DXXXVIIIAnno diCristoDXXXVIII. IndizioneI.Vigiliopapa 1.Giustinianoimperadore 12.Vitigere 3.ConsoleFlavio Giovanni, senza collega.In Oriente fu creato console questoGiovanni, uomo pagano di setta, e ciò non ostante carissimo e potentissimo nella corte di Giustiniano, siccome abbiamo varii passi di Procopio. Era prima salito alla dignità di prefetto del pretorio, ed ornato del patriziato; e tuttochè avesse uccisoEusebiovescovo di Cizico, ciò non gl'impedì punto il conseguire i primi onori dell'imperio. Se questo è vero, si conterà anch'esso fra i reati di Giustiniano. Nell'Occidente l'anno presente si trova contrassegnato colla formula:post consulatum Paulini junioris anno IV.Per attestato di Liberato diacono[Liberat., in Breviar., cap. 22.], giunto che fu papa Silverio a Palara, il vescovo di quella città , compassionando la di lui disgrazia, e detestando il sacrilego attentato de' suoi nemici, coraggiosamente volò a Costantinopoli, e, presentatosi all'imperador Giustiniano, si scaldò forte in favor del papa, con rappresentargli l'enormità dell'eccesso in trattar così un romano pontefice, capo visibile di tutta la Chiesa di Dio. Fecero breccia nel cuore di Giustiniano le parole di questo buon prelato; e però diede ordine che Silverio fosse condotto a Roma, e si giudicasse intorno alla verità o falsità delle lettere a lui attribuite. Se si provassero vere, egli se ne andasse fuori di Roma a vivere in quelle città che più gli piacesse. Se poi false, fosse rimesso nella sedia primiera. Ma l'empiaTeodoraAugusta, udita questa risoluzione del marito, spinsePelagiodiacono della Chiesa romana, che esercitava allora la funzione d'apocrisario, ossia di nunzio, presso l'imperadore, per distornarne l'esecuzione. Stette anco Giustiniano nel suo proposito. Fu ricondotto Silverio in Italia: il che saputo da Vigilio, ricorse a Belisario per timore d'esser cacciato dall'occupata sedia, ed ottenuto che Silverio fosse consegnato a due suoi famigli, il mandò nell'isola Palmaria, ossia Palmarola, ovvero, come ha l'autore della Miscella[Hist. Miscella, lib. 16.], con Anastasio[Anastas. Bibl., in Vit. Silverii.], nell'isola Ponza, vicinissima ad essa Palmaria, di dove sotto la lor guardia fu lasciato morir di fame. Così Liberato diacono. Nondimeno Procopio[Procop., Hist. Arcan., cap. 11.], meglio informato di questi affari, lasciò scritto, essere stata Antonina moglie di Belisario che mandò un certo Eugenio sgherro, di cui solea valersi per somiglianti misfatti, a levar di vita l'infelice pontefice. Erano sì ella, come il marito, schiavi dichiarati dell'imperadrice Teodora, da cui verisimilmente venne l'ordine segreto di sì enorme delitto. Rapporta il cardinal Baronio[Baron., Annal. Eccl.]una lettera di esso papa, in cui scomunica l'usurpatore Vigilio; ma questa vien tenuta per falsa dal padre Pagi[Pagius, Crit. Baron.]e da altri. Secondo Anastasio[Anastas. Bibliothec., in Vita Silverii.]fuSilveriotolto di vita nel dì 20 di giugno di quest'anno, e venne riconosciuto per martire, e al suo sepolcro succedettero delle guarigioni. Pure non sappiamo che di tale enormità facesse risentimento alcuno il sì decantato cattolico imperador Giustiniano. Egli è poi credibile che dopo la morte di questo santopontefice il clero con qualche atto pubblico di nuova elezione o di approvazione ligittimasse la persona diVigilio, essendo fuor di dubbio ch'egli da lì innanzi fu riconosciuto ed onorato da tutti come vero papa e successore di san Pietro. E merita ben d'essere osservata l'assistenza speciale di Dio alla santa Chiesa romana, perchè Vigilio, entrato sì vituperosamente e contro le leggi canoniche nel pontificato, cominciò da lì innanzi ad essere un altro uomo, e a sostener con vigore la dottrina della Chiesa cattolica, massimamente con abbracciare i primi quattro concilii generali, come apparisce dalle lettere ch'egli scrisse all'imperadorGiustinianoe aMennapatriarca di Costantinopoli, rapportate dal suddetto cardinal Baronio.Seguitava intanto l'assedio di Roma e la tregua fra le armate, quando venne in pensiero a Belisario di procurar una diversione all'armi nemiche[Procop., de Bell. Goth., lib. 2, cap. 10.]. Pertanto ordinò aGiovanni, nipote di quel Vitaliano che diede tanto da fare ad Anastasio imperadore, di scorrere con due mila cavalli nel Piceno, oggidì Marca di Ancona, e di prendere e saccheggiare quel che potesse. Fu volentieri ubbidito da Giovanni. Incontratosi egli conUliteo, zio paterno di Vitige, che se gli oppose con molte squadre, valorosamente combattè, e disfece quelle truppe, colla morte dello stesso condottiero. Trovate poi le città di Osimo e di Urbino ben presidiate, ed in istato di non temere di lui, passò innanzi fino a Rimini: dove ritiratisi i Goti per sospetto degli abitanti, e per timore di qualche intelligenza in Ravenna, diedero comodo a Giovanni d'impadronirsene. Nè era mal fondata l'apprensione dei Goti, scrivendo Procopio cheMatasunta, la quale per forza avea sposato il re Vitige, non sì tosto ebbe intesa la vicinanza di Giovanni (forse anche l'avea ella invitato a marciare a quella volta), che se ne rallegrò forte in suo cuore, e con unsegreto messo cominciò a parlar seco di nozze e tradimenti. Fu cagione la presa di Rimini che Vitige levasse l'assedio di Roma sul fine di marzo. Nel ritirarsi e passare il Tevere, il campo suo fu assalito da Belisario, e n'ebbe una buona spelazzata. Vitige, dopo aver mandati buoni presidii in Chiusi, in Orvieto, Todi, Osimo, Urbino, Montefeltro e Cesena, col resto dell'esercito passò all'assedio di Rimini, e lo intraprese con tutto vigore. Intanto non trascurò Belisario le richieste fattegli dai Milanesi, e per mare spedì sotto il comando diMondilamille fanti con essi alla volta di Genova. Giunsero costoro dipoi in vicinanza di Pavia, e loro convenne azzuffarsi coi Goti usciti di quella città , ed ebbero la fortuna di sbaragliarli e d'inseguirli fino alle porte, ma con restar ivi trucidatoFidelioprefetto del pretorio, che, per essere oriondo di Milano, era stato inviato anche egli come persona utile a quella impresa. Perchè in Pavia, città ben fortificata, si erano ridotti con tutto il loro meglio i Goti abitanti in quelle parti, non si potè da sì poca gente tentarne l'acquisto. Però a diritura passarono a Milano, la qual città si sottrasse, secondo il concerto, all'ubbidienza de' Goti, ed acclamò l'imperadore per sua mala fortuna, e senza aver prese buone misure. Altrettanto fecero Bergamo, Como, Novara ed altri luoghi, nei quali Mandilla inviò picciole guarnigioni, con restargli solamente trecento uomini per difesa di Milano. Ma appena ebbe Vitige intesa la ribellion di Milano, che spedì a quella voltaVraia, figliuolo d'una sua sorella, con una sufficiente armata, che di là a non molto s'ingrossò coll'arrivo di dieci mila Borgognoni. Venivano questi mandati in aiuto di Vitige da Teodeberto, uno dei re franchi per soddisfare alla capitolazione tra loro conchiusa nella cessione di sopra accennata degli stati già posseduti nelle Gallie dagli Ostrogoti. Niuno venne de' Franchi, e fu anche fatta correr voce che gli stessi Borgognoni di lor motoproprio, e senza saputa di Teodeberto, erano calati in Italia, per rispetto che si aveva all'imperadore, e perchè dianzi aveano preso i re franchi qualche impegno di lega con esso Augusto, giacchè questi, per maggiormente cattivarsi lo stesso Teodeberto, l'avea probabilmente adottato, con titolo nondimeno di solo onore, per suo figliuolo, come abbiamo da due lettere del medesimo re a Giustiniano presso il Du-chesne[Du-Chesne, Hist. Franc., tom. 1, pag. 862.], nelle quali il chiamapadre. Fu dunque stretto di assedio Milano, senza che si fosse prima provveduto al bisogno de' viveri; ed essendo sì scarso il presidio imperiale, conveniva che i cittadini facessero anche essi le guardie alle mura. Non dormiva in questo mentre Belisario. Lasciata una lieve guarnigione in Roma, con quanta gente avea s'inviò sul fine di giugno alla volta della Emilia. Gli si renderono Todi e Chiusi con restar prigionieri i presidii gotici, che egli appresso mandò in Sicilia. Giunse in questi medesimi tempi per mare nel Piceno un rinforzo inviato da Giustiniano in Italia, consistente in cinque mila Greci pedoni, e circa due mila Eruli. Ne era condottiereNarsete, uno de' primi uffiziali dell'imperadore, uomo di gran coraggio ed attività , tuttochè eunuco. Unitosi con lui Belisario nella città di Fermo, tenuto fu consiglio e perchè si ricevette avviso da Giovanni assediato in Rimini, ch'egli non poteva più di sette giorni sostenere la città per mancanza di viveri, fu risoluto di marciare a dirittura colà . Ma non aspettarono i Goti l'arrivo dei Greci per ritirarsi dall'assedio. Insorsero poi gare ed emulazioni fra Belisario e Narsete; e perchè non andavano d'accordo ne' consigli, si divisero. Nulladimeno impensatamente riuscì a Belisario d'impadronirsi d'Urbino, e a Narsete d'entrare in Imola ed in altri luoghi dell'Emilia, ma non già di Cesena, sopra cui fu fatto un vano tentativo. Infierì in quest'anno un'orrenda carestia per tutta l'Italia, di modoche, per attestato diDazioarcivescovo allora di Milano, citato fuor di sito dall'autore della Miscella[Hist. Miscell., lib. 16.], assaissime madri mangiarono i lor figliuolini, probabilmente durante l'assedio di Milano, dove cominciò a provarsi questa terribil fame. Procopio, ch'era presente a questi guai, scrive essere stata voce costante, che fossero in quell'anno morti di fame cinquanta mila contadini nel solo Piceno, e più ancora nell'Istria e Dalmazia; e che nel territorio di Rimini due donne rimaste sole in una casa, si mangiarono diciassette uomini, con ucciderli di notte di mano in mano che capitavano al loro tugurio.
Console
Flavio Giovanni, senza collega.
In Oriente fu creato console questoGiovanni, uomo pagano di setta, e ciò non ostante carissimo e potentissimo nella corte di Giustiniano, siccome abbiamo varii passi di Procopio. Era prima salito alla dignità di prefetto del pretorio, ed ornato del patriziato; e tuttochè avesse uccisoEusebiovescovo di Cizico, ciò non gl'impedì punto il conseguire i primi onori dell'imperio. Se questo è vero, si conterà anch'esso fra i reati di Giustiniano. Nell'Occidente l'anno presente si trova contrassegnato colla formula:post consulatum Paulini junioris anno IV.Per attestato di Liberato diacono[Liberat., in Breviar., cap. 22.], giunto che fu papa Silverio a Palara, il vescovo di quella città , compassionando la di lui disgrazia, e detestando il sacrilego attentato de' suoi nemici, coraggiosamente volò a Costantinopoli, e, presentatosi all'imperador Giustiniano, si scaldò forte in favor del papa, con rappresentargli l'enormità dell'eccesso in trattar così un romano pontefice, capo visibile di tutta la Chiesa di Dio. Fecero breccia nel cuore di Giustiniano le parole di questo buon prelato; e però diede ordine che Silverio fosse condotto a Roma, e si giudicasse intorno alla verità o falsità delle lettere a lui attribuite. Se si provassero vere, egli se ne andasse fuori di Roma a vivere in quelle città che più gli piacesse. Se poi false, fosse rimesso nella sedia primiera. Ma l'empiaTeodoraAugusta, udita questa risoluzione del marito, spinsePelagiodiacono della Chiesa romana, che esercitava allora la funzione d'apocrisario, ossia di nunzio, presso l'imperadore, per distornarne l'esecuzione. Stette anco Giustiniano nel suo proposito. Fu ricondotto Silverio in Italia: il che saputo da Vigilio, ricorse a Belisario per timore d'esser cacciato dall'occupata sedia, ed ottenuto che Silverio fosse consegnato a due suoi famigli, il mandò nell'isola Palmaria, ossia Palmarola, ovvero, come ha l'autore della Miscella[Hist. Miscella, lib. 16.], con Anastasio[Anastas. Bibl., in Vit. Silverii.], nell'isola Ponza, vicinissima ad essa Palmaria, di dove sotto la lor guardia fu lasciato morir di fame. Così Liberato diacono. Nondimeno Procopio[Procop., Hist. Arcan., cap. 11.], meglio informato di questi affari, lasciò scritto, essere stata Antonina moglie di Belisario che mandò un certo Eugenio sgherro, di cui solea valersi per somiglianti misfatti, a levar di vita l'infelice pontefice. Erano sì ella, come il marito, schiavi dichiarati dell'imperadrice Teodora, da cui verisimilmente venne l'ordine segreto di sì enorme delitto. Rapporta il cardinal Baronio[Baron., Annal. Eccl.]una lettera di esso papa, in cui scomunica l'usurpatore Vigilio; ma questa vien tenuta per falsa dal padre Pagi[Pagius, Crit. Baron.]e da altri. Secondo Anastasio[Anastas. Bibliothec., in Vita Silverii.]fuSilveriotolto di vita nel dì 20 di giugno di quest'anno, e venne riconosciuto per martire, e al suo sepolcro succedettero delle guarigioni. Pure non sappiamo che di tale enormità facesse risentimento alcuno il sì decantato cattolico imperador Giustiniano. Egli è poi credibile che dopo la morte di questo santopontefice il clero con qualche atto pubblico di nuova elezione o di approvazione ligittimasse la persona diVigilio, essendo fuor di dubbio ch'egli da lì innanzi fu riconosciuto ed onorato da tutti come vero papa e successore di san Pietro. E merita ben d'essere osservata l'assistenza speciale di Dio alla santa Chiesa romana, perchè Vigilio, entrato sì vituperosamente e contro le leggi canoniche nel pontificato, cominciò da lì innanzi ad essere un altro uomo, e a sostener con vigore la dottrina della Chiesa cattolica, massimamente con abbracciare i primi quattro concilii generali, come apparisce dalle lettere ch'egli scrisse all'imperadorGiustinianoe aMennapatriarca di Costantinopoli, rapportate dal suddetto cardinal Baronio.
Seguitava intanto l'assedio di Roma e la tregua fra le armate, quando venne in pensiero a Belisario di procurar una diversione all'armi nemiche[Procop., de Bell. Goth., lib. 2, cap. 10.]. Pertanto ordinò aGiovanni, nipote di quel Vitaliano che diede tanto da fare ad Anastasio imperadore, di scorrere con due mila cavalli nel Piceno, oggidì Marca di Ancona, e di prendere e saccheggiare quel che potesse. Fu volentieri ubbidito da Giovanni. Incontratosi egli conUliteo, zio paterno di Vitige, che se gli oppose con molte squadre, valorosamente combattè, e disfece quelle truppe, colla morte dello stesso condottiero. Trovate poi le città di Osimo e di Urbino ben presidiate, ed in istato di non temere di lui, passò innanzi fino a Rimini: dove ritiratisi i Goti per sospetto degli abitanti, e per timore di qualche intelligenza in Ravenna, diedero comodo a Giovanni d'impadronirsene. Nè era mal fondata l'apprensione dei Goti, scrivendo Procopio cheMatasunta, la quale per forza avea sposato il re Vitige, non sì tosto ebbe intesa la vicinanza di Giovanni (forse anche l'avea ella invitato a marciare a quella volta), che se ne rallegrò forte in suo cuore, e con unsegreto messo cominciò a parlar seco di nozze e tradimenti. Fu cagione la presa di Rimini che Vitige levasse l'assedio di Roma sul fine di marzo. Nel ritirarsi e passare il Tevere, il campo suo fu assalito da Belisario, e n'ebbe una buona spelazzata. Vitige, dopo aver mandati buoni presidii in Chiusi, in Orvieto, Todi, Osimo, Urbino, Montefeltro e Cesena, col resto dell'esercito passò all'assedio di Rimini, e lo intraprese con tutto vigore. Intanto non trascurò Belisario le richieste fattegli dai Milanesi, e per mare spedì sotto il comando diMondilamille fanti con essi alla volta di Genova. Giunsero costoro dipoi in vicinanza di Pavia, e loro convenne azzuffarsi coi Goti usciti di quella città , ed ebbero la fortuna di sbaragliarli e d'inseguirli fino alle porte, ma con restar ivi trucidatoFidelioprefetto del pretorio, che, per essere oriondo di Milano, era stato inviato anche egli come persona utile a quella impresa. Perchè in Pavia, città ben fortificata, si erano ridotti con tutto il loro meglio i Goti abitanti in quelle parti, non si potè da sì poca gente tentarne l'acquisto. Però a diritura passarono a Milano, la qual città si sottrasse, secondo il concerto, all'ubbidienza de' Goti, ed acclamò l'imperadore per sua mala fortuna, e senza aver prese buone misure. Altrettanto fecero Bergamo, Como, Novara ed altri luoghi, nei quali Mandilla inviò picciole guarnigioni, con restargli solamente trecento uomini per difesa di Milano. Ma appena ebbe Vitige intesa la ribellion di Milano, che spedì a quella voltaVraia, figliuolo d'una sua sorella, con una sufficiente armata, che di là a non molto s'ingrossò coll'arrivo di dieci mila Borgognoni. Venivano questi mandati in aiuto di Vitige da Teodeberto, uno dei re franchi per soddisfare alla capitolazione tra loro conchiusa nella cessione di sopra accennata degli stati già posseduti nelle Gallie dagli Ostrogoti. Niuno venne de' Franchi, e fu anche fatta correr voce che gli stessi Borgognoni di lor motoproprio, e senza saputa di Teodeberto, erano calati in Italia, per rispetto che si aveva all'imperadore, e perchè dianzi aveano preso i re franchi qualche impegno di lega con esso Augusto, giacchè questi, per maggiormente cattivarsi lo stesso Teodeberto, l'avea probabilmente adottato, con titolo nondimeno di solo onore, per suo figliuolo, come abbiamo da due lettere del medesimo re a Giustiniano presso il Du-chesne[Du-Chesne, Hist. Franc., tom. 1, pag. 862.], nelle quali il chiamapadre. Fu dunque stretto di assedio Milano, senza che si fosse prima provveduto al bisogno de' viveri; ed essendo sì scarso il presidio imperiale, conveniva che i cittadini facessero anche essi le guardie alle mura. Non dormiva in questo mentre Belisario. Lasciata una lieve guarnigione in Roma, con quanta gente avea s'inviò sul fine di giugno alla volta della Emilia. Gli si renderono Todi e Chiusi con restar prigionieri i presidii gotici, che egli appresso mandò in Sicilia. Giunse in questi medesimi tempi per mare nel Piceno un rinforzo inviato da Giustiniano in Italia, consistente in cinque mila Greci pedoni, e circa due mila Eruli. Ne era condottiereNarsete, uno de' primi uffiziali dell'imperadore, uomo di gran coraggio ed attività , tuttochè eunuco. Unitosi con lui Belisario nella città di Fermo, tenuto fu consiglio e perchè si ricevette avviso da Giovanni assediato in Rimini, ch'egli non poteva più di sette giorni sostenere la città per mancanza di viveri, fu risoluto di marciare a dirittura colà . Ma non aspettarono i Goti l'arrivo dei Greci per ritirarsi dall'assedio. Insorsero poi gare ed emulazioni fra Belisario e Narsete; e perchè non andavano d'accordo ne' consigli, si divisero. Nulladimeno impensatamente riuscì a Belisario d'impadronirsi d'Urbino, e a Narsete d'entrare in Imola ed in altri luoghi dell'Emilia, ma non già di Cesena, sopra cui fu fatto un vano tentativo. Infierì in quest'anno un'orrenda carestia per tutta l'Italia, di modoche, per attestato diDazioarcivescovo allora di Milano, citato fuor di sito dall'autore della Miscella[Hist. Miscell., lib. 16.], assaissime madri mangiarono i lor figliuolini, probabilmente durante l'assedio di Milano, dove cominciò a provarsi questa terribil fame. Procopio, ch'era presente a questi guai, scrive essere stata voce costante, che fossero in quell'anno morti di fame cinquanta mila contadini nel solo Piceno, e più ancora nell'Istria e Dalmazia; e che nel territorio di Rimini due donne rimaste sole in una casa, si mangiarono diciassette uomini, con ucciderli di notte di mano in mano che capitavano al loro tugurio.