GIACOMO LEOPARDI(ilPESSIMISMOnella letteratura)
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È
È assai notevole un fatto. In Germania, ove la concezione speculativa del mondo e della vita umana volge sempre più al fosco, ove in una parola la scienza è pessimista, la letteratura dal canto suo tende invece a giustificare, ad abbellire e glorificare l'esistenza. Nè crediate che si tratti di due correnti in urto fra di loro. No; questo fenomeno (e ciò forma l'aspetto suo più singolare) cammina invece per impulso dello stesso pessimismo scientifico.
Già Arturo Schopenhauer, il patriarca tedesco della nuova scuola, aveva consideratol'arte come una potenza o, se meglio vi piace, come una funzione essenzialmente benefica, quantunque transitoria. Tra la volontà inconscia che fabbrica la tela della vita e la coscienza illuminata e delusa che si accorge del malvagio lavoro, l'arte si pone di mezzo colle sue creazioni piacevoli e i suoi fantasmi consolatori. Egli per conseguenza la considera come «un affranchissement, une libération momentanée du joug de la volonté», come una anticipazione parziale e benefica dell'ultima liberazione nirvanica. Però lo Schopenhauer consiglia un'arte sana, serena, alimentatrice in noi di un alto ed armonico sentimento della vita; consiglia i poeti greci, le madonne di Raffaello, la musica di Rossini e di Beethoven. È press'a poco lo stesso criterio che ebbe il Goethe senza i preconcetti metafisici di quel «buddista indiano smarrito in occidente», come lo chiama uno dei suoi biografi.
Gli scolari e i continuatori dello Schopenhauertengono fede alle sue idee anche in questo argomento. Federico Strauss, che nell'ultimo suo volume (L'antica e la nuova fede), s'accosta a parecchie conchiusioni del pessimismo filosofico, considera anch'esso l'arte come «un olio lenitivo», stillato entro il fatale e ferreo meccanismo della vita, onde l'uomo s'acconci meno scontento e più rassegnato alle sue cieche leggi. L'Hartman poi, dopo avere considerato l'arte come «un raggio di sole amico entro la notte dei contrasti e dei dolori e che avvalora tutta quanta la vita dell'uomo,» si slancia con parole piene di sprezzo e d'ironia contro le piccinerie artistiche autorizzate dalla voga passeggiera e contro le puerili soddisfazioni del dilettantismo, alle quali contrappone le gioie contese ai volgari spiriti, difficili a tutti, ma infinitamente preferibili, dell'arte pura e grande.
Ai filosofi consentono poeti e romanzieri. Se avessi voglia d'allargare il mio argomento, potrei aggiungere consentono gli artisti tutti: eper le arti del disegno mi basterebbe citare le opere più celebrate che gli artisti tedeschi hanno mandato alle esposizioni di Vienna e di Parigi; per la musica mi basterebbe commentare quelle memorabili parole di Beethoven: «quiconque la comprend (ma musique) devient libre de toutes les misères qui les autres hommes traînent à leur suite» parole che sembrano un'eco profonda dell'Etica schopenauriana.
Ma fermiamoci per adesso alla letteratura. Dal Goethe, dal Wieland, dal Platen, per non ricordare che i maggiori, essa ha derivato uno spirito di profonda serenità la quale non valsero ad alterare o distruggere nè certe esuberanze melanconiche dello Schiller[35]e del Lenau, nè il fatalismo pauroso del Werner o le cupezze romantiche del Tieck o le micidiali ironie di Enrico Heine.
La poesia tedesca, per chi la intenda ne' suoi accordi fondamentali, suona come un grande inno alla vita, alla umanità ed alle sue speranze. IlFaust, edificio sacro entro il quale non so perchè andiamo sempre a cercare di preferenza gli anditi bui, i lazzi di Mefistofele e gli egoismi crudeli di quel vecchio alchimista rimpasticciato, ilFaust, dico, se si consideri nel suo disegno intero, appare un grande monumento eretto dal genio sovrano della Germania ad un glorioso ideale della vita umana. Così e non altrimenti lo ha concepito e voluto il suo architetto. Anche Volfango Goethe in giovinezza piegò il suo ingegno sano e di tempra antica alle blandizie deleterie della poesia morbosa, che già picchiava alla porta del secolo. Ma le lettere del giovine Werther non fanno che riflettere una effimera febbre giovanile del suo autore e si spiegano nel racconto della sua vita. Un concetto vero e definitivo di Goethe si manifesta nella breve lirica cheegli premise poi alla edizione del funebre epistolario, diretta al lettore:
«Tu la piangi, tu l'ami quella povera anima; tu salvi dall'onta la sua memoria. Vedi, dal suo sepolcro l'Ombra sua ti fa cenno e dice:Sii uomo e non imitarmi!»
Ho nominato più sopra Enrico Heine e la sua ironia micidiale. Sbaglierebbe però a mio avviso e sbaglierebbe grossolanamente chi della poesia heiniana si fermasse a guardar solo il lato negativo. Nella varia, forte e continua lotta che il suo spirito battagliero sostiene contro uomini e tempi, tanto l'elegia che la satira non esprimono in lui che assai di rado quella prostrazione sconfortata e cinica che poi piacque tanto agli imitatori. Vi senti invece il fremito d'una battaglia vittoriosa. L'occhio del poeta di tanto in tanto mira al di là delle miserie che lo circondano e spazia con fede per gli orizzonti dell'avvenire e li saluta con un grido di trionfo. Enrico Heine non piglia mail'atteggiamento rassegnato o ringhioso d'un vinto, che che avvenga dentro o fuori di lui; gli piace assai più quello dello sfidatore e del vendicatore. Perfino sul letto delle ultime sofferenze, ridotto all'estremo da una coorte di malanni, egli, l'indomitoumorista, tratto tratto si rizza fieramente sul cubito e sfida e celia e beffeggia. L'ultimo suo canto è un canto alla vita. «Sì, il figliuolo di Peleo aveva ragione. Vivere in alto sulla terra come il più misero dei servi vale sempre meglio che andar ramingando intorno alle rive dello Stige, capitano di ombre, eroe celebrato dai poeti.»[36]
Anche oggi la letteratura tedesca, se guardiamo ai più celebrati, come Paolo Heyse, Bertoldo Auerbach, Roberto Hamerling, non ismentisce l'indole sua. Chi nei racconti dell'Auerbach non respira un'aura fragrante di alta e sana poesia? Certo, anche qui ferve la eterna lotta umanacol dolore; anche in questa rappresentazione della vita la felicità non si mostra che come un'oasi rara e contrastata, e la colpa si fa innanzi come retaggio indeclinabile della umana natura e i multiformi aspetti della viltà e del ridicolo sono coraggiosamente mostrati a nudo. Ma tirata la somma, il ricordo di quei racconti v'accompagna come un conforto. Il tipo abbietto, sfatto, mollemente estenuato e gradevolmente patologico, alla maniera francese, l'Auerbach non lo sente e non lo sa rappresentare. Anche i filtri più sottili della corruzione contemporanea non riescono a togliere alle sue teste una certa aria di idealità serena, onde ricordano le teste dell'Holbein e quelle dei nostri pittori quattrocentisti. Immaginate, per esempio, la sua figura d'Irma in un racconto di Dumas figlio, poi fate colla mente il paragone: nel romanzo tedesco, pur discendendo pei gradini del pervertimento elegante, la bella contessa non ismentisce mai la sua passionatae gentile spiritualità e va a purificarsi lassù «in alto» nella solitudine dei monti, fra i ricordi e i rimorsi di amore, senza esagerazioni ascetiche, con melanconica serenità .
In Roberto Hamerling abbiamo il medesimo senso estetico e morale, direi quasi il medesimo temperamento fisiologico, che presiede all'opera d'arte. In quello de' suoi poemi che è più letto fra noi, l'Ahasvero a Roma, l'argomento è tutto una colossale tentazione. Roma imperiale, Nerone, la sua vita, la sua corte; mai quadro più affascinante di corruzioni bestialmente splendide s'è offerto alla fantasia d'un artista. L'Hamerling sente il pericolo; e già dal tono ironico della introduzione cominciate a indovinare l'atteggiamento del suo spirito:
················
Io scelsi un uom sciupato, un eleganteAnnoiato beffardo, equal può meglioA voi piacere e all'odïerno gusto;E per via de' contrasti, non foss'altro,Ond'è il lettor sì ghiotto, al pazzo eroeL'accigliato Assuero io posi al fianco.Garba il piccante a voi? Posso imbandirveneIo quantoi begli spiriti di Francia.Lo spettacolo a voi de le più folliGozzoviglie talenta e del supremoSfarzo e del vizio e del delitto immane?Questo offrire io vi posso. I sensi affrantiRidestarvi degg'io? Calliope austeraIn metro endecasillabo dovrebbeCancaneggiarvi intorno, il lieve piedePiù su del capo alzando? A questo io possoSforzarla inver[37].
Io scelsi un uom sciupato, un elegante
Annoiato beffardo, equal può meglio
A voi piacere e all'odïerno gusto;
E per via de' contrasti, non foss'altro,
Ond'è il lettor sì ghiotto, al pazzo eroe
L'accigliato Assuero io posi al fianco.
Garba il piccante a voi? Posso imbandirvene
Io quantoi begli spiriti di Francia.
Lo spettacolo a voi de le più folli
Gozzoviglie talenta e del supremo
Sfarzo e del vizio e del delitto immane?
Questo offrire io vi posso. I sensi affranti
Ridestarvi degg'io? Calliope austera
In metro endecasillabo dovrebbe
Cancaneggiarvi intorno, il lieve piede
Più su del capo alzando? A questo io posso
Sforzarla inver[37].
Il Nerone di Hamerling, come giustamente osserva Domenico Gnoli, assume nel poema ufficio vero di protagonista; Ahasvero ha sempre l'aspetto di una grand'ombra che transita per la scena, mentre la descrizione delle crudeltà , dei capricci e delle libidini neroniane vi tengono il posto principalissimo. Ma in tutta quella rappresentazione quasi vertiginosa del mondo romano che si sfascia pe' suoi vizi, inmezzo a quegli acri profumi di lascivia e di sangue, senti d'ora in ora che il petto ti si gonfia per un concetto magnifico d'umana grandezza; il grido tremendo della Nemesi eterna s'alza qua e là tra gli scrosci delle risa pazze, il sibilo delle fiamme e il fragore delle rovine: da ultimo Nerone, refugiatosi nella catacomba cristiana, guarda con riverente stupore ai nuovi riti e sente che si aprono gli albòri d'un novello mondo:
. . . . . . . . . . . Io veggoChe le virtù feconde e portentoseDell'uman sentimento esauste ancoraNon sono. Allor che un mondo estinto cadeIn polvere, di nuovo il cuore umanoCon eterna virtù lo riproduce.
. . . . . . . . . . . Io veggo
Che le virtù feconde e portentose
Dell'uman sentimento esauste ancora
Non sono. Allor che un mondo estinto cade
In polvere, di nuovo il cuore umano
Con eterna virtù lo riproduce.
E, prima di piantarsi nel petto la spada del legionario germanico, toglie di mano al prete cristiano il calice, versa quel vino e propina ai ricordi della sua pura e felice giovinezza, confessando che soltanto allora egli s'accorged'avere veramente vissuto..... Io qui non discuto se e come quest'arte sia eccellente sotto l'aspetto del disegno e del colore; mi fermo soltanto a notare che è un'arte molto bene accomodata ad un popolo chevuoleaver fede nella vita e domanda alle ispirazioni de' suoi poeti alimento e conforto a quel suo volere.
La cultura in Francia posta di fronte a quella di Germania offre un aspetto, non so se ancora avvertito da altri, ma certo singolarissimo e degno di molta attenzione. La scienza francese è ancora ottimista. Senza distinzione di scuola, gli scrittori dellaRevue des Deux Mondes, come i seguaci del Comte e del Littrè vagheggiano anch'oggi l'idea del progresso umano, se non nella purezza chimerica del Condorcet, certo alla stessa maniera di Vittorio Cousin o del Saint-Simon. L'età dell'oro, più o meno lontana, più o meno difficilmente conseguibile, è sempre dinanzi a noi e ci aspetta. Dunque fede e costanza! Il pessimismo tedesconon ha ancora fatto scuola e forse passerà molto tempo prima che la faccia. Fin adesso i Francesi si contentano, per mera curiosità scientifica, di conoscere la metafisica dello Schopenhauer dalle traduzioni, dai riassunti e da qualche spicilegio di pensieri staccati ammannito loro dal Ribot, dal Bourdeau, dal Challemel-Lacour, e basta. Una pretta formula pessimista si trova, è vero, abbastanza chiaramente svolta nei dialoghi filosofici di Ernesto Renan; ma per ora è una opinione personale, autorevolissima, ma senza seguito.Vox clamantis in deserto.
Per contrario è impossibile inoltrarsi nella conoscenza della letteratura francese di questo secolo senza cavarne la persuasione che essa è, meno pochissime eccezioni, tutta investita da un alito di pessimismo che la penetra fino al midollo.
Si potrebbe cominciare la serie collo Chateaubriand, il quale nelRenée nelleMémoiresd'outre-tombesi afferma vero e legittimo patriarca del pessimismo letterario in Francia; senonchè, avendoci egli trovato un antidoto nella fede religiosa, per non complicare la questione, sarà meglio lasciarlo da parte[38]. Invece partendo da quel brillantissimo periodo letterario che comincia a fiorire un poco prima del 1830, e venendo giù man mano traversoilCenacolo, laBohème, la letteratura del secondo impero fino a questo inizio di letteratura repubblicana, da Alfredo de Musset a Francesco Coppée, da Balzac a Zola, si sente di continuo la nota pessimista, che sostiene, a guisa di lugubre pedale, tutta questa varia, fantastica e smagliante sinfonia. Da cinquanta anni il romanzo francese meno pochi casi, è tutta una lunga sequela di anatomie, una più dell'altra sconfortanti; la requisitoria è sempre più serrata e inesorabile; la conchiusione sempre la stessa: il mondo è un disegno sbagliato e la Vita ha torto!
Sorge in mezzo la grande figura di Victor Hugo, il quale va richiamando l'arte all'antica serenità , cantando con vero accento fatidico le speranze del genere umano; ma anch'egli spesso si lascia andare ad altri accenti di tragica desolazione, che sembrano echi di Giobbe e di Sakia-Muni:
Au fond de la poussière inévitable, un étreRampe, et souffle un miasme ignoré qui pénètreL'homme de toutes parts,Qui noircit l'aube, éteint le feu, sèche la tige,Et qui suffit pour faire avorter le prodigeDans la nature épars[39].
Au fond de la poussière inévitable, un étre
Rampe, et souffle un miasme ignoré qui pénètre
L'homme de toutes parts,
Qui noircit l'aube, éteint le feu, sèche la tige,
Et qui suffit pour faire avorter le prodige
Dans la nature épars[39].
Egli canta l'epopea del Verme, il simbolo della tabe eterna che sta in fondo a tutte le cose, che tutto distrugge nell'universo le opere della natura e quelle dell'arte, gli uomini e gli Dei:
Le monde est sur cet étre et l'a dans sa racineEt cet étre, c'est moi: Je suis. Tout m'avoisine.Dieu me paie un tribut.Vivez. Rien ne fléchit le Ver incorruptible.Hommes, tendez vos arcs; quelle que soit la cible,C'est moi qui suis le but!
Le monde est sur cet étre et l'a dans sa racine
Et cet étre, c'est moi: Je suis. Tout m'avoisine.
Dieu me paie un tribut.
Vivez. Rien ne fléchit le Ver incorruptible.
Hommes, tendez vos arcs; quelle que soit la cible,
C'est moi qui suis le but!
In conchiusione, se il pessimismo filosofico che domina oggi in Germania passasse domani la frontiera francese, egli vi troverebbe un terreno benissimo apparecchiato dalla letteratura, che da cinquant'anni senza volerlo e senza saperlo, lavora assiduamente al suo trionfo.
In Italia nasceva il precursore del pessimismo moderno. Leopardi, poeta e filosofo, riuniva in sè, come in una sintesi primitiva, le due affermazioni del pessimismo scientifico ed artistico.
Questo fatto dà alla questione del Pessimismo in Italia una importanza peculiarissima e dà insieme argomento ad uno studio speciale.
Ha ragione Francesco De Sanctis quando nota che qua e là nelle pagine del Foscolo si sente come un preludio di tristezza leopardiana.
Nell'OrtisFoscolo dispera ormai della patria «cadavere putrefatto», ma crede ardentemente all'amore. Tanto vi crede e tanto raccoglie in esso gli entusiasmi e le speranze dell'anima, che, mancato l'amore, l'ideale della vita rimane dinanzi all'occhio suo sconsolato come un pianeta senza raggi e senza calore: ela vita stessa gli diviene un fardello insopportabile. Foscolo crede anche alla gloria; e l'ama e la cerca con una passione che molto somiglia ilfuroreclassico di Vittorio Alfieri. Questo sentimento della gloria, così vivo ed operoso negli antichi, nel mondo moderno è quasi del tutto spento, e ciò che di lui par che ancora rimanga, più propriamente si confonde nei sentimenti affini dell'onore e della ambizione. Ma in questo Ugo Foscolo è ancora uomo antico. Quando Aiace nella tragedia foscoliana, già deliberato di morire, innalza dal «suo cocchio avvilito» un saluto al sole raccomandandogli la sua gloria, senti in quei bellissimi versi battere il cuore del poeta, quale si manifesta in più luoghi dell'Epistolario. Quando Cassandra prevede «di Troja il dì mortale» e assapora un qualche conforto pensando che il canto d'Omero non darà solo gloria «ai fatati Pelidi», ma vi saranno anche lagrime per le sventure di Troia e pel valore del suo Ettore «infin che il solerisplenderà sulle sciagure umane,» la misera e non ascoltata profetessa esprime un concetto che vediamo poi ricomparire in una forma tutta personale al poeta. Anche dinanzi a lui nel 1813 giace la patria avvilita e «tende l'omero al flagello» mentre d'ogni intorno suona il grido de' popoli d'Europa che si levano alla riconquista delle loro nazionalità . Desolante spettacolo; ma intanto al poeta giova e piace pensare che il suo volto vivrà immortale nelle tele di Francesco Xaverio Fabre:
Pur, se nell'onte della Patria assorteFien mie speranze, e i dì taciti spenti,Il mio volto per te vince la morte!
Pur, se nell'onte della Patria assorte
Fien mie speranze, e i dì taciti spenti,
Il mio volto per te vince la morte!
Anche nel rimanente Foscolo vede il mondo e la vita attraverso un concetto che mantiene salde in lui quasi tutte le più belle illusioni degli antichi. «Le Grazie, Deità intermedie fra il cielo e la terra,.... ricevono dai numi tutti i doni che esse dispensano agli uomini»[40].
Entro la tempesta della vita, in giovinezza come negli ultimi anni, sia esso festeggiato e amato a Milano o povero e negletto a Londra, la sua figura è sempre vagamente circonfusa da quel sorriso luminoso delle Grazie; le quali, ora dee ora donne, gli ministrano conforti invidiabili. E noi anche nei versi funebri e nelle pagine più tristi di questo, che fu davvero l'ultimo dei poeti greci, sentiamo sempre la lieta dolcezza di quel sorriso divino.
Giacomo Leopardi invece si fa innanzi col verbo del dolore annunziato come realtà assoluta ed universale. Al mondo egli non solo dice come già quello spirito a Dante:
..... vedi, io mi son un che piango,
..... vedi, io mi son un che piango,
ma «nella vita infelicissima dell'universo[41]» afferma che linguaggio naturale d'ogni uomo èil pianto, quando non sia un riso anche più amaro e sconsolato.
Però nel Leopardi fa d'uopo distinguere sostanzialmente il pensatore e l'artista, e vedere che diverso anzi contrario atteggiamento pigli il suo spirito di fronte alla tesi pessimista. Troppo si è confuso in lui il poeta e il filosofo: si è creduto che i due procedano di passo concorde e per una stessa via, laddove, chi volesse graficamente descrivere questo loro andare, bisognerebbe che, segnati i due punti di partenza, tracciasse due linee divergenti che soltanto all'ultimo convergono in una retta rapidissima. Leggete laStoria del genere umano: in questa sua prosa metà fantasia e metà ragionamento, o per dire più esatto, ragionamento puro avvolto in un velo fantastico trasparentissimo, i termini del pessimismo sono già nettamente affermati. Il pensiero speculativo muove diritto, rigido e spietato guardando dall'alto tutte le illusioni che ebbero in governo l'umana natura.Una sola di queste illusioni è ancora guardata con qualche confidente abbandono; ma è una eccezione che conferma la regola, poichè ufficio vero di Amore figlio di Venere Urania è, secondo Leopardi, quello di «adempiere per qualche modo il primo voto degli uomini che fu di essere tornati alla condizione della puerizia.» Si tratta adunque di un inganno più degli altri gentile e sopra ogni altro amabile, perchè generatore di beatitudine e di nobiltà rade e passeggere; ma è sempre un inganno. «L'essere pieni del suo nume vince per sè qualunque più fortunata condizione fosse in alcun uomo ai migliori tempi. Dove egli si posa, d'intorno a quello s'aggirano, invisibili a tutti gli altri, le stupendelarve, già segregate dalla consuetudine umana, le quali esso Dio riconduce per questo effetto in sulla terra..... non potendo essere vietato dalla Verità ,quantunque inimicissima a quei fantasmi, e nell'animo grandemente offesa del loro ritorno.....»
Il sistema è già allo stato originale di concepimento intero e perfetto. Che possono aggiungervi il Leopardi colle altre prose e i filosofi tedeschi coi loro trattati? Svolgimenti dottrinali e riprove desunte dallo studio particolare dei fatti nel mondo, nell'uomo e nella sua storia; non altro. Ilfatoleopardiano ben potrà diventare l'assoluto, la volontà , l'inconscionei libri dello Schelling, dello Schopenhauer e del Hartman; potrà via via pigliare altri nomi ancora, ma quel primo concepimento non potrà cangiarsi.
All'opposto nella poesia del Leopardi il pessimismo, che tiene già il vertice sommo del pensiero speculativo di lui, soltanto a gradi a gradi e nemmeno con progresso continuato ma a sbalzi e riprese, guadagna l'estetica, se così posso esprimermi, di quello spirito travagliato. — Se c'è qualcuno a cui questa dissonanza spiaccia, rifletta che solamente per essa si fece possibile la grandezza artistica di Leopardi. S'egliavesse cominciato a poetare pessimista come cominciò a filosofare, oggi noi del sommo poeta non avremmo che un accenno incompiuto e forse informe, a somiglianza d'un fusto di grande albero tutto bruciato dalla folgore, allorchè meglio stendeva i suoi rami in cima al monte.
Nei suoi primi canti, all'Italia, a Dante, ad Angelo Mai domina una specie dieroico furorequa e là temperato da un profondo sentimento elegiaco, inspirati l'uno e l'altro alle condizioni miserrime della patria. Ma se questa è molto in basso, lo spirito del poeta appare gagliardamente e splendidamente eretto verso tutti gli ideali della vita civile, come la intendevano gli antichi. Il concetto pessimista fa capolino in alcuni passi, principalmente nella canzone al Mai, ma l'animo è sorretto ancora da una robusta speranza:
..... Ancora è pioDunque all'Italia il cielo; anco si curaDi noi qualche immortale:Ch'essendo questa o nessuna altra poiL'ora di ripor mano alla virtudeRugginosa dell'itala natura,Veggian che tanto e taleÈ il clamor dei sepolti.....
..... Ancora è pio
Dunque all'Italia il cielo; anco si cura
Di noi qualche immortale:
Ch'essendo questa o nessuna altra poi
L'ora di ripor mano alla virtude
Rugginosa dell'itala natura,
Veggian che tanto e tale
È il clamor dei sepolti.....
Nei canti che seguono, il sentimento elegiaco monta rapido, intenso e per tutto invade ogni materia poetica assunta dall'autore. Però raccolto nell'animo il senso di quei canti tristissimi ed esaminatone l'effetto, ci avvediamo di una strana antitesi, che il De Sanctis ha colta e descritta con precisione: «Leopardi produce effetto contrario a quello che si propone. Non crede al progresso e te lo fa desiderare: non crede alla libertà e te la fa amare. Chiama illusioni l'amore; la gloria, la virtù, e te ne accende in petto un desiderio inesausto.... e, mentre non crede possibile un avvenire men tristo per la patria comune, ti desta in seno un vivo amore per quella e t'infiamma a nobili fatti. Ha così basso concetto dell'umanità , e la sua anima alta, gentile e pura l'onora e la nobilita.....»
La ragione vera di questa antitesi sta nell'intimo organismo di quasi tutta la poesia leopardiana, la quale, per così dire, non è che pessimista a fior di labbro, mentre sostanzialmente è ancora tutta riscaldata dall'amore della vita e dal culto del suo vecchio ideale; amore e culto tanto più veri e ardenti quanto più contrastati dalla fortuna. E chi legga attento in quelle liriche non solo avverte questa ispirazione antipessimista, ma s'accorge di tanto in tanto che gli stessi concetti significati dal poeta, eluse le vigilanze, passano il confine e vanno a a schierarsi nel campo opposto. Lo vedete subito nel canto per le nozze della Paolina:
..... ImmensoTra fortuna e valordissidio poseIl corrotto costume.....
..... Immenso
Tra fortuna e valordissidio pose
Il corrotto costume.....
Dunque il dissidio non è da natura, ma solo recato nel mondo per forza di umano pervertimento, dunque potrebbe anche cessare una volta che le traviate volontà umane rientrassero nellabuona via. Insisto su questa grande e decisiva azione data dal poeta al costume umano, perchè la vedo espressa perfino nelBruto Minoreche è la poesia da lui citata come quella che esprime l'animo suo in modo più reciso ed energico, «envers la destinée» nella famosa lettera al De Sinner, con cui prima di morire protestò contro coloro che, impicciolendone la origine, volevano togliere ogni autorità e grandezza morale alla sua filosofia:
..... Or poi ch'a terraSparse i regni beatiempio costume,E il viver macro adaltreleggi addisse;Quando gl'infausti giorniVirile alma ricusa,Riede natura e il non suo dardo accusa?
..... Or poi ch'a terra
Sparse i regni beatiempio costume,
E il viver macro adaltreleggi addisse;
Quando gl'infausti giorni
Virile alma ricusa,
Riede natura e il non suo dardo accusa?
Insomma, la poesia leopardiana in sè e negli effetti suoi per oltre i quattro quinti è tutt'altro che pessimista. La direste invece la espressione di una specie di stoicismo malinconico, fiero e lamentoso, che accoglie in sè e porta all'ultimogrado di amarezza elegiaca tutte le voci di dolore che risuonavano nella letteratura classica da Simonide agli ultimi tempi. L'odio del poeta al mondo, alla vita è l'odio d'un amante sdegnato, non altro; e noi, sotto quelle note che imprecano, sentiamo scorrere l'anelito passionato d'un infelice petto giovanile che nulla meglio bramerebbe di potersi adagiare nella riconciliazione. Che importa se la parte migliore del viver nostro è come il sabato del villaggio che precede un giorno di tristezza e di noia? Questo sabato della vita il Leopardi lo vede così bello fra le sue lagrime che noi non domandiamo di più per vagheggiarlo nei nostri desideri. Che importa se nella notte del dì di festa un triste silenzio succede all'allegro brusìo delle ore vespertine? Anche questa notte nella sua tristezza è bella a contemplare:
Dolce e chiara è la notte e senza vento,E queta sovra i tetti e in mezzo agli ortiPosa la luna...
Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna...
La bella giovinetta ora nella sua stanza dorme o pensa a quanti essa piacque nella giornata e quanti piacquero a lei, mentre il poeta giù nella strada vede splendere traverso le persiane della finestra la sua lampada notturna, il poeta che dispera d'essere tra i ricordati da lei... O che per questo la giornata della fanciulla fu meno allegra e meno lieti sono ora i suoi sogni?... Il carme leopardiano quasi sempre congiunge ad una profonda sincerità morale una contraddizione filosofica, quasi un mendacio.Splendide mendax; perchè ad esso noi dobbiamo gli accordi della più pura ed alta poesia che abbia in questo secolo onorata l'Italia. A me, quando le prime volte mi profondavo nella lettura de' suoi versi, pareva di sentirmi circonfuso da un nembo d'aria luminosa e fragrante: entro quel nembo udivo io bene una voce che cantava melodiosamente tutto essere inganno, miseria e vanità ; ma la luce e la fragranza, ma la dolcezza di quella melodia continuavano adeliziarmi; e il senso di quelle parole andava quasi smarrito...
Ma verso la fine quella tal divergenza fra le due linee che ho notata più sopra, dà luogo ad una convergenza rapida e già accennante a completa congiunzione. Il dissidio tra l'arida concezione pessimista e il senso estetico della vita mantenuto per tanti anni dalla esuberante vitalità artistica di Leopardi, si spezza a un tratto come corda troppo lungamente tesa. Il contenuto deiDialoghie deiPensierisi travasa intero negli sciolti e nelle strofe; e abbiamo finalmente un Leopardi logico e intero!
Come un annunzio di questo fatto imminente è la poesiaA sè stesso. Nella loro brevità fulminea e nel loro andamento semplice e quasi prosastico questi sedici versi ci scuotono come la rivelazione di tutta una tragedia psicologica precipitante verso la sua catastrofe; ci scuotono e ci piacciono anche perchè spirano un sentimento di prossimo riposo, e riassumono in unrapido sguardo d'addio tutto il poema delle sue illusioni perdute, le belle illusioni che, come una musa velata, inspirarono al poeta i suoi canti:
Or poserai per sempre,Stanco mio cor. Peri l'inganno estremo,Ch'eterno io mi credei...
Or poserai per sempre,
Stanco mio cor. Peri l'inganno estremo,
Ch'eterno io mi credei...
Ma qui ha principio l'agonia della musa di Leopardi. Vi siete mai trovati ad ascoltare un bel coro classico scritto a più parti reali, quando una di esse ha già cominciato a sgarrarla di mezza voce e anche le altre sono tratte istintivamente in una tonalità vacillante e penosa? Effetto consimile producono in me le ultime poesie del nostro. NellaPalinodia a Gino Capponi, in mezzo allo squisito magistero di quegli sciolti, par di sentire una ispirazione satirica che si batte i fianchi per riescire molto faceta e molto mordace, e riesce poco dell'uno e dell'altro. Non vi pare che ci sia più enfasi che estro in quella lunga apostrofe schernitrice della barba con cui conclude il componimento? A me sembradi certo. Non c'è più la signorile e lungamente sostenuta ironia pariniana, e non siamo ancora alla satira spigliata, atroce e debellatrice di Enrico Heine. Quanto allaGinestra, io l'ho tante volte sentita celebrare come la più perfetta lirica del Leopardi che esiterei nel giudicarla assai diversamente, se non pensassi che parecchi l'avranno creduta tale solo perchè lo scrisse il Giordani, altri perchè è l'ultima e la più lunga. Ma meglio che d'una lirica costantemente sostenuta da un soffio d'ispirazione calda e spontanea, essa m'ha l'aria di lunga querimonia assai meglio pensata che ispirata. Non mancano (qual meraviglia!) immagini peregrine espresse in versi bellissimi, massime nella prima parte; ma proseguendo, il nudo ragionamento piglia troppo il posto dell'estro, e credo che con poche varianti di locuzioni e di traslati, questa poesia si potrebbe ridurre ad un discorso in prosa; in quella prosa mirabilmente precisa,nitida e gelida in cui sono scritti l'Elogio degli uccellie ilCanto del gallo silvestre.
Con ciò s'avrebbe una riprova di questa perfetta fusione compiutasi nell'ultimo periodo di quella vita infelicissima tra lo spirito poetico e lo spirito filosofico di Giacomo Leopardi; fusione che ridusse la poesia ad una specie di tramonto melanconico:
..... A queste piaggieVenga colui che d'innalzar con lodeIl nostro stato ha in uso, e vegga quantoÈ l'esser nostro in curaAll'amante natura. E la possanzaQui con giusta misuraAnco estimar potrà dell'uman seme,Cui la dura nutrice, ov'ei non teme,Con lieve moto in un momento annullaIn parte, e può con motiPoco men lievi ancor subitamenteAnnichilire in tutto.Dipinte in queste riveSon dell'umana genteLe magnifiche sorti e progressive.
..... A queste piaggie
Venga colui che d'innalzar con lode
Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
È l'esser nostro in cura
All'amante natura. E la possanza
Qui con giusta misura
Anco estimar potrà dell'uman seme,
Cui la dura nutrice, ov'ei non teme,
Con lieve moto in un momento annulla
In parte, e può con moti
Poco men lievi ancor subitamente
Annichilire in tutto.
Dipinte in queste rive
Son dell'umana gente
Le magnifiche sorti e progressive.
Sente per primo l'autore che qui è qualcosa di poeticamente stonato e sovviene con una nota al lettore; ma il guaio è più generale e profondo. La mano che lo tocca è sempre mano di maestro, ma l'istrumento si è rotto e non può più rendere i suoni d'una volta. Nel 1820 il povero Giacomo scrive di sè che già si sente «stecchito e inaridito come una canna secca.» Aggiunge: «nessuna passione trova più l'entrata in quest'anima, e la stessa eterna e sovrana potenza dell'amore è annullata per me nell'età in cui mi trovo.[42]» Ma allora egli s'ingannava sul conto suo. Infatti non passò molto tempo che le belle illusioni gli aleggiarono intorno, l'amore della vita rifluì nel suo sangue, e da quelle illusioni e quest'amore nacque anche una volta il fortunato dissidio che permise al poeta di vivere e di grandeggiare accanto al filosofo. Infatti trovo che tali parole egli le scriveva appenauscito da quella annata terribile del 1819 in cui, lasciato per malattia d'occhi ogni studio, tutto si raccolse nelle tetraggini del suo meditare.
Pur troppo verrà tempo in cui quel processo di inaridimento avrà compiuto il suo corso; e allora il poeta dovrà soccombere per davvero.
Bisogna assolutamente che l'arte sia una carezza alla vita. Una carezza amabile o burbera, festosa o elegiaca e magari tragica, dissimulata o palese, ma sempre una carezza: se no, essa diventa uno sforzo effimero e una falsa apparenza dall'inganno breve. Ogni opera d'arte, qualunque sia il suo contenuto, bisogna che si risolva dentro di noi in una armonia gradevole; e quand'anche la scienza facessetabularasa di tutte le umane speranze come di altrettanti sogni, bisogna che l'arte, se vuole vivere, come appunto la ginestra leopardiana, sia quel fiore «che quel deserto consola.»
NOTE:1.«Discorrendo sul serio (Galileo) era ricchissimo di sentenze e di concetti gravi, e ne' discorsi piacevoli le arguzie e i sali non gli mancavano.» (Viviani,Vita di Galileo).2.Vedi come documento assai notevole in questo senso il suoCapitolo in biasimo della toga.3.Vedi a questo proposito gli studi di Ernesto Masi:Storia di Renata d'Este. I Burlamacchi: Zanichelli, Bologna 1876.4.Epître a M. F. Villot, pag. 66.5.La teoria del suono ne' suoi rapporti colla musica, pag. 167. Milano, Fratelli Dumolard, 1875.6.Intorno agli effetti così potenti sul cuore del canto di Guadagni, Farinelli, Pacchierotti ed altri fra i più celebri di quel tempo, abbiamo prove irrecusabili. Non cito che un aneddoto sul Pacchierotti, servendomi delle parole di N. Tommaseo (Il serio nel facetopag. 118, Ediz. Le Monnier); «Tra le meraviglie di quel canto, narrasi come in un teatro d'Italia la commozione una sera si trasfondesse dagli spettatori nei suonatori stessi, gente indurita per uso alle illusioni sceniche e tutta occupata al suo leggìo e al suo istrumento. I suonatori ristettero. Il cantante, come uccello a cui manchi l'aria e il respiro, si volge al capo d'orchestra, e:Che fate voi?—Piango.»7.«... J'éprouvais une aversion sans cesse grandissante pour le genre qui avait avec l'idéal dont j'étais occupé laressemblance repoussantedu singe avec l'homme...»Epître a M. F. Villot, pag. 12.8.Da questo e non da altro io credo bene attingere. Non sembra che la lettura dei molti e voluminosi scritti di Wagner intorno alla sua estetica musicale rechi grande chiarezza d'idee. Egli stesso ne parla in questi termini: «A larépugnance prononcéeque j'ai maintenant à relire mes écrits théoriques, il m'est aisé de réconnaître qu'à l'époque où je les composai j'étais dans une situation d'esprit tout-à -fait anormale...» — Alcuni critici in Germania e fuori hanno assai lavorato di commenti sopra quest'ultima confessione, certo significantissima in bocca al Wagner.9.Ibid., pag. 39.10.Solamente è fatto luogo alle melodie in quei due o tre punti, ove la scena reca che i personaggicantino. Anche qui, come ognun vede, l'eccezione conferma la regola.11.Ibid., pag. 33.12.Vedono nella musica dell'ultima maniera di Wagner un riflesso della dottrina di Arturo Schopenhauer. — Quanto sia di vero in ciò, io non sono proprio in grado di assicurare. Certo è che non si possono leggere, per esempio, le scene più appassionate delTristano ed Isottasenza sentirci dentro come un caldo soffio delle dottrine di Schopenhauer intorno all'amore, alla morte e al fine della esistenza: nè si può dissimulare che, traverso tutto il disegno concettuale della Tetralogia, spicca qua e là un concetto chiarissimo. Gli Dei se ne vanno, gli Dei tramontano (Götterdämmerung), dinanzi alla forza sempre ascendente delle umane personalità . Sulla terra altro non resta di sovraumano che l'Amore alle prese anch'egli colla Morte.Accenno a questo proposito due circostanze di fatto e le do per quello che valgono. Nella villa di Bayreuth, entro la splendida sala ove Wagner accoglie i suoi visitatori ed ove tutto parla di lui,solamentedi lui e della sua gloria, come eccezione pende dalle pareti un grande ritratto di Schopenhauer. Lo diresti ilgenius loci. È noto inoltre che Wagner intende chiudere la serie dei suoi melodrammi musicando ilBudda: e nel Buddismo trovava lo Schopenhauer la più esatta significazione religiosa della sua filosofia.C'è però un guaio. Schopenhauer mette fra le musiche meglio rispondenti al vero fine umano la musica di Rossini... Basta, se la sbroglino un po' fra loro!..13.Appunti bibliografici delMonitore di Bologna. 1873.14.Vedi la prefazione alle poesie, nella edizione del Barbèra.15.Jeunes-France.— Préface.16.Tip. Zanichelli. Terza edizione.17.Enotrio RomanoeGiosuè Carducci. — Studio Critico diGiuseppe Chiarini.Rivista Contemporanea1869.18.Vedi il frammento dell'Intermezzopubblicato nella Rassegna Settimanale.19.Vedi Appunti bibliografici etc.20.Vedi i Colloqui con Eckermann e la prefazione allaMarie Tudor.21.Studi critici pag. 192.22.VediLe Roman contemporainnelFigaro, supplemento letterario del 22 dicembre 1878.23.Avverta il lettore ch'io, questo scrivevo nell'anno di grazia 1860. In questi ultimi dodici anni anche in Italia s'è fatto della strada assai per questo verso. E chi vuole se ne rallegri.24.Origine e scopo dell'opera p. 3.25.Capo XIII p. 245.26.Vol. 1 p. 7.27.Corrèspondance Politique de Massimo d'Azeglio par G. Rendu. Parigi.28.I Burlamacchi e di alcuni documenti intorno a Renata d'Este ecc. Bologna presso Nicola Zanichelli 1876.Leggi attentamente da pag. 66 a pag. 79 in cui l'A. discorre il diverso impulso, il diverso procedimento e i risultati diversi del moto riformista in Italia e in Germania. È un parallelo magistralmente fatto, che epiloga e condensa, a nostro avviso, i più sani criteri storici e filosofici per giudicare quel grande avvenimento.29.L'A. non ha tralasciato dal 1876 in poi gli studi sulla Riforma in Italia. Ne fanno preziosa testimonianza le sue monografie intorno a Vittoria Colonna, Girolamo Castelvetro e i Valdesi pubblicate nellaRassegna Settimanale.30.Terenzio Mamiani.Inno alla Chiesa primitiva.31.Saint-Beuve.Nouveaux Lundis.T. IV pag. 31.32.Nana p. 416.33.Une page d'amour, p. 2.34.Vedi a questo proposito un articolo di I. Fleury. —Le marivaudage e la preciosité— nella Revue politique et litteraire, 20 Agosto 1880.35.Ma dello Schiller è pur anco il motto:la vita è triste, l'arte serena.36.Il libro di Lazzaro. Epilogo.37.Traduzione di V. Betteloni.38.Il pessimismo nella letteratura moderna religiosa (Chateaubriand, Lammenais, Donoso Cortes, Manzoni...) potrebbe essere argomento a uno studio curiosissimo e grave. In una mia pubblica conferenza, tenuta a Bologna su Alessandro Manzoni poco appresso la sua morte, io toccai dapprima questo tasto ed il Carducci così ne scriveva. «Desidererei che E. P. svolgesse più largamente quel che nella sua lettura notò con acutezza e verità circa il pessimismo di quel romanzo famoso, nel quale tutti i personaggi sono insigni ribaldi o ippocriti o codardi e furbi volgari e poveri di spirito, eccetto il cardinal Borromeo e il p. Cristoforo.» (Bozzetti critici.— A proposito di certi giudizi intorno ad Alessandro Manzoni.) —Ho citata l'autorità del Carducci per vedere se altri e meglio di me rispondesse all'invito.39.La légende des siècles.T. II.40.Avvertenza al carmeLe Grazie.41.Dialogo di Tristano e di un amico.42.Lettera a Carlo Pepoli.Epistolario, 301.
1.«Discorrendo sul serio (Galileo) era ricchissimo di sentenze e di concetti gravi, e ne' discorsi piacevoli le arguzie e i sali non gli mancavano.» (Viviani,Vita di Galileo).
1.«Discorrendo sul serio (Galileo) era ricchissimo di sentenze e di concetti gravi, e ne' discorsi piacevoli le arguzie e i sali non gli mancavano.» (Viviani,Vita di Galileo).
2.Vedi come documento assai notevole in questo senso il suoCapitolo in biasimo della toga.
2.Vedi come documento assai notevole in questo senso il suoCapitolo in biasimo della toga.
3.Vedi a questo proposito gli studi di Ernesto Masi:Storia di Renata d'Este. I Burlamacchi: Zanichelli, Bologna 1876.
3.Vedi a questo proposito gli studi di Ernesto Masi:Storia di Renata d'Este. I Burlamacchi: Zanichelli, Bologna 1876.
4.Epître a M. F. Villot, pag. 66.
4.Epître a M. F. Villot, pag. 66.
5.La teoria del suono ne' suoi rapporti colla musica, pag. 167. Milano, Fratelli Dumolard, 1875.
5.La teoria del suono ne' suoi rapporti colla musica, pag. 167. Milano, Fratelli Dumolard, 1875.
6.Intorno agli effetti così potenti sul cuore del canto di Guadagni, Farinelli, Pacchierotti ed altri fra i più celebri di quel tempo, abbiamo prove irrecusabili. Non cito che un aneddoto sul Pacchierotti, servendomi delle parole di N. Tommaseo (Il serio nel facetopag. 118, Ediz. Le Monnier); «Tra le meraviglie di quel canto, narrasi come in un teatro d'Italia la commozione una sera si trasfondesse dagli spettatori nei suonatori stessi, gente indurita per uso alle illusioni sceniche e tutta occupata al suo leggìo e al suo istrumento. I suonatori ristettero. Il cantante, come uccello a cui manchi l'aria e il respiro, si volge al capo d'orchestra, e:Che fate voi?—Piango.»
6.Intorno agli effetti così potenti sul cuore del canto di Guadagni, Farinelli, Pacchierotti ed altri fra i più celebri di quel tempo, abbiamo prove irrecusabili. Non cito che un aneddoto sul Pacchierotti, servendomi delle parole di N. Tommaseo (Il serio nel facetopag. 118, Ediz. Le Monnier); «Tra le meraviglie di quel canto, narrasi come in un teatro d'Italia la commozione una sera si trasfondesse dagli spettatori nei suonatori stessi, gente indurita per uso alle illusioni sceniche e tutta occupata al suo leggìo e al suo istrumento. I suonatori ristettero. Il cantante, come uccello a cui manchi l'aria e il respiro, si volge al capo d'orchestra, e:Che fate voi?—Piango.»
7.«... J'éprouvais une aversion sans cesse grandissante pour le genre qui avait avec l'idéal dont j'étais occupé laressemblance repoussantedu singe avec l'homme...»Epître a M. F. Villot, pag. 12.
7.«... J'éprouvais une aversion sans cesse grandissante pour le genre qui avait avec l'idéal dont j'étais occupé laressemblance repoussantedu singe avec l'homme...»Epître a M. F. Villot, pag. 12.
8.Da questo e non da altro io credo bene attingere. Non sembra che la lettura dei molti e voluminosi scritti di Wagner intorno alla sua estetica musicale rechi grande chiarezza d'idee. Egli stesso ne parla in questi termini: «A larépugnance prononcéeque j'ai maintenant à relire mes écrits théoriques, il m'est aisé de réconnaître qu'à l'époque où je les composai j'étais dans une situation d'esprit tout-à -fait anormale...» — Alcuni critici in Germania e fuori hanno assai lavorato di commenti sopra quest'ultima confessione, certo significantissima in bocca al Wagner.
8.Da questo e non da altro io credo bene attingere. Non sembra che la lettura dei molti e voluminosi scritti di Wagner intorno alla sua estetica musicale rechi grande chiarezza d'idee. Egli stesso ne parla in questi termini: «A larépugnance prononcéeque j'ai maintenant à relire mes écrits théoriques, il m'est aisé de réconnaître qu'à l'époque où je les composai j'étais dans une situation d'esprit tout-à -fait anormale...» — Alcuni critici in Germania e fuori hanno assai lavorato di commenti sopra quest'ultima confessione, certo significantissima in bocca al Wagner.
9.Ibid., pag. 39.
9.Ibid., pag. 39.
10.Solamente è fatto luogo alle melodie in quei due o tre punti, ove la scena reca che i personaggicantino. Anche qui, come ognun vede, l'eccezione conferma la regola.
10.Solamente è fatto luogo alle melodie in quei due o tre punti, ove la scena reca che i personaggicantino. Anche qui, come ognun vede, l'eccezione conferma la regola.
11.Ibid., pag. 33.
11.Ibid., pag. 33.
12.Vedono nella musica dell'ultima maniera di Wagner un riflesso della dottrina di Arturo Schopenhauer. — Quanto sia di vero in ciò, io non sono proprio in grado di assicurare. Certo è che non si possono leggere, per esempio, le scene più appassionate delTristano ed Isottasenza sentirci dentro come un caldo soffio delle dottrine di Schopenhauer intorno all'amore, alla morte e al fine della esistenza: nè si può dissimulare che, traverso tutto il disegno concettuale della Tetralogia, spicca qua e là un concetto chiarissimo. Gli Dei se ne vanno, gli Dei tramontano (Götterdämmerung), dinanzi alla forza sempre ascendente delle umane personalità . Sulla terra altro non resta di sovraumano che l'Amore alle prese anch'egli colla Morte.Accenno a questo proposito due circostanze di fatto e le do per quello che valgono. Nella villa di Bayreuth, entro la splendida sala ove Wagner accoglie i suoi visitatori ed ove tutto parla di lui,solamentedi lui e della sua gloria, come eccezione pende dalle pareti un grande ritratto di Schopenhauer. Lo diresti ilgenius loci. È noto inoltre che Wagner intende chiudere la serie dei suoi melodrammi musicando ilBudda: e nel Buddismo trovava lo Schopenhauer la più esatta significazione religiosa della sua filosofia.C'è però un guaio. Schopenhauer mette fra le musiche meglio rispondenti al vero fine umano la musica di Rossini... Basta, se la sbroglino un po' fra loro!..
12.Vedono nella musica dell'ultima maniera di Wagner un riflesso della dottrina di Arturo Schopenhauer. — Quanto sia di vero in ciò, io non sono proprio in grado di assicurare. Certo è che non si possono leggere, per esempio, le scene più appassionate delTristano ed Isottasenza sentirci dentro come un caldo soffio delle dottrine di Schopenhauer intorno all'amore, alla morte e al fine della esistenza: nè si può dissimulare che, traverso tutto il disegno concettuale della Tetralogia, spicca qua e là un concetto chiarissimo. Gli Dei se ne vanno, gli Dei tramontano (Götterdämmerung), dinanzi alla forza sempre ascendente delle umane personalità . Sulla terra altro non resta di sovraumano che l'Amore alle prese anch'egli colla Morte.
Accenno a questo proposito due circostanze di fatto e le do per quello che valgono. Nella villa di Bayreuth, entro la splendida sala ove Wagner accoglie i suoi visitatori ed ove tutto parla di lui,solamentedi lui e della sua gloria, come eccezione pende dalle pareti un grande ritratto di Schopenhauer. Lo diresti ilgenius loci. È noto inoltre che Wagner intende chiudere la serie dei suoi melodrammi musicando ilBudda: e nel Buddismo trovava lo Schopenhauer la più esatta significazione religiosa della sua filosofia.
C'è però un guaio. Schopenhauer mette fra le musiche meglio rispondenti al vero fine umano la musica di Rossini... Basta, se la sbroglino un po' fra loro!..
13.Appunti bibliografici delMonitore di Bologna. 1873.
13.Appunti bibliografici delMonitore di Bologna. 1873.
14.Vedi la prefazione alle poesie, nella edizione del Barbèra.
14.Vedi la prefazione alle poesie, nella edizione del Barbèra.
15.Jeunes-France.— Préface.
15.Jeunes-France.— Préface.
16.Tip. Zanichelli. Terza edizione.
16.Tip. Zanichelli. Terza edizione.
17.Enotrio RomanoeGiosuè Carducci. — Studio Critico diGiuseppe Chiarini.Rivista Contemporanea1869.
17.Enotrio RomanoeGiosuè Carducci. — Studio Critico diGiuseppe Chiarini.Rivista Contemporanea1869.
18.Vedi il frammento dell'Intermezzopubblicato nella Rassegna Settimanale.
18.Vedi il frammento dell'Intermezzopubblicato nella Rassegna Settimanale.
19.Vedi Appunti bibliografici etc.
19.Vedi Appunti bibliografici etc.
20.Vedi i Colloqui con Eckermann e la prefazione allaMarie Tudor.
20.Vedi i Colloqui con Eckermann e la prefazione allaMarie Tudor.
21.Studi critici pag. 192.
21.Studi critici pag. 192.
22.VediLe Roman contemporainnelFigaro, supplemento letterario del 22 dicembre 1878.
22.VediLe Roman contemporainnelFigaro, supplemento letterario del 22 dicembre 1878.
23.Avverta il lettore ch'io, questo scrivevo nell'anno di grazia 1860. In questi ultimi dodici anni anche in Italia s'è fatto della strada assai per questo verso. E chi vuole se ne rallegri.
23.Avverta il lettore ch'io, questo scrivevo nell'anno di grazia 1860. In questi ultimi dodici anni anche in Italia s'è fatto della strada assai per questo verso. E chi vuole se ne rallegri.
24.Origine e scopo dell'opera p. 3.
24.Origine e scopo dell'opera p. 3.
25.Capo XIII p. 245.
25.Capo XIII p. 245.
26.Vol. 1 p. 7.
26.Vol. 1 p. 7.
27.Corrèspondance Politique de Massimo d'Azeglio par G. Rendu. Parigi.
27.Corrèspondance Politique de Massimo d'Azeglio par G. Rendu. Parigi.
28.I Burlamacchi e di alcuni documenti intorno a Renata d'Este ecc. Bologna presso Nicola Zanichelli 1876.Leggi attentamente da pag. 66 a pag. 79 in cui l'A. discorre il diverso impulso, il diverso procedimento e i risultati diversi del moto riformista in Italia e in Germania. È un parallelo magistralmente fatto, che epiloga e condensa, a nostro avviso, i più sani criteri storici e filosofici per giudicare quel grande avvenimento.
28.I Burlamacchi e di alcuni documenti intorno a Renata d'Este ecc. Bologna presso Nicola Zanichelli 1876.Leggi attentamente da pag. 66 a pag. 79 in cui l'A. discorre il diverso impulso, il diverso procedimento e i risultati diversi del moto riformista in Italia e in Germania. È un parallelo magistralmente fatto, che epiloga e condensa, a nostro avviso, i più sani criteri storici e filosofici per giudicare quel grande avvenimento.
29.L'A. non ha tralasciato dal 1876 in poi gli studi sulla Riforma in Italia. Ne fanno preziosa testimonianza le sue monografie intorno a Vittoria Colonna, Girolamo Castelvetro e i Valdesi pubblicate nellaRassegna Settimanale.
29.L'A. non ha tralasciato dal 1876 in poi gli studi sulla Riforma in Italia. Ne fanno preziosa testimonianza le sue monografie intorno a Vittoria Colonna, Girolamo Castelvetro e i Valdesi pubblicate nellaRassegna Settimanale.
30.Terenzio Mamiani.Inno alla Chiesa primitiva.
30.Terenzio Mamiani.Inno alla Chiesa primitiva.
31.Saint-Beuve.Nouveaux Lundis.T. IV pag. 31.
31.Saint-Beuve.Nouveaux Lundis.T. IV pag. 31.
32.Nana p. 416.
32.Nana p. 416.
33.Une page d'amour, p. 2.
33.Une page d'amour, p. 2.
34.Vedi a questo proposito un articolo di I. Fleury. —Le marivaudage e la preciosité— nella Revue politique et litteraire, 20 Agosto 1880.
34.Vedi a questo proposito un articolo di I. Fleury. —Le marivaudage e la preciosité— nella Revue politique et litteraire, 20 Agosto 1880.
35.Ma dello Schiller è pur anco il motto:la vita è triste, l'arte serena.
35.Ma dello Schiller è pur anco il motto:la vita è triste, l'arte serena.
36.Il libro di Lazzaro. Epilogo.
36.Il libro di Lazzaro. Epilogo.
37.Traduzione di V. Betteloni.
37.Traduzione di V. Betteloni.
38.Il pessimismo nella letteratura moderna religiosa (Chateaubriand, Lammenais, Donoso Cortes, Manzoni...) potrebbe essere argomento a uno studio curiosissimo e grave. In una mia pubblica conferenza, tenuta a Bologna su Alessandro Manzoni poco appresso la sua morte, io toccai dapprima questo tasto ed il Carducci così ne scriveva. «Desidererei che E. P. svolgesse più largamente quel che nella sua lettura notò con acutezza e verità circa il pessimismo di quel romanzo famoso, nel quale tutti i personaggi sono insigni ribaldi o ippocriti o codardi e furbi volgari e poveri di spirito, eccetto il cardinal Borromeo e il p. Cristoforo.» (Bozzetti critici.— A proposito di certi giudizi intorno ad Alessandro Manzoni.) —Ho citata l'autorità del Carducci per vedere se altri e meglio di me rispondesse all'invito.
38.Il pessimismo nella letteratura moderna religiosa (Chateaubriand, Lammenais, Donoso Cortes, Manzoni...) potrebbe essere argomento a uno studio curiosissimo e grave. In una mia pubblica conferenza, tenuta a Bologna su Alessandro Manzoni poco appresso la sua morte, io toccai dapprima questo tasto ed il Carducci così ne scriveva. «Desidererei che E. P. svolgesse più largamente quel che nella sua lettura notò con acutezza e verità circa il pessimismo di quel romanzo famoso, nel quale tutti i personaggi sono insigni ribaldi o ippocriti o codardi e furbi volgari e poveri di spirito, eccetto il cardinal Borromeo e il p. Cristoforo.» (Bozzetti critici.— A proposito di certi giudizi intorno ad Alessandro Manzoni.) —
Ho citata l'autorità del Carducci per vedere se altri e meglio di me rispondesse all'invito.
39.La légende des siècles.T. II.
39.La légende des siècles.T. II.
40.Avvertenza al carmeLe Grazie.
40.Avvertenza al carmeLe Grazie.
41.Dialogo di Tristano e di un amico.
41.Dialogo di Tristano e di un amico.
42.Lettera a Carlo Pepoli.Epistolario, 301.
42.Lettera a Carlo Pepoli.Epistolario, 301.