CAPO VIII.

CAPO VIII.

Buboni, carboni e petecchie; sintomi ordinari di questo morbo. Pronostici intorno ai buboni. Tre maniere di curarli. Più sicura dell’altre quella di condurli alla suppurazione. Vari empiastri utili o efficaci per maturar buboni. Metodo e medicamenti vari per finirne la cura. Uso dei vescicanti.

Buboni, carboni e petecchie; sintomi ordinari di questo morbo. Pronostici intorno ai buboni. Tre maniere di curarli. Più sicura dell’altre quella di condurli alla suppurazione. Vari empiastri utili o efficaci per maturar buboni. Metodo e medicamenti vari per finirne la cura. Uso dei vescicanti.

Allorchè il veleno pestifero co’ suoi sottilissimi spiriti, che facilmente si diffondono per l’aria, è penetrato ne’ corpi umani, regolarmente la natura pare che si sforzi di scaricarsene con tramandarli alla cute. S’ella è sì debole da non poter condurlo colà o da per sè, o aiutata dai sudoriferi o dagli antidoti antipestilenziali, il caso è spedito per l’ordinario. Tramandandolo, nasce una giusta speranza di guarigione; e tanto maggiore sarà cotale speranza, quante più gagliarda sarà la natura del corpo infetto, essendosi, come dicemmo di sopra, osservato che non pochi sono talvolta guariti anche senza medicamenti, e per valore della sola benefica loro natura. Uscito dunque sul principio il sudore, o spontaneo, o procurato dai diaforetici, non di rado restano liberi gl’infermi, quando il veleno sia debole, uscendo le sue particelle per i pori. Ma quando ciò non succeda, è solita la natura prorompere fuori in tre altre guise, cioè o coi buboni, o coi carboni, o colle petecchie. Potrebbe qui mettersi in disputa se tali tumori e macchie sieno critiche separazioni ed industriose espulsionidella natura, o pure scarichi solamente sintomatici fatti da una fissazione o stravasazione d’umori o di sangue nelle glandole o tra le fibre dei muscoli, con medicare i quali non si possa propriamente levar via il male, essendone essi un effetto e non la cagione. Ma non volendo, nè dovendo io metter bocca in tali quistioni, chiederò qui licenza di potermi valere, occorrendo, delle espressioni o degli antichi o de’ moderni, e di credere che i carboni e le petecchie sieno un segno funesto della gravezza del male, che per lo più conduce alla morte; e che i buboni possano essere una separazione fatta consigliatamente dalla natura, la quale voglia valersi degli emuntorj per isbrigarsi dai sali pestilenziali. Che che però ne sia, parleremo ora di questi ultimi tumori, che, secondo la differenza delle glandole, buboni e parotidi vengono chiamati, e presso il volgo hanno anche il nome di ghiandusse. Vengono essi o sotto le fauci e gli orecchi, o sotto le ascelle, o all’anguinaia; e la lor cura principalmente spetta ai cerusici, troppo necessari in tali congiunture, non dovendosi però disperare alcuno, quand’anche manchi l’aiuto d’essi, perchè non pochi si fanno medicare da’ parenti ed amici, ed anche possono talvolta medicarsi da sè stessi; anzi ad alcuno è accaduto che i buboni senza suppurazione (venire a cò il chiamano i nostri popolari) sieno spontaneamente svaniti con loro salute.

Notinsi dunque i seguenti pronostici lasciati a noi dal Diemerbrochio e dal Barbetta, che però, siccome fondati in non molte pesti, potrebbe darsi caso che a puntino non confrontassero con altre,non essendo per l’ordinario gli stessi i sintomi di tutti i contagi. — 1.º Quanto più presto escono i buboni pestilenziali, tanto più sogliono dare speranza di salute, mostrando una tal prontezza che c’è gagliardia nella natura. 2.º Maggiormente si avrà da sperare se usciranno senza febbre; e tutto il contrario se dopo la febbre, e molto più se dopo gran febbre. 3.º Quando i predetti tumori, e specialmente i nati sotto le orecchie e le fauci, crescano a una gran mole nello spazio di 12 o di 20 ore, e si sentano teneri a guisa d’un tumore ventoso, con infiammazione o senza, sogliono sempre essere mortali; e benchè allora i malati per qualche tempo paiano passarsela bene, pure tutti sogliono morire. 4.º All’incontro ove nel principio sieno duri e rigidi, e crescano a poco a poco, divenendo lunghi con dolor tollerabile, sarà buon segno; e massimamente se crescendo riterranno quella durezza per qualche tempo. 5.º Ma se quei buboni duri avranno un certo cerchio intorno di vario colore a guisa d’un’iride, come ancora se diventeranno lividi o neri, sarà pessimo segno. Per altro l’infiammazione grave in essi non dee spaventare il cerusico. 6.º Svanendo e ritirandosi essi al di dentro, è spedito il malato, quando però svaniscano a precipizio e duri la febbre, e la natura non si scarichi altrove. 7.º Se verranno presto alla suppurazione, daranno indizio di salute; ed anche svanendo a poco a poco senza alcuna suppurazione, purchè cessi la febbre, nulla avrà da temersene. — E qui torno a ricordare che il Sydenham, il quale tiene questi tumori per ascessi lodevoli tentati dalla natura, crede pregiudiziali isudoriferi allora che i buboni sono usciti fuori, quasi che s’interrompa il corso preso dalla natura di scaricare gli umori o spiriti peccanti pel tumore, e perciò retrocedano i buboni colla rovina dell’infermo. Quantunque il Sydenham fosse di quelli che presero per qualche tempo le Pillole dei Tre Avverbi, pure la considerazione sua dee tenersi a mente dai medici per consultarla meglio colla sperienza, avvertendo però che il medesimo autore non sembra dipoi fare gran caso di questa paura, mentre tiene minor pericolo il promuovere i sudori per 24 ore, che il tardi aspettare la legittima maturazione delle aposteme, la quale in un affetto sì precipitoso suol riuscire molto incerta e fallace. Per altro anch’egli praticò, e con felice successo, i sudoriferi prima che nascessero tali tumori.

In tre maniere si fa la cura dei buboni pestilenziali. La prima, che si chiama per discussione, e che non so se fosse meglio appellar derivazione, vien lodata e insegnata da alcuni medici di gran nome; ed è tale: Sotto dei tumori mettono essi due o tre ventose l’una sotto l’altra, e nell’inferiore posto un vescicante, e svegliata la vescica, di là procurano di tirar fuori la materia peccante, applicando ai buboni degli emollienti caldi con pezza di lino, o del decotto di betonica, isopo, malva, meliloto, aneto, camomilla, e semi di comino e di fenicolo, applicandolo caldo al tumore con piumacciuolo di stoppa sopra, mutando tutte ad ogni ora. Se dopo il settimo giorno non isvaniscono i buboni, vengono poi ai suppuranti. Altro non dirò di questo metodo, perchè quantunquesia buono, pure dalla comune de’ medici savi non è creduto il migliore, e gioverà fermarsi ove più importa. Il secondo metodo, appellato per diversione, viene anch’esso commendato assaissimo da alcuni, e descritto nella forma seguente: Nelle parti più lontane dal cuore e meno pericolose, e specialmente in mezzo alle cosce, fanno un picciolo taglio della cute, ove mettono dentro un pezzetto di pseudoelleboro, o sia veratro nero, a cui sia levata la scorza, sovrapponendovi poi un empiastro tenace; e custodiscono per 24 ore l’infermo colle mani e coi piedi legati, finito il qual tempo, dicono che tutto il veleno è tirato colà dalla forza dell’elleboro, e che l’infermo è guarito da ogni pericolo. Angelo Sala esalta sino alle stelle questa maniera di curare i buboni, dicendo d’aver fatto dei miracoli colla radice dell’elleboro, ch’egli tiene per dotato d’una incredibil forza magnetica ed attrattiva. Ma dall’un canto noi non possiamo assicurarci che un tal rimedio faccia sì meravigliosi effetti; e dall’altro è chiaro riuscire il medesimo sì doloroso ai poveri infermi, ch’eglino sono vicini ad impazzire, nè ci vuol meno d’una forte legatura per tenerli saldi in sì aspro martirio ed ambascia. Il perchè non oserò io consigliare ad alcuno questo barbaro ripiego, siccome nè pure l’applicar tali ventose agli stessi buboni, cosa per altro lodata da alcuni riguardevoli professori di medicina, e praticata anche da taluno in Roma nella peste del 1656, perchè quantunque ciò non abbia contraria la ragione, ha però contraria la sperienza, avendo altri insigni medici osservato con vari sperimenti che tali ventose nessun buoneffetto hanno prodotto, ma solamente hanno dopo di sè lasciato negl’infermi maggiore l’inquietudine, più acerba la febbre, e più smoderato il tormento del male. Si è anche avvertito non ricavarsi frutto dalle sole ventose applicate alle parti più vicine ai buboni, nè dall’applicar galline o colombi squarciati vivi ai buboni tagliati; e riuscir troppo pericolosi e dolorosi tutti i tagli fatti avanti che la materia delle aposteme e dei tumori sia venuta ad una competente suppurazione. Racconta l’Alberti d’un contadino, il quale si tagliò un bubone che gli dava intollerabil dolore all’anguinaia. Vi trovò dentro materia bianca, tenace e grossa. Tentando di tirarla fuori (nel qual tentativo sentiva eccessivo dolore) la ruppe in modo che mezza restò dentro. Tuttavia essendo egli rimaso molto sollevato dal solito cruccio, fatto buon animo, poco dipoi curò il resto, e rimase come per miracolo libero del tutto dal tormento. Nettò egli poscia e medicò da sè stesso la ferita, e serrato in pochi giorni il taglio, si trovò affatto sano. Fo menzione di questo caso non per animare alcuno a fare altrettanto, ma appunto per avvertire che questi sono pericolosi eccessi, e cure sregolate da lasciare a chi vuole con gli spasimi o affrettare, o tirarsi addosso la morte. Conchiudo colle sagge parole d’Alessandro Massaria:Sententiæ nostræ summa est, hos tumores non admodum graviter ed aspere tractandos esse, tam incipientes, quam declinantes; quum perpetuo nos oporteat operam dare, ut naturam juvemus ac foveamus, at nullo pacto ut eam magis vexemus et labefaciamus: illa namque sola et vera est morborum omnium medicatrix.

La terza maniera dunque di curare i buboni si è quella della suppurazione e maturazione, lodata e approvata da tutti, cioè di applicarvi rimedi chiamati emollienti e maturanti, i quali aiutino la concozione della materia trattenuta nel tumore, e dispongano il medesimo al taglio. Ne rapporterò qua alcuni, e massimamente de’ più facili per la povera gente.

I. Empiastro per ammollire i buboni.

℞.Butirro e trementina, e fanne mistura calda che stenderai sopra il bubone, dappoichè l’avrai prima fomentato con acqua calda per un pezzo. Tienlo poi ben coperto e caldo.

II. Ovvero ℞.Mele crudo con fior di farina di frumento. Fanne empiastro, che è buono per far maturare e rompere.

III. O pure. ℞.Butirro ben rotto con due rossi d’uovo fresco. Sbatti tutto per mezz’ora, e poi mettilo in catino grande, con acqua fresca, e lava bene quella composizione, mutando l’acqua molte volte: Quindi mettilo grosso sopra i buboni, e di sopra foglia di verze, o sia di cavoli.

IV. Altro empiastro.

℞.Rosso d’uovo duro, cotto a lesso, e si mescoli con lievito acido (levatore si chiamafra noi altri) di farina di frumento e sugna di qualunque sorta (salata o non salata non importa), o pure in luogo di sugna, si metta cipolla cotta, formandone empiastro in buona forma. Oppure faempiastro di rosso d’uovo, zucchero e zafferano che sarà utilissimo. È anche sufficiente quello di rosso d’uovo e sale.

V. Altro empiastro per maturar buboni coperti di carne e duri.

℞.Foglie di malva e di verze, e cipolle di gigli bianchi, e cuoci tutto in acqua. Dappoichè saranno ben cotte e ben trite, unisci loro sugna di porco vecchia, e tanto lievito acido di farina di frumento quanto è la metà della sugna. Si ponga e mantenga caldo sopra il tumore. È rimedio attissimo anche per gli altri buboni.

VI. Altro empiastro per ammollire.

℞.Radici di giglio bianco, cipolla bianca, fichi, malavischio, o sia altea, lapazio, malva, scabbiosa parti eguali a discrezione. Con queste cose cotte si metta farina di frumento; e con sugna, butirro e un poco di triaca e di mitridato, si formi empiastro.

VII. Empiastro maturante.

℞.Radici di altea decott. lib. 1. Si tritino e si mescolino con cerotto diachilò con gomma onc. 6; grasso d’oca, midolla d’ossa di vitello, ana onc. 3; olio di camomilla, di aneto e di gigli bianchi, ana quanto basta, e fanne empiastro.

VIII. Altro empiastro del Cristini più gagliardo per ammollire que’ buboni che sembrano difficili a venire alla suppurazione.

℞.Malva, scabbiosa, ana manipol. 1; cipolla detta squilla, radice di narciso, ana onc., 2; radice d’iride mez. onc.; semi di senape, semi di bombace, ana dram. 6; lumache senza guscio num. 10; sugna di porco onc. 4; triaca, mitridato, ana onc. 1; zafferano dram. 1. Si formi empiastro.

IX. Altri empiastri suppuranti.

℞.Radici d’altea onc. 3; fiori di malva, viole, di sonco, ana manipol. 1. Fa bollir tutti,e dopo averli spremuti, aggiungi unguento di altea, di mucilagine, butirro, sugna vecchia di porco e di gallina, ana onc. 1 e mez. Mischia e fanne empiastro, adoperandolo caldo mattina e sera.

X. Ovvero ℞.Malva e radici, o cipolle di giglio bianco; e cotte bene, e tritate, se ne metta in quantità sopra il tumore.

XI. O pure ℞.sugna di porco la più vecchia che si trovi mezza libbra, e mescolata con onc. 3 di lievito, si scaldi e si metta sopra il bubone.

XII. Empiastro emolliente ed attrattivo del Diemerbrochio.

℞.Radici di gigli bianchi onc. 2; erbe ruta, malva, altea, ana manipol 1; scabbiosa manipol. 1 e mez.(quest’erba è lodatissima da tutti per maturarbuboni)fiori di camomilla mez. manipol., fichi secchi polputi num. 9; acqua comune quanto basta. Si cuocano seconda l’arte, e si pestino minutissimamente nel mortaio, con aggiungervi tre o quattro bulbi, o spicchj di cipolle, prima involti in carta sorbitrice bagnata d’aceto e alquanto abbrustoliti sotto le ceneri. Poi prendi polvere di radici d’altea mez. onc.; sterco di colombi onc. 2 e mez.; lievito di pane onc. 1 e mez.; farina di frumento dram. 3. Unisci queste cose alla colatura delle precedenti, e tutto mischiato si cuoca alla forma de’ cataplasmi, a cui in fine aggiungi mele onc. 1; unguento basilicon mez. onc.; sugna d’anitra, ovvero olio di scorpioni e butirro onc. 1. I ricchi vi possono aggiungere talvolta anche un poco di triaca d’Andromaco, e i poveri alquanto della triaca de’ rustici.

XIII. Altri empiastri suppuranti.

℞.Ruta verde, rafano tagliato in fette, ana mez. manipol.; senape un cucchiaio. Cadauna cosa separatamente si pesti, e poi mischiato il tutto, si metta sopra il bubone.

XIV. Ovvero ℞.Sterco di gallina mischiato con chiaro d’uovo in forma di cataplasma. Forse è da scrivere rosso, o sia tuorlo d’uovo.

XV. O pure ℞.Corteccia di mezzo del sambuco onc. 1; farina di avena onc. 2; e fatto cuocer tutto in latte dolce a guisa di cataplasma, applicandone alle aposteme, dicono che le fa maturar presto.

XVI. O pure ℞.Lievito mez. onc., rafano onc. 1 e mez.; farina di semi di senape dram. 1; cipollacotta sotto le ceneri dram. 2 e mez.; aglio cotto nella stessa forma dram. 1 e mez.; triaca dram 3. Mesci tutto nel mortaio, e fanne empiastro.

XVII. Ovvero ℞.Fichi secchi polputi dram. 3; polpa d’uve grosse, gomma ammoniaca, ana mez. onc.; bdellio, sagapeno, ana dram. 2 e mez.; sugo d’oppio onc. 2 e mez. Si disciolgano le gomme in aceto; poscia tutto si mescoli nel mortaio, e di sei in sei ore si muti questo empiastro.

XVIII. O pure. ℞.Fichi secchi: cuocili e pestali, o pur cipolle sotto le ceneri; poi mischia con esso loro un pochetto di butirro vecchio e di triaca, che ancor questo ha giovato a molti.

Oltre a tanti empiastri che ho qui notato per tutti, e principalmente per la povera gente, sappiasi ancora che le sole foglie di cavolo rosso unte con olio di rape, bastano a maturare i buboni coll’andarle mutando, e innumerabili in questa maniera furono ne’ tempi addietro curati. Altri presa una cipolla e scavandola alquanto vi metteano dentro un poco di triaca; poi fattala arrostire sotto le ceneri calde, la pestavano ben bene e ridottala in forma d’empiastro e mischiatavi sopra sugna di porco se ne servivano con felice successo a maturare i buboni. Alcuni stimano meglio l’aggiungervi la triaca, dappoichè la cipolla è cotta; siccome ancora credono meglio non arrostir molto la cipolla affinchè non perda la miglior sua forza. Scrive il Foresti che un chirurgo d’un lazzeretto si valea spezialmente di cipolle cotte e tritate con senape bianca frescamente macinata, o in vece di senape mischiava alquanto di triaca colle cipolle, e senz’altro spesse volte in due o tre dì, e al piùin quattro i buboni restavano maturati. Non parlo qui del servirsi che fanno molti oltramontani di rimedj mercuriali, o sia argento vivo, ovvero di rospi secchi per curare i tumori pestilenziali, imperocchè il primo rimedio è stato trovato da altri sommamente dannoso o pericoloso; e l’altro non porta seco un carattere autentico che il lasci facilmente approvare. Chi volesse qui fidarsi dei chimici e spargirici, troverà lodatissimi fra essi un empiastro di Paracelso per maturar buboni, e un altro d’Angelo Sala, e finalmente uno di Paolo Barbetta, decantato assaissimo. Io per me non oserei riprovare, ma nè pur consigliare sì fatti rimedj sulla fede sola dei loro per altro celebri autori, perchè le promesse e idee di molti chimici o empirici non son diverse da quelle degli alchimisti. Nulladimeno perchè il Barbetta è medico di gran credito e scrive di non aver conosciuto empiastro più nobile ed utile del seguente, mentre posto sopra i buboni, senza far crosta ne traeva sì egregiamente gli umori maligni, che il bubone fra quattro o sei dì si levava affatto via, io il riferirò qui. L’aveva egli preso dall’Agricola e vedremo che Angelo Sala se ne era fatto bello anch’egli.

Empiastro magnetico arsenicale.

℞.Gomme sagapeno, armoniaco, galbano, magnete arsenicale, ana dram. 3; trementina di larice, cera, ana mez. onc.; olio di succino dram. 2; terra di vitriuolo dolcificata dram. 1. Disciogli le gomme in buon aceto, e spremutele per panno di lino fa che bollendo insieme di nuovo s’inspissiscano sinoa prendere la prima consistenza. Poi separatamente fa liquefare la cera e la trementina, e agita tutto fuori del fuoco, finchè si riducano in forma d’unguento. Aggiungi poi le gomme, la magnete e il resto degl’ingredienti, e avrai un empiastro efficacissimo a tirar fuori ogni sorta di veleno.

Come si faccia la magnete arsenicale, la quale manipolata che sia non è più velenosa, per quanto dicono, potendone ognuno farne prova con darne ai cani, l’impareremo più a basso da Angelo Sala. Venendo crosta ai buboni, si leverà facilmente via (e questo importa assaissimo) con una sola spatola dopo un giorno, o poco più, se unirai all’empiastro suddetto un poco d’unguento basilicon o di triaca.

Allorchè si sarà continuato per qualche giorno sopra i buboni l’uso de’ suddetti cataplasmi e cominceranno a maturarsi le materie, allora si lascino stare gli attraenti, come sono lo sterco di colombi, il lievito ecc., con adoperar poi soli maturanti. Il Diemerbrochio scrive d’essersi spesse volte servito, e con felicità, del solo seguente empiastro dal principio fino al fine della cura. ℞.Gomma galbano disciolta in aceto, empiastro oxicrocco, diachilò con gomma, ana onc. 1, mischiando tutto. Nota egli ancora di non aver medicato con gagliardi attraenti i buboni nati presso alle orecchie per ischivare il pericolo della soffocazione, avendo anche osservato che con empiastri que’ tumori in poche ore crescevano a dismisura e portavano poscia molti alla buca, e però medicava quelli con soli emollienti o con leggieri attraenti. Con gli altri non occorreva tanto riguardo. Maturati perfettamente i buboni, per lopiù nè pure si rompono da per sè stessi; e però bisogna allora tagliarli o romperli con un legnetto acuto, se si può; se no, col ferro. Si facciano aprire non nella cima, ma in fondo, e nella parte più bassa affinchè la marcia più facilmente ne esca. I cauterj potenziali non son qui lodati. Consigliano alcuni medici di tagliare i buboni maligni e pestilenziali prima che sieno perfettamente maturi; e l’Ingrascia è di parere che quando coi buboni va congiunto qualche grave accidente, o febbre, che minacci rovina, allora sia meglio aprirli, benchè non maturi. Ma la sperienza ci avvisa che per lo più a tentativi sì animosi succedono fieri dolori, infiammazioni e cancrene; e però non s’ha per lo più a ricorrere, se non con gran riguardo, a queste troppo sollecite operazioni. Nella peste della nostra città del 1630 in un avvertimento pubblico fu lodato il tagliar profondamente sul principio i buboni d’umor tenero e liquido, curandoli poi con digestivi. Fu anche notificato che in quei d’umore molle sì, ma non fluido, conveniva dopo il taglio coprir le taste di corrosivi. Questi però non sono metodi da approvarsi così alla cieca. Avvisavano bensì saviamente che i buboni duri come ghiande non si doveano tagliare; altrimenti l’infermo se ne andava, e che però conveniva ungerli con olio di giglio bianco più volte, che così o si risolvevano in nulla, o si maturavano. Pare a me d’aver suggerito empiastri più gagliardi a questo effetto. Tagliati i tumori, e spremuta la marcia, si attende poi a curar la ferita, tenendovi tasta con digestivo e sopra un qualche empiastro emolliente, ungendo intorno con olio rosato. Si può far anchesenza tasta, secondo il metodo stimabilissimo del Magati, ultimamente illustrato dal dottore Dionisio Andrea Sancassani, purchè la piaga stia aperta e si possa andar purgando: il che in questo caso è più necessario che nelle piaghe non pestilenti. Per un digestivo insigne vien commendato dal Diemerbrochio il seguente

Empiastro digestivo per i buboni tagliati.

℞.Scordio sottilissimamente polverizzato dram. 2; rosso d’un uovo, trementina di Venezia, mele, unguento degli apostoli, ana mez. onc. Mesci tutto.

E Silvio de le Boe scrive d’aver adoperato con buon esito, per guarire in breve essi buboni aperti il balsamo di zolfo trementinato e anisato, insieme con unguento basilicon e triaca, mettendo di più sopra esso medicamento l’empiastrodiapompholygoso altro simile.

Resta ch’io dica qualche cosa dell’uso dei vescicanti nella cura dei buboni. Alcuni li riprovano con varj raziocinj; ma Ercole Sassonia, e meglio ancora di lui altri valorosi medici, hanno diffusamente risposto a tali difficoltà; e noi abbiam qui la sperienza anche del soprammentovato Diemerbrochio, il quale ha osservato mille volte che i vescicanti, purchè applicati nel primo apparir dei buboni, son riusciti di un notabilissimo giovamento, di modo che scaricandosi per la loro ferita il maligno umore a molti sono da per sè svanite quelle velenose aposteme. Il suo metodo perciò era questo. Subito che apparivano essi buboni egli applicava un vescicante alla lor parte inferiore talmenteche toccasse la lor durezza. Svegliata nello spazio di otto o dieci ore la vescica, e levatala via, metteva sopra la piaga una foglia di cavolo rosso o di bieta unta con butirro vecchio o con olio di rape, acciocchè restando aperto il luogo si potessero per colà evacuare i cattivi umori. Noi abbiamo nelle nostre spezierie il cerotto vescicante. Tuttavia aggiungerò altre ricette.

I. Vescicante.

℞.Radici di piretro, semi di senape bianca, ana mez. dram.; cantaridi scrup. 1 e mez., o pure scrup. 2; mele dram. 1; lievito di pane acido dram. 1 e mez. o dram. 2; aceto rosato quanto basta. Se ne formi pasta vescicatoria.

II. Altro vescicante.

℞.Semi di senape bianca, di euforbio, ana dram. 1; radici di piretro mez. dram.; cantaridi dram. 2; ragia di pino, cera quanto basta. Si faccia pasta.

III. Vescicante del Mercuriale.

℞.Cantaridi preparate dram. 3; lievito mez. onc.; un poco d’aceto fortissimo, e mischia.

IV. Vescicante del Pareo.

℞.Cantaridi, pepe, euforbio, piretro, ana mez. dram.; lievito dram. 2; semi di senape dram. 1; un poco d’aceto, e mischia.

Silvio de le Boe scrive di non aver mai potuto avvertire qual buon effetto succeda dai vescicanti; ma giacchè non dice d’averlo veduto nè pur cattivo in tempo di peste, e gli altri ne contano molti vantaggi, pare che sia bene il valersene. Altri poi hanno usato di applicare i vescicatorj lontano dai tumori, per esempio a mezza la coscia, se questi erano all’anguinaia; ma un tal metodo non è approvato da altri intendenti che il pretendono o inutile o nocivo. Se il vescicatorio non eccita secondo il suo costume la vescica, è quasi inevitabile la morte; e ciò sia detto della cura dei buboni.


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