CAPO IX.
Commercio di robe infette proibito. Necessità di prima espurgarle. Tre maniere di spurgo. Più utile e più facile quello dei profumi. Dose e metodo per profumar robe, case ed altri luoghi. Ordini rigorosi per lo spurgo, e necessità di questo rimedio.
Commercio di robe infette proibito. Necessità di prima espurgarle. Tre maniere di spurgo. Più utile e più facile quello dei profumi. Dose e metodo per profumar robe, case ed altri luoghi. Ordini rigorosi per lo spurgo, e necessità di questo rimedio.
Per l’ordinario le pesti hanno l’origine o la loro dilatazione dalle robe, cioè dalle suppellettili, panni o merci procedenti da luogo infetto o maneggiate da persone contaminate da esso morbo. Certo nessuna cosa più spaventosamente fomenta in tempi tali la carnificina degli uomini, quanto la diabolica ingordigia di tanti, che entrando nelle case derelitte per la morte de’ padroni, quindi furtivamente asportano robe infette, contaminando con ciò sè stessi, altre famiglie e talora altri dopo molto tempo. Il perchè una delle più importanti cure del governo della sanità ha da esser quella d’impedire il commercio delle merci o robe infette e sospette. Per questo, su i primi timori d’una pestilenza vicina, si proibisce l’ingresso a qualsiasi roba de’ paesi infetti, e non si ammettono le procedenti da luoghi sospetti se non dopo la quarantena, e dopo una leggittima espurgazion delle medesime, che si dee fare prima d’introdurle in città, cioè in qualche luogo eletto a questo fine fuori della città e lungi dall’abitato. E notino i magistrati, essersi più d’una volta alle porte della città sotto carra di fassine o di fieno o dipaglia, trovate robe, delle quali non era permesso l’ingresso. La confiscazion d’esse e delle carra servì a benefizio de’ lazzeretti, e il gastigo per esempio degli altri. Di più convien avere particolarmente l’occhio sopra gli Ebrei, siccome gente che fa uno de’ suoi maggiori capitali il traffico e trasporto di tali robe. In Germania alcune città nè pure concedono a tal gente le fedi della sanità, perchè vogliono interdetto ogni loro commercio.
Penetrato il male nella terra o città, allora si volgerà tutto lo studio a trattenere i sani dal toccar le robe toccate dagl’infetti o sospetti. Per attestato del Rondinelli, che parla con la sperienza alla mano, siccome quello che ci ha lasciata un’utile relazione del contagio di Firenze dell’anno 1630 e 1633,se fosse possibile spuntar questa cosa, in qualunque città agevolmente si sbarberebbe il contagio; e se rimedio alcuno ci ha, è solo uno, cioè straordinario rigore contro chi nasconde i panni infetti o li vende, li compra o in altro modo li semina. Ordinare pertanto con pene rigorosissime, siccome fu fatto in Roma, ed anche nella nostra e in altre città, che nessuno senza licenza del deputato ardisca levare o far levare qualsivoglia roba da alcuna casa, monistero o altro luogo ove sia stato alcun malato o morto, ancorchè non infetto di mal contagioso. Che a niuno sia permesso l’introdurre lettere o altre robe, fuorchè per le porte aperte della città e con participazione de’ deputati, sotto pena della galera ed anche della vita, al qual castigo furono sottoposte per ordine espresso del papa ancora le persone ecclesiastiche, secolari e regolari e costituite indignità. Che i confessori, medici, cerusici, barbieri, mammane, sospetti o esposti, e i lor servitori, i beccamorti e ogni altra persona non possano estrarre senza licenza del deputato roba di qualunque sorta dalle case o luoghi segnati per cagione di sanità, ancorchè la levassero per pagamento de’ lor crediti o per loro mercede o per limosina o per convertirla in suffragio delle anime o per iscarico della coscienza de’ padroni o per espressa commessione de’ medesimi. E qualora ne sieno state asportate, tutti, sì asportatori, come complici e consapevoli, debbano in termine di tre giorni sotto pena della vita e confiscazione, a cui sieno sottoposte d’ordine del vescovo anche le persone ecclesiastiche, darne esatta notizia al tribunal destinato, stante il troppo danno che nasce dal commercio, maneggio e traffico di robe non espurgate; con promettere l’impunità ai denunzianti, purchè non sieno già carcerati o inquisiti per tal fatto. Si dee aggiungere una proibizion rigorosa di non poter vendere, comperare, prestare e permutare senza licenza sì fatti mobili, panni e vesti usate di qualsivoglia sorta; e per ogni maggior cautela proibir l’introduzione in città di mobili e suppellettili, a riserva delle biancherie di bucato, degli arnesi di cantina, rami o altri metalli, vietando nella stessa guisa, se sarà creduto bene, il poter dare a tingere o a lavare ad altri senza licenza le suppellettili, lasciando solo che ognuno possa lavar le sue in sua casa o all’acqua corrente.
Essendo poi stato conosciuto anche dagli antichi che il maggior male vien dal contatto di robee mobili infetti, una volta si bruciava una gran quantità d’esse, a fin di levar l’occasione alla gente inavvertita o maliziosa ed avara di tirar addosso a sè stessi la morte e di parteciparla ad altri. Ma perciocchè il ripiego di bruciar tante robe, oltre che riusciva di non poca afflizione e danno ai padroni e di pregiudizio ancora al pubblico, e tanto più se l’incendio si faceva entro la città per cagion degli aliti pestiferi che ne esalano, era anche cagione che tutti s’ingegnassero di nascondere e trafugar le robe infette senza espurgarle, del che non può darsi uno sproposito più pregiudiziale: furono dunque inventate espurgazioni regolate, mercè delle quali si possono conservar quasi tutte le masserizie, vesti e mobili delle case infette e sospette. Basta oggidì solamente consegnare al fuoco i pagliacci o pur le sole paglie, i guanciali, i cuscini, i cenci o sia gli stracci ed altre robe di minor conto che abbiano immediatamente servito agli appestati, siccome ancora le piume dei materassi, poichè si possono molto bene espurgar le lane e le fodere d’essi.
In tre maniere pertanto può farsi l’espurgazion delle robe. La prima si è d’esporle all’aria aperta, spiegandole e aprendole ben bene, affinchè possano giocar in esse e in tutte le lor parti per molto tempo il sole e l’aria, e battendole di quando in quando con bacchette. Ciò si dimanda sciorinare, e col Ficino e col Mercuriale credo anch’io che possano bastare venti giorni a tal sorta di spurgo; con avvertenza però, che se fosse tal tempo solamente umido o spirassero scirocchi, non sarebbe tolto ogni pericolo. La seconda è dimettere in una caldaia d’acqua bollente, e di far bollire le robe capaci, e di lavar le altre che possono sofferirlo, nell’acqua corrente, e di bagnare e pulire la superficie degli altri mobili con aceto o simili potenti antipestilenziali liquori. In Roma trovarono la forma di valersi a tal effetto di folli che nell’acqua di canale andavano coi loro martelli movendo e purgando le robe. Alle merci nuove, come lane, bombaci, sete, lini e simili, che non possono senza gran discapito bagnarsi, basterà la sciorinatura. La terza maniera è quella de’ profumi, cioè di accender materie odorose, al fumo delle quali esposte le robe infette o sospette, perdono qualunque spirito velenoso da loro contratto. Ancor questo è un costume antico, e si praticavano profumi anche nelle antiche pesti; ma se n’è fatto conoscere dipoi maggiormente l’utilità del P. Maurizio da Tolone cappuccino, che gli adoperò con grande utilità del pubblico in varie città, e massimamente in Genova nella peste del 1656 siccome abbiamo dal suo Trattato politico. Esporrò io qui il metodo suo, siccome quello che a me sembra il più facile, plausibile ed utile.
Prescrive egli tre sorte di profumi, de’ quali ecco la composizione:
Profumo per espurgare le case ed altre suppellettili grosse; e dose per comporne cento libbre.
Profumo più violento; e dose di cento libbre per purgare i lazzeretti, le sepolture, ed altre robe bisognose di maggior purgazione che le case.
Profumo più soave, appellato della sanità; e dose di cento libbre.
Tanta quantità d’ingredienti spaventerà forse alcuni e rincrescerà ad altri; ma io per me tengo essere bensì utili, ma non essere necessari molti d’essi, e bastare per li primi due profumi i principali d’essi ingredienti che sono presso a poco i sei primi. E per conto dell’ultimo profumo della sanità, dovrebbono bastarne alcuni altri, fra’ quali non si dee mai tralasciare il solfo, la cui virtù contra gli spiriti pestilenziali è di troppo momento, anzi sola basterebbe allo spurgo delle case e delle robe. Che se ancora tali aromati mancassero alla povera gente, procuri essa almeno di prendere legno o foglie e grani di cipresso e di ginepro, rosmarino, timo, lavanda, salvia, maggiorana, absintio o sia medichetto, o sia assenzio, melissa ed altre erbe simili di sano e potente odore, e ben secche le riduca in polvere, e mescolatele con un poco di solfo, ne faccia profumo. Le ragioni fisico-mediche comprovano il valor di tali profumi; e Francesco Ranchino con altri stima essere maggior l’efficacia di quei che son fetenti o velenosi; ma io lasciando tali ricerche, mi ristringo alla sperienza e all’uso, per quanto c’insegna il mentovato cappuccino.
Il profumo, dice egli, della sanità è un preservativo mirabile; e se dall’uomo, cui convenga trattar con altri ed esporsi ad evidente pericolo di restar ferito, sarà applicato a sè e alle vesti prima di partirsi di casa, non si contrarrà il veleno pestilenziale, mercè della qualità contraria impressa avanti da quel fumo, la cui virtù da me scoperta (dovea dire, ancora da me conosciuta alle prove, perchè ancora i vecchi usarono tali profumi, e il suddetto Ranchino, medico di Mompelierene avea fatto molto prima un Trattato a posta per lo spurgo della peste) la provarono i maestrati di Genova, i quali, benchè più fiera che mai incrudelisse la peste, ad ogni modo, uscendo per soddisfare nella città alle obbligazioni delle cariche loro, mai più per divin favore non s’infettarono. Impedirono cotali profumi che non si dessero alle fiamme tante robe, come si faceva prima con danno incredibile de’ particolari, e pericolo della stessa città per altri conti. Per mezzo d’essi non si smarrisce cosa alcuna, nè meno abbandonandosi dagli abitanti le lor case, e si toglie a’ ladri la comodità di rubare.
Questi profumi mutano l’aria delle case. Giovano, è vero, ancora i gran fuochi ne’ cortili e innanzi alle finestre; ma non s’hanno a tralasciare gl’interni delle medesime. Vero è che le robe sospette o infette, purchè possa in tutte le lor parti giocar l’aria e il sole, se vi stiano esposte per lungo tempo, si purgano abbastanza. Senza questo si coverà quel veleno e potrà far gran danno anche molti anni dopo. Più sono stimabili i profumi perchè in termine di ventiquattro ore restano purgatissime le case e i lazzeretti medesimi e insino i letti degli appestati; laddove le robe esposte all’aria han bisogno di quaranta giorni, tempo molto lungo per una purga, e sono sottoposte a vari accidenti di pioggia e ladri, e ad altri incomodi.
I profumi si fanno così. Bisogna chiuder porte, finestre e cammino; e sopra una corda distribuire e collocar le vesti infette, lenzuola, coperte, ecc., scucendole prima. Poi prese quattro o cinque libbredi fieno molto secco, e compresso ben questo fieno vi si ponga sopra tanto profumo, quanto capirà in ambe le mani unite insieme per due volte; e poscia ricoprir questo con altro poco fieno spruzzato d’aceto, acciocchè quella materia non si consumi se non a poco a poco. Si attacchi il fuoco dalla parte di sotto in due o tre luoghi del fieno, sostenendolo con bacchetta; e non si parta il profumatore, se nol vedrà ben acceso. Dopo di che si ritiri ognuno, e si chiudano le porte molto bene. Alcuni persuadono l’esporre anche dipoi le robe all’aria libera, e il maneggiarle e batterle con verghe. Sarà utile, ma non è forse necessario.
Per le robe non infette, ma sospette, basterà aprir le casse, le credenze, gli armari, le scatole, gli scrigni, ecc. Le robe preziose si potran coprire con qualche tovaglia o tela grossa, affinchè non ricevano in sè la parte più grossa e terrea del fumo. Le vesti, ove sia argento, e così i vasi d’argento patiscono notabilmente, come ancora le pitture; e però si può adoperar loro qualche leggier profumo in camera aperta, o pure esporli all’aria e al sole per quindici dì. Alle robe solamente sospette si può adoperare il solo profumo della sanità. Per l’espurgazion delle case infette è necessario il primo dei suddetti profumi, fatto il quale, si lascino per tre giorni ben chiuse la casa e le stanze; e dipoi spalancate le porte e finestre, si faccia che l’aria vi giuochi e ne scacci il cattivo odore. Si può dipoi, occorrendo, far ivi qualche soave profumo, per liberar le camere dal puzzo. Oltre a ciò è ottimo consiglio il fare, e prima e poscia, scopar ben bene tutte le stanze einsino i cammini, e in fine imbiancar di nuovo le muraglie; e credo io che gioverebbe ancora il solo bagnarle con acqua ove fosse stemperata calce viva. Certo la calce smorzata con acqua entro le camere infette, è creduta bastante col suo penetrante fumo a dissipare o consumare i semi nascosi del contagio; e la sperienza lunga ha poi fatto conoscere che il dare più d’una mano d’essa alle pareti, riesce uno spurgo delle case sicuro ed egualmente comodo a’ poveri che a’ ricchi. Deesi pur lavare il pavimento ed altri mobili delle stanze, purchè ne sieno capaci, con un forte liscivo o aceto; avvertendo di non lasciare indietro alcun ripostiglio o masserizia e mobile capace di simili lavande e sospetto d’infezione, con levar via insino le tele de’ ragni, e mandar lontano dalla casa tutte le immondezze ivi raccolte e bruciarle. Natal Conti narra che nella peste di Venezia del 1576 più di tutti gli altri giovarono dodici Grigioni, i quali tra due o al più quattro giorni, purgavano le robe contagiose; nè molti, quantunque diligentissimi perscrutatori, poterono intendere il modo da lor tenuto. Usavano diversi, spessi ed efficacissimi profumi, e praticando nelle case senza nocumento alcuno, restituirono le robe purgate ai padroni che più non ne sentirono danno. Così era vicina nell’anno 1675 a rimanere affatto spopolata per cagion della peste l’isola e città di Malta; ma chiamati colà i profumatori di Marsiglia, non diversi nell’operare dal P. Maurizio da Tolone, seppero così ben profumare case, robe e persone, che indi a poco cessò interamente quella terribile pestilenza.
Per li lazzeretti e per le sepolture, ove imprudentemente fossero stati seppelliti cadaveri d’appestati, a fine di non perderne l’uso e di levar anche i pericoli, caso che s’aprissero un giorno, usava il suddetto cappuccino il secondo de’ profumi, cioè il più violento. In Genova nella peste del 1656 purgò egli 430 tombe, ripiene sino al colmo, colla seguente ingegnosa invenzione. Fece fare un tabernacolo di legno, cioè il telaio d’una gran cassa quadrata lungo e largo dodici palmi; e fattolo tutto al di fuori coprire e foderar molto bene di tela incerata, di modo che non potesse il fumo aver uscita, lasciava nelle parti che poggiavano in terra due fenestrelle quadrate di quattro palmi l’una, acciocchè per l’una d’esse si aprisse il sepolcro e per l’altra si preparasse o presentasse il profumo. Questo telaio si andava postando sopra cadauna sepoltura; e mentre questa dall’una delle fenestrelle facilmente s’apriva, dall’altra si accendeva e spingeva dentro la composizione violenta. Ciò terminato, tutte e due subito si chiudevano; e quel terribil fumo penetrando nelle tombe, non solo soffocava e distruggeva il veleno pestilenziale, ma corrodeva e consumava i cadaveri stessi. Dopo un’ora estinto il profumo, si rimoveva il cassone dall’avello, e in esso gittata copiosa quantità di terra, e calata poi con una fune nel vacuo rimanente nuova materia da profumare ben aspersa di solfo pesto, vi si lasciava accesa, con riporre al suo luogo la pietra e suggellarla diligentemente con calcina, acciocchè il profumo di dentro purgasse ogni cosa. Dopo qualche anno si poteano liberamente aprire ed usar quelle sepolture. Machi abbonderà di giudizio, non avrà mai bisogno di fare espurgar le tombe, perchè in tempi di peste non permetterà che alcuno sia ivi seppellito.
Già è manifesto doversi espurgar tutte le robe infette o sospette, sieno del paese o della città, sieno forestiere, nè poter queste rientrar nel commercio degli uomini e de’ padroni stessi, se non sarà preceduto lo spurgo: sopra che debbono farsi ordini rigorosissimi, con replicarli ed accrescerli, affinchè tutto venga denunziato fedelmente ai deputati, ancorchè fossero robe d’altri, e benchè rubate; nel qual caso non si procederà criminalmente contra i ladri denunzianti. In Roma, ove ogni cosa dovea portarsi agli espurgatorj e ben lontano, con quel grave incomodo che si può facilmente immaginare, ma che si può anche schivare usando i sopra insegnati profumi, i deputati allo spurgo prendeano per sè una nota di tutte le robe loro consegnate, e un’altra simile ne lasciavano ai padroni. Erano costituite gravi pene ai deputati che levassero cosa, benchè di minimo valore, portata allo spurgo: il che dee praticarsi in ogni sistema. Le gioie, danari, ori ed argenti si purgavano senza levarli dalle case dove si trovavano, e doveano subito consegnarsi ai padroni, o non essendovi essi, portarli al Monte di Pietà in credito d’essi padroni o eredi. Era vietato a tutti, ed anche agli ecclesiastici, l’entrare senza licenza negli espurgatorj, siccome luogo infetto o sospetto. Sogliono anche deputarsi religiosi per sovrastanti allo spurgo; e i medesimi assistono all’inventario delle robe, entrando anch’essi nelle case per impedire che i ministri non rubino. Semprepoi dee avvertirsi che gli espurgatori e i condottieri di robe infette o sospette non hanno da praticar con altri, e saran tenuti a portare abiti e segni distinti, siccome gente sospetta. Nella nostra città fu nel 1630 prudentemente pubblicata intimazione che i mobili e le case da espurgarsi non si potessero espurgare nè far espurgare senza l’intervento dei pubblici deputati e senza servare il modo prescritto per tal funzione; ed altrimenti facendo, dovea riputarsi nullo, e rifarsi lo spurgo. Le città ricche alle spese del pubblico fanno espurgar case e robe o almeno esentano i poveri da tale aggravio. Quantunque poi molti de’ beccamorti ed espurgatori sogliono resistere al mal contagioso, tuttavia per ogni buon fine vien loro consigliato e prescritto, allorchè hanno da entrar in case ammorbate, il prendere prima qualche antidoto e il non andarvi digiuni. Abbiano sempre la lor sopravveste di tela incerata ed anche alle mani guanti di simil materia. Entrino colà portando avanti a sè vasi di fuoco che faccia fumo. Entrati, aprano le finestre e gli usci, ritirandosi, finchè l’aria abbia fatto un poco di sventolamento, e dispersi que’ maligni vapori. Dopo di che facciano l’uffizio loro. Altri sogliono, e saggiamente entrar nelle case infette con de’ soffioni accesi, composti di polvere da fuoco, salnitro, canfora, carbone di salce, e con un poco d’acquavite, o pure con torcia da vento accesa. Per alcuni già avvezzi a trattar dimesticamente con gli spiriti pestilenziali, parran forse superflue alcune di queste precauzioni; ma pur troppo quello è un nimico da non fidarsene mai; e però anche gli espurgatoriabbiano manopole, legni lunghi, graffi di ferro, mollette, forchette ed altri ordigni per maneggiare il men che potranno colle mani le robe.
A fin poi di ben comprendere la somma importanza e necessità di una esatta e fedele espurgazion delle case e robe infette, ha ciascuno da imprimersi altamente nell’animo che tali robe e case facilmente possono portar la morte a’ padroni stessi e a qualunque altra persona che le maneggi o le abiti, non solamente allorchè dura la peste, ma eziandio dappoichè essa è cessata. Quella di Roma nell’anno 1656 finì verso la metà di marzo; ma per l’occultare che suol farsi delle robe infette e non spurgate, il male ripullulò, con succedere varie morti anche per alcuni mesi dipoi, finchè, replicate le diligenze, restò esso affatto espugnato circa il principio dell’agosto. In tali casi, benchè fosse stato restituito il commercio colle terre e città confinanti, è necessario levarlo francamente di nuovo, col bandire sè stesso dai sani, così esigendo la buona politica e la carità cristiana; e s’ha poi da restituire a poco a poco la comunicazione, secondochè detterà la prudenza. In Marsilia l’anno 1649, già cessata la peste e restituito il commercio, dal contatto d’alcune vesti non ancora purgate fu riacceso il fuoco in alcuni quartieri della città, il quale con rigoroso governo fu sì valorosamente ristretto che non s’innoltrò in altre parti della città con incendio maggiore. Il che si noti ancora, per chiudere, occorrendo, quelle contrade che sole fossero infette, tentando la preservazione di quelle che fossero sane. Gli editti pubblicati in Modena l’anno 1630 fannogiustamente sospettare o credere che anche dopo il dì tredici di novembre (in cui la festa che tuttavia si fa, venne instituita, perchè in quel dì non morì alcuno di contagio) succedessero casi di peste entro la medesima città, essendo rimaso nel solo seguente gennaio affatto estinto il malore per le diligenze che si replicarono. Quello ancora che dee far più spavento, si è la sicura testimonianza di Filippo Ingrascia, celebre medico, il quale narra che finita in Palermo la peste, per cui egli tanto scrisse ed operò, questa da lì ad un anno ripullulò, e sì fieramente, come se non vi fosse stata dianzi; colpa di robe non purgate e portate colà da altri luoghi non peranche liberi dal male. Così, terminato affatto in Firenze il contagio l’anno 1631, e restituita col commercio la pubblica tranquillità, vi fu esso di bel nuovo portato da Livorno nel 1632. Come si potè il meglio fu fatto riparo a questo nuovo assalto con rimettere il lazzeretto e usar le altre diligenze, tanto che si credette con grande allegrezza della città estinto il malore. Ma sul principio del 1633 divampò esso in un più grave incendio per cagione di panni infetti venduti agli Ebrei e seminati per la città. E però anche finita la peste, bisogna invigilare a’ casi che seguono, perchè questo è un male che rifiglia. Nè per altro è credibile che si rinnovi tanto spesso in Costantinopoli e in altre città del Turco la pestilenza, se non perchè ivi troppo bestialmente si sprezzano o si trascurano gli spurghi. Il Fracastoro, Giorgio Garnero, Alessandro Benedetto, Erasmo Edeno, Mattia Untzero ed altri scrittori raccontano vari casi di robe infette che dopo moltimesi ed anche anni, tirate in luce e toccate infettarono le persone. Tralascio tanti altri esempi, bastando questi per ben concepire che grave tradimento, sì del pubblico come di sè stesso, commetta chiunque nasconde robe, vesti e masserizie infette senza i convenevoli spurghi, e quanto sia biasimevole e nociva in questo punto la negligenza o indulgenza de’ magistrati.