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DCLIVAnno diCristoDCLIV. IndizioneXII.Martinopapa 6.Costantino, dettoCostante, imperadore 14.Aribertore 2.Dalla relazione[Labbe, Concilior., tom. 4, pag. 67.], che tuttavia esiste, dei travagli di sanMartinopapa, noi ricaviamo ch'egli fu condotto dall'isola di Nasso a Costantinopoli, dove giunse nel dì 17 di settembre dell'anno presente. Quivi fu messo in carcere, e vi stette tre mesi, senza poter parlare a chicchessia. Nel dì 19 di dicembre dal sacellario, ossia fiscale, ossia tesoriere di corte, fu posto all'esame, e prodotti gli accusatori suoi. A chi ha la forza e vuol fare una segreta vendetta, non mancano mai pretesti per palliare col manto della giustizia l'iniquo suo talento. Le vere cagioni di sì empia persecuzione contro del santo pontefice, già le abbiam vedute; ma si guardavano bene gli scaltri ministri imperiali di mettere in campo la di lui consecrazione e la condannadel monotelismo. Le calunniose accuse consistevano in dire, ch'egli avesse congiurato conOlimpioesarco contro dell'imperadore, e tenuta corrispondenza coi Saraceni in danno dello stato: il che ci fa conghietturare che a lui imputassero infin la calata di que' Barbari in Sicilia. Ridicole imputazioni. Se il buon papa avesse nudrito di questi disegni, non avea che da intendersi coi Longobardi confinanti nella Toscana, e nei ducati di Benevento e Spoleti. Avrebbono ben essi saputo profittar di sì bella occasione per sostenere il papa e nuocere all'imperadore. Rispose il papa, che se Olimpio avea mancato al suo dovere, non avea certo un romano pontefice forza da resistergli. E perchè egli volle far menzione del Tipo imperiale portato a Roma,Troiloprefetto lo interruppe, dicendo che qui non si trattava di fede, ma di delitti di stato; soggiugnendo:Noi siam tutti cristiani ed ortodossi, tanto noi, quanto i Romani. Replicò allora il pontefice:Piacesse a Dio; ma al tribunale di Dio ve ne dimanderò io conto un giorno. In quanto ai Saraceni, protestò di non aver mai scritte lettere a que' nemici del cristianesimo, nè lor mandato danaro: solamente avea data qualche limosina ai servi di Dio che venivano da quelle parti, ma non mai ai Saraceni. Gli fu parimente opposto di avere sparlato della beatissima Vergine Maria. Di questo misfatto gli eutichiani monoteliti soleano incolpare i cattolici, quasichè questi fossero nestoriani. Ma il papa pronunziò tosto scomunica contro chi non onorava la santissima Madre di Dio sopra ogni altra creatura, a riserva del suo divino Figliuolo. Poi veggendo che gli empii ministri seguitavano a mettere in campo sì mendicate e slombate accuse, li scongiurò di far presto quel che intendeano di fare, perchè così gli procurerebbono una gran ricompensa in cielo. Levossi il sacellario, e recò all'imperadore l'avviso dell'esame; poscia ritornato, fece portare nel pubblicocortile, dove era gran folla di popolo, il papa in una sedia perchè, a cagione della sua infermità, non potea camminare, e neppur tenersi ritto in piedi. Quivi dalle guardie gli fu levato il pallio archiepiscopale, il mantello con tutti gli altri abiti, in guisa che rimase quasi nudo. Poscia, postogli un collare di ferro al collo il trassero fuori del palazzo, menandolo per mezzo alla città, come condannato alla morte. Egli con volto sereno sofferiva tante ingiurie, e la maggior parte del popolo spettatore piangeva e gemeva a così indegno spettacolo. Fu condotto in prigione, e lasciato senza fuoco, benchè allora si facesse sentire un freddo intollerabile. Le donne nondimeno del guardiano mosse a compassione il posero in letto, e il coprirono bene con panni, acciocchè si riscaldasse; ma egli fino alla sera non potè parlare.Nel giorno seguente l'imperadore fu a visitare il patriarcaPaolo, che era gravemente malato, e gli raccontò quanto era avvenuto del papa. Allora Paolo, volgendosi verso la parete, disse:Oimè! questo ancora per accrescere la condanna!Interrogato da Costante, perchè parlasse così, rispose essere ben cosa deplorabile il trattare in tal forma chi era romano pontefice. E poscia scongiurollo di non farne di più, che troppo ancor s'era fatto. Morì da lì a poco il patriarcaPaolo, e trattossi di dargli per successorePirro, già deposto. Ma perciocchè da molti gli era opposto il memoriale da lui tempo fa esibito in Roma al papa, in cui condannava l'errore dei monoteliti, ed egli sparse voce che aveva ciò fatto per violenza usata con lui, dopo otto giorni Demostene notaio del sacellerio fu inviato alla prigione, per esaminar su questo punto il papa. Egli rispose con gran fermezza, e citò i testimonii che Pirro spontaneamente l'avea fatto, nè gli era stato usato alcun mal trattamento. Poi si raccomandò che sbrigassero l'affare della sua vita; mache sapessero ch'egli non comunicava colla Chiesa di Costantinopoli. Fino al dì 8 del mese di settembre era stato costante il clero romano in non voler eleggere alcun papa, ancorchè l'imperadore tenesse per deposto Martino, e loro avesse intimata l'elezione di un altro. Ma ossia che le istanze e minacce de' ministri imperiali soperchiassero la loro costanza, oppure, come è più probabile, che temessero di veder comparire a Roma qualche eretico inviato dell'imperadore ad occupar la cattedra di san Pietro: finalmente nel dì suddetto elessero papaEugeniodi nazione romano personaggio di gran benignità e di santi costumi, il quale mandò tosto i suoi apocrisarii a Costantinopoli. Ma questi si lasciarono quasi imbrogliare dai ripieghi inventati dai monoteliti. In questo medesimo anno ancora fu condotto prigione a Costantinopoli sanMassimoabate, quello stesso che disputò con Pirro già patriarca, e che ito a Roma era divenuto il braccio destro del santo pontefice Martino. Da Roma anch'egli fu nell'anno precedente tratto per forza, e perseguitato poscia per più anni non per altro delitto, se non perchè fu uno dei più forti atleti della Chiesa di Dio contro de' monoteliti, ancorchè ridicolosamente fosse imputata a lui la perdita dell'Egitto, della Pentapoli e dell'Africa, provincie prese dai Saraceni. Nel mese ancora di aprile di quest'anno Costante imperadore dichiarò Augusto e collega nell'imperioCostantino, chiamato per soprannomePogonato, cioèbarbato, suo figliuolo primogenito. Fu eziandio presa l'isola di Rodi daMuaviagenerale dei Saraceni[Theoph., in Chronogr.]. Dicesi che il suo mirabil colosso, che era durato in piedi per mille trecento e settanta anni, fu allora abbattuto; e che di quel bronzo un Giudeo di Edessa, che lo comperò, ne caricò novecento cammelli. L'andare adagio a credere certe maravigliose cose narrate dagli scrittori antichi, se lontanedai lor tempi, pare che sia in obbligo di chi desidera di non essere ingannato.

Dalla relazione[Labbe, Concilior., tom. 4, pag. 67.], che tuttavia esiste, dei travagli di sanMartinopapa, noi ricaviamo ch'egli fu condotto dall'isola di Nasso a Costantinopoli, dove giunse nel dì 17 di settembre dell'anno presente. Quivi fu messo in carcere, e vi stette tre mesi, senza poter parlare a chicchessia. Nel dì 19 di dicembre dal sacellario, ossia fiscale, ossia tesoriere di corte, fu posto all'esame, e prodotti gli accusatori suoi. A chi ha la forza e vuol fare una segreta vendetta, non mancano mai pretesti per palliare col manto della giustizia l'iniquo suo talento. Le vere cagioni di sì empia persecuzione contro del santo pontefice, già le abbiam vedute; ma si guardavano bene gli scaltri ministri imperiali di mettere in campo la di lui consecrazione e la condannadel monotelismo. Le calunniose accuse consistevano in dire, ch'egli avesse congiurato conOlimpioesarco contro dell'imperadore, e tenuta corrispondenza coi Saraceni in danno dello stato: il che ci fa conghietturare che a lui imputassero infin la calata di que' Barbari in Sicilia. Ridicole imputazioni. Se il buon papa avesse nudrito di questi disegni, non avea che da intendersi coi Longobardi confinanti nella Toscana, e nei ducati di Benevento e Spoleti. Avrebbono ben essi saputo profittar di sì bella occasione per sostenere il papa e nuocere all'imperadore. Rispose il papa, che se Olimpio avea mancato al suo dovere, non avea certo un romano pontefice forza da resistergli. E perchè egli volle far menzione del Tipo imperiale portato a Roma,Troiloprefetto lo interruppe, dicendo che qui non si trattava di fede, ma di delitti di stato; soggiugnendo:Noi siam tutti cristiani ed ortodossi, tanto noi, quanto i Romani. Replicò allora il pontefice:Piacesse a Dio; ma al tribunale di Dio ve ne dimanderò io conto un giorno. In quanto ai Saraceni, protestò di non aver mai scritte lettere a que' nemici del cristianesimo, nè lor mandato danaro: solamente avea data qualche limosina ai servi di Dio che venivano da quelle parti, ma non mai ai Saraceni. Gli fu parimente opposto di avere sparlato della beatissima Vergine Maria. Di questo misfatto gli eutichiani monoteliti soleano incolpare i cattolici, quasichè questi fossero nestoriani. Ma il papa pronunziò tosto scomunica contro chi non onorava la santissima Madre di Dio sopra ogni altra creatura, a riserva del suo divino Figliuolo. Poi veggendo che gli empii ministri seguitavano a mettere in campo sì mendicate e slombate accuse, li scongiurò di far presto quel che intendeano di fare, perchè così gli procurerebbono una gran ricompensa in cielo. Levossi il sacellario, e recò all'imperadore l'avviso dell'esame; poscia ritornato, fece portare nel pubblicocortile, dove era gran folla di popolo, il papa in una sedia perchè, a cagione della sua infermità, non potea camminare, e neppur tenersi ritto in piedi. Quivi dalle guardie gli fu levato il pallio archiepiscopale, il mantello con tutti gli altri abiti, in guisa che rimase quasi nudo. Poscia, postogli un collare di ferro al collo il trassero fuori del palazzo, menandolo per mezzo alla città, come condannato alla morte. Egli con volto sereno sofferiva tante ingiurie, e la maggior parte del popolo spettatore piangeva e gemeva a così indegno spettacolo. Fu condotto in prigione, e lasciato senza fuoco, benchè allora si facesse sentire un freddo intollerabile. Le donne nondimeno del guardiano mosse a compassione il posero in letto, e il coprirono bene con panni, acciocchè si riscaldasse; ma egli fino alla sera non potè parlare.

Nel giorno seguente l'imperadore fu a visitare il patriarcaPaolo, che era gravemente malato, e gli raccontò quanto era avvenuto del papa. Allora Paolo, volgendosi verso la parete, disse:Oimè! questo ancora per accrescere la condanna!Interrogato da Costante, perchè parlasse così, rispose essere ben cosa deplorabile il trattare in tal forma chi era romano pontefice. E poscia scongiurollo di non farne di più, che troppo ancor s'era fatto. Morì da lì a poco il patriarcaPaolo, e trattossi di dargli per successorePirro, già deposto. Ma perciocchè da molti gli era opposto il memoriale da lui tempo fa esibito in Roma al papa, in cui condannava l'errore dei monoteliti, ed egli sparse voce che aveva ciò fatto per violenza usata con lui, dopo otto giorni Demostene notaio del sacellerio fu inviato alla prigione, per esaminar su questo punto il papa. Egli rispose con gran fermezza, e citò i testimonii che Pirro spontaneamente l'avea fatto, nè gli era stato usato alcun mal trattamento. Poi si raccomandò che sbrigassero l'affare della sua vita; mache sapessero ch'egli non comunicava colla Chiesa di Costantinopoli. Fino al dì 8 del mese di settembre era stato costante il clero romano in non voler eleggere alcun papa, ancorchè l'imperadore tenesse per deposto Martino, e loro avesse intimata l'elezione di un altro. Ma ossia che le istanze e minacce de' ministri imperiali soperchiassero la loro costanza, oppure, come è più probabile, che temessero di veder comparire a Roma qualche eretico inviato dell'imperadore ad occupar la cattedra di san Pietro: finalmente nel dì suddetto elessero papaEugeniodi nazione romano personaggio di gran benignità e di santi costumi, il quale mandò tosto i suoi apocrisarii a Costantinopoli. Ma questi si lasciarono quasi imbrogliare dai ripieghi inventati dai monoteliti. In questo medesimo anno ancora fu condotto prigione a Costantinopoli sanMassimoabate, quello stesso che disputò con Pirro già patriarca, e che ito a Roma era divenuto il braccio destro del santo pontefice Martino. Da Roma anch'egli fu nell'anno precedente tratto per forza, e perseguitato poscia per più anni non per altro delitto, se non perchè fu uno dei più forti atleti della Chiesa di Dio contro de' monoteliti, ancorchè ridicolosamente fosse imputata a lui la perdita dell'Egitto, della Pentapoli e dell'Africa, provincie prese dai Saraceni. Nel mese ancora di aprile di quest'anno Costante imperadore dichiarò Augusto e collega nell'imperioCostantino, chiamato per soprannomePogonato, cioèbarbato, suo figliuolo primogenito. Fu eziandio presa l'isola di Rodi daMuaviagenerale dei Saraceni[Theoph., in Chronogr.]. Dicesi che il suo mirabil colosso, che era durato in piedi per mille trecento e settanta anni, fu allora abbattuto; e che di quel bronzo un Giudeo di Edessa, che lo comperò, ne caricò novecento cammelli. L'andare adagio a credere certe maravigliose cose narrate dagli scrittori antichi, se lontanedai lor tempi, pare che sia in obbligo di chi desidera di non essere ingannato.


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