CCCLIAnno diCristoCCCLI. IndizioneIX.Giuliopapa 15.Costanzoimperadore 15.Dopo il consolato diSergioeNegriniano.Così è notato in tutti i Fasti, perchè nei paesi dipendenti da Costanzo Augusto non furono riconosciuti i consoli che Magnenzio elesse per quest'anno in Roma. Per altro abbiamo la testimonianza dell'Anonimo[Cuspinianus. Bucherius.]Autore de' prefetti di Roma cheMagnenzioeGaisone(lo stesso che tolse di vita Costante Augusto) furono consoli in Roma nell'anno presente. Un frammento nondimeno d'antica iscrizione, da me dato alla luce[Thes. Novus Inscript., pag. 380.], parla diMagnenzioeDecenzio consoli, e parrebbe che appartenesse a questo anno. Quanto alla prefettura di Roma, v'ebbe più volte cangiamento di ministri nell'anno corrente[Cuspinianus. Panvinius. Bucherius.].Fabio Tizianola tenne per i due primi mesi. Nel primo dì di marzo a lui succedetteAurelio Celsino. Nel dì 12 di maggioCelio Probato, al quale nel dì 7 di giugno fu sostituitoClodia Adelfio; e nel dì 18 di dicembre surrogato gli fuValerio Procolo. Fra glialtri Adelfio fu sospettato di nudrir pensieri pregiudiziali contra di Magnenzio, come s'ha da Ammiano Marcellino[Ammianus, lib. 16, cap. 6.]. Passò l'Augusto Costanzo il verno in Sirmio della Pannonia, dove andò facendo le necessarie disposizioni per procedere ostilmente al primo addolcirsi della stagione contra del tiranno Magnenzio. Ma eccoti novelle che il re Sapore di Persia[Philost., lib. 3, cap. 23. Zonar., in Annal.]con formidabile armata minacciava di nuovo la Mesopotamia, e corse anche voce che entratovi dopo fieri saccheggi fosse ritornato indietro. Conobbe allora Costanzo di non poter solo accudire a due diverse guerre, e che per acquistar l'Occidente, correva pericolo di perder l'Oriente; e però venne alla risoluzione di eleggersi un collega, il quale mentr'egli guerreggiava nell'una parte, avesse l'occhio alla difesa dell'altra. Niuna prole maschile fin qui gli aveva dato Iddio, e nè pur gliene diede dipoi. Rivolse dunque il guardo aGallosuo cugino, figliuolo diGiulio Costanzo, cioè di un fratello del gran Costantino. AveaGallocol fratello suoGiuliano, che fu poi Apostata, quasi miracolosamente scappata la morte nell'anno 337, allorchè Costante Augusto fece quell'orrido macello di tanti suoi parenti, e fra gli altri del padre d'esso Gallo. Tornato poi in sè stesso, non solo lasciò di perseguitare i due giovanetti cugini[Julian., in Epist. ad Athen.], ma ebbe cura di farli signorilmente educare, con restituire a Gallo buona parte de' beni paterni e a Giuliano quei della madre, tenendoli nondimeno amendue come in una specie d'esilio in varii luoghi, e specialmente in una terra della Cappadocia. L'occasione suddetta portò che gli affari di Costanzo abbisognassero d'un braccio fedele per costodir l'Oriente dai continuati insulti de' Persiani. Costanzo adunque, chiamato a sè Gallo, gli conferì il titolo e la dignità diCesarenel dì 15 dimarzo[Idacius, in Fast. Zonar., in Annal. Socrat., Hist., lib. 2, cap. 28.], e nel medesimo tempo volle ch'egli sposasse sua sorella, chiamata da alcuniCostanza, ma che, per attestato di Ammiano, fu veramenteCostantina, vedova del già re Annibaliano. Poscia il mandò alla difesa dell'Oriente, dandogli per generale dell'armiLucilliano. BenchèGalloprendesse allora il nome diCostanzo, o per onorare il benefattore Augusto, o pure per ricreare suo padre Giulio Costanzo, nientedimeno gli scrittori continuarono a chiamarlo Gallo, per non confondere il nome di lui con quello del regnante imperadore. Il Gotofredo[Gothofred., in Chron. Cod. Theodos.]fu di parere che Gallo assumesse il nome non di Costanzo, ma diCostante, citando in prova di ciò Idazio[Idacius, in Fastis.]e l'autore della Cronica Alessandrina[Chron. Alexand.], ma il Tillemont[Tillemont, Mémoires des Empereurs.]con più fondamento sostenne la precedente opinione; e pur troppo si trovano nelle memorie antiche sovente confusi e cambiati questi nomi per la loro vicinità , o per le abbreviature. Dovrebbono servire a decidere questa per altro poco importante quistione le medaglie[Mediobarbus, Numismat. Imper.]rapportate da varii autori col CONSTANTIVS GALLVS, se noi fossimo certi della loro legittimità . In passando esso Gallo per Nicomedia[Liban., Orat. XII.], visitò Giuliano suo fratello, ivi dimorante sotto la disciplina di Eusebio vescovo ariano di quella città .Solamente in quest'anno fu, per attestato di Zosimo[Zosimus, lib. 2, cap. 45.]e di Zonara[Zonaras, in Annalib.], che il tiranno Magnenzio, trovandosi in Milano, diede il titolo diCesareaDecenziosuo fratello, inviandolo poscia alla difesa delle Gallie, che in questi tempi più che mai rimasero esposte alla rabbia ed avidità dei Franchi, Sassoni, Alemanni ed altri popoli della Germania.Libanio[Liban., Orat. XII.]non ebbe difficoltà di scrivere che Costanzo Augusto, considerando più la ragion di stato, fiera turbatrice del riposo de' popoli, che ogni altro riguardo; e pensando solo a vincere, senza mettersi pensiero, se legittimi o no fossero i mezzi, quegli fu che mosse con sue lettere e con danaro i Barbari a far guerra a Magnenzio nelle Gallie, per facilitare maggiormente a sè stesso la maniera di atterrarlo. Di simili esempli volesse Dio che le susseguenti età , ed anche la nostra, non ne avessero mai veduto, ed insieme deploratane l'iniquità . Certo è che que' Barbari recarono incredibili danni alle Gallie, posero a sacco molte ricche città , e scorrendo dappertutto senza trovare resistenza alcuna, talmente fissarono ivi il piede, che solamente si poterono far isloggiare di là ai tempi di Giuliano Cesare, siccome diremo. Le tante estorsioni di Magnenzio, accennate di sopra, per adunare il nerbo quasi principal delle guerre, cioè il danaro e le diligenze da lui fin qui usate, aveano servito a metter insieme una sì sterminata copia d'armati non solo suoi sudditi, ma anche Sassoni, Franchi e di altre nazioni germaniche[Julian., Orat. I.], prese al suo soldo, che pareva con tante forze atto ad annientare l'Augusto Costanzo, e ad assorbire il rimanente dell'imperio. Per maggiormente ancora animar le sue genti, promise loro la libertà dei saccheggi. In questo mentre Costanzo, stando nella Pannonia, niun movimento faceva; mostrava anzi paura, con disegno di tirare il nimico nel paese piano d'essa Pannonia, perchè, quantunque inferiore di fanteria, sperava di far meglio giuocare la sua cavalleria, superiore di numero a quella di Magnenzio[Zosimus, lib. 2, cap. 45 e 46. Zon., in Ann.]. In fatti dalla Italia pel Norico s'inoltrò la possente armata del tiranno alla volta della Pannonia, e mandò innanzi a sfidare Costanzo,con dire che nelle campagne larghe di Sciscia al fiume Savo verrebbe a trovarlo, per chiarire chi sapesse più bravamente menar le mani. E perciocchè intese che Costanzo avea spedite innanzi alcune schiere per contrastargli qualche passo, in un'imboscata che loro tese, le mise a filo di spada. Or mentre egli insuperbito per questo primo vantaggio si andava disponendo per passare il Savo, ecco giugnereFilippo, uno de' primi uffiziali della corte di Costanzo, perchè prefetto del pretorio, e personaggio di sperimentata prudenza, spedito dall'Augusto padrone in apparenza, secondo la opinione d'alcuni, per trattare di pace, ma in sostanza per iscoprire le forze e i disegni di Magnenzio, e studiarsi di mettere sedizione nella di lui armata. Diedegli udienza Magnenzio alla presenza di tutte le sue milizie, e seppe ben valersi l'accorto ambasciatore dell'occasione, mostrando di parlare al solo tiranno, per fare un'aringa anche alle ascoltatrici truppe di lui, con rappresentare come cosa vergognosa a gente romana il portar l'armi contra d'altri Romani, e massimamente contra de' figliuoli del gran Costantino, principe, a cui tutti aveano tante obbligazioni. Aggiunse, che se Magnenzio volea cedere a Costanzo l'Italia, consentirebbe Costanzo a lui la signoria delle Gallie; sotto il qual nome sembra verisimile che fosse compresa anche la Spagna e Bretagna. Zosimo e Zonara furono d'avviso che Costanzo veramente desiderasse la pace, per ischivare lo spargimento inevitabile del sangue di tanti popoli. Fece tal impressione nel cuore degli ascoltanti il discorso di Filippo, che durò fatica Magnenzio a far intendere la sua risposta, consistente in dire ch'egli di buon cuore accettava la proposizion di pace, ma che gli bisognava un po' di tempo per maturarne le condizioni. Con tale scappata rimise lo affare al giorno seguente, nel quale aringò la sua armata, e tanto disse dei mancamenti ed eccessi dell'estinto Costante,che smorzò in cuore dei più d'essi la inclinazione alla pace.Tosto dunque fatto prendere l'armi, andò per passare il Savo in vicinanza di Sciscia; ma gli fu all'incontro la guarnigione di quella città , che diede una fiera percossa alle di lui genti, parte precipitandole nel fiume, e parte trucidandole colle spade. Allora Magnenzio, vedendo tanto scompiglio de' suoi, cacciata la punta dell'asta sua in terra, fece segno con la mano alle milizie di Costanzo, di voler parlare di pace; e ne parlò in fatti, mostrando di passare unicamente per trattarne con Costanzo; di modo che o i soldati di Costanzo, o Costanzo medesimo ch'era vicino, fecero cessar la battaglia, e permisero il passo a Magnenzio. Tale è il racconto di Zosimo[Zosimus, lib. 2, cap. 48.], in cui nondimeno apparisce poca verisimiglianza. Quel che è certo, valicato ch'ebbe Magnenzio il Savo, stese il poderoso esercito suo nelle pianure poste tra il Savo e il Dravo, bramando intanto Costanzo di ridurlo a Cibala, per dargli battaglia in quel luogo, dove Costantino suo padre, ventisette anni prima, aveva sconfitto Licinio. Era appunto in Cibala Costanzo, e quivi teneva mirabilmente afforzato il suo campo, quandoTiziano, senator romano, creduto il medesimo che vedemmo poco fa prefetto di Roma, spedito da Magnenzio, venne a parlargli. Disse costui un'infinità d'insolenze contro la memoria del gran Costantino e de' suoi figliuoli, conchiudendo in fine che se a Costanzo era cara la vita, dimettesse l'imperio. Non altro gli rispose Costanzo, se non che rimetteva la sua causa alla giustizia di Dio, sperando che essa combatterebbe in suo favore, e vendicherebbe la morte indegna del fratello. Permise ancora a Tiziano di andarsene salvo, ancorchè i suoi cortigiani fossero in affanno, perchèFilippo, già inviato a Magnenzio, non era per anche tornato indietro dal campo, e nuova di lui nonsi sapeva. Accadde poscia cheSilvano, il quale comandava un corpo di cavalleria di Magnenzio, con tutti i suoi disertando, passò ai servigi di Costanzo: azione, che quanto recò di giubilo all'esercito d'esso Costanzo, altrettanto di affanno portò a Magnenzio, il quale, per paura che altri imitassero quell'esempio[Zosim., lib. 2, cap. 49. Zonar., in Annal.], si affrettò per venire alla decision della lite con qualche combattimento. Assalì Sciscia, e, presala d'assalto, la desertò. Dopo aver dato il sacco al paese posto fra il Dravo e il Savo, piombò addosso alla città di Sirmio, capitale del paese, credendosi di entrarvi senza contrasto. Trovò che i cittadini e il presidio militare aveano sangue nelle vene e cuore in petto; e però, lasciata quell'impresa, rivolse i passi e l'armi contro la città di Mursa, situata alla riva del fiume Dravo, dove ora è il ponte di Essec; e poichè la trovò ben munita, e costò caro alle di lui genti un furioso assalto, per cui sperava di prenderla, si mise ad assediarla. Allora fu che Costanzo, per non lasciar cadere quella città in man del nemico, mosse il suo campo a quella volta. Avvisato nel cammino che Magnenzio gli avea tesa un'imboscata, ebbe maniera di far tagliare a pezzi quella nemica brigata.Furono dunque a vista le due possenti armate, vogliose amendue di menar le mani, e nel dì 28 di settembre si schierarono per venire a battaglia. Stettero in ordinanza la maggior parte del dì, senza che alcuna d'esse cominciasse la danza: nel qual mentre, se vogliam credere a Zonara[Zonar., in Annal. Idacius, in Fastis.], Magnenzio, per consiglio d'una maga, fece un orrido sagrificio d'una fanciulla. Finalmente, accostandosi la sera, cominciò il terribil fatto d'armi, le cui particolarità , secondo il solito, son raccontate diversamente dagli scrittori. Giuliano[Julian., Orat. II.]pretende che la vittoria non tardasse a dichiararsi infavor di Costanzo, con rimanere rovesciato il corpo di battaglia di Magnenzio dall'ala sinistra; e dalla cavalleria d'esso Costanzo; e che Magnenzio non tardò a prendere la fuga; ma che le sue genti rimesse in ordinanza continuarono a far testa, animate dal coraggio de' loro uffiziali. Zosimo[Zosim., lib. 2, cap. 49.]e Zonara[Zonar., in Annalib.], per lo contrario, scrivono che il combattimento restò dubbioso fino alla nera notte, quando le genti di Costanzo, fatto uno sforzo, misero finalmente in rotta i nemici, buona parte de' quali o restò fredda sul campo, o andò a bere la morte nel fiume Dravo. Presi furono gli alloggiamenti dei vinti, che andarono a sacco; e Magnenzio, allorchè vide disperato il caso, e d'aver anche corso pericolo d'essere preso, come scrive Eutropio[Eutrop., in Breviar.], deposti gli abiti imperiali, e travestito si diede alla fuga, lasciando indietro il suo cavallo ben addobbato, acciocchè si credesse ucciso il padrone, e niuno gli tenesse dietro. Abbiamo da Sulpicio Severo[Sulpitius Severus, Hist., lib. 2.]che l'Augusto Costanzo nel tempo della zuffa stette aspettandone l'esito nella chiesa de' Martiri di Mursa. Certo egli non fu mai in concetto di gran guerriero, ed allora dovette raccomandarsi ben di cuore a Dio, ed implorar l'intercessione de' santi. Fu questa una delle più fiere e sanguinose battaglie che da gran tempo avesse veduta l'Europa, e vi perirono assaissimi uffiziali di raro valore dall'una parte e dall'altra, uno de' quali specialmente è rammemorato da Zosimo[Zosimus, lib. 2, cap. 52.], cioè Menelao capitano degli arcieri, il quale con tal forza e disinvoltura nel medesimo tempo scagliava tre freccie, che colpiva tre diverse persone. Con una d'esse avendo egli mortalmente ferito Romolo, generale dell'armata magnenziana, questi non volle desistere dal combattimento, finchè non ebbe tolta la vita al feritore, con lasciarvi appressoanch'egli la sua. Nuova più non si seppe di Marcellino, altro generale d'esso Magnenzio, e gran promotore della di lui ribellione; e però fu creduto ch'egli perisse nel Dravo. La mattina seguente[Zonar., in Annalib.]Costanzo Augusto si portò a mirare da un'eminenza il campo della battaglia; ed osservato il funesto spettacolo della innumerabil gente tanto sua che nemica estinta, non potè contener le lagrime, considerando come l'imperio romano fosse rimasto privo di sì gran copia di bravi uffiziali e forti soldati, che sarebbono stati il terror de' Barbari e il sostegno delle provincie romane. Eutropio[Eutrop., in Breviar.]anch'egli nota che di sommo pregiudizio all'imperio riuscì la perdita di sì valorose milizie. Non sembra poi credibile il dirsi da Zonara che Costanzo di ottanta mila combattenti, ch'egli avea, ne perdè trenta mila; e Magnenzio di trentasei mila ne lasciò sul campo ventiquattro mila. Vi sarà dell'error nel suo testo. Ordinò dunque Costanzo che si desse tosto sepoltura a tutti i cadaveri senza distinzion d'amici e di nemici, e che si curassero i feriti dell'una e dell'altra parte. Pubblicò ancora il perdono per chiunque avesse portate l'armi contra di lui, ed avuta parte nella morte del fratello Costante. Intanto il fuggitivo Magnenzio[Zosimus, lib. 2, cap. 53.]ebbe la fortuna per ora di scappare il meritato gastigo, e di salvarsi, con ripassar l'Alpi, tornandosene nelle Gallie, giacchè non si fidava de' Romani e degl'Italiani, a' quali sapeva d'essere in odio. Nè Costanzo si sentì voglia di fargli tener dietro, nè di proceder oltre, perchè trovò anche l'armata sua troppo affaticata ed infievolita di forze[Julian., Orat. II.]. La flotta sua, che s'era lasciata vedere sulle coste dell'Italia in questi medesimi tempi, senza aver operato cosa alcuna degna di memoria, solamente servì ad imbarcar molti che fuggivano la crudeltà diMagnenzio, e fra essi non pochi senatori e principali di Roma.
Dopo il consolato diSergioeNegriniano.
Così è notato in tutti i Fasti, perchè nei paesi dipendenti da Costanzo Augusto non furono riconosciuti i consoli che Magnenzio elesse per quest'anno in Roma. Per altro abbiamo la testimonianza dell'Anonimo[Cuspinianus. Bucherius.]Autore de' prefetti di Roma cheMagnenzioeGaisone(lo stesso che tolse di vita Costante Augusto) furono consoli in Roma nell'anno presente. Un frammento nondimeno d'antica iscrizione, da me dato alla luce[Thes. Novus Inscript., pag. 380.], parla diMagnenzioeDecenzio consoli, e parrebbe che appartenesse a questo anno. Quanto alla prefettura di Roma, v'ebbe più volte cangiamento di ministri nell'anno corrente[Cuspinianus. Panvinius. Bucherius.].Fabio Tizianola tenne per i due primi mesi. Nel primo dì di marzo a lui succedetteAurelio Celsino. Nel dì 12 di maggioCelio Probato, al quale nel dì 7 di giugno fu sostituitoClodia Adelfio; e nel dì 18 di dicembre surrogato gli fuValerio Procolo. Fra glialtri Adelfio fu sospettato di nudrir pensieri pregiudiziali contra di Magnenzio, come s'ha da Ammiano Marcellino[Ammianus, lib. 16, cap. 6.]. Passò l'Augusto Costanzo il verno in Sirmio della Pannonia, dove andò facendo le necessarie disposizioni per procedere ostilmente al primo addolcirsi della stagione contra del tiranno Magnenzio. Ma eccoti novelle che il re Sapore di Persia[Philost., lib. 3, cap. 23. Zonar., in Annal.]con formidabile armata minacciava di nuovo la Mesopotamia, e corse anche voce che entratovi dopo fieri saccheggi fosse ritornato indietro. Conobbe allora Costanzo di non poter solo accudire a due diverse guerre, e che per acquistar l'Occidente, correva pericolo di perder l'Oriente; e però venne alla risoluzione di eleggersi un collega, il quale mentr'egli guerreggiava nell'una parte, avesse l'occhio alla difesa dell'altra. Niuna prole maschile fin qui gli aveva dato Iddio, e nè pur gliene diede dipoi. Rivolse dunque il guardo aGallosuo cugino, figliuolo diGiulio Costanzo, cioè di un fratello del gran Costantino. AveaGallocol fratello suoGiuliano, che fu poi Apostata, quasi miracolosamente scappata la morte nell'anno 337, allorchè Costante Augusto fece quell'orrido macello di tanti suoi parenti, e fra gli altri del padre d'esso Gallo. Tornato poi in sè stesso, non solo lasciò di perseguitare i due giovanetti cugini[Julian., in Epist. ad Athen.], ma ebbe cura di farli signorilmente educare, con restituire a Gallo buona parte de' beni paterni e a Giuliano quei della madre, tenendoli nondimeno amendue come in una specie d'esilio in varii luoghi, e specialmente in una terra della Cappadocia. L'occasione suddetta portò che gli affari di Costanzo abbisognassero d'un braccio fedele per costodir l'Oriente dai continuati insulti de' Persiani. Costanzo adunque, chiamato a sè Gallo, gli conferì il titolo e la dignità diCesarenel dì 15 dimarzo[Idacius, in Fast. Zonar., in Annal. Socrat., Hist., lib. 2, cap. 28.], e nel medesimo tempo volle ch'egli sposasse sua sorella, chiamata da alcuniCostanza, ma che, per attestato di Ammiano, fu veramenteCostantina, vedova del già re Annibaliano. Poscia il mandò alla difesa dell'Oriente, dandogli per generale dell'armiLucilliano. BenchèGalloprendesse allora il nome diCostanzo, o per onorare il benefattore Augusto, o pure per ricreare suo padre Giulio Costanzo, nientedimeno gli scrittori continuarono a chiamarlo Gallo, per non confondere il nome di lui con quello del regnante imperadore. Il Gotofredo[Gothofred., in Chron. Cod. Theodos.]fu di parere che Gallo assumesse il nome non di Costanzo, ma diCostante, citando in prova di ciò Idazio[Idacius, in Fastis.]e l'autore della Cronica Alessandrina[Chron. Alexand.], ma il Tillemont[Tillemont, Mémoires des Empereurs.]con più fondamento sostenne la precedente opinione; e pur troppo si trovano nelle memorie antiche sovente confusi e cambiati questi nomi per la loro vicinità , o per le abbreviature. Dovrebbono servire a decidere questa per altro poco importante quistione le medaglie[Mediobarbus, Numismat. Imper.]rapportate da varii autori col CONSTANTIVS GALLVS, se noi fossimo certi della loro legittimità . In passando esso Gallo per Nicomedia[Liban., Orat. XII.], visitò Giuliano suo fratello, ivi dimorante sotto la disciplina di Eusebio vescovo ariano di quella città .
Solamente in quest'anno fu, per attestato di Zosimo[Zosimus, lib. 2, cap. 45.]e di Zonara[Zonaras, in Annalib.], che il tiranno Magnenzio, trovandosi in Milano, diede il titolo diCesareaDecenziosuo fratello, inviandolo poscia alla difesa delle Gallie, che in questi tempi più che mai rimasero esposte alla rabbia ed avidità dei Franchi, Sassoni, Alemanni ed altri popoli della Germania.Libanio[Liban., Orat. XII.]non ebbe difficoltà di scrivere che Costanzo Augusto, considerando più la ragion di stato, fiera turbatrice del riposo de' popoli, che ogni altro riguardo; e pensando solo a vincere, senza mettersi pensiero, se legittimi o no fossero i mezzi, quegli fu che mosse con sue lettere e con danaro i Barbari a far guerra a Magnenzio nelle Gallie, per facilitare maggiormente a sè stesso la maniera di atterrarlo. Di simili esempli volesse Dio che le susseguenti età , ed anche la nostra, non ne avessero mai veduto, ed insieme deploratane l'iniquità . Certo è che que' Barbari recarono incredibili danni alle Gallie, posero a sacco molte ricche città , e scorrendo dappertutto senza trovare resistenza alcuna, talmente fissarono ivi il piede, che solamente si poterono far isloggiare di là ai tempi di Giuliano Cesare, siccome diremo. Le tante estorsioni di Magnenzio, accennate di sopra, per adunare il nerbo quasi principal delle guerre, cioè il danaro e le diligenze da lui fin qui usate, aveano servito a metter insieme una sì sterminata copia d'armati non solo suoi sudditi, ma anche Sassoni, Franchi e di altre nazioni germaniche[Julian., Orat. I.], prese al suo soldo, che pareva con tante forze atto ad annientare l'Augusto Costanzo, e ad assorbire il rimanente dell'imperio. Per maggiormente ancora animar le sue genti, promise loro la libertà dei saccheggi. In questo mentre Costanzo, stando nella Pannonia, niun movimento faceva; mostrava anzi paura, con disegno di tirare il nimico nel paese piano d'essa Pannonia, perchè, quantunque inferiore di fanteria, sperava di far meglio giuocare la sua cavalleria, superiore di numero a quella di Magnenzio[Zosimus, lib. 2, cap. 45 e 46. Zon., in Ann.]. In fatti dalla Italia pel Norico s'inoltrò la possente armata del tiranno alla volta della Pannonia, e mandò innanzi a sfidare Costanzo,con dire che nelle campagne larghe di Sciscia al fiume Savo verrebbe a trovarlo, per chiarire chi sapesse più bravamente menar le mani. E perciocchè intese che Costanzo avea spedite innanzi alcune schiere per contrastargli qualche passo, in un'imboscata che loro tese, le mise a filo di spada. Or mentre egli insuperbito per questo primo vantaggio si andava disponendo per passare il Savo, ecco giugnereFilippo, uno de' primi uffiziali della corte di Costanzo, perchè prefetto del pretorio, e personaggio di sperimentata prudenza, spedito dall'Augusto padrone in apparenza, secondo la opinione d'alcuni, per trattare di pace, ma in sostanza per iscoprire le forze e i disegni di Magnenzio, e studiarsi di mettere sedizione nella di lui armata. Diedegli udienza Magnenzio alla presenza di tutte le sue milizie, e seppe ben valersi l'accorto ambasciatore dell'occasione, mostrando di parlare al solo tiranno, per fare un'aringa anche alle ascoltatrici truppe di lui, con rappresentare come cosa vergognosa a gente romana il portar l'armi contra d'altri Romani, e massimamente contra de' figliuoli del gran Costantino, principe, a cui tutti aveano tante obbligazioni. Aggiunse, che se Magnenzio volea cedere a Costanzo l'Italia, consentirebbe Costanzo a lui la signoria delle Gallie; sotto il qual nome sembra verisimile che fosse compresa anche la Spagna e Bretagna. Zosimo e Zonara furono d'avviso che Costanzo veramente desiderasse la pace, per ischivare lo spargimento inevitabile del sangue di tanti popoli. Fece tal impressione nel cuore degli ascoltanti il discorso di Filippo, che durò fatica Magnenzio a far intendere la sua risposta, consistente in dire ch'egli di buon cuore accettava la proposizion di pace, ma che gli bisognava un po' di tempo per maturarne le condizioni. Con tale scappata rimise lo affare al giorno seguente, nel quale aringò la sua armata, e tanto disse dei mancamenti ed eccessi dell'estinto Costante,che smorzò in cuore dei più d'essi la inclinazione alla pace.
Tosto dunque fatto prendere l'armi, andò per passare il Savo in vicinanza di Sciscia; ma gli fu all'incontro la guarnigione di quella città , che diede una fiera percossa alle di lui genti, parte precipitandole nel fiume, e parte trucidandole colle spade. Allora Magnenzio, vedendo tanto scompiglio de' suoi, cacciata la punta dell'asta sua in terra, fece segno con la mano alle milizie di Costanzo, di voler parlare di pace; e ne parlò in fatti, mostrando di passare unicamente per trattarne con Costanzo; di modo che o i soldati di Costanzo, o Costanzo medesimo ch'era vicino, fecero cessar la battaglia, e permisero il passo a Magnenzio. Tale è il racconto di Zosimo[Zosimus, lib. 2, cap. 48.], in cui nondimeno apparisce poca verisimiglianza. Quel che è certo, valicato ch'ebbe Magnenzio il Savo, stese il poderoso esercito suo nelle pianure poste tra il Savo e il Dravo, bramando intanto Costanzo di ridurlo a Cibala, per dargli battaglia in quel luogo, dove Costantino suo padre, ventisette anni prima, aveva sconfitto Licinio. Era appunto in Cibala Costanzo, e quivi teneva mirabilmente afforzato il suo campo, quandoTiziano, senator romano, creduto il medesimo che vedemmo poco fa prefetto di Roma, spedito da Magnenzio, venne a parlargli. Disse costui un'infinità d'insolenze contro la memoria del gran Costantino e de' suoi figliuoli, conchiudendo in fine che se a Costanzo era cara la vita, dimettesse l'imperio. Non altro gli rispose Costanzo, se non che rimetteva la sua causa alla giustizia di Dio, sperando che essa combatterebbe in suo favore, e vendicherebbe la morte indegna del fratello. Permise ancora a Tiziano di andarsene salvo, ancorchè i suoi cortigiani fossero in affanno, perchèFilippo, già inviato a Magnenzio, non era per anche tornato indietro dal campo, e nuova di lui nonsi sapeva. Accadde poscia cheSilvano, il quale comandava un corpo di cavalleria di Magnenzio, con tutti i suoi disertando, passò ai servigi di Costanzo: azione, che quanto recò di giubilo all'esercito d'esso Costanzo, altrettanto di affanno portò a Magnenzio, il quale, per paura che altri imitassero quell'esempio[Zosim., lib. 2, cap. 49. Zonar., in Annal.], si affrettò per venire alla decision della lite con qualche combattimento. Assalì Sciscia, e, presala d'assalto, la desertò. Dopo aver dato il sacco al paese posto fra il Dravo e il Savo, piombò addosso alla città di Sirmio, capitale del paese, credendosi di entrarvi senza contrasto. Trovò che i cittadini e il presidio militare aveano sangue nelle vene e cuore in petto; e però, lasciata quell'impresa, rivolse i passi e l'armi contro la città di Mursa, situata alla riva del fiume Dravo, dove ora è il ponte di Essec; e poichè la trovò ben munita, e costò caro alle di lui genti un furioso assalto, per cui sperava di prenderla, si mise ad assediarla. Allora fu che Costanzo, per non lasciar cadere quella città in man del nemico, mosse il suo campo a quella volta. Avvisato nel cammino che Magnenzio gli avea tesa un'imboscata, ebbe maniera di far tagliare a pezzi quella nemica brigata.
Furono dunque a vista le due possenti armate, vogliose amendue di menar le mani, e nel dì 28 di settembre si schierarono per venire a battaglia. Stettero in ordinanza la maggior parte del dì, senza che alcuna d'esse cominciasse la danza: nel qual mentre, se vogliam credere a Zonara[Zonar., in Annal. Idacius, in Fastis.], Magnenzio, per consiglio d'una maga, fece un orrido sagrificio d'una fanciulla. Finalmente, accostandosi la sera, cominciò il terribil fatto d'armi, le cui particolarità , secondo il solito, son raccontate diversamente dagli scrittori. Giuliano[Julian., Orat. II.]pretende che la vittoria non tardasse a dichiararsi infavor di Costanzo, con rimanere rovesciato il corpo di battaglia di Magnenzio dall'ala sinistra; e dalla cavalleria d'esso Costanzo; e che Magnenzio non tardò a prendere la fuga; ma che le sue genti rimesse in ordinanza continuarono a far testa, animate dal coraggio de' loro uffiziali. Zosimo[Zosim., lib. 2, cap. 49.]e Zonara[Zonar., in Annalib.], per lo contrario, scrivono che il combattimento restò dubbioso fino alla nera notte, quando le genti di Costanzo, fatto uno sforzo, misero finalmente in rotta i nemici, buona parte de' quali o restò fredda sul campo, o andò a bere la morte nel fiume Dravo. Presi furono gli alloggiamenti dei vinti, che andarono a sacco; e Magnenzio, allorchè vide disperato il caso, e d'aver anche corso pericolo d'essere preso, come scrive Eutropio[Eutrop., in Breviar.], deposti gli abiti imperiali, e travestito si diede alla fuga, lasciando indietro il suo cavallo ben addobbato, acciocchè si credesse ucciso il padrone, e niuno gli tenesse dietro. Abbiamo da Sulpicio Severo[Sulpitius Severus, Hist., lib. 2.]che l'Augusto Costanzo nel tempo della zuffa stette aspettandone l'esito nella chiesa de' Martiri di Mursa. Certo egli non fu mai in concetto di gran guerriero, ed allora dovette raccomandarsi ben di cuore a Dio, ed implorar l'intercessione de' santi. Fu questa una delle più fiere e sanguinose battaglie che da gran tempo avesse veduta l'Europa, e vi perirono assaissimi uffiziali di raro valore dall'una parte e dall'altra, uno de' quali specialmente è rammemorato da Zosimo[Zosimus, lib. 2, cap. 52.], cioè Menelao capitano degli arcieri, il quale con tal forza e disinvoltura nel medesimo tempo scagliava tre freccie, che colpiva tre diverse persone. Con una d'esse avendo egli mortalmente ferito Romolo, generale dell'armata magnenziana, questi non volle desistere dal combattimento, finchè non ebbe tolta la vita al feritore, con lasciarvi appressoanch'egli la sua. Nuova più non si seppe di Marcellino, altro generale d'esso Magnenzio, e gran promotore della di lui ribellione; e però fu creduto ch'egli perisse nel Dravo. La mattina seguente[Zonar., in Annalib.]Costanzo Augusto si portò a mirare da un'eminenza il campo della battaglia; ed osservato il funesto spettacolo della innumerabil gente tanto sua che nemica estinta, non potè contener le lagrime, considerando come l'imperio romano fosse rimasto privo di sì gran copia di bravi uffiziali e forti soldati, che sarebbono stati il terror de' Barbari e il sostegno delle provincie romane. Eutropio[Eutrop., in Breviar.]anch'egli nota che di sommo pregiudizio all'imperio riuscì la perdita di sì valorose milizie. Non sembra poi credibile il dirsi da Zonara che Costanzo di ottanta mila combattenti, ch'egli avea, ne perdè trenta mila; e Magnenzio di trentasei mila ne lasciò sul campo ventiquattro mila. Vi sarà dell'error nel suo testo. Ordinò dunque Costanzo che si desse tosto sepoltura a tutti i cadaveri senza distinzion d'amici e di nemici, e che si curassero i feriti dell'una e dell'altra parte. Pubblicò ancora il perdono per chiunque avesse portate l'armi contra di lui, ed avuta parte nella morte del fratello Costante. Intanto il fuggitivo Magnenzio[Zosimus, lib. 2, cap. 53.]ebbe la fortuna per ora di scappare il meritato gastigo, e di salvarsi, con ripassar l'Alpi, tornandosene nelle Gallie, giacchè non si fidava de' Romani e degl'Italiani, a' quali sapeva d'essere in odio. Nè Costanzo si sentì voglia di fargli tener dietro, nè di proceder oltre, perchè trovò anche l'armata sua troppo affaticata ed infievolita di forze[Julian., Orat. II.]. La flotta sua, che s'era lasciata vedere sulle coste dell'Italia in questi medesimi tempi, senza aver operato cosa alcuna degna di memoria, solamente servì ad imbarcar molti che fuggivano la crudeltà diMagnenzio, e fra essi non pochi senatori e principali di Roma.