MDCCXVAnno diCristoMDCCXV. Indiz.VIII.Clemente XIpapa 16.Carlo VIimperadore 5.Appena aveva incominciato l'Italia a respirare da tanti disastri, dopo l'universal pace de' monarchi cristiani, sperando giorni ormai felici, quando la repubblica veneta mirò da lungi cominciato fin l'anno addietro un fiero temporale che la minacciava in Levante. Questo era un gran preparamento digente e di navi che facea la Porta Ottomana, con ispargere varii pretesti di disgusto contra di essi Veneziani; giacchè di questa mercatanzia ne truova sempre nei suoi magazzini chi ha possanza e voglia di far guerra ad altrui. E tanta più ne trovò il sultano de' Turchi, perchè principe non v'ha che, dopo avere suo malgrado perduto qualche Stato, non si senta agitato da interne convulsioni, cioè da un continuo desio di ricuperarlo, se può. Aveano nelle precedenti guerre i Musulmani perduto il regno della Morea, e fattane cessione alla veneta repubblica. Perchè i giannizzeri tuttodì moveano sedizioni, fu creduto da quel divano che alle loro insolenze si metterebbe fine coll'impegnarli in qualche guerra; e che coloro prendessero di mira la suddetta Morea, si vociferava dappertutto. Questa voce nondimeno tal forza non ebbe da addormentare il cauto gran maestro di Malta. Diedesi egli perciò a ben premunire quella città ed isola fortissima, col chiamare colà tutti i cavalieri d'Italia e di altre nazioni, e con fare ogni necessaria provvisione di munizioni da bocca e da guerra, affinchè il Turco, che altre volte avea finta un'impresa, e ne avea poi fatta un'altra, sapesse che si vegliava in quella parte contro i suoi tentativi. Ora in quell'angustia di tempo non lasciarono i Veneziani di far tutto l'armamento possibile per accrescere le lor genti d'armi e le lor forze di mare, e per tutta la Germania si studiarono di ottener leve di gente, non perdonando a spesa e diligenza veruna. Anche il ponteficeClemente XI, commosso dal grave pericolo della cristianità , ricorse all'aiuto del cielo; prescrisse preghiere e orazioni per tutta l'Italia; somministrò sussidii di danaro ai Veneziani e Maltesi, ed approntò le sue galee, per accorrere dove fosse maggiore il bisogno. E perchè parimente veniva minacciata la Polonia, in soccorso di quella inviò dieci mila scudi d'oro. Una anche delle sue prime cure fu di ricorrere a tutti i monarchi cattolici, esortandolicolle più efficaci lettere di concorrere alla difesa de' fedeli contra del tiranno d'Oriente. Intanto si tirò il sipario, e scoprironsi rivolti i disegni del sultano Acmet contra dei Veneziani, con aver egli ingiustamente rotta la tregua stabilita a Carlovitz nel 1699, e per mare e per terra piombò una formidabile armata di Turchi sul Peloponneso, ossia sopra la Morea. Videsi allora una ben dolorosa scena, cioè che nello spazio di un mese la potenza ottomana s'impadronì di tutto quanto la veneta in più anni con tanto dispendio e fatiche avea in quelle contrade acquistato. Corinto, Napoli di Romania, Napoli di Malvasia, Corone, Modone e l'altre piazze di quel regno, tutte caddero in mano degl'infedeli. Fecero alcune buona difesa; ma sì fieri furono gli assalti turcheschi, che sopra gli ammontati cadaveri de' suoi giunsero que' Barbari a superar le fortezze. Altre poi fecero poca o niuna difesa, e i Greci stessi congiurati si gittarono in braccio de' Turchi. Provò allora la repubblica veneta quello ch'è accaduto a tanti altri, cioè che le braccia tradiscono talvolta gli ordini saggi del capo. Si avvide ella, ma tardi, che alcuni dei suoi ministri nella Morea non aveano impiegato il pubblico danaro, come doveano, nel tener completi i presidii e provvedute le piazze del bisognevole. Quel bel paese, quel felice e caldo clima, non si può dire quanto inclini ai piaceri e alla corruttela de' costumi. Senza freno viveano quivi molti degl'Italiani, e di loro si mostravano poco contenti alcuni di que' popoli. Tutto concorse a far perdere sì presto quel delizioso regno; la principal cagione però fu l'esorbitante forza de' Musulmani, a cui non s'era potuto provvedere di alcun valevole ostacolo fin qui. Non finì quest'anno, che, profittando i Turchi dell'amica fortuna, s'impadronirono di altri luoghi ed isole nell'Arcipelago. Parimente i corsari africani, prevalendosi dello scompiglio in cui si trovava l'Italia colle isole adiacenti,ne infestarono più che mai i lidi, e condussero in ischiavitù assaissimi cristiani.In questi medesimi turbati tempi una altra guerra apertamente si faceva in Sicilia a cagion del tribunale della monarchia. Avendo il sommo pontefice fulminate le censure contro molti di quegli uffiziali e contro altri del regno siciliano, e messo l'interdetto a varii luoghi, il reVittorio Amedeo, risoluto di sostenere gli antichi usi od abusi che s'erano per più secoli mantenuti dai re suoi antecessori, ordinò che non si rispettassero gli ordini di Roma. Chi negò di farlo trovò pronto il gastigo delle prigioni o dell'esilio. Più di quattrocento ecclesiastici, oltre ad altre persone, o volontariamente o per forza uscirono di quell'isola, rifugiandosi a Roma. Il pontefice in sussidio loro impiegò più di sessanta mila scudi; e tuttochè anche amendue i monarchi di Francia e Spagna con forti uffizii sostenessero le pretensioni del re Vittorio, pure l'intrepido papa nel gennaio e febbraio del presente anno pubblicò due altre costituzioni, colle quali abolì il tribunale suddetto della monarchia di Sicilia: passo che maggiormente accrebbe gli sconvolgimenti di quel regno, e cagionò non lieve affanno al novello re di quell'isola, che abbisognava di quiete per ben assodarsi in quel dominio. Intanto per male di vaiuolo in età di diecisette anni venne a morte in TorinoVittorio Amedeoduca di Savoia suo primogenito nel dì 22 di marzo del presente anno, della qual perdita fu per lungo tempo inconsolabile il re suo padre. Perchè gli strologhi gli aveano predetta la guarigion del figlio, che non si effettuò, ne cadde la colpa sopra i medici, che perciò perderono la grazia del sovrano. Ma Dio gli preservò il secondogenito, cioèCarlo Emmanuele, oggidì re di Sardegna, che gareggia nelle virtù coi più rinomati principi della reale sua casa. Non era meno affaccendata in questi tempi la sacra corte di Roma per le opposizioni insorte in Francia contro la costituzioneUnigenitus, e per le controversiede' riti cinesi, proibiti a quei nuovi cristiani. Intorno a questi punti pubblicò l'indefesso pontefice altre costituzioni, dettate dal suo zelo per la purità della dottrina cattolica.Si godeva intanto il re CristianissimoLuigi XIVil contento di avere assicurata sul capo del nipoteFilippo Vla corona di Spagna, e di avere restituita al suo regno la desiderata pace, quando venne Dio a chiamarlo all'altra vita. Era egli giunto all'età di settantasette anni; ne avea regnato settantatrè oltre il costume dei suoi antecessori. Il dì primo di settembre fu l'ultimo del suo vivere, ed egli con intrepidezza mirabile, con sentimenti di viva cristiana pietà e pentimento dei suoi falli lasciò ai suoi discendenti quelle massime più giuste di governo ch'egli talvolta in sua vita dimenticò. Nel bollore spezialmente dei suoi anni gli aveano presa la mano l'incontinenza, lo spirito conquistatorio, senza misurarlo talvolta colla giustizia, e l'ansietà di far tremare ciascuno coi fulmini della sua potenza. Ciò non ostante, pregi sì rilevanti si raunarono in questo monarca per la sua gran mente, per aver nel suo regno procurata la gloria delle lettere, l'accrescimento delle arti e l'utilità del traffico, per la magnificenza delle fabbriche, per aver dilatati ampiamente i confini del suo regno, e sopra tutto protetta la religione de' suoi maggiori, con espurgare dalla gramigna ugonottica i suoi Stati, senza far caso della perdita di tanti sudditi, di tante arti e di tanto oro, in tale occasione asportati, che, secondo l'estimazione comune, giustamente si meritò il titolo di Grande. A questo rinomatissimo monarca succedette il pronipoteLuigi XV, oggidì glorioso re di Francia, ma in età troppo tenera, e però incapace di governo, e bisognoso di tutori. Ebbe manieraFilippo duca d'Orleans, nipoteex fratredel re defunto, e primo principe del real sangue, di far annullare dal parlamento di Parigi il regio testamento, e di assumere egli la tutela del picciolo re. Trovò questo principeesausto il regio erario, incolte molte campagne, impoveriti i popoli per le tante guerre passate, ingrassati non pochi colla mala amministrazione delle regie finanze; e siccome pochi si potevano uguagliare a lui nell'elevatezza della mente, si applicò tosto a curare e saldare le piaghe del regno. Ma intorno a ciò a me non conviene di dirne di più. Fece nell'ottobre di quest'annoGiacomo III Stuardore cattolico della Gran Bretagna un tentativo per rimettersi sul trono della Scozia, con avere il pontefice somministrati quegli aiuti che potè per quell'impresa. Convien chinare gli occhi davanti agli occulti disegni di Dio. Cominciò egli con prosperità , ma terminò con infelicità un sì importante affare. Dopo essersi dichiarata in favor degl'inglesi la fortuna in una giornata campale se ne tornò lo sventurato principe in Francia a deplorar le sciagure di chi s'era dichiarato del suo partito.
Appena aveva incominciato l'Italia a respirare da tanti disastri, dopo l'universal pace de' monarchi cristiani, sperando giorni ormai felici, quando la repubblica veneta mirò da lungi cominciato fin l'anno addietro un fiero temporale che la minacciava in Levante. Questo era un gran preparamento digente e di navi che facea la Porta Ottomana, con ispargere varii pretesti di disgusto contra di essi Veneziani; giacchè di questa mercatanzia ne truova sempre nei suoi magazzini chi ha possanza e voglia di far guerra ad altrui. E tanta più ne trovò il sultano de' Turchi, perchè principe non v'ha che, dopo avere suo malgrado perduto qualche Stato, non si senta agitato da interne convulsioni, cioè da un continuo desio di ricuperarlo, se può. Aveano nelle precedenti guerre i Musulmani perduto il regno della Morea, e fattane cessione alla veneta repubblica. Perchè i giannizzeri tuttodì moveano sedizioni, fu creduto da quel divano che alle loro insolenze si metterebbe fine coll'impegnarli in qualche guerra; e che coloro prendessero di mira la suddetta Morea, si vociferava dappertutto. Questa voce nondimeno tal forza non ebbe da addormentare il cauto gran maestro di Malta. Diedesi egli perciò a ben premunire quella città ed isola fortissima, col chiamare colà tutti i cavalieri d'Italia e di altre nazioni, e con fare ogni necessaria provvisione di munizioni da bocca e da guerra, affinchè il Turco, che altre volte avea finta un'impresa, e ne avea poi fatta un'altra, sapesse che si vegliava in quella parte contro i suoi tentativi. Ora in quell'angustia di tempo non lasciarono i Veneziani di far tutto l'armamento possibile per accrescere le lor genti d'armi e le lor forze di mare, e per tutta la Germania si studiarono di ottener leve di gente, non perdonando a spesa e diligenza veruna. Anche il ponteficeClemente XI, commosso dal grave pericolo della cristianità , ricorse all'aiuto del cielo; prescrisse preghiere e orazioni per tutta l'Italia; somministrò sussidii di danaro ai Veneziani e Maltesi, ed approntò le sue galee, per accorrere dove fosse maggiore il bisogno. E perchè parimente veniva minacciata la Polonia, in soccorso di quella inviò dieci mila scudi d'oro. Una anche delle sue prime cure fu di ricorrere a tutti i monarchi cattolici, esortandolicolle più efficaci lettere di concorrere alla difesa de' fedeli contra del tiranno d'Oriente. Intanto si tirò il sipario, e scoprironsi rivolti i disegni del sultano Acmet contra dei Veneziani, con aver egli ingiustamente rotta la tregua stabilita a Carlovitz nel 1699, e per mare e per terra piombò una formidabile armata di Turchi sul Peloponneso, ossia sopra la Morea. Videsi allora una ben dolorosa scena, cioè che nello spazio di un mese la potenza ottomana s'impadronì di tutto quanto la veneta in più anni con tanto dispendio e fatiche avea in quelle contrade acquistato. Corinto, Napoli di Romania, Napoli di Malvasia, Corone, Modone e l'altre piazze di quel regno, tutte caddero in mano degl'infedeli. Fecero alcune buona difesa; ma sì fieri furono gli assalti turcheschi, che sopra gli ammontati cadaveri de' suoi giunsero que' Barbari a superar le fortezze. Altre poi fecero poca o niuna difesa, e i Greci stessi congiurati si gittarono in braccio de' Turchi. Provò allora la repubblica veneta quello ch'è accaduto a tanti altri, cioè che le braccia tradiscono talvolta gli ordini saggi del capo. Si avvide ella, ma tardi, che alcuni dei suoi ministri nella Morea non aveano impiegato il pubblico danaro, come doveano, nel tener completi i presidii e provvedute le piazze del bisognevole. Quel bel paese, quel felice e caldo clima, non si può dire quanto inclini ai piaceri e alla corruttela de' costumi. Senza freno viveano quivi molti degl'Italiani, e di loro si mostravano poco contenti alcuni di que' popoli. Tutto concorse a far perdere sì presto quel delizioso regno; la principal cagione però fu l'esorbitante forza de' Musulmani, a cui non s'era potuto provvedere di alcun valevole ostacolo fin qui. Non finì quest'anno, che, profittando i Turchi dell'amica fortuna, s'impadronirono di altri luoghi ed isole nell'Arcipelago. Parimente i corsari africani, prevalendosi dello scompiglio in cui si trovava l'Italia colle isole adiacenti,ne infestarono più che mai i lidi, e condussero in ischiavitù assaissimi cristiani.
In questi medesimi turbati tempi una altra guerra apertamente si faceva in Sicilia a cagion del tribunale della monarchia. Avendo il sommo pontefice fulminate le censure contro molti di quegli uffiziali e contro altri del regno siciliano, e messo l'interdetto a varii luoghi, il reVittorio Amedeo, risoluto di sostenere gli antichi usi od abusi che s'erano per più secoli mantenuti dai re suoi antecessori, ordinò che non si rispettassero gli ordini di Roma. Chi negò di farlo trovò pronto il gastigo delle prigioni o dell'esilio. Più di quattrocento ecclesiastici, oltre ad altre persone, o volontariamente o per forza uscirono di quell'isola, rifugiandosi a Roma. Il pontefice in sussidio loro impiegò più di sessanta mila scudi; e tuttochè anche amendue i monarchi di Francia e Spagna con forti uffizii sostenessero le pretensioni del re Vittorio, pure l'intrepido papa nel gennaio e febbraio del presente anno pubblicò due altre costituzioni, colle quali abolì il tribunale suddetto della monarchia di Sicilia: passo che maggiormente accrebbe gli sconvolgimenti di quel regno, e cagionò non lieve affanno al novello re di quell'isola, che abbisognava di quiete per ben assodarsi in quel dominio. Intanto per male di vaiuolo in età di diecisette anni venne a morte in TorinoVittorio Amedeoduca di Savoia suo primogenito nel dì 22 di marzo del presente anno, della qual perdita fu per lungo tempo inconsolabile il re suo padre. Perchè gli strologhi gli aveano predetta la guarigion del figlio, che non si effettuò, ne cadde la colpa sopra i medici, che perciò perderono la grazia del sovrano. Ma Dio gli preservò il secondogenito, cioèCarlo Emmanuele, oggidì re di Sardegna, che gareggia nelle virtù coi più rinomati principi della reale sua casa. Non era meno affaccendata in questi tempi la sacra corte di Roma per le opposizioni insorte in Francia contro la costituzioneUnigenitus, e per le controversiede' riti cinesi, proibiti a quei nuovi cristiani. Intorno a questi punti pubblicò l'indefesso pontefice altre costituzioni, dettate dal suo zelo per la purità della dottrina cattolica.
Si godeva intanto il re CristianissimoLuigi XIVil contento di avere assicurata sul capo del nipoteFilippo Vla corona di Spagna, e di avere restituita al suo regno la desiderata pace, quando venne Dio a chiamarlo all'altra vita. Era egli giunto all'età di settantasette anni; ne avea regnato settantatrè oltre il costume dei suoi antecessori. Il dì primo di settembre fu l'ultimo del suo vivere, ed egli con intrepidezza mirabile, con sentimenti di viva cristiana pietà e pentimento dei suoi falli lasciò ai suoi discendenti quelle massime più giuste di governo ch'egli talvolta in sua vita dimenticò. Nel bollore spezialmente dei suoi anni gli aveano presa la mano l'incontinenza, lo spirito conquistatorio, senza misurarlo talvolta colla giustizia, e l'ansietà di far tremare ciascuno coi fulmini della sua potenza. Ciò non ostante, pregi sì rilevanti si raunarono in questo monarca per la sua gran mente, per aver nel suo regno procurata la gloria delle lettere, l'accrescimento delle arti e l'utilità del traffico, per la magnificenza delle fabbriche, per aver dilatati ampiamente i confini del suo regno, e sopra tutto protetta la religione de' suoi maggiori, con espurgare dalla gramigna ugonottica i suoi Stati, senza far caso della perdita di tanti sudditi, di tante arti e di tanto oro, in tale occasione asportati, che, secondo l'estimazione comune, giustamente si meritò il titolo di Grande. A questo rinomatissimo monarca succedette il pronipoteLuigi XV, oggidì glorioso re di Francia, ma in età troppo tenera, e però incapace di governo, e bisognoso di tutori. Ebbe manieraFilippo duca d'Orleans, nipoteex fratredel re defunto, e primo principe del real sangue, di far annullare dal parlamento di Parigi il regio testamento, e di assumere egli la tutela del picciolo re. Trovò questo principeesausto il regio erario, incolte molte campagne, impoveriti i popoli per le tante guerre passate, ingrassati non pochi colla mala amministrazione delle regie finanze; e siccome pochi si potevano uguagliare a lui nell'elevatezza della mente, si applicò tosto a curare e saldare le piaghe del regno. Ma intorno a ciò a me non conviene di dirne di più. Fece nell'ottobre di quest'annoGiacomo III Stuardore cattolico della Gran Bretagna un tentativo per rimettersi sul trono della Scozia, con avere il pontefice somministrati quegli aiuti che potè per quell'impresa. Convien chinare gli occhi davanti agli occulti disegni di Dio. Cominciò egli con prosperità , ma terminò con infelicità un sì importante affare. Dopo essersi dichiarata in favor degl'inglesi la fortuna in una giornata campale se ne tornò lo sventurato principe in Francia a deplorar le sciagure di chi s'era dichiarato del suo partito.