CAPO IV.

CAPO IV.

Necessità di magistrati prudenti e attivi pel governo della peste. Autorità e rigore conveniente ad essi. Loro cautele per preservarsi. Elezione d’altri subordinati. Non doversi forzare i medici alla cura degl’infetti; e come governarsi per conto d’essi.

Necessità di magistrati prudenti e attivi pel governo della peste. Autorità e rigore conveniente ad essi. Loro cautele per preservarsi. Elezione d’altri subordinati. Non doversi forzare i medici alla cura degl’infetti; e come governarsi per conto d’essi.

Il maggior benefizio che nel governo politico possa accadere ad un popolo, durante il pericolo, o la disavventura d’un contagio, si è l’essere provveduto di buoni magistrati che colla lor vigilanza e prudenza arrestino il morbo ai confini, ovvero l’imprigionino in qualche terra o porzion del paese ove sia penetrato, o pure così valorosamente gli facciano fronte arrivato che sia nella città che o presto si soffochi o non faccia considerabile strage. Non riceve mai la peste forze maggiori, nè più francamente si dilata, quanto dai disordini della vil plebaia, allorchè sprovveduta di buoni capi e di leggi, o perduta la riverenza ai magistrati, ogni cosa confonde. Debbono pertanto in occasione di tanto bisogno mettersi al governo degli affari della sanità persone piene di carità e d’onore, e persuase di doversi acquistare presso gli uomini, e infinitamente più presso Dio, un merito grande per le lor fatiche in benefizio della loro afflitta patria. Scelgansi persone abbondanti di amore verso la lor terra e verso il prossimo, e provvedute di competente saviezza, esperienza e di attività il più che si può coraggiosa e non timida. Chi ad ognimenomo aspetto della nostra mortalità, si sente cadere il cuore a terra, dee starsene in casa ad aiutar con orazioni pie e con atti di carità il prossimo suo. La vigilanza de’ magistrati, col non trascurar nulla, e principalmente finchè è tempo, può far dei miracoli in tutte le occasioni, ma spezialmente in questa; perchè in fine si tratta d’un nemico, il quale non porta seco artiglierie per valicar colla forza i confini d’uno stato, o superar le porte di una città. Oltre di che, introdotto il morbo, le negligenze de’ magistrati il rendono sfrenato. Certo in sì gravi pericoli, e in tanta necessità di conservare il popolo, chi governa si potrà ben pentire di non aver fatto assai, ma non mai d’aver fatto troppo. Non la mansuetudine e piacevolezza, ma il rigore è qui necessario a chi governa; e ciò per maggior bene della repubblica stessa, a cui si nocerebbe coll’indulgenza, e si può giovare infinitamente col fare a puntino e irremissibilmente rispettare ed eseguir le leggi. In tempi tali, secondo il parere dei savj, è maggiore sopra i sudditi la podestà del principe e dei magistrati, potendosi condannar le persone a varie pene per soli sospetti e senza processo, e valersi delle lor case, poderi, danari, vettovaglie, ecc. qualora il pubblico ne abbia bisogno.

Filippo Ingrascia, celebre medico di Sicilia, che scrisse un utile trattato della peste, prescrive per principalissimi rimedj, espugnatori di questo male i tre seguenti, cioè l’oro, ilfuocoe laforca. Il primo pel mantenimento de’ poveri, e per tante altre spese che occorrono allora; il secondo per l’espurgazion delle case, robe ed aria e il terzoper l’osservanza delle buone leggi e regole da stabilirsi in quel tempo. Può mancare il primo di questi rimedj; e in quanto al terzo, si suol far piantare in più luoghi, entro e fuori della città, esse forche, per punirvi prontamente certi gravissimi delitti di disubbidienza dannosa al pubblico. Facciasi però il men che sia possibile, potendosi con altri minori gastighi e col terrore tenere in dovere i popoli, e massimamente in queste parti d’Italia ben diverse nella focosità dai cervelli della Sicilia. Un esemplar gastigo dato sulle prime gioverà assaissimo, siccome ancor il lasciar correre voce che sieno stati immediatamente uccisi alcuni trasgressori degli ordini della sanità. E se taluno si avesse a far morire per qualche delitto, il divolgare che tal gastigo venga per la trasgressione suddetta, metterebbe gran freno agli altri. Le città e terre preservate non hanno riportato sì gran benefizio senza la morte di qualche disubbidiente in cose gravi, quale è chi venendo da luogo appestato passa i confini senza fedi, o con fedi false e simili trasgressori troppo nocivi; per altro ai conservatori della sanità s’ha a dare in tali casi un’assoluta balìa ed autorità di poter procederemori bellicontra i trasgressori; e, se la necessità il richiede, sarà carità verso il pubblico il rigore verso qualche privato disubbidiente, e massimamente nella guardia de’ confini e delle porte in sospetti di contagio. A quattro prelati della congregazione della sanità di Roma nella peste del 1656 fu data autorità di poter procedere anche contra le persone ecclesiastiche e regolari a qualsivoglia pena ed esecuzion d’essa, sino alla mortenaturale exclusive per qualsivoglia delitto concernente la sanità,sola veritate inspecta, denegatis defensionibus, more belli. Così debbono fare anche i vescovi nelle altre diocesi. Il vuole il diritto della natura. Anzi tiene il cardinale de Luca nel cap. 41 del Principe che dai sudditi sani si possa negare l’ingresso e il commercio al principe infetto, perchè l’esporre alla peste un luogo sano, non è un operare da principe padre de’ popoli.

Un punto poi di grande importanza sarà, che i magistrati conservino ben sè stessi per poter conservare gli altri. Perciò sia lor cura di far circondare la casa dove abitano, o si adunano con rastrelli di legno, ai quali niuno possa avvicinarsi se non in lontananza di quindici passi. Tengano pochi servitori, e vietino loro il conversar fuori e il vagare; e non sieno con esso loro donne, fanciulli, cani e gatti. Facciano buona provvisione di ciò che spetta al vitto, ed abbiano seco sacerdote, medico e cerusico coi medicamenti per curare la peste. Uscendo di casa, vadano a cavallo o in seggetta, parlino alle guardie e all’altre persone solamente da lontano, incaricando ai servitori il fare lo stesso; e tornati a casa, facciano lavare i cavalli de’ quali si saranno serviti. Finalmente mettano in opera tutti gli altri preservativi generali e particolari che s’andranno accennando sì nella pulizia della casa, come nella temperanza del vitto, nell’uso de’ profumi e in altre somiglianti cautele.

Non è men necessario l’eleggere per subordinati e deputati alle guardie, al regolamento delle contrade, allo spurgo, alla distribuzion del pane, alla cura de’ lazzeretti, ecc., altre persone fedeli, abilie dabbene, nobili, cittadini, mercatanti, ecclesiastici e religiosi, in numero nondimeno che non generi confusione, dando loro quella autorità che conviene, con ordine di comunicare al magistrato supremo tutto ciò che di rilevante andrà succedendo nella lor giurisdizione. Chi di tali deputati, ufiziali e subalterni avrà da praticar con infetti e sospetti, dovrà anch’egli contarsi nel numero de’ sospetti, cioè dovrà astenersi dal commercio dei sani e portar segni visibili d’essere sospetto; e la casa e famiglia sua non comunicherà coi sani. Bene spesso terminerebbe presto la peste, se non vi fossero ufiziali che volessero far la loro fortuna colle spoglie altrui: il che però non viene lor fatto, perchè anch’essi muoiono, e sovente senza nè pure aver tempo di accusare ai ministri di Dio le loro iniquità. Adunque per quanto mai si può, convien cercare persone disinteressate e timorate di Dio, con assegnare a ciascuna un competente salario. Nello spazio di due mesi il P. Maurizio da Tolone cappuccino scacciò da una città di Provenza la peste, non tanto co’ suoi profumi, quanto per la fedeltà degli operai e dei prefetti delle cariche. Sempre poi gioverà per certi ufizj di molta gelosia il deputare qualche ecclesiastico, o secolare, o religioso, d’accreditata integrità che esercitando quel caritativo impiego con fedeltà, sappia egualmente piacere a Dio ed aiutar la sua patria. Pongasi anche mente alla necessità di deputare per cadauna villa qualche persona d’abilità e buona fede, che invigili, visiti e avvisi ogni caso di male, o altro disordine a uno de’ conservatori destinato a posta per questo. Anche i parochi possono giovareassaissimo. Qualor si difenda il territorio, egli è facile il salvar la città.

Per conto de’ medici e cerusici, s’è ben di sopra chiamato giusto il costringergli a non partir di città; ma non sarebbe già conforme alla giustizia il forzargli ancora a medicar gli appestati. Dicono che le leggi il vogliono; e in Sicilia fu fatto così; e lo stesso venne una volta preteso in Padova, perchè nel prender ivi la laurea dottorale si fossero obbligati i medici a servire anche in tempo di peste. Ma grida la ragione che non son tenuti ad esporsi e non si debbono esporre per forza all’evidente rischio della vita persone, la conservazion delle quali è troppo necessaria alla repubblica. Non ci vuol poco a formare un buon medico; e formato che sia è un grande interesse del pubblico ch’egli non perisca. Oltre di che se i medici avessero per forza da conversare con gli appestati, nulla farebbono di giovamento ai medesimi per l’apprension della morte e per la rabbia e per l’abborrimento a quell’impiego che parrebbe loro, e non immeritamente, una gran pena e gastigo. Aggiungasi che più non potrebbono, dopo aver trattato con gl’infetti, praticar coi sani; e infermandosi questi di qualche malattia, chi dovrebbe poscia curarli? E se perissero i medici nella cura degli appestati, chi avrebbe poi cura degli appestati e dei sani? Aggiungasi per compimento di tutto, che pur troppo i medici non hanno recipe alcuno specifico e sicuro per espugnare una peste; e però non si può chiamare precisamente necessaria la loro visita personale o assistenza agl’infetti, nè si dee pretendere ch’essi perforza espongano la loro certa salute per l’incerta altrui, potendo essi in altre guise e colla mano e voce d’altri sustituti, supplire il bisogno e somministrar que’ rimedi che crederan più a proposito.

Ma, e non ci ha da essere, dirà taluno, medico per i miseri appestati e per i lazzeretti? Debbono senza fallo i magistrati far tutto il possibile per indurre a tal cura quei che occorrono, non già col duro mezzo della forza e del comando, ma col dolce de’ premj e d’un buon stipendio; e invitino ancora, se possibil fia, qualche straniero che assuma tale incumbenza. Nè mancherà chi l’assuma: imperocchè, siccome dirò in altro luogo, v’ha i suoi mezzi di preservarsi illeso fra la gente appestata, e ciò spezialmente per i medici. Notisi ancora, che più aiuto darà nei contagi un medico pratico ben mediocre o un cerusico, il quale facendosi avanti senza timore, aiuti ed istruisca gl’infermi, o porti loro cerotti ed empiastri o tagli ed operi, che non sarà un gran medico pauroso. E il soprammentovato cappuccino che più volte fu in mezzo ai contagi, asserisce non essere necessari i medici ne’ lazzeretti, ma sì bene i cerusici, i quali veramente, allorchè il male prorompe alla cute o con buboni o con carboni, possono salvar molti dalla morte, e però sono sommamente utili e necessari e si debbono salariar bene, acciocchè con puntualità e carità facciano il loro uffizio in tali congiunture.

Intanto i medici debbono attendere a preservare i sani e a visitare chiunque è infermo, ma non di contagio, per la città. Impiego loro altresì ha da essere di assistere ai magistrati e di consultarcon essi e fra loro il metodo e i medicamenti che possono allora credersi giovevoli o riconoscersi per nocivi. Prendano giornalmente quante notizie possono dai cerusici intorno ai sintomi e accidenti del male e al successo o utile o vano de’ metodi e dei medicamenti, con farne sperimentar molti, e mutar di mano in mano secondo le osservazioni e il bisogno. Che se nella visita degl’infermi s’abbatteranno contro lor voglia a praticar con qualche appestato, allora dovranno per dieci dì chiudersi in casa colla lor famiglia, siccome sospetti, in guisa che alcuno non v’entri, o ne esca, restando nondimeno libero a tali medici di uscire se vogliono, ma coi segnali de’ sospetti e senza poter praticare liberamente co’ sani. In Ferrara, nel 1630 si videro buoni effetti d’un proclama fatto, ove si astringeva ognuno a denunziar quello che sapeva di pregiudiziale alla sanità. Altrettanto è da fare altrove in simili casi; e riuscirà anche più utile, se oltre alle pene si aggiungerà la proposizione de’ premj ed anche l’impunità ai trascorsi altrui, quando fossero col solo onesto fin del ben pubblico denunziati da persone onorate.


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