CAPO II.
Cauteri commendati per preservarti dalla peste. Quali persone più facilmente contraggano il morbo. Salassi e medicine solutive, preservativi biasimati. Amuleti o pericolosi, o dubbiosi contro la pestilenza. Attenzione de’ magistrati contro chi spaccia rimedi vani o nocivi. Sacchetti preservativi. Olio del Mattiolo utile anche nella preservativa.
Cauteri commendati per preservarti dalla peste. Quali persone più facilmente contraggano il morbo. Salassi e medicine solutive, preservativi biasimati. Amuleti o pericolosi, o dubbiosi contro la pestilenza. Attenzione de’ magistrati contro chi spaccia rimedi vani o nocivi. Sacchetti preservativi. Olio del Mattiolo utile anche nella preservativa.
Altri rimedi, che più da vicino servono a preservar dalla peste, ci vengono suggeriti dall’arte medica. E primieramente i cauteri, o sia le fontanelle, fatte o nelle braccia o nelle cosce, non hanno più presso alcuni medici moderni quel credito che aveano presso gli antichi. A me nonsi conviene l’esaminar le ragioni dell’una e dell’altra parte, ma l’avvisar solamente che in moltissime pesti si sono veduti dei mirabili effetti di un tale sfogo artifiziale degli umori nocivi e corrotti del corpo umano; e perciò ne è sommamente commendato e consigliato l’uso per preservarsi dal contagio nelle opere dell’Ingrascia, dell’Arcolano, del Parisino, del Pareo, d’Antonio Porto, di Niccolò Massa, d’Ercole Sassonia, del Sennerto, dell’Untzero e d’altri assaissimi medici insigni, coi quali s’accordano il Diemerbrochio, l’Etmullero ed altri moderni che ne hanno vedute eglino stessi le prove. Anzi gioverà rapportar qui le parole precise di Alessandro Massaria:Illud, scrive egli,experientia satis confirmavit, quandoquidem accurata observatione compertum est, non solum apud nos, verum etiam apud Venetos, Patavinos et alios, ex infinitis pestilentia sublatis, aut nullos, aut certe paucos objisse, quibus alicubi cauteria inusta essent. Abbiamo parimente da Guglielmo Ildano che nella fiera peste di Losanna del 1612 niuno di quei che portavano cauteri vi morì di peste, a riserva d’uno o due, pieni prima di mali umori; e però aggiunge egli d’avere osservato in sè stesso e in altri quanto sia efficace un tal preservativo. Giorgio Guarnero anch’egli attesta di non aver veduto che nella peste di Venezia del 1576 morisse alcuno di quei che s’erano premuniti con fontanelle; e il Quercetano scrive d’aver conosciuto molti cerusici destinati alla cute degli appestati che si difesero meglio con questo che con alcun altro rimedio. Girolamo Mercuriale, uomo anch’egli di sperienza e credito riguardevole, ne scrive neiseguenti termini:Dicam quod ego experientia vidi. Possum testari, me innumeros hac peste extinctos vidisse, nec unquam vidisse quemquam qui haberet cauterium, præter unum tantum, atque ille erat sacerdos. Interrogavi etiam hac de re multos medicos qui testati sunt, neminem se vidisse. Quod quidem argumentum esse potest, hoc genus auxilii magnopere conducere, et summa cum ratione; quandoquidem per cauteria, tamquam per cloacas, continuo ichores, pravi et putredini obnoxii educuntur. Parimente Giovanni Doleo attesta di averne veduta felicissima la sperienza nel contagio de’ suoi giorni. E però mi ha quasi fatto ridere Olao Borrichio, uomo per altro celebre, il quale appresso il Boneto pubblica come un segretoinobservatum hactenusil vantaggio che nella peste si ricava dai cauteri.Deprehensum, dice egli,nobis, grassante hinc ante 20 annos pestilentia, propemodum extinctum fuisse eorum neminem, quibus in aliqua corporis parte hiabant fonticuli. La stessa osservazione fu fatta dal P. Chirchero, il quale nel suo Trattato della Peste asserisce che durante il contagio di Roma del 1656, ov’egli si trovò, niuno segnato con questi spiragli della natura fu invaso dalla peste, a riserva d’alcuni di vita epicurea e dissoluta, siccome egli intese dipoi da medici degni di fede. Parmi che in questo anche il Chirchero possa meritar fede da noi; e tanto più perchè ne fa fede ancora il celebre ed accuratissimo monsignor Lancisi, medico pontificio.
Nulla però di meno hanno licenza i lettori di dar qualche calata a tanti magnifici encomi dei cauteri, giacchè del loro valore, per quel checoncerne la preservativa, non è sì facile l’addurre qualche fisico-anatomica ragione che appaghi. Oltre di che può avvenire che non in tutte le pesti si ottenga lo stesso buon effetto; e in fatti il Diemerbrochio scrive di aver osservato in quella dei suoi giorni che qualche persona mancò di vita pel veleno contagioso, tuttochè provveduta di fontanelle. Forse era gente disordinata. Comunque però sia, buon consiglio reputo io il non trascurare in occorrenza di peste questo preservativo, o almeno questo tentativo, che che sentano in discredito di esso alcuni moderni seguaci delle ingegnose, ma non di rado stravaganti idee dell’Elmonzio, giacchè la sperienza, più venerabile di tutte le speculazioni, sembra commendarlo per utile, e vien esso consigliato anche dal mentovato Diemerbrochio; e tanto più perchè non è molto l’incomodo di tali emissari, quand’anche fossero superflui, e cessata la peste e il bisogno, si può facilmente lasciarne l’uso. Fu anche notato che alcuni sentendosi assaliti dalla peste, avendo prontamente preso qualche rimedio sudorifero, ne restarono liberi in breve, coll’avere la natura cacciato fuori per le fontanelle una marcia nera e velenosa. Il suddetto Chirchero scrive d’aver conosciuto un medico, deputato alla cura d’uno de’ lazzeretti di Roma, che si fece cinque cauteri, e si preservò sempre illeso. Io non assicurerei però che questa fosse la precisa cagione d’essersi egli felicemente salvato; ma dirò bene d’esser io persuaso che almeno per la curativa possano recar molto vantaggio sì fatti emissari. Per queste medesime ragioni è lodato da alcuni medici, al primo sospetto d’aver contratta la peste,il forar la cute di qua e là nell’estremità de’ muscoli delle braccia, ovvero de’ fianchi, con poi mettervi e tenervi dentro radice d’elleboro nero, come si fa a’ buoi e cavalli, essendo veramente tal erba un semplice di gran forza per attraere (mi sia lecito di così parlare) o per purgare (qualunque sia il modo con cui ciò si faccia) i cattivi umori e i sali peccanti, e potendo esso in tal guisa impedire la generazione de’ carboni e de’ tumori pestilenziali. Se poi tale operazione, chiamata setaccio, e dai nostri popolari sedagno, riesca di grande utilità alle prove, nol so dire; ma sembra che non dovrebbe se non giovare per l’analogia che ha coi cauteri. Angelo Sala molto la magnifica, citando ancor qui la sperienza sua, e contando miracoli dell’elleboro nero, del quale dice egli non darsi medicamento più efficace per tirar via gli umori peccanti. Nulladimeno essendo i medici-chimici, fra’ quali è celebre questo autore, in concetto di aprir molto la bocca, bisogna star cauto in credergli tutto; e in fine essendo questo un rimedio dolorosissimo, si dovrà andare adagio a valersene e a consigliarlo. Quello sì che vien tenuto per certo si è, che non meno, e forse più de’ cauteri artificiali, giovino e difendano dalla peste i cauteri fatti dalla natura, quali sono la rogna, le ulcere e le fistole; e però allora non bisogna chiudere, nè levare questi canali e sfoghi de’ perversi umori, ma lasciarli aperti per isperanza d’un maggior benefizio. Questa è sentenza quasi comune.
Oltre a queste persone sottoposte meno dell’altre all’infezione della peste, ne accennerò qui perparentesi alcune che più o meno vi sono soggette. Già notammo che i fanciulli e i giovanetti, a cagione non meno della loro tenera complessione, che della loro poca avvertenza, più di tutti sono facili a contrarre questo morbo attaccaticcio. Ai vecchi difficilmente s’appicca esso; e le donne più degli uomini, e più le parturienti, e più le gravide che le altre il contraggono. I podagrosi, o sia gottosi, e quartanarj meno degli altri; e i flemmatici meno de’ sanguigni e biliosi prendono la pestilenza. Così le persone comode e ricche meno dei poveri, a cagione del loro miglior nutrimento e governo, e non già per altro privilegio; perciocchè in Firenze l’anno 1630 fa osservato che pochissimi bensì de’ nobili s’infettarono, ma pochissimi ancora ne guarirono. Del resto quantunque regolarmente più sieno in pericolo di restar ferite dal veleno della pestilenza le persone piene di cattivi umori e disordinate nella dieta, che non sono i ben sani di corpo e ben regolati nel vivere, tuttavia bisogna confessarlo, la peste non porta rispetto nè meno a queste; nè serve allora il gloriarsi di sentirsi ben forte, giovane e sano, perchè più forte si è la malignità di questo nemico nell’assalire i corpi umani, o deboli o robusti che sieno, qualora essi non istan bene in riguardo. Il che sia detto per consigliar le cautele a chi può, poichè per altro è degno di molta attenzione l’osservazione fatta da alcuni; cioè che nel principio de’ contagi molti di coloro che servono agli appestati si appestano anch’essi, e molti ancora ne muoiono. Crescendo la strage del morbo, meno di queste persone resta infetto; e allorchè ilcontagio è nel suo furore e in declinazione, pochissimi e quasi niuno di tali serventi o beccamorti s’infettano; o pure infettandosi, meno degli altri restano offesi. Può proceder questo o dal restare in vita quei che hanno interna disposizione per resistere al veleno pestilenziale, mancando gli altri che ne sono privi, o pure dalla poca apprensione e dal molto coraggio di costoro, essendo questo un gran preservativo autenticato dalla sperienza; ovvero dall’assuefarsi eglino a poco a poco e col lungo uso a quel veleno, talmente che non ne sentano poi nocumento. Appresso è da avvertire che chi una volta ha avuta la peste e ne è guarito, per l’ordinario non è più soggetto a questo pericolo durante la medesima; dissi per l’ordinario, perchè Marsilio Ficino ed altri non concedono sì francamente questa esenzione, raccontando essi qualche caso di chi più d’una volta è stato colto da questo morbo e ne è restato morto alla seconda o alla terza. Ma siccome si osserva che chi ha provato una volta i vaiuoli e la rosolia, o sia le ferse, non torna più a patirne, contuttochè si legga qualche caso di chi per la seconda volta ne è stato o si crede che sia stato colpito; così è da dir della peste, in cui per lo più i guariti dalla medesima sogliono poscia andarne esenti finch’essa dura. Tuttavia le eccezioni, osservate ancora a questa regola, debbono rendere guardinghi e cauti i risanati dal medesimo mortalissimo morbo. Anche Evagrio nel lib. 4, cap. 28 della Storia Ecclesiastica narra che in quella orrenda peste, che durò 52 anni e girò per tutta la terra, accadde alle volte che chi una e insin due fiate era guarito da esso morbo, alla terza ne restava oppresso.
Ritorniamo ora ad altri antidoti preservativi della peste, insegnatici o dalla chirurgia o dalla farmacia. Alcuni professori di medicina, il cui gran capitale consiste nel prescrivere a diritto e a rovescio la purgazione del ventre e la cavata del sangue, vogliono ancora promettere l’immunità dalla peste a chi si premunisce per tempo con questi due gran rimedi, replicati di quando in quando. Ma i medici più accreditati e saggi non solamente ne biasimano il consiglio, ma ci assicurano essere riuscito un tal preservativo in quei tempi nocivissimo, non potendo certamente i purganti rendere più gagliardi gli umori e gli spiriti contro la peste, dopo averli sì fattamente agitati e indeboliti; nè potendo sperarsi di meglio dal salasso, il quale anzi può far sì che più intimamente si mescolino colle particelle del sangue gli aliti pestilenziali. Certo è stato allora osservato in assaissime prove che con tali preservativi mirabilmente si preparavano e disponevano i corpi a ricevere con più facilità la peste, e che più questi che gli altri ne rimanevano estinti. Gioverà dunque il solo riserbare in que’ tempi qualche alleggerimento di sangue ai temperamenti pletorici; e lasciati stare i gagliardi purganti, sarà da lodarsi il tener con piacevoli medicamenti sufficientemente lubrico il corpo. Anzi queste benigne medicine non si dovranno scegliere a capriccio, ma comporle d’ingredienti che abbiano del balsamico per resistere alla putredine e alla malignità de’ veleni, e servano dì corroborativo alle viscere. Mi sia lecito il valermi di questi termini, perchè credo che abbastanza esprimano ciò che voglio dire. Sonoin questo genere decantate e lodate da tutti le antichissime pillole di Rufo, o sia pillole De Tribus, come un antipestilenziale maraviglioso; e tanto più sono esse da stimare, quanto che si fanno con poca spesa, e tengono senza sensibile incomodo lubrico e netto il ventre. Si compongono nella seguente forma.
Pillole di Rufo, o De Tribus.
℞.Aloè, incenso, ammoniaco, ana part. 2, mirra part. 1. Pestati, si mescolino con vino odoroso, e se ne formino pillole.
Oggidì però la maggior parte dei medici prescrive quest’altra composizione e la crede migliore.
Altre pillole di Rufo più usitate.
℞.Aloè epatico dram. 3, mirra dram. 2, croco, o sia zafferano dram. 1. Di queste cose peste si formano pillole, con acqua di melissa o d’acetosa, o con vino odoroso.
Altri vi uniscono mezz’oncia di diagridio, e mezzo ottavo di canfora. Altri v’aggiungono altri ingredienti. Vedi lo Scradero, il Lemery, o pure il Donzelli nel Teatro Farmaceutico, part. 3, pag. 654. Una o due volte per settimana prese due o tre o quattro di sì fatte pillole grosse come un pisello o cece, senza incomodo tengono in ubbidienza il corpo, e si credono un utile preservativo. Il Diemerbrochio dice che 4 once del seguente vino fanno il medesimo effetto.
Vino d’aloè.
℞.Radici d’angelica, d’elenio, di petasitide, di dittamo, scorze d’aranci ana dram. 1; aloè lucido scrup. 6 e mez., cardo santo mezzo pugno, centaurea minore pugn. 2, assenzio pugn. 1. Si taglino minutamente e si ripongano in un sacchetto entro lib. 6 di vino generoso, e non si levi via il sacchetto se non finito di bere il vino.
Prima però d’inoltrarmi nel gran caos de’ preservativi farmaceutici che si prendono in bocca o per bocca, mi sbrigherò dagli esterni. Che non fa l’intenso natural desiderio che ha ognuno di conservare la sanità e la vita in mezzo ai gran pericoli? Esso ha anche inventato non pochi antidoti esteriori ed amuleti contro la peste, con dar loro, o buonamente o maliziosamente, un credito e spaccio considerabile. Gli astrologi e i superstiziosi hanno inventato molti sigilli, medaglie, bullettini, anelli, carte e simili cose con figure, segni, numeri e parole anche sacre. Alcuni, e massimamente in Germania, esaltano e danno per un preservativo maraviglioso il portare in tempi di contagio sospeso al collo un rospo seccato o bruciato e ridotto in cenere, e chiuso in un sacchetto. Altri nella stessa guisa, consigliano il portare argento vivo ben chiuso e sigillato con cera in una noce o in una penna da scrivere, e ne raccontano mirabili effetti. Per parere d’altri lo smeraldo, lo zaffiro, il giacinto ed altre gemme appese al collo, in maniera che tocchino l’esterna regione del cuore, atterriscono talmente la peste, che non osa accostarsi. Piùcelebri degli altri sono gli amuleti d’arsenico cristallino puro, o varie paste e composizioni di polveri ed erbe, nelle quali entra arsenico o sublimato, da portar chiuse in uno zendado o sacchetto di tela vicino al cuore. Anche i nostri medici italiani, e fra essi alcuni de’ primi, commendano forte questo segreto, citando massimamente l’esempio di papa Adriano VI, che dicono preservato dal contagio per mezzo d’una lamina d’arsenico portata sopra la regione del cuore, e sostenendo che l’un veleno resiste all’altro.
Io lascio altri simili curiosi antidoti, e mi ristringo a dire che i precetti della religione infallibile sono chiari contro que’ rimedi che vengono manipolati dalla superstizione, essendo non meno delitto presso a Dio che follia presso gli uomini il prestar fede a tali invenzioni. E per conto degli amuleti velenosi, creduti contravveleni, i più saggi tra i medici li vogliono sbanditi dall’uso; e ciò perchè la ragione fa intendere che o non sono atti a giovare, come si crede, o possono anche nuocere. In fatti la sperienza adduce vari casi funesti, che qui non importa riferire, avendo essi avvelenato chi veniva a sudare e chi per mezzo loro si credeva sicuro dall’altro veleno, e non avendo essi difeso tanti altri dalla peste, che pur deridevano i medici con portar simili amuleti. Io per me non oserei affatto riprovare l’uso di questi pretesi rimedi; ma dirò bene che non saprei fidarmene molto. E se taluno rispondesse che per attestato d’insigni medici hanno essi giovato e giovano nella peste, se gli vuol rispondere essere più che difficile in molti casi (e possono in ciòprendere abbaglio anche le prime teste) il decidere qual cagione o rimedio abbia precisamente preservato dal male o salvato dalla morte un uomo. Ne’ tempi di contagio può essere che si sieno preservati molti, portanti simili velenosi amuleti, non per cagione d’essi amuleti, ma per altre circostanze, ed anche talora per la gran fede che appunto aveano riposta in essi e che li riempieva d’intrepidezza e coraggio, due già da noi dichiarati buoni preservativi contro la pestilenza. All’incontro sapendosi che rospi, ragni, arsenici, argenti vivi ed altri di questi almeno sospetti ritrovamenti, sono stati avvertiti per inutili ne’ medesimi contagi da altri più attenti e men creduli medici, egli è difficile che la sperienza di questi abbia preso abbaglio; e perciò bisogna qui andar cauto per non cadere nel cerretanismo, da cui pur troppo non sanno talvolta tenersi lontani alcuni ancora che fanno strepito nella medicina. Aggiungo nulladimeno che se tali amuleti, e specialmente il mercurio, di cui so alcuni mirabili effetti in altri casi, verranno portati in maniera da non poter nuocere, allora se ne potrà permettere l’uso; purchè non si tralascino altre diligenze e preservativi non pericolosi e degni di più fede. È bizzarro il Rivino nel trattar della peste di Lipsia, che dopo aver derisi tutti gli amuleti, ne eccettua la radice dell’erba colchico, la quale è da lui commendata come un sicurissimo amuleto contro la peste. Io non ne so il perchè.
Egli è poi qui da ricordare ai savi maestrati che nascendo e crescendo più in tempo di peste che negli altri i ciurmatori, i medicastri e i venditoridi specifici e di segreti, con attribuirsi allora anche le persone idiote il diritto di prescrivere medicine, bisogna con pubblico e rigoroso editto rimediare al disordine di tali rimedi. Cioè convien proibire che senza l’approvazione de’ medici deputati non sia venduta o spacciata cosa alcuna sotto nome di preservativo o di curativo per la peste, nascendo per lo più tali invenzioni o da una ridicola e temeraria ignoranza, o da unico motivo di proprio interesse, senza pensare all’inganno della povera gente, facilissima a credere ciò che desidera, e per tali imposture distratta dal procacciarsi altri o meno disutili, o più giovevoli medicamenti. Fanno anche gran male in tempi tali alcuni cerusici che in loro cuore credendosi degni della toga dottorale, la fanno da medici risoluti, e prescrivono rimedi soporiferi, purganti, amuleti ed altri medicamenti, in parte ancor qui riprovati, mandando per le poste all’altra vita infermi che forse sarebbono guariti. Ci bisogna rimedio per quanto si può a questi omicidi. Per parere ancora del signor Gian-Domenico Santorini, valente protomedico della sanità in Venezia, d’una cui giudiziosa Istruzione MS. ho anch’io profittato in questa occasione, si è sperimentato più volte riuscir veleni quei che si dispensavano come antidoti, non già perchè si sapessero e si dispensassero come tali da una abbominevole malizia, ma perchè senza cognizione e metodo venivano impastati e spacciati dalla temeraria ignoranza. Noi vedremo che anche il cavar sangue e il dar medicine solutive agli appestati, possono essere due veleni che così allabuona vengano prescritti nelle pesti da chi è dottore senza dottrina, o ha sempre il nome, ma non sempre il giudizio de’ medici veri.
Del resto non è che non possano permettersi e anche lodarsi in tempi di contagio alcuni sacchetti da portarsi appesi al collo e sulla regione del cuore, purchè la loro composizione ammetta soli ingredienti chiamati per la loro qualità o odore antipestilenziali. In questa forma, quand’anche non giovassero, siccome dovrebbono coll’espansione delle loro particelle odorose, certo non nuoceranno, e potrebbono almen recare quel non picciolo benefizio d’indurre animosità e fiducia in chi li portasse: il che in tempi sì fatti è di molto vantaggio. Tale sarà la seguente composizione:
Sacchetto preservativo.
℞.Radici d’angelica, zedoaria, elenio, dittamo, ana mez. dram., castorio dram. 1, canfora scrup. 1, croco, cioè zafferano mez. scrup., incenso mez. dram., triaca d’andromaco dram. 1 e mez., olio d’ambra gocce 4, olio di ginepro gocce 2. Polverizzate le robe, e mischiate con mucilagine di dragante in aceto di ruta, se ne faccia una massa o crescentina, e chiusa in un pezzo di seta si porti appesa al collo.
L’uffizio della sanità di Milano divulgò nel 1630 quest’altra composizione, come usata per preservativo da chi senza appestarsi spargeva la peste colà (così fu preteso); e molte altre città l’approvarono. Per le ragioni di sopra addotte è da considerare se sia da ritenere uno di questi ingredienti,cioè l’arsenico; e di tal composizione potrebbe forse valersi chi sta esposto al servigio degli appestati o al maneggio delle robe e dei cadaveri loro. Eccone la ricetta:
Sacchetto preservativo.
℞.Incenso maschio bianco, solfo, ana onc. 6, arsenico cristallino onc. 1, bacche di lauro, garofani di droga, ana num. 9, radici di verbena, di zenzero, foglie di peonia, rafano, centaurea, erba sampietro, ana manip. 1, scorze di melarancio, noce moscata una, mirra, mastice, ana gran. 5, semi di ruta num. 30. Si pestino tutte, e ridotte in polvere si pongano in un sacchetto di raso o di damasco o simile che abbia corpo, acciocchè non escano, e questo sacchetto si porti dalla banda del cuore.
Sono ancora consigliati e descritti dai medici per preservativi della peste molti balsami, unguenti, pittime, ecc., o da tener sulla regione del cuore, o da ungerne le narici e i polsi. Il P. Maurizio da Tolone loda la seguente
Pittima per corroborare il cuore.
℞.Acqua rosa di buglossa ana onc. 6, vino ordinario onc. 3, aceto rosato onc. 1, polveri d’angelica, mirra, alchermes, ana mez. dram., garofani e cannella polverizzata, ana mez. onc., confezione d’alchermes e di giacinti, ana dram. 1. Di tutte le suddette cose si formino pittime con olio di scorpioni del Mattiuolo da mettere sopra la parte del cuore.
Si noti qui non essere approvate da alcuni dei migliori medici le pittime da tenere sulla regione del cuore che sono composte di Semplici cotti in acqua o vino, o mischiati con acqua distillata. Può essere che ancor le altre non influiscano con quella forza che taluno crede a preservare l’interno dell’uomo; ma purchè non sieno atte a nuocere, si permettano pure; e per altro io so da persone intendenti che l’olio di scorpioni, con ungerne lo stomaco, fa degli utilissimi movimenti interni contro la malignità d’altre febbri. Ed appunto, giacchè abbiamo parlato di quest’olio, appellato ancora delMattiuolo, benchè nella sostanza esso fosse conosciuto molto prima del Mattiuolo, egli è da sapere che questo vien comunemente lodato da tutti e commendato come un ottimo preservativo antipestilenziale, e se ne contano de’ mirabili effetti anche fuori dei casi di peste. Consigliano gli autori di ungersene prima d’uscir di casa le tempie, le narici, le palme della mano e tutta la regione del cuore. Se ne può anche bere una o due gocciole in un poco di brodo. Non ne rapporto la ricetta perchè facilmente si trova negli antidotari degli speziali e presso vari medici. Lo stesso olio ha preso diversi nomi, secondochè alcuni vi hanno aggiunto nuovi ingredienti. Tale è l’olio chiamato del Gran Duca, del Brasavola, (non so se diverso da quello che fa fare ogni anno il comune di Ferrara, ed è ivi molto lodato) del Minderero, di Lodovico Leoni, valoroso pratico bolognese, e d’altri, che tutti possono giovare al fine proposto. Il Diemerbrochio prescriveva ai desiderosi di rimedi non usuali l’unguento che segue:
Unguento preservativo.
℞.Triaca d’Andromaco dram. 1, canfora gran 9, olio di noce moscata spremuto, olio di scorpioni, sugna di serpenti, ana scrup. 2, olio di succino, olio di ruta distillata, ana mez. scrup., olio di cinnamomo, di garofani, ana gocc. 1, olio di scorza di cedro gocc. 5. Si mescolino insieme, e ogni mattina se ne ungano le narici, le tempie, i polsi e la regione del cuore.
Io lascio di riferire altri simili olj, unguenti, balsami, ecc., nei quali, per consiglio d’alcuni più sinceri medici, non s’ha poi da confidar troppo, sì perchè non sono assai note o certe le loro forze, e sì ancora perchè molti paiono inventati parte per soddisfare agli uomini timorosi in que’ terribili tempi, e parte dall’avarizia di certi medici o speziali, che non solo spremono volentieri le borse altrui, ma molto più facilmente le spremono quanto più è il numero degl’ingredienti dei loro recipe, e quanto più costano sì fatte composizioni, quasi ciò che è più prezioso, e si paga più caro, sia ancora più atto a guarir dai mali e a sbandire la morte. Così in oggi nelle città ove sono medici di gran sapere e di buon gusto, e che amano i disinganni suoi e gli altrui (tale per la Dio grazia è la nostra città) non hanno più voga, o almeno tanta voga, come una volta, i magisteri, le tinture e le confezioni di perle, d’oro e di gemme, avendo insegnato i chimici più accreditati colle sperienze fatte che queste ricche preparazioni sono o inutili trasmutazioni, o superficiali corrosioni delle materiepreziose, le quali per la sanità non hanno altro valore se non se quello che loro impone la vanità di chi le prescrive, o la credenza dei corrivi che a gran prezzo le comperano, sperandone, ma indarno, salute o profitto.