DCCCCXXXIX

DCCCCXXXIXAnno diCristoDCCCCXXXIX. Indiz.XII.Stefano VIIIpapa 1.Ugore d'Italia 11.Lottariore d'Italia 9.Pretende il padre Mabillone[Mabill., Annal. Benedict., lib. 44, n. 3.], che rinnovandosi di mano in mano le gare fra ilre UgoedAlberico principedi Roma, fosse di nuovo chiamato a Roma in quest'anno santoOdone abbatedi Clugnì, per aggiustar le differenze fra questi due emuli guerreggianti. Ne parla veramente la di lui vita, e si vede che quel santo abbate andò a Pavia, e fu alloggiato nel monistero di san Pietro incoelo aureo. Ma non è ben chiaro il tempo de' suoi viaggi a Roma. Fra gli altri gravissimi disordini di questo infelice secolo assai considerabile fu quello della non solo snervata, ma abbattuta disciplina monastica nella maggior parte de' monisteri d'Italia, per colpa specialmente dei re, che o vendevano le badie agli ambiziosi e simoniaci monaci, o le concedevano in commenda alle regine, ai vescovi, ed anche ai secolari, in ricompensa dei loro servigi. Specialmente andò per questo in malora il nobilissimo monistero di Farfa posto nella Sabina. Gregorio monaco, autore della Cronica farfense[Cron. Farfens. P. II tom. 2 Rer. Ital.], attesta che quel sacro luogo era salito sì alto tanto nello spirituale che nel temporale,ut in toto regno italico non inveniretur simile huic monasterio, nisi quod vocatur Nonantulae, cioè il nonantolano posto nel contado di Modena, che patì anch'esso le disgrazie medesime in questi infelici tempi. Eraabbate di FarfaRalfredo. Due scellerati monaci Campone ed Ildebrando col veleno se ne sbrigarono. Ildebrando portatosi a Pavia, ottenne a forza di danaro quella badia dal re Ugo per Campone, il quale in ricompensa diede a goder quattro buone celle, cioè quattro piccioli monisteri dipendenti dal farfense, ad Ildebrando. Per un anno stettero d'accordo questi due falsi monaci; poscia vennero alle mani fra loro. Ildebrando, guadagnati con danaro gli uomini della marca di Camerino ossia di Fermo, s'impossessò di Farfa. Campone, con esibir più danaro a que' medesimi, cacciò l'altro; e senza contare altre sue iniquità, attese a mettere al mondo de' figliuoli e delle figliuole, che tutte arricchì e dotò coi beni del monistero. Serva questo picciolo saggio ai lettori per conoscere la corruttela di que' tempi infelici. Ora abbiamo dal suddetto autore della Cronica di Farfa, oppur da una relazione diUgo abbated'esso monistero una particolarità che fa onore adAlbericoprincipe allora di Roma, facendolo vedere pio riformatore del monachismo d'allora.Erat autem, dice egli,tunc temporis Albericus Romanorum princeps gloriosus, qui comperta hujus monasterii crudeli devastatione, quam pessimus praedictus abbas Campo satagebat exercere, valde condoluit, et sicut alia monasteria, sub suo constituta dominio, ad regularem normam, quam amiserant in paganorum devastatione praedicta, ita et hoc coenobium reducere studebat.Pertanto mandò egli de' monaci regolari a Farfa; ma Campone co' suoi mal avvezzati monaci non li volle ricevere, e poco vi mancò che la notte non facesse levar loro colle coltella la vita. Tornati che furono questi a Roma, Alberico salito in collera, spedì gente armata che ne scacciò l'indegno Campone, il quale si ritirò a Rieti. Dal che si può dedurre che Farfa e la Sabina erano in questi tempi della giurisdizione del ducato romano. Pose Alberico in Farfa un esemplarissimo abbate, cioèDagiberto, e gli fece rendere tutti beni del monistero;ma questi da lì a cinque anni attossicato dai pessimi monaci lasciò di vivere. Tale era allora in assaissimi luoghi la corruzione del dianzi sì fiorito monachismo.La morte in questo anno rapì a Venezia il suo doge, cioèPietro Candiano II, uomo di gran vaglia e prudenza[Dandul., in Chron., tom. 12 Rer. Ital.]. Aveva egli fra le altre sue imprese indotta la città di Giustinopoli, oggidì Capodistria, a pagar censo a quella di Venezia. E perciocchèWintero marchesed'Istria aveva imposto ai mercanti veneziani delle insolite gabelle, ed altre gravezze a chi di loro possedeva beni nell'Istria, senza che giovassero le lamentanze di questi, saviamente il doge pubblicò un editto che proibiva a tutti i Veneziani d'andare in Istria, e a quei d'Istria di venire a Venezia. Allora il marchese e i suoi popoli, tornati in sè, implorarono la mediazione diMarino patriarca, di Grado, il quale s'interpose col doge, e ridusse a' primieri patti e ad una buona concordia amendue le parti. Fu poscia eletto dogePietro Badoero, il quale dicono che era figliuolo diOrso ParticiacoossiaParticipazio, già doge di Venezia, volendo ancora che fosse la stessa casa quella de' Particiaci e dei Badoeri. Secondo la Cronica arabica[Chron. Arab. P. II, tom. 1 Rer. Ital.], seguì una battaglia in Sicilia fra i Mori e quei di Agrigento, ossia Gergenti, colla peggio de' primi. Tornato a Palermo il generale de' Mori, pose una contribuzione alla città, e fatto venire un buon rinforzo di truppe dall'Africa, s'impadronì di Butera, d'Assaro, e di qualche altra fortezza in Sicilia. Passò in quest'anno a miglior vitaLeone VII, con danno della Chiesa, per essere stato pontefice di gran pietà e zelo della religione. Ebbe per successoreStefano VIIIdi nazione romano, per attestato di Pandolfo pisano e d'altri[Rer. Ital., P. II, tom. 3.]. Non so io intendere come mai scrivesse il cardinal Baronio[Baron., in Annal. Ecclesiast.]:Quum a Romanis, posthabitis cardinalibus, esset electus opera Ottonis regis, tyrannorum in se odium concitavit.Dovette provenir questa immaginazione dall'aver egli prestato fede a Martin Polacco, che il fa di nazion tedesco. Ma questa è asserzione insussistente. Non poteva alloraOttone redi Germania avere tal possa in Roma da far eleggere un papa. Che poi non fossero ammessi alla di lui elezione i cardinali, niuno degli antichi storici lo attesta; nè sappiamo che questo eletto non fosse un di essi. Girolamo Rossi[Rubeus, Hist. Ravenn., lib. 5.]accenna uno strumento di livello fatto daPietroarcivescovo di Ravenna a qualche persona particolare, e non già, come suppone il padre Pagi, la confermazione de' privilegii della chiesa di Ravenna, fatta dal papa al suddetto arcivescovo con queste note:Anno, Deo propitio, pontificatus domni Stephani summi pontificis, ec. anno primo, regnante domno Hugone piissimo rege anno XIIII, sed et domno Hlotario ejus filio item rege anno nono, die XXIX octobris, Indictione XIII Ravennae, cioè nell'anno presente. Ci assicura il suddetto Rossi che in altre carte ravennati di questi tempi si veggono notati gli anni di Ugo e Lottario. Segno è questo, che non avendo potuto il re Ugo vincerla coi Romani per ottener la corona dell'imperio, s'era impadronito dell'esercato. Ed io temo che il nome del papa entrasse in quegli atti solamente per costume e riverenza verso il pontificato romano, e non già perchè Ugo lasciasse il temporal dominio di quelle contrade ai papi. Vedremo che ai tempi di Ottone il grande la santa Sede ricuperò l'esarcato.

Pretende il padre Mabillone[Mabill., Annal. Benedict., lib. 44, n. 3.], che rinnovandosi di mano in mano le gare fra ilre UgoedAlberico principedi Roma, fosse di nuovo chiamato a Roma in quest'anno santoOdone abbatedi Clugnì, per aggiustar le differenze fra questi due emuli guerreggianti. Ne parla veramente la di lui vita, e si vede che quel santo abbate andò a Pavia, e fu alloggiato nel monistero di san Pietro incoelo aureo. Ma non è ben chiaro il tempo de' suoi viaggi a Roma. Fra gli altri gravissimi disordini di questo infelice secolo assai considerabile fu quello della non solo snervata, ma abbattuta disciplina monastica nella maggior parte de' monisteri d'Italia, per colpa specialmente dei re, che o vendevano le badie agli ambiziosi e simoniaci monaci, o le concedevano in commenda alle regine, ai vescovi, ed anche ai secolari, in ricompensa dei loro servigi. Specialmente andò per questo in malora il nobilissimo monistero di Farfa posto nella Sabina. Gregorio monaco, autore della Cronica farfense[Cron. Farfens. P. II tom. 2 Rer. Ital.], attesta che quel sacro luogo era salito sì alto tanto nello spirituale che nel temporale,ut in toto regno italico non inveniretur simile huic monasterio, nisi quod vocatur Nonantulae, cioè il nonantolano posto nel contado di Modena, che patì anch'esso le disgrazie medesime in questi infelici tempi. Eraabbate di FarfaRalfredo. Due scellerati monaci Campone ed Ildebrando col veleno se ne sbrigarono. Ildebrando portatosi a Pavia, ottenne a forza di danaro quella badia dal re Ugo per Campone, il quale in ricompensa diede a goder quattro buone celle, cioè quattro piccioli monisteri dipendenti dal farfense, ad Ildebrando. Per un anno stettero d'accordo questi due falsi monaci; poscia vennero alle mani fra loro. Ildebrando, guadagnati con danaro gli uomini della marca di Camerino ossia di Fermo, s'impossessò di Farfa. Campone, con esibir più danaro a que' medesimi, cacciò l'altro; e senza contare altre sue iniquità, attese a mettere al mondo de' figliuoli e delle figliuole, che tutte arricchì e dotò coi beni del monistero. Serva questo picciolo saggio ai lettori per conoscere la corruttela di que' tempi infelici. Ora abbiamo dal suddetto autore della Cronica di Farfa, oppur da una relazione diUgo abbated'esso monistero una particolarità che fa onore adAlbericoprincipe allora di Roma, facendolo vedere pio riformatore del monachismo d'allora.Erat autem, dice egli,tunc temporis Albericus Romanorum princeps gloriosus, qui comperta hujus monasterii crudeli devastatione, quam pessimus praedictus abbas Campo satagebat exercere, valde condoluit, et sicut alia monasteria, sub suo constituta dominio, ad regularem normam, quam amiserant in paganorum devastatione praedicta, ita et hoc coenobium reducere studebat.Pertanto mandò egli de' monaci regolari a Farfa; ma Campone co' suoi mal avvezzati monaci non li volle ricevere, e poco vi mancò che la notte non facesse levar loro colle coltella la vita. Tornati che furono questi a Roma, Alberico salito in collera, spedì gente armata che ne scacciò l'indegno Campone, il quale si ritirò a Rieti. Dal che si può dedurre che Farfa e la Sabina erano in questi tempi della giurisdizione del ducato romano. Pose Alberico in Farfa un esemplarissimo abbate, cioèDagiberto, e gli fece rendere tutti beni del monistero;ma questi da lì a cinque anni attossicato dai pessimi monaci lasciò di vivere. Tale era allora in assaissimi luoghi la corruzione del dianzi sì fiorito monachismo.

La morte in questo anno rapì a Venezia il suo doge, cioèPietro Candiano II, uomo di gran vaglia e prudenza[Dandul., in Chron., tom. 12 Rer. Ital.]. Aveva egli fra le altre sue imprese indotta la città di Giustinopoli, oggidì Capodistria, a pagar censo a quella di Venezia. E perciocchèWintero marchesed'Istria aveva imposto ai mercanti veneziani delle insolite gabelle, ed altre gravezze a chi di loro possedeva beni nell'Istria, senza che giovassero le lamentanze di questi, saviamente il doge pubblicò un editto che proibiva a tutti i Veneziani d'andare in Istria, e a quei d'Istria di venire a Venezia. Allora il marchese e i suoi popoli, tornati in sè, implorarono la mediazione diMarino patriarca, di Grado, il quale s'interpose col doge, e ridusse a' primieri patti e ad una buona concordia amendue le parti. Fu poscia eletto dogePietro Badoero, il quale dicono che era figliuolo diOrso ParticiacoossiaParticipazio, già doge di Venezia, volendo ancora che fosse la stessa casa quella de' Particiaci e dei Badoeri. Secondo la Cronica arabica[Chron. Arab. P. II, tom. 1 Rer. Ital.], seguì una battaglia in Sicilia fra i Mori e quei di Agrigento, ossia Gergenti, colla peggio de' primi. Tornato a Palermo il generale de' Mori, pose una contribuzione alla città, e fatto venire un buon rinforzo di truppe dall'Africa, s'impadronì di Butera, d'Assaro, e di qualche altra fortezza in Sicilia. Passò in quest'anno a miglior vitaLeone VII, con danno della Chiesa, per essere stato pontefice di gran pietà e zelo della religione. Ebbe per successoreStefano VIIIdi nazione romano, per attestato di Pandolfo pisano e d'altri[Rer. Ital., P. II, tom. 3.]. Non so io intendere come mai scrivesse il cardinal Baronio[Baron., in Annal. Ecclesiast.]:Quum a Romanis, posthabitis cardinalibus, esset electus opera Ottonis regis, tyrannorum in se odium concitavit.Dovette provenir questa immaginazione dall'aver egli prestato fede a Martin Polacco, che il fa di nazion tedesco. Ma questa è asserzione insussistente. Non poteva alloraOttone redi Germania avere tal possa in Roma da far eleggere un papa. Che poi non fossero ammessi alla di lui elezione i cardinali, niuno degli antichi storici lo attesta; nè sappiamo che questo eletto non fosse un di essi. Girolamo Rossi[Rubeus, Hist. Ravenn., lib. 5.]accenna uno strumento di livello fatto daPietroarcivescovo di Ravenna a qualche persona particolare, e non già, come suppone il padre Pagi, la confermazione de' privilegii della chiesa di Ravenna, fatta dal papa al suddetto arcivescovo con queste note:Anno, Deo propitio, pontificatus domni Stephani summi pontificis, ec. anno primo, regnante domno Hugone piissimo rege anno XIIII, sed et domno Hlotario ejus filio item rege anno nono, die XXIX octobris, Indictione XIII Ravennae, cioè nell'anno presente. Ci assicura il suddetto Rossi che in altre carte ravennati di questi tempi si veggono notati gli anni di Ugo e Lottario. Segno è questo, che non avendo potuto il re Ugo vincerla coi Romani per ottener la corona dell'imperio, s'era impadronito dell'esercato. Ed io temo che il nome del papa entrasse in quegli atti solamente per costume e riverenza verso il pontificato romano, e non già perchè Ugo lasciasse il temporal dominio di quelle contrade ai papi. Vedremo che ai tempi di Ottone il grande la santa Sede ricuperò l'esarcato.


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