MDXXXAnno diCristoMDXXX. IndizioneIII.Clemente VIIpapa 8.Carlo Vimperadore 12.Anche nel gennaio e febbraio dell'anno presente continuòpapa Clementecoll'imperadoreil suo soggiorno in Bologna, perchè la vicinanza sua e dell'Augusto monarca desse maggior calore all'impresa dell'assediata città di Firenze. Trovavansi i Fiorentini molto angustiati dalle armi nemiche, e ciò non ostante risoluti di difendere la lor libertà sino agli ultimi estremi. Inviati a Bologna i loro ambasciatori per tentare se potesse riuscir qualche accordo, non ottennero udienza dall'imperadore; e stando saldo il pontefice in volere ristabilita la maggioranza ed autorità precedente della casa de Medici in quella repubblica, al che abborriva troppo il presente governo di Firenze, se ne tornarono come erano venuti[Guicciardini. Nardi. Varchi. Segni. Ammirati. Giovio. Paulus de Clericis, in Annal. MSS.]. E perciocchè donnoErcole d'Esteprincipe di Ferrara, da lor preso per generale, non potè, a cagion delle minaccie del papa, andare in persona ad esercitar quella carica, non lasciò per questo d'inviarvi in sua vece ilconte Ercole Rangonecolle sue milizie, da cui furono poi fatte molte azioni di valore. Nel dì 19 di gennaio diedero i Fiorentini il bastone del generalato aMalatesta Baglione, che avea fatto non pochi brogli per ottenerlo.Era già formato il concerto che la coronazione desiderata da Carlo V si avesse a fare, secondo il rito, in Roma, e già era stabilita l'andata colà tanto di lui che del papa. Anzi si erano incamminati a questo fine colà , per disporre le cose, alcuni cardinali e prelati. Ma essendo supravvenuti dalla Germania gagliardi impulsi daFerdinando re d'Ungheria, fratello dell'imperadore, che aspirava ad essere re de' Romani, e per altri urgenti bisogni di quelle parti, l'Augusto Carlo fece istanza di ricevere in Bologna le due corone: al che condiscese il papa. Nel giorno dunque 22 di febbraio nella cappella del palazzo pontifizio ricevette esso imperadore dalle mani del pontefice la corona ferrea, in segno d'essere re del regno longobardico ossia italico. Vien descritta essa corona, portata colà da Monza, non men dal Giovio che dal maestro delle cerimonie del papa presso il Rinaldi[Raynaldus, Annal. Eccl.], per un cerchio d'oro, largo più di cinque dita, con una lamina di ferro nel di dentro, per tenerla, a mio credere, forte, senza che alcuno sognasse allora quel ferro essere un chiodo della Passion del Signore, convertito e spianato in quella lamina. Nè alcun d'essi scrive, che si mostrasse alcun segno di venerazione a quella corona, come cento anni dopo immaginò il Ripamonti nella sua Storia di Milano. Poscia nella festa di San Mattia, a dì 24 d'esso mese, giorno in cui Carlo V era nato, e in cui fu fatto prigione sotto PaviaFrancesco Ire di Francia, si celebrò la solenne funzione nel vasto tempio di san Petronio della coronazion dell'imperadore, e v'intervennero fra gli altriBonifazio marchese di Monferrato, Francesco Maria della Rovere ducad'Urbino, ed uno de' principi di Baviera. Ma sopra gli altri fu distinto ed onoratoCarlo III duca di Savoia, venuto apposta con grandioso corteggio, per attestare all'augusto monarca suo cognato l'ossequio ed amor suo. Dal prelodato maestro di cerimonie e da altri sivede descritta la coronazione suddetta, e massimamente da fra Paolo carmelitano, che vi era presente, e che ne' suoi Annali MSti la dipigne come cosa veramente magnifica. Eppure, secondo il Guicciardini, fatta fu con concorso grande, ma con picciola pompa e spesa: dopo la quale niun'altra più ne ha veduto l'Italia, giacchè gl'imperadori si sono messi in possesso di usar senza di essa il titolo e l'autorità degli Augusti. Solamente accadde in quella gran funzione che due braccia del ponte sopraccennato, per cui si andava dal palazzo a San Petronio, appena passato l'imperadore si ruppero colla morte di molti della plebe. Nel dì 2 di marzo[Annali MSti di Ferrara.]arrivò a FerraraBeatrice duchessadi Savoia, che passava a Bologna per visitar l'imperadore suo cognato, dal quale ricevè dipoi molte finezze ed onori.Avea desideratoAlfonso ducadi Ferrara d'intervenire anch'egli alla solennità della coronazione; ma non si potè piegare la testa cocciuta dipapa Clementea permetterlo. Tuttavia, perchè premea forte all'augusto Carlo di non lasciar viva la discordia del pontefice con quel principe suo vassallo, affinchè questa non turbasse la quiete d'Italia, ricusò di partir da Bologna senza avervi provveduto. Vi fu bisogno di tutta la sua pazienza per ismuovere il duro papa. Tanto nondimeno fece, che nel dì 2 di marzo ottenne salvocondotto, acciocchè il duca potesse venire a Bologna. Disputossi un pezzo intorno alle indebite pretensioni del pontefice sopra Modena Reggio, Rubiera e Cotignola. Finalmente nel dì 21 marzo fu conchiuso che si rimettesse all'imperadore il conoscere per compromesso le lor differenze, e che intanto le stesse città e terre si mettessero in deposito in mano di lui, ossia de' suoi ministri. A questo difficilmente condiscese il duca, e massimamente perchè si volle compresa in esso compromesso anche Ferrara. All'incontro, facilmente il papa vi si accordò,dacchè nel trattato di Barcellona s'era Cesare obbligato di aiutare il papa a ricuperar que' luoghi; ed inoltre segretamente convenne con lui che, in caso di conoscere più forti le ragioni estensi, non pronunziasse laudo alcuno, ma che lasciasse, come prima, imbrogliate le carte: il che se facesse conoscere il papa amatore del giusto, non io, ma altri lo deciderà . Furono eseguite le condizioni di quello accordo; dopo di che l'Augusto Carlo si avviò per Modena alla volta di Mantova, dove fu accolto con gran magnificenza dalmarchese Federigo Gonzagasignore di quella città , il quale, in tal congiuntura, a dì 25 di marzo ottenne per la prima volta il titolo di duca da quel benignissimo sovrano. Ed allora fu che esso imperadore diede al duca Alfonso l'investitura di Carpi, con ricavarne cento mila ducati d'oro, de' quali ne toccò subito sessanta mila. Ventilata poi con ismisurati processi la controversia fra il papa e il duca di Ferrara, e fatta ben esaminar dall'imperadore, egli nel dì 21 di dicembre dell'anno presente, mentre era in Colonia, proferì il suo laudo favorevole al duca Alfonso, ma con pubblicarlo solamente nell'anno seguente 1531. Giunse a Ferrara nel dì ultimo di settembre con due bucentori e trenta barcheFrancesco Sforza ducadi Milano, accompagnato dagli ambasciatori del papa, della Francia e di Venezia; e solamente nel dì 19 di ottobre passò a Venezia, dove si portò anche il duca di Ferrara per trattare dei comuni interessi.Seguitava intanto con più fervore che mai la guerra in Toscana contro Firenze. Non mancava gente che scusava e compativapapa Clemente, autore di essa, per le troppe ingiurie, villanie e danni fatti da' Fiorentini a lui e alla casa de Medici. Ma senza paragone più erano, e soprattutto in Firenze, coloro che il maledicevano, per vederlo sì accanito contro la propria patria, e cagione della desolazion di tante terre e ville del distretto fiorentino, imputandogli a peccatoed infamia l'impiegar tanti tesori della Chiesa romana per mantener eserciti e manigoldi in rovina di tanti innocenti. E tanto maggiormente ancora, perchè tenevano per ingiustissime le sue pretensioni, non negando i Fiorentini di ricevere i Medici come cittadini: laddove questi vi voleano comandar da signori; e l'averlo fatto in addietro, siccome usurpazione, punto non serviva a giustificar la pretensione dell'avvenire. Però il chiamavano un nuovo Giulio Cesare, e tiranno, tanto più detestabile, perchè si serviva della religione, cioè delle rendite della Chiesa, per soddisfare ai suoi privati mondani appetiti. Ma siffatte mormorazioni nulla di più producevano che l'abbaiar de' cani alla luna. Continuava il furor della guerra, lo spargimento del sangue, la distruzion del paese; perciocchè se di grandi prodezze vi fece l'armata pontificia ed imperiale, non con minore bravura per dieci mesi si difesero e sostennero i Fiorentini, sempre sperando che succedessero de' miracoli o de' casi impensati, o che, per mancanza di paghe, si avessero a disciogliere le forze nemiche. A me converrebbe empiere molte carte, se volessi riferir tutte le scaramuccie e fatti d'armi succeduti in così lungo ed ostinato assedio. Ma basterà solamente accennare che nel dì 2 d'agosto a Cavinana seguì una fiera battaglia fra le genti de' Fiorentini comandate daFrancesco Ferruccio, valente condottier d'armi, e buona parte dell'esercito cesareo, a cui intervenne il generale, cioè lo stessoprincipe d'Oranges. La vittoria si dichiarò per gl'imperiali, e vi rimasero estinti o sul campo, o di poi per le ferite, circa due mila e cinquecento Fiorentini, fra' quali lo stesso Ferruccio, barbaramente ucciso daFabrizio Maramaldodopo la resa. Molto nondimeno costò ai vincitori quel fatto, perchè anche lo stessoFiliberto principe d'Orangeslasciò ivi la vita per un colpo di archibusata, facendo quel fine che toccò a tanti altri masnadieri intervenuti al lagrimevolsacco di Roma. Ora questo svantaggioso fatto, la mancanza oramai divenuta estrema delle vettovaglie, e il timore che la città restasse esposta al sacco, misero il cervello a partito de' Fiorentini, concorrendovi ancora le focose esortazioni diMalatesta Baglionelor generale, che si mostrò preso da compassione verso la pericolante città , ma più verisimilmente spinto da segrete intelligenze con papa Clemente. Videsi poscia che con licenza d'esso pontefice se ne tornò il Baglione liberamente a Perugia sua patria a goder de' suoi beni patrimoniali, per tacer d'altre ragioni rapportate dal Varchi. Spedirono dunque i Fiorentini i loro ambasciatori adon Ferrante Gonzagafratello del duca di Mantova, in cui dopo la morte dell'Oranges era caduto il comando dell'esercito imperiale, e nel dì 12 d'agosto si conchiuse l'accordo, rapportato da Jacopo Nardi, dal Varchi e da altri scrittori; del quale altro non accennerò io, se non che fu rimesso allo imperadore di regolar fra quattro mesi la forma del governo di Firenze, benchè vi si dica ancora che tal regolamento avea da dipendere dal papa. Obbligaronsi i Fiorentini di pagare all'armata cesarea ottanta mila ducati d'oro, dopo avere spesi più milioni in questa guerra, e patite incredibili desolazioni ne' loro Stati. Appresso fu formato in Firenze un nuovo magistrato, tutto di parziali della casa de Medici, che poco tardarono a far uscire di vita sei de' principali difensori della libertà , e a confinare altri non pochi, e fecero disarmare il popolo. Se ne andò anche Malatesta Baglione, ma con lasciar in Firenze il nome di traditore; sopra che è da vedere il Varchi. Pagato che fu il danaro pattuito, restò libero dal divoratore esercito quel sì maltrattato paese, a riserva del presidio mandato a Firenze. Uscì poscia nel dì 28 d'ottobre di questo anno un solenne decreto dell'imperadore[Du-Mont, Corps Diplomat.], in cui dichiarò capo della repubblica fiorentinaAlessandro de Medici(a cui il papa avea comperato il titolo di duca della città di Penna), e i di lui figli e discendenti, e, in mancanza di essi, uno della casa de Medici. Stranamente si dolsero dipoi, ma in segreto, i Fiorentini di siffatta decisione o investitura, come quella che chiaramente stabiliva l'autorità cesarea sopra Firenze e sopra il suo Stato, che per tanti anni addietro non era stata ivi esercitata nè riconosciuta. Ed ha ben saputo prevalersene a' dì nostri la corte imperiale, per disporre a sua voglia dell'ameno paese della Toscana. Questo bel servigio fece papa Clemente VII alla patria sua; laonde sempre più si lagnò quel popolo dell'avversa fortuna, costretto a fare il latino con tanti svantaggi e danni, i quali per la maggior parte avrebbe risparmiato, se si fosse indotto a farlo prima della guerra.Quanto apapa Clemente, dappoichè fu partito da Bologna l'Augusto Carlo, anch'egli nell'ultimo giorno di marzo si inviò alla volta di Roma, dove pervenne nel dì 9 d'aprile. Per tutto il tempo che durò l'assedio di Firenze, gran battaglia fecero nel di lui cuore l'ansietà di vincere quella pugna, il timore che la lunghezza o altro sconcerto guastasse l'impresa; oltre alle tante cure per somministrar somme immense di danaro, e un batticuore continuo che Firenze presa andasse a sacco. Gli sopravvenne poi un'incredibil gioia, allorchè intese terminata con pacifico accordo la tragedia, e nella forma ch'egli appunto sospirava. Poco nondimeno tardò a cangiar le sue allegrie in una somma afflizione pel nuovo flagello che nel presente anno si scaricò addosso alla tanto battuta città di Roma, che appena cominciando a respirare dai gravissimi guai del sacco, si trovò immersa in un'altra non minore sciagura. Era ito il pontefice a diporto ad Ostia nell'autunno di quest'anno, quando eccoti aprirsi, per così dire, le cateratte del cielo, e cadere per più giorni una sì dirotta e continua pioggia, che i fiumi tutti in quelle parti, e specialmente ilTevere, sopra modo gonfiati, traboccarono fuori dal letto loro. A riserva di pochi luoghi, ne restò inondata tutta Roma, e con tale altezza d'acqua, che assaissime persone ivi perderono la vita, vi rovinarono molti pubblici e privati edifizii, s'empirono di acqua tutti i sotterranei, tutti i fondachi e le botteghe, con perdita d'innumerabili merci, vettovaglie e bestiami. Memoria non v'era che tanti danni avesse mai recato l'escrescenza del Tevere, sicchè fu creduta la gran perdita, che allora avvenne, non inferiore alla precedente del sacco di Roma. Trovandosi allora, come dicemmo, il papa in sito, dove non potea ricevere, per cagion di questo diluvio, gli alimenti, prese il partito di ritirarsi a Roma; e con gran pericolo suo e di tutta la sua corte cavalcando, sempre coll'acqua alla pancia de' cavalli, pervenne alla città . Ma volendo passare al palazzo pontifizio, trovò tutti i ponti o fracassati (fra i quali quel di Sisto) oppure coperti d'acqua; nè parimenti restandogli maniera di entrare in castello Sant'Angelo, fu necessitato a ricoverarsi a monte Cavallo a Sant'Agata, finchè tornassero le acque al consueto lor letto. Vi tornarono ben esse, ma il lezzo e puzzo lasciato in tanti siti sotterranei, si tirò poi dietro una gran pestilenza, cioè mali sopra mali. Poco nondimeno profittò di siffatti avvisi il pontefice, e lasciando piagnere chi volea, continuò i suoi disegni politici pel sempre maggiore ingrandimento e lustro di sua casa. Io non so come questa fiera inondazione venga rapportata nel novembre dell'anno seguente nella Storia del Segni. Sarà un errore di stampa. Il Surio, fra Paolo carmelitano ed altri ne parlano all'anno presente. Il Varchi la mette nei primi giorni d'ottobre, e con lui vanno d'accordo gli Annali manuscritti di Ferrara. E tal notizia vien poi messa fuor di dubbio dalle memorie in marmo esistenti in Roma, e riferite da Andrea Vettorelli. Nè si dee omettere che nel marzo di quest'anno l'Augusto Carloinvestìdelle isole di Malta e del Gozo l'inclita religione de' cavalieri gerosolimitani dello Spedale, dinanzi chiamati i cavalieri di Rodi, e i quali ne presero il possesso, con formar ivi uno inespugnabil baluardo in difesa del nome cristiano contra de' Turchi e Mori. Lo strumento imperiale si vede dato in Castelfranco nel dì 24 di marzo. Come ciò sia, lascerò che altri lo insegni, potendosi di qui argomentare che Cesare in quel giorno, e non già nel dì 22, si movesse da Bologna. Ma il dì 22 è assai specificato nel Diario riferito dal Rinaldi, e nel dì 25 l'imperadore si trovava in Mantova. Anche gli Annali manuscritti di Ferrara ci assicurano ch'egli si partì da Bologna nel dì 22 di marzo.
Anche nel gennaio e febbraio dell'anno presente continuòpapa Clementecoll'imperadoreil suo soggiorno in Bologna, perchè la vicinanza sua e dell'Augusto monarca desse maggior calore all'impresa dell'assediata città di Firenze. Trovavansi i Fiorentini molto angustiati dalle armi nemiche, e ciò non ostante risoluti di difendere la lor libertà sino agli ultimi estremi. Inviati a Bologna i loro ambasciatori per tentare se potesse riuscir qualche accordo, non ottennero udienza dall'imperadore; e stando saldo il pontefice in volere ristabilita la maggioranza ed autorità precedente della casa de Medici in quella repubblica, al che abborriva troppo il presente governo di Firenze, se ne tornarono come erano venuti[Guicciardini. Nardi. Varchi. Segni. Ammirati. Giovio. Paulus de Clericis, in Annal. MSS.]. E perciocchè donnoErcole d'Esteprincipe di Ferrara, da lor preso per generale, non potè, a cagion delle minaccie del papa, andare in persona ad esercitar quella carica, non lasciò per questo d'inviarvi in sua vece ilconte Ercole Rangonecolle sue milizie, da cui furono poi fatte molte azioni di valore. Nel dì 19 di gennaio diedero i Fiorentini il bastone del generalato aMalatesta Baglione, che avea fatto non pochi brogli per ottenerlo.Era già formato il concerto che la coronazione desiderata da Carlo V si avesse a fare, secondo il rito, in Roma, e già era stabilita l'andata colà tanto di lui che del papa. Anzi si erano incamminati a questo fine colà , per disporre le cose, alcuni cardinali e prelati. Ma essendo supravvenuti dalla Germania gagliardi impulsi daFerdinando re d'Ungheria, fratello dell'imperadore, che aspirava ad essere re de' Romani, e per altri urgenti bisogni di quelle parti, l'Augusto Carlo fece istanza di ricevere in Bologna le due corone: al che condiscese il papa. Nel giorno dunque 22 di febbraio nella cappella del palazzo pontifizio ricevette esso imperadore dalle mani del pontefice la corona ferrea, in segno d'essere re del regno longobardico ossia italico. Vien descritta essa corona, portata colà da Monza, non men dal Giovio che dal maestro delle cerimonie del papa presso il Rinaldi[Raynaldus, Annal. Eccl.], per un cerchio d'oro, largo più di cinque dita, con una lamina di ferro nel di dentro, per tenerla, a mio credere, forte, senza che alcuno sognasse allora quel ferro essere un chiodo della Passion del Signore, convertito e spianato in quella lamina. Nè alcun d'essi scrive, che si mostrasse alcun segno di venerazione a quella corona, come cento anni dopo immaginò il Ripamonti nella sua Storia di Milano. Poscia nella festa di San Mattia, a dì 24 d'esso mese, giorno in cui Carlo V era nato, e in cui fu fatto prigione sotto PaviaFrancesco Ire di Francia, si celebrò la solenne funzione nel vasto tempio di san Petronio della coronazion dell'imperadore, e v'intervennero fra gli altriBonifazio marchese di Monferrato, Francesco Maria della Rovere ducad'Urbino, ed uno de' principi di Baviera. Ma sopra gli altri fu distinto ed onoratoCarlo III duca di Savoia, venuto apposta con grandioso corteggio, per attestare all'augusto monarca suo cognato l'ossequio ed amor suo. Dal prelodato maestro di cerimonie e da altri sivede descritta la coronazione suddetta, e massimamente da fra Paolo carmelitano, che vi era presente, e che ne' suoi Annali MSti la dipigne come cosa veramente magnifica. Eppure, secondo il Guicciardini, fatta fu con concorso grande, ma con picciola pompa e spesa: dopo la quale niun'altra più ne ha veduto l'Italia, giacchè gl'imperadori si sono messi in possesso di usar senza di essa il titolo e l'autorità degli Augusti. Solamente accadde in quella gran funzione che due braccia del ponte sopraccennato, per cui si andava dal palazzo a San Petronio, appena passato l'imperadore si ruppero colla morte di molti della plebe. Nel dì 2 di marzo[Annali MSti di Ferrara.]arrivò a FerraraBeatrice duchessadi Savoia, che passava a Bologna per visitar l'imperadore suo cognato, dal quale ricevè dipoi molte finezze ed onori.
Avea desideratoAlfonso ducadi Ferrara d'intervenire anch'egli alla solennità della coronazione; ma non si potè piegare la testa cocciuta dipapa Clementea permetterlo. Tuttavia, perchè premea forte all'augusto Carlo di non lasciar viva la discordia del pontefice con quel principe suo vassallo, affinchè questa non turbasse la quiete d'Italia, ricusò di partir da Bologna senza avervi provveduto. Vi fu bisogno di tutta la sua pazienza per ismuovere il duro papa. Tanto nondimeno fece, che nel dì 2 di marzo ottenne salvocondotto, acciocchè il duca potesse venire a Bologna. Disputossi un pezzo intorno alle indebite pretensioni del pontefice sopra Modena Reggio, Rubiera e Cotignola. Finalmente nel dì 21 marzo fu conchiuso che si rimettesse all'imperadore il conoscere per compromesso le lor differenze, e che intanto le stesse città e terre si mettessero in deposito in mano di lui, ossia de' suoi ministri. A questo difficilmente condiscese il duca, e massimamente perchè si volle compresa in esso compromesso anche Ferrara. All'incontro, facilmente il papa vi si accordò,dacchè nel trattato di Barcellona s'era Cesare obbligato di aiutare il papa a ricuperar que' luoghi; ed inoltre segretamente convenne con lui che, in caso di conoscere più forti le ragioni estensi, non pronunziasse laudo alcuno, ma che lasciasse, come prima, imbrogliate le carte: il che se facesse conoscere il papa amatore del giusto, non io, ma altri lo deciderà . Furono eseguite le condizioni di quello accordo; dopo di che l'Augusto Carlo si avviò per Modena alla volta di Mantova, dove fu accolto con gran magnificenza dalmarchese Federigo Gonzagasignore di quella città , il quale, in tal congiuntura, a dì 25 di marzo ottenne per la prima volta il titolo di duca da quel benignissimo sovrano. Ed allora fu che esso imperadore diede al duca Alfonso l'investitura di Carpi, con ricavarne cento mila ducati d'oro, de' quali ne toccò subito sessanta mila. Ventilata poi con ismisurati processi la controversia fra il papa e il duca di Ferrara, e fatta ben esaminar dall'imperadore, egli nel dì 21 di dicembre dell'anno presente, mentre era in Colonia, proferì il suo laudo favorevole al duca Alfonso, ma con pubblicarlo solamente nell'anno seguente 1531. Giunse a Ferrara nel dì ultimo di settembre con due bucentori e trenta barcheFrancesco Sforza ducadi Milano, accompagnato dagli ambasciatori del papa, della Francia e di Venezia; e solamente nel dì 19 di ottobre passò a Venezia, dove si portò anche il duca di Ferrara per trattare dei comuni interessi.
Seguitava intanto con più fervore che mai la guerra in Toscana contro Firenze. Non mancava gente che scusava e compativapapa Clemente, autore di essa, per le troppe ingiurie, villanie e danni fatti da' Fiorentini a lui e alla casa de Medici. Ma senza paragone più erano, e soprattutto in Firenze, coloro che il maledicevano, per vederlo sì accanito contro la propria patria, e cagione della desolazion di tante terre e ville del distretto fiorentino, imputandogli a peccatoed infamia l'impiegar tanti tesori della Chiesa romana per mantener eserciti e manigoldi in rovina di tanti innocenti. E tanto maggiormente ancora, perchè tenevano per ingiustissime le sue pretensioni, non negando i Fiorentini di ricevere i Medici come cittadini: laddove questi vi voleano comandar da signori; e l'averlo fatto in addietro, siccome usurpazione, punto non serviva a giustificar la pretensione dell'avvenire. Però il chiamavano un nuovo Giulio Cesare, e tiranno, tanto più detestabile, perchè si serviva della religione, cioè delle rendite della Chiesa, per soddisfare ai suoi privati mondani appetiti. Ma siffatte mormorazioni nulla di più producevano che l'abbaiar de' cani alla luna. Continuava il furor della guerra, lo spargimento del sangue, la distruzion del paese; perciocchè se di grandi prodezze vi fece l'armata pontificia ed imperiale, non con minore bravura per dieci mesi si difesero e sostennero i Fiorentini, sempre sperando che succedessero de' miracoli o de' casi impensati, o che, per mancanza di paghe, si avessero a disciogliere le forze nemiche. A me converrebbe empiere molte carte, se volessi riferir tutte le scaramuccie e fatti d'armi succeduti in così lungo ed ostinato assedio. Ma basterà solamente accennare che nel dì 2 d'agosto a Cavinana seguì una fiera battaglia fra le genti de' Fiorentini comandate daFrancesco Ferruccio, valente condottier d'armi, e buona parte dell'esercito cesareo, a cui intervenne il generale, cioè lo stessoprincipe d'Oranges. La vittoria si dichiarò per gl'imperiali, e vi rimasero estinti o sul campo, o di poi per le ferite, circa due mila e cinquecento Fiorentini, fra' quali lo stesso Ferruccio, barbaramente ucciso daFabrizio Maramaldodopo la resa. Molto nondimeno costò ai vincitori quel fatto, perchè anche lo stessoFiliberto principe d'Orangeslasciò ivi la vita per un colpo di archibusata, facendo quel fine che toccò a tanti altri masnadieri intervenuti al lagrimevolsacco di Roma. Ora questo svantaggioso fatto, la mancanza oramai divenuta estrema delle vettovaglie, e il timore che la città restasse esposta al sacco, misero il cervello a partito de' Fiorentini, concorrendovi ancora le focose esortazioni diMalatesta Baglionelor generale, che si mostrò preso da compassione verso la pericolante città , ma più verisimilmente spinto da segrete intelligenze con papa Clemente. Videsi poscia che con licenza d'esso pontefice se ne tornò il Baglione liberamente a Perugia sua patria a goder de' suoi beni patrimoniali, per tacer d'altre ragioni rapportate dal Varchi. Spedirono dunque i Fiorentini i loro ambasciatori adon Ferrante Gonzagafratello del duca di Mantova, in cui dopo la morte dell'Oranges era caduto il comando dell'esercito imperiale, e nel dì 12 d'agosto si conchiuse l'accordo, rapportato da Jacopo Nardi, dal Varchi e da altri scrittori; del quale altro non accennerò io, se non che fu rimesso allo imperadore di regolar fra quattro mesi la forma del governo di Firenze, benchè vi si dica ancora che tal regolamento avea da dipendere dal papa. Obbligaronsi i Fiorentini di pagare all'armata cesarea ottanta mila ducati d'oro, dopo avere spesi più milioni in questa guerra, e patite incredibili desolazioni ne' loro Stati. Appresso fu formato in Firenze un nuovo magistrato, tutto di parziali della casa de Medici, che poco tardarono a far uscire di vita sei de' principali difensori della libertà , e a confinare altri non pochi, e fecero disarmare il popolo. Se ne andò anche Malatesta Baglione, ma con lasciar in Firenze il nome di traditore; sopra che è da vedere il Varchi. Pagato che fu il danaro pattuito, restò libero dal divoratore esercito quel sì maltrattato paese, a riserva del presidio mandato a Firenze. Uscì poscia nel dì 28 d'ottobre di questo anno un solenne decreto dell'imperadore[Du-Mont, Corps Diplomat.], in cui dichiarò capo della repubblica fiorentinaAlessandro de Medici(a cui il papa avea comperato il titolo di duca della città di Penna), e i di lui figli e discendenti, e, in mancanza di essi, uno della casa de Medici. Stranamente si dolsero dipoi, ma in segreto, i Fiorentini di siffatta decisione o investitura, come quella che chiaramente stabiliva l'autorità cesarea sopra Firenze e sopra il suo Stato, che per tanti anni addietro non era stata ivi esercitata nè riconosciuta. Ed ha ben saputo prevalersene a' dì nostri la corte imperiale, per disporre a sua voglia dell'ameno paese della Toscana. Questo bel servigio fece papa Clemente VII alla patria sua; laonde sempre più si lagnò quel popolo dell'avversa fortuna, costretto a fare il latino con tanti svantaggi e danni, i quali per la maggior parte avrebbe risparmiato, se si fosse indotto a farlo prima della guerra.
Quanto apapa Clemente, dappoichè fu partito da Bologna l'Augusto Carlo, anch'egli nell'ultimo giorno di marzo si inviò alla volta di Roma, dove pervenne nel dì 9 d'aprile. Per tutto il tempo che durò l'assedio di Firenze, gran battaglia fecero nel di lui cuore l'ansietà di vincere quella pugna, il timore che la lunghezza o altro sconcerto guastasse l'impresa; oltre alle tante cure per somministrar somme immense di danaro, e un batticuore continuo che Firenze presa andasse a sacco. Gli sopravvenne poi un'incredibil gioia, allorchè intese terminata con pacifico accordo la tragedia, e nella forma ch'egli appunto sospirava. Poco nondimeno tardò a cangiar le sue allegrie in una somma afflizione pel nuovo flagello che nel presente anno si scaricò addosso alla tanto battuta città di Roma, che appena cominciando a respirare dai gravissimi guai del sacco, si trovò immersa in un'altra non minore sciagura. Era ito il pontefice a diporto ad Ostia nell'autunno di quest'anno, quando eccoti aprirsi, per così dire, le cateratte del cielo, e cadere per più giorni una sì dirotta e continua pioggia, che i fiumi tutti in quelle parti, e specialmente ilTevere, sopra modo gonfiati, traboccarono fuori dal letto loro. A riserva di pochi luoghi, ne restò inondata tutta Roma, e con tale altezza d'acqua, che assaissime persone ivi perderono la vita, vi rovinarono molti pubblici e privati edifizii, s'empirono di acqua tutti i sotterranei, tutti i fondachi e le botteghe, con perdita d'innumerabili merci, vettovaglie e bestiami. Memoria non v'era che tanti danni avesse mai recato l'escrescenza del Tevere, sicchè fu creduta la gran perdita, che allora avvenne, non inferiore alla precedente del sacco di Roma. Trovandosi allora, come dicemmo, il papa in sito, dove non potea ricevere, per cagion di questo diluvio, gli alimenti, prese il partito di ritirarsi a Roma; e con gran pericolo suo e di tutta la sua corte cavalcando, sempre coll'acqua alla pancia de' cavalli, pervenne alla città . Ma volendo passare al palazzo pontifizio, trovò tutti i ponti o fracassati (fra i quali quel di Sisto) oppure coperti d'acqua; nè parimenti restandogli maniera di entrare in castello Sant'Angelo, fu necessitato a ricoverarsi a monte Cavallo a Sant'Agata, finchè tornassero le acque al consueto lor letto. Vi tornarono ben esse, ma il lezzo e puzzo lasciato in tanti siti sotterranei, si tirò poi dietro una gran pestilenza, cioè mali sopra mali. Poco nondimeno profittò di siffatti avvisi il pontefice, e lasciando piagnere chi volea, continuò i suoi disegni politici pel sempre maggiore ingrandimento e lustro di sua casa. Io non so come questa fiera inondazione venga rapportata nel novembre dell'anno seguente nella Storia del Segni. Sarà un errore di stampa. Il Surio, fra Paolo carmelitano ed altri ne parlano all'anno presente. Il Varchi la mette nei primi giorni d'ottobre, e con lui vanno d'accordo gli Annali manuscritti di Ferrara. E tal notizia vien poi messa fuor di dubbio dalle memorie in marmo esistenti in Roma, e riferite da Andrea Vettorelli. Nè si dee omettere che nel marzo di quest'anno l'Augusto Carloinvestìdelle isole di Malta e del Gozo l'inclita religione de' cavalieri gerosolimitani dello Spedale, dinanzi chiamati i cavalieri di Rodi, e i quali ne presero il possesso, con formar ivi uno inespugnabil baluardo in difesa del nome cristiano contra de' Turchi e Mori. Lo strumento imperiale si vede dato in Castelfranco nel dì 24 di marzo. Come ciò sia, lascerò che altri lo insegni, potendosi di qui argomentare che Cesare in quel giorno, e non già nel dì 22, si movesse da Bologna. Ma il dì 22 è assai specificato nel Diario riferito dal Rinaldi, e nel dì 25 l'imperadore si trovava in Mantova. Anche gli Annali manuscritti di Ferrara ci assicurano ch'egli si partì da Bologna nel dì 22 di marzo.