro èquale egli lo vollee chiedech’altri non vi cerchi ciò ch’egli non ha voluto metterci. È nel suo diritto d’autore.

Però anche quando un libro riesce proprioquello che l’autore si proponeva di farlo, non è vietato di manifestare ch’esso poteva esser tentato con intendimenti diversi. Lo studio del Graf è tutto esteriore. Prende la titanica figura di Prometeo sin dalla sua prima incerta apparizione nei canti d’Esiodo e l’accompagna a traverso quasi tutti gliavatariper i quali è passata nei tempi antichi e moderni. Eschilo, Accio, Calderon, Voltaire, Goethe, Bürger, Monti, Schlegel, Herder, Byron, Shelley, Quinet, Lipiner, Longfellow, Schuré hanno ora drammatizzato, ora cantato epicamente o liricamente il mito del rapitore del fuoco celeste, trasformandolo, ed anche sformandolo secondo le loro idee particolari e le influenze dei luoghi e dei tempi. Il sublime dramma jeratico d’Eschilo diventa una commedia di cappa e spada tra le mani del canonico spagnuolo; l’espressione d’un punto psicologico della propria personalità nell’abozzo del Goethe; un esercizio rettorico nel poemetto del Monti; una fantasmagoria panteistico-umanitaria nello Shelley, nel Quinet, nel Lipiner. Il Graf pesa esattamente e apprezza con sagacia ciascuna di queste apparizioni anche dal punto di vista dell’arte, ma non v’insiste sopra; non si cura d’approfondirese, dopo tutto quello che gli è passato sotto gli occhi, la figura di Prometeo abbia pel presente o possa avere per l’avvenire un vero valore poetico. Su questo punto la sua critica rimane poesia, cioè sentimento indeterminato. Lui è anticipatamente persuaso che la grande figura del titano nonè morta e non deve morire; e questovuol ricordare ai molti che al pari di lui sentono la gravezza dei tempi e non sanno onde chieder speranza e conforto.

Se qualcosa egli ritrae dalla storia delle evoluzioni poetiche di Prometeo, è il desiderio di vederlo ricomparire nella poesia in modo luminoso e più degno dell’arte e dell’immensità del soggetto. In quest’ultimi tempi lo Shelley, il Quinet, il Lipiner l’hanno rivendicato. Il titano antagonista di Giove, il gran martire del Caucaso non solo ha ripreso nei drammi dei due primi e nel poema del terzo il suo primitivo significato, ma si è arricchito di tutti gli svolgimenti del pensiero moderno, s’è affermato con maggiore coscienza. Mentre nello Shelley Demogorgone chiude il ditirambo panteistico della liberazione con queste parole: «Soffrire angoscie che l’opinione reputa eterne; perdonare affrontineri più della notte e della morte; sfidare potestà che paiono onnipotenti, amare e sopportare, sperare insino a che la speranza crei nella propria ruina le cose da lei contemplate; non mutare, non vacillare, non pentirsi: essere tale, o titano, quale tu ti glorii d’essere, vuol dire essere buono e grande e giocondo, e bello e libero; in tali virtù soltanto è vita, gioia, impero e vittoria;» (pag. 136) — mentre il Prometeo del Quinet si mostra dubbioso della propria vittoria e dell’avvenire innanzi alla morte degli Dei suoi nemici, ed esclama: «Quante fronti divine che sfidavano la tempesta ho visto impallidire e morire innanzi tempo! E se domani venisse a piombare l’avvoltoio sui vostri sepolcri d’oro, nei vostri cieli sazii d’amore!» ecco che l’idea moderna riprende il sopravvento e zampilla audace e vigorosa nel poema del Lipiner: «Ah! non intendete voi? Colui dinanzi al quale dovete piegare le ginocchia, siete voi stessi!... Colui che picchia, colui che chiama nel vostro petto, che con alti clamori stende, allarga l’anime vostre, lo udite voi? Egli chiama, l’eroe degli eroi, egli chiama, lo spirito degli spiriti; e non da un trono d’oro dic’egli: Tu! ma dalfondo del travagliato petto, esclama: «Io!» Non si può andare più oltre. Qui Prometeo si è liberato perfino della propria personalità, s’è riconosciuto come Assoluto, e dice: il mondo, l’uomo, l’universo, la divinità tutto è lo spirito umano: non c’è altro che l’Io.

Se fosse il caso di poter fare una storia del mito di Prometeo, si dovrebbe dire che il Lipiner ne ha chiuso per sempre l’evoluzione. Prometeo aveva già perduto consistenza e rilievo (lo confessa anche il Graf) nel dramma inglese; vi si cercavano già indarnoi lineamenti perspicui e le membra marmoree del titano eschileo. Nel poema del Lipiner l’annullamento della personalità di Prometeo non è soltanto un concetto generale ma una realtà poetica. Prometeo s’immerge volenteroso entro l’eterno fuoco purificatore, e si perde e s’annulla immedesimandosi nell’infinito. Ho detto:se fosse il caso di poter fare una storia del mito di Prometeoperchè tutte queste fantasie e rabeschi e fioriture e accomodamenti moderni non hanno nulla che vedere coll’organismo del mito primitivo. Se il Graf si fosse un pochino fermato su questo punto, non si sarebbe illuso fino a credere che spetti alla poesia dicercare le nuovefedi che allarghino, integrino il sentimento dell’umanità, e non avrebbe scritto: «gl’è tempo di por mano all’opera, perchè la ruina c’incalza e le generazioni languiscono nella crescente miseria. La poesia salga le cime, compia l’ufficio suo di vendetta, raccolga i segni, e, se le vien fatto di scorgerlo, annunzii il nuovo Prometeo.» Parole che sorprendono dopo le sennate osservazioni da lui fatte a pag. 7 sulla prevalenza della piccola lirica individuale nei tempi moderni e sulle ragioni che la producono.

Infatti la convinzione che scaturisce da tutte le pagine del lavoro del Graf è precisamente l’opposta di quella che lui vorrebbe. E questo avviene per un equivoco. Lui scambia perun rifiorire del poetico mitodi Prometeo il risvegliarsi del sentimento umano che s’adombrava nel mito; e non bada che Prometeo, rinascendo oggi come sentimento della piena libertà umana, non rinasce egualmente come forma, come personalità poetica. Il mito s’incarna per la prima ed ultima volta nel dramma jeratico d’Eschilo. Lì Prometeo, innanzi tutto, è una persona vivente, una creatura di carne e di ossa. Il concetto filosofico, jeratico, o antjeratico come è più probabile,resta in seconda linea e non serve ad offuscarci la realtà.

Il suo linguaggio è umano e va diritto al nostro cuore: è un lamento pieno di dignità e di fierezza.

Già tutto io sapeva, e peccar volliVolli, nol niego; a me stesso tormentiIo procacciai per dar soccorso all’uomo.

Già tutto io sapeva, e peccar volliVolli, nol niego; a me stesso tormentiIo procacciai per dar soccorso all’uomo.

Già tutto io sapeva, e peccar volli

Volli, nol niego; a me stesso tormenti

Io procacciai per dar soccorso all’uomo.

A Mercurio dice:

Io t’assicuroNon cangerei la mia misera sorteCon la tua servitù. Meglio d’assaiLo star qui ligio a questa rupe io stimoChe fedel messaggiero esser di Giove.

Io t’assicuroNon cangerei la mia misera sorteCon la tua servitù. Meglio d’assaiLo star qui ligio a questa rupe io stimoChe fedel messaggiero esser di Giove.

Io t’assicuro

Non cangerei la mia misera sorte

Con la tua servitù. Meglio d’assai

Lo star qui ligio a questa rupe io stimo

Che fedel messaggiero esser di Giove.

E quando tutto crolla attorno a lui per l’alta vendetta del Tonante, il suo grido non è altro che una nobile protesta innanzi alla madre Temi ed all’Etere generatore di ogni cosa.

O veneranda madre,Oh etere, che tutto irradii il mondo,Vedete pur quanta ingiustizia io soffro!

O veneranda madre,Oh etere, che tutto irradii il mondo,Vedete pur quanta ingiustizia io soffro!

O veneranda madre,

Oh etere, che tutto irradii il mondo,

Vedete pur quanta ingiustizia io soffro!

Solidi, viventi al pari di lui sono i personaggi che lo circondano: perfino le personificazioni della Forza e del Potere non rimangonodelle pure astrazioni; e l’opera d’arte si concretizza, s’organizza con tutto il vigore e il forte rigoglio della vita. Il concetto resta ecclissato, apparentemente: ma infine ci guadagna anch’esso in così grande potenza di creazione. Si può dire ch’esso risulti tanto più efficace quanto più vi perda del suo carattere astratto prendendo forma materiale e vivente. La concentrazione della virtù creativa è così meravigliosa da sembrare a prima vista che il poeta non abbia avuto altra intenzione: e può darsi che il Patin sia nel torto assai meno di quello che il Graf non creda, quando dice:l’espressione ed eloquente pittura della passione essere stata la sola verità della quale, senza dubbio, più premesse al poeta. Questo non significa tradire il còmpito della critica, nè sconoscere la natura del genio (pag. 37): significa affermare che nella vera creazione poetica la forma acquista, per l’intima legge della sua natura, un’importanza assoluta: e che il concetto astratto, se ha un valore per sè stesso fuor del mondo dell’arte, qui non può affatto assumerne uno se non come forma, come creazione vivente, come realtà poetica indipendente, libera alpari di qualunque altra creatura naturale o persona cosciente.

Ecco la condizionesine qua nondell’immortalità artistica. Eschilo vi s’è sottomesso: perciò il suo titano ha attraversato i secoli sublime di fierezza e d’ardimento, e i secoli si sono riconosciuti in lui, sentendovi gli stessi palpiti della loro vita, gli stessi fremiti del loro cuore, le stesse aspirazioni del loro spirito. Di tutti i Prometei venuti al mondo soltanto questo è immortale, perchè soltanto questo ha saputo essere una vera opera di arte, e nient’altro; e soltanto questo ci lascia nell’animo una profonda impressione che ci solleva, c’infonde coraggio e dignità e ci rende veramente uomini, quantunque non mostri aperta intenzione di voler raggiungere tale scopo.

Nei tentativi moderni, invece, il concetto astratto rompe le dighe della forma, si leva la maschera, o meglio si degna prenderne una, tanto per dar negli occhi; ma è fatica sprecata. Certamente nello Shelley, nel Quinet, nel Lipiner si trova un’idea più chiara, una coscienza più compiuta dello spirito dell’umanità e delle sue evoluzioni nella storia; ma trattandosi di opere d’arte ce n’importaben poco. Tutte queste informi manifestazioni poetiche rimangono infatti come non avvenute. Troppo è palese in esse l’assurdità del processo con cui sono state prodotte. I loro personaggi sono vuote personificazioni, non persone; lo svolgimento dell’azione non è un movimento libero e appassionato, ma un adattamento sillogistico, arbitrario, incoerente, che spesso, per sua intima tendenza, prende la forma lirica anzi declamatoria. Intanto il Prometeo d’Eschilo, colla grande indeterminatezza del sentimento proveniente dalla perfetta determinatezza della sua forma, ci dice ancora assai più che questi suoi discendenti colla loro opposta indeterminatezza di forme e la schietta e limpida manifestazione del loro concetto. Molto è mutato da Eschilo in poi. Il Dio moderno non è più il Giove Greco. La lotta di Prometeo con questo è drammatica: Giove, anche lui, ha una personalità, potrei dire, umana. Ma quando, come nei lavori del Quinet e del Lipiner, vediamo apparire accanto a quella di Prometeo la figura di Cristo, proviamo un turbamento inevitabile: comprendiamo subito che Giove sia una parola, un vecchio concetto: e il moderno concetto di Dio non avendo nulladi comune con Prometeo, spande il freddo della sua astrattezza sulla pretesa nuova esplicazione del mito e vi rende impossibile ogni germoglio vitale.

C’è un lampo d’istinto poetico nel tentativo che il Graf esamina nelle ultime pagine del suo scritto, quello cioè di scambiare Prometeo con Satana o Lucifero, persone almeno omogenei al Dio moderno, e realtà poetiche ancora viventi, mentre Prometeo e il suo mondo son già rilegati soltanto nel regno dell’arte. Ma si sa che lo scambio sia stato uno sforzo inutile. Il Satana del Carducci, il Lucifero del Rapisardi non son riusciti a violare le leggi della Natura poetica, e son rimasti delle astrettezze; nulla di più.

Agl’ibridi sentimenti prodotti dai tentativi dello Shelley, del Quinet, nel Lipiner è preferibile quello che scaturisce dalle pagine di questo studio del Graf, un sentimento sincero, senza pretesa di forme poetiche.

«L’uomo non ha salute ormai che nella umanità, chi non crede nei destini dell’umanità, che sono i suoi propri, a che vive? Dalla storia del genere umano ha da venir fuori il pensiero della religione novella.» Il suo credo, la sua speranza, il suo ideale poeticoè tutto racchiuso in queste poche parole che fanno onore al suo cuore. E si capisce facilmente come dalla contemplazione delle varie trasformazioni del mito di Prometeo si sia sentito venir fuoririnvigorito e migliore.


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