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DLXXVAnno diCristoDLXXV. IndizioneVIII.Benedetto Ipapa 2.Giustino IIimperadore 11.Tiberio Costantinocesare 2.L'anno IX dopo il consolato diGiustino Augusto.Secondochè scrive Paolo Diacono, non più che un anno e sei mesi regnòClefore dei Longobardi; e però o sul fine del precedente o pure sul principio del presente è da credere ch'egli fossetolto dal mondo. Principe a noi solamente noto per la sua crudeltà, e non indegno della morte che gli toccò[Paulus Diaconus, de Gest. Langobard. lib. 2, cap. 31 et seq.]. Fu egli ucciso da un suo paggio o famiglio, senza che a nostra notizia sia giunta la cagione o la maniera di quest'altro regicidio. Perdieci annidipoi restò senza re il regno de' Longobardi, non so se perchè discordassero nell'elezione i primati, ovvero perchè per allora amassero di non avere un capo che regolasse il corpo loro, o pure perchèAutarifigliuolo del re Clefo paresse loro, a cagion della sua età, non per anche atto al governo dei popoli, siccome poi fu creduto da lì a dieci anni. Sappiamo bensì da Paolo Diacono che in questo decennio la nazion longobarda fu governata da trentasei duchi, formando essi una repubblica, concordemente regolata da tante teste, ma comandando cadaun di essi come sovrano a quella città che gli era stata data in governo, e coll'indipendenza dagli altri. Zabano signoreggiava inPavia, Alboino inMilano, Vallari inBergamo, Alachiso inBrescia, Evino inTrento, Gisolfo inCividale di Friuli, e così altri in altre città. Non si può ben decidere se i ducati delFriulie diSpoletifossero allora formati con quella ampiezza che certamente ebbero dipoi; nè se fosse per anche nato il ducato insigne diBenevento. Contuttociò fondatamente si può credere che si fossero già introdotti alcuni duchi, i quali comandassero a più d'una città. Parleremo tra poco diFaroaldo primo duca di Spoleti. Per altro in somma confusione era per questi tempi lo stato dell'Italia. Restavano tuttavia in potere dell'imperadore Ravenna con alcune città circonvicine; Roma col suo ducato, che abbracciava altre città: Padova, Monselice e Cremona; e nella Liguria Genova con altri luoghi marittimi. Ritenevano ancora gli uffiziali cesarei alcuni luoghi nell'Alpi Cozzie, come Susa ed altri siti. Ed èfuor di dubbio che Napoli con altre città marittime seguitava ad esser fedele all'imperadore. Possedevano all'incontro i Longobardi le provincie del Friuli e della Venezia, la Liguria quasi tutta la Toscana e l'Umbria di qua e di là dall'Apennino, e penetravano nella Puglia e Campania. Sicchè la misera Italia era divisa e lacerata in varie parti, e per le offese e difese piena di guai. Attesta ancora Paolo Diacono[Paulus Diaconus, de Gest. Langobard., lib. 2, cap. 32.]che sotto questi duchi per la loro ingordigia di robe furono uccisi molti nobili romani, cioè italiani, e che i popoli furono tassati a pagar ogni anno per tributo la terza parte delle rendite delle lor terre ai Longobardi. Io so che v'ha taluno, a cui per cagion di questo tributo è sembrata ben deplorabile la condizion dell'Italia dopo la venuta de' Longobardi; quasi che non vi abbia de' popoli anche oggidì in Italia che, computati gli aggravii tutti pagano al principe loro eguali, anzi più gravi tributi. Oltre di che, chi esalta cotanto il governo dei Romani antichi in paragone di questi Barbari, dovrebbe ricordarsi quanti terreni si contribuissero una volta per fondar le colonie romane, e quanto maggior copia parimenti di terreni si sia in que' tempi tolta alle città per premiare i soldati, e a quanti aggravii fossero anche sotto i Romani sottoposti i popoli. Ora scrivendo Paolo Diacono cheper hos Langobardorum duces, septimo anno ab adventu Alboini, Italia in maxima parte capta est; e venendo a cadere nell'anno presente ilsettimodopo la venuta d'Alboino, pare che il comando sovrano d'essi duchi avesse principio di qui.Ho differito fin qui di parlare delle irruzioni fatte dai Longobardi nelle Gallie, perchè Gregorio Turonense, che ce ne conservò le notizie, e da cui le prese anche Paolo Diacono, secondo il suo solito, non ne indica gli anni. MarioAventicense[Marius Aventicensis, in Chron.]ne riferisce una all'anno 568, cioè a quel medesimo, in cui Alboino entrò colla sua nazione in Italia; il che difficilmente si può credere. Almen pare che le medesime succedessero parte sottoAlboinoe parte sotto il regno diClefo, vivente ancoraSigebertore dei Franchi, il quale nell'anno presente tolto fu dal mondo. Raccogliesi dunque da esso Turonense (copiato dipoi da Paolo Diacono) che[Gregor. Turonensis, lib. 4, cap. 6. Paulus Diaconus, lib. 3, cap. 1.]santo Ospizio, romito chiuso appresso Nizza di Provenza, predisse la venuta de' Longobardi nelle Gallie, e che devasterebbono sette città. Giunsero questi Barbari in quelle parti, e veduto il santo romito al fenestrino della torre, dove era chiuso, nè trovando porta alcuna, salirono sul tetto, e tolto via le tegole, videro il servo di Dio cinto di catene e vestito di cilicio. Il riputarono malfattore, ed egli per mezzo d'un interprete interrogato, rispose d'esser tale. Allora uno di quei Longobardi, sfoderata le spada, volle ucciderlo, ma se gl'intirizzì il braccio: dal che intesero ch'egli era un santo penitente. Entrarono dunque, non so se questi, o pur altri nelle Gallie[Gregor. Turonensis, lib. 4, cap. 42.], e si diedero a saccheggiare il paese della Borgogna, che allora si stendeva pel Delfinato e per la Savoia.Arnatopatrizio de' Franchi, cioè ornato della più illustre dignità che allora conferissero gli imperadori e i re, accorse contra di costoro con quante forze potè; ma, venuto a battaglia con essi, vi lasciò la vita e la sua armata prese la fuga. Tanta fu la strage fatta de' Borgognoni in quella infelice giornata, che non si potè ben raccogliere il numero dei morti. Se ne tornarono appresso in Italia i Longobardi tutti carichi di bottino. Era tuttavia vivo il reAlboino. Vollero poi nell'anno appresso visitar di nuovo le Gallie, credendo di avere sì buon mercato,come era avvenuto la prima volta; e pervennero fin verso la città d'Ambrun. Ma ebbero all'incontroEunio, soprannominatoMummolo, patrizio generale del reGuntranno, uomo di gran valore e di rara accortezza militare. Lasciò egli inoltrare i Longobardi per quelle montagne, e fatte tagliar le strade e baricare i passi, gl'imbrogliò in maniera, che molti ne uccise e fece gli altri prigioni, a riserva di pochi che, salvatisi colla fuga, poterono portarne la nuova in Italia. Come cosa scandalosa osservò il Turonense che intervennero a questa impresa contra de' LongobardiSaloniovescovo di Ambrun, eSegittariovescovo di Gap, amendue fratelli, guerniti di tutt'armi, e, quel ch'è peggio, di lor mano ancora uccisero alcuni di quei Barbari. Furono questi vescovi condannati dipoi nel concilio di Lione, e finalmente deposti in quello di Scialon; ma pur troppo servirono di esempio ad altri vescovi nell'avvenire per comparir nelle armate vestiti di celata e di usbergo, per far da bravi nelle battaglie, senza rispettare i sacri canoni, dai quali son detestati e puniti somiglianti eccessi.Venne ancor voglia ai Sassoni, già calati in Italia con Alboino, di cercare la lor buona ventura nelle Gallie, ed entrati nella Provenza, si piantarono nel territorio di Riez, e di là facendo scorrerie, mettevano a sacco tutte le ville delle città circonvicine. Non fu lento a farsene rendere conto il generale de' Franchi Mummolo, che trovandoli sbandati, ne uccise alcune migliaia, a più ne avrebbe tagliato a pezzi, se non sopraggiungeva la notte. La mattina seguente raggruppatisi i restanti Sassoni, si disposero ad un nuovo cimento; ma andando innanzi e indietro dei messi, si venne ad un aggiustamento, per cui essi regalarono Mummolo, rilasciarono tutta la preda coi prigioni, e promisero di tornare all'ubbidienza del reSigeberto. Ed, in fatti, venuti che furono in Italia, raccolsero le lor mogli e figliuoli, e se ne ritornarononella Gallia, e poscia in Sassonia, dov'ebbero di male percosse dagli Svevi, che s'erano annidati nella patria di essi Sassoni, nè se ne voleano partire. Voce costante fu che costoro abbandonassero l'Italia, perchè non piacea loro di star sotto i Longobardi, che li trattavano da sudditi. Racconta parimente Mario Aventicense, che dopo essere stato ucciso il re Clefo, nel medesimo anno (e però nel presente) i Longobardi di nuovo tornarono nella Valle dei Vallesi; presero le Chiuse, ed abitarono molti giorni nel celebre monistero di Agauno. Aggiugne che vennero ad un conflitto coi Franchi, e quasi tutti rimasero morti sul campo. Ma se in questi anni era l'Italia immersa nelle miserie per cagione de' Longobardi, non godea già maggior felicità la Gallia stessa[Gregor. Turonensis, lib. 4, cap. 44.]. Le guerre civili, insorte fra i due reChilpericoeSigeberto, si riaccesero più volte. Seguirono battaglie, stragi, saccheggi e incendii, colla desolazion delle campagne, delle chiese e de' monisteri, in guisa che Gregorio Turonense ebbe a chiamar più terribil quella persecuzione, che le sofferte ai tempi di Diocleziano.Sigebertoinfine più potente dell'altro, dopo avergli prese varie città, era alla vigilia di spogliarlo di tutto, quando daFredegondamoglie del reChilperico, donna, a cui nulla costavano le iniquità, furono inviati due animosi sicarii, che, trovata maniera d'essere introdotti all'udienza di esso re Sigeberto, gli cacciarono nei fianchi due coltelli avvelenati, da' quali colpi egli tra poco morì. Credesi che a quest'anno appartenga il prospero successo delle armi Cesaree in Oriente controCosroere di Persia. Costui avendo che fare conGiustinodebolissimo imperadore, sempre più insuperbiva e faceva dei nuovi acquisti. Ma da che Tiberio fu creato Cesare, mutarono faccia gli affari[Evagr., lib. 5, cap. 14.]. Sapendo egli usar meglio del danaro che dianzi si gettava in ispesevanissime, mise in piedi una poderosa armata di circa centocinquantamila soldati scelti, e ne diede il comando aGiustinianopronipote di Giustiniano Augusto, e figliuolo diGermanopatrizio. Questi valorosamente ito a fronte di Cosroe, gli diede di molte busse, il costrinse a ritirarsi in Persia, e nella Persia entrò anch'egli, da dove riportò un ricco bottino ed una gran moltitudine di prigioni. Circa questi tempi ancora, se si vuol credere al padre Mabillon[Mabillon, Annal. Benedictin.], sanGregorioil grande, abbandonato il secolo e la pretura di Roma, abbracciò la vita monastica nel monistero romano di san Andrea sotto la regola di san Benedetto.

L'anno IX dopo il consolato diGiustino Augusto.

Secondochè scrive Paolo Diacono, non più che un anno e sei mesi regnòClefore dei Longobardi; e però o sul fine del precedente o pure sul principio del presente è da credere ch'egli fossetolto dal mondo. Principe a noi solamente noto per la sua crudeltà, e non indegno della morte che gli toccò[Paulus Diaconus, de Gest. Langobard. lib. 2, cap. 31 et seq.]. Fu egli ucciso da un suo paggio o famiglio, senza che a nostra notizia sia giunta la cagione o la maniera di quest'altro regicidio. Perdieci annidipoi restò senza re il regno de' Longobardi, non so se perchè discordassero nell'elezione i primati, ovvero perchè per allora amassero di non avere un capo che regolasse il corpo loro, o pure perchèAutarifigliuolo del re Clefo paresse loro, a cagion della sua età, non per anche atto al governo dei popoli, siccome poi fu creduto da lì a dieci anni. Sappiamo bensì da Paolo Diacono che in questo decennio la nazion longobarda fu governata da trentasei duchi, formando essi una repubblica, concordemente regolata da tante teste, ma comandando cadaun di essi come sovrano a quella città che gli era stata data in governo, e coll'indipendenza dagli altri. Zabano signoreggiava inPavia, Alboino inMilano, Vallari inBergamo, Alachiso inBrescia, Evino inTrento, Gisolfo inCividale di Friuli, e così altri in altre città. Non si può ben decidere se i ducati delFriulie diSpoletifossero allora formati con quella ampiezza che certamente ebbero dipoi; nè se fosse per anche nato il ducato insigne diBenevento. Contuttociò fondatamente si può credere che si fossero già introdotti alcuni duchi, i quali comandassero a più d'una città. Parleremo tra poco diFaroaldo primo duca di Spoleti. Per altro in somma confusione era per questi tempi lo stato dell'Italia. Restavano tuttavia in potere dell'imperadore Ravenna con alcune città circonvicine; Roma col suo ducato, che abbracciava altre città: Padova, Monselice e Cremona; e nella Liguria Genova con altri luoghi marittimi. Ritenevano ancora gli uffiziali cesarei alcuni luoghi nell'Alpi Cozzie, come Susa ed altri siti. Ed èfuor di dubbio che Napoli con altre città marittime seguitava ad esser fedele all'imperadore. Possedevano all'incontro i Longobardi le provincie del Friuli e della Venezia, la Liguria quasi tutta la Toscana e l'Umbria di qua e di là dall'Apennino, e penetravano nella Puglia e Campania. Sicchè la misera Italia era divisa e lacerata in varie parti, e per le offese e difese piena di guai. Attesta ancora Paolo Diacono[Paulus Diaconus, de Gest. Langobard., lib. 2, cap. 32.]che sotto questi duchi per la loro ingordigia di robe furono uccisi molti nobili romani, cioè italiani, e che i popoli furono tassati a pagar ogni anno per tributo la terza parte delle rendite delle lor terre ai Longobardi. Io so che v'ha taluno, a cui per cagion di questo tributo è sembrata ben deplorabile la condizion dell'Italia dopo la venuta de' Longobardi; quasi che non vi abbia de' popoli anche oggidì in Italia che, computati gli aggravii tutti pagano al principe loro eguali, anzi più gravi tributi. Oltre di che, chi esalta cotanto il governo dei Romani antichi in paragone di questi Barbari, dovrebbe ricordarsi quanti terreni si contribuissero una volta per fondar le colonie romane, e quanto maggior copia parimenti di terreni si sia in que' tempi tolta alle città per premiare i soldati, e a quanti aggravii fossero anche sotto i Romani sottoposti i popoli. Ora scrivendo Paolo Diacono cheper hos Langobardorum duces, septimo anno ab adventu Alboini, Italia in maxima parte capta est; e venendo a cadere nell'anno presente ilsettimodopo la venuta d'Alboino, pare che il comando sovrano d'essi duchi avesse principio di qui.

Ho differito fin qui di parlare delle irruzioni fatte dai Longobardi nelle Gallie, perchè Gregorio Turonense, che ce ne conservò le notizie, e da cui le prese anche Paolo Diacono, secondo il suo solito, non ne indica gli anni. MarioAventicense[Marius Aventicensis, in Chron.]ne riferisce una all'anno 568, cioè a quel medesimo, in cui Alboino entrò colla sua nazione in Italia; il che difficilmente si può credere. Almen pare che le medesime succedessero parte sottoAlboinoe parte sotto il regno diClefo, vivente ancoraSigebertore dei Franchi, il quale nell'anno presente tolto fu dal mondo. Raccogliesi dunque da esso Turonense (copiato dipoi da Paolo Diacono) che[Gregor. Turonensis, lib. 4, cap. 6. Paulus Diaconus, lib. 3, cap. 1.]santo Ospizio, romito chiuso appresso Nizza di Provenza, predisse la venuta de' Longobardi nelle Gallie, e che devasterebbono sette città. Giunsero questi Barbari in quelle parti, e veduto il santo romito al fenestrino della torre, dove era chiuso, nè trovando porta alcuna, salirono sul tetto, e tolto via le tegole, videro il servo di Dio cinto di catene e vestito di cilicio. Il riputarono malfattore, ed egli per mezzo d'un interprete interrogato, rispose d'esser tale. Allora uno di quei Longobardi, sfoderata le spada, volle ucciderlo, ma se gl'intirizzì il braccio: dal che intesero ch'egli era un santo penitente. Entrarono dunque, non so se questi, o pur altri nelle Gallie[Gregor. Turonensis, lib. 4, cap. 42.], e si diedero a saccheggiare il paese della Borgogna, che allora si stendeva pel Delfinato e per la Savoia.Arnatopatrizio de' Franchi, cioè ornato della più illustre dignità che allora conferissero gli imperadori e i re, accorse contra di costoro con quante forze potè; ma, venuto a battaglia con essi, vi lasciò la vita e la sua armata prese la fuga. Tanta fu la strage fatta de' Borgognoni in quella infelice giornata, che non si potè ben raccogliere il numero dei morti. Se ne tornarono appresso in Italia i Longobardi tutti carichi di bottino. Era tuttavia vivo il reAlboino. Vollero poi nell'anno appresso visitar di nuovo le Gallie, credendo di avere sì buon mercato,come era avvenuto la prima volta; e pervennero fin verso la città d'Ambrun. Ma ebbero all'incontroEunio, soprannominatoMummolo, patrizio generale del reGuntranno, uomo di gran valore e di rara accortezza militare. Lasciò egli inoltrare i Longobardi per quelle montagne, e fatte tagliar le strade e baricare i passi, gl'imbrogliò in maniera, che molti ne uccise e fece gli altri prigioni, a riserva di pochi che, salvatisi colla fuga, poterono portarne la nuova in Italia. Come cosa scandalosa osservò il Turonense che intervennero a questa impresa contra de' LongobardiSaloniovescovo di Ambrun, eSegittariovescovo di Gap, amendue fratelli, guerniti di tutt'armi, e, quel ch'è peggio, di lor mano ancora uccisero alcuni di quei Barbari. Furono questi vescovi condannati dipoi nel concilio di Lione, e finalmente deposti in quello di Scialon; ma pur troppo servirono di esempio ad altri vescovi nell'avvenire per comparir nelle armate vestiti di celata e di usbergo, per far da bravi nelle battaglie, senza rispettare i sacri canoni, dai quali son detestati e puniti somiglianti eccessi.

Venne ancor voglia ai Sassoni, già calati in Italia con Alboino, di cercare la lor buona ventura nelle Gallie, ed entrati nella Provenza, si piantarono nel territorio di Riez, e di là facendo scorrerie, mettevano a sacco tutte le ville delle città circonvicine. Non fu lento a farsene rendere conto il generale de' Franchi Mummolo, che trovandoli sbandati, ne uccise alcune migliaia, a più ne avrebbe tagliato a pezzi, se non sopraggiungeva la notte. La mattina seguente raggruppatisi i restanti Sassoni, si disposero ad un nuovo cimento; ma andando innanzi e indietro dei messi, si venne ad un aggiustamento, per cui essi regalarono Mummolo, rilasciarono tutta la preda coi prigioni, e promisero di tornare all'ubbidienza del reSigeberto. Ed, in fatti, venuti che furono in Italia, raccolsero le lor mogli e figliuoli, e se ne ritornarononella Gallia, e poscia in Sassonia, dov'ebbero di male percosse dagli Svevi, che s'erano annidati nella patria di essi Sassoni, nè se ne voleano partire. Voce costante fu che costoro abbandonassero l'Italia, perchè non piacea loro di star sotto i Longobardi, che li trattavano da sudditi. Racconta parimente Mario Aventicense, che dopo essere stato ucciso il re Clefo, nel medesimo anno (e però nel presente) i Longobardi di nuovo tornarono nella Valle dei Vallesi; presero le Chiuse, ed abitarono molti giorni nel celebre monistero di Agauno. Aggiugne che vennero ad un conflitto coi Franchi, e quasi tutti rimasero morti sul campo. Ma se in questi anni era l'Italia immersa nelle miserie per cagione de' Longobardi, non godea già maggior felicità la Gallia stessa[Gregor. Turonensis, lib. 4, cap. 44.]. Le guerre civili, insorte fra i due reChilpericoeSigeberto, si riaccesero più volte. Seguirono battaglie, stragi, saccheggi e incendii, colla desolazion delle campagne, delle chiese e de' monisteri, in guisa che Gregorio Turonense ebbe a chiamar più terribil quella persecuzione, che le sofferte ai tempi di Diocleziano.Sigebertoinfine più potente dell'altro, dopo avergli prese varie città, era alla vigilia di spogliarlo di tutto, quando daFredegondamoglie del reChilperico, donna, a cui nulla costavano le iniquità, furono inviati due animosi sicarii, che, trovata maniera d'essere introdotti all'udienza di esso re Sigeberto, gli cacciarono nei fianchi due coltelli avvelenati, da' quali colpi egli tra poco morì. Credesi che a quest'anno appartenga il prospero successo delle armi Cesaree in Oriente controCosroere di Persia. Costui avendo che fare conGiustinodebolissimo imperadore, sempre più insuperbiva e faceva dei nuovi acquisti. Ma da che Tiberio fu creato Cesare, mutarono faccia gli affari[Evagr., lib. 5, cap. 14.]. Sapendo egli usar meglio del danaro che dianzi si gettava in ispesevanissime, mise in piedi una poderosa armata di circa centocinquantamila soldati scelti, e ne diede il comando aGiustinianopronipote di Giustiniano Augusto, e figliuolo diGermanopatrizio. Questi valorosamente ito a fronte di Cosroe, gli diede di molte busse, il costrinse a ritirarsi in Persia, e nella Persia entrò anch'egli, da dove riportò un ricco bottino ed una gran moltitudine di prigioni. Circa questi tempi ancora, se si vuol credere al padre Mabillon[Mabillon, Annal. Benedictin.], sanGregorioil grande, abbandonato il secolo e la pretura di Roma, abbracciò la vita monastica nel monistero romano di san Andrea sotto la regola di san Benedetto.


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