CAPO VII.
Pietà e divozione quanto necessarie in tempo di pestilenza. Malvagità d’alcuni, che diventano allora peggiori. Quali prediche si convengano per costoro. Esercizi per accrescere e nutrire la pietà. Lezione spirituale, orazioni vocali, meditazioni e giaculatorie.
Pietà e divozione quanto necessarie in tempo di pestilenza. Malvagità d’alcuni, che diventano allora peggiori. Quali prediche si convengano per costoro. Esercizi per accrescere e nutrire la pietà. Lezione spirituale, orazioni vocali, meditazioni e giaculatorie.
Sempre dovrebbe la pietà, o sia la divozione, essere il mestiere de’ cristiani, ma specialmente ha da essere nelle influenze pestilenziali. Ognuno allora ha più che mai bisogno del potente soccorso di Dio per preservarsi in vita. L’offenderlo, o l’essere in disgrazia di lui, certo non è un mezzo proprio per prometterlo a sè stesso. Ognuno conosce che stando allora la morte ai fianchi di tutti, v’ha bisogno di sempre andar preparato pel gran viaggio dell’eternità, e per conseguente d’intendersela bene con chi ha in suo pugno di farci eternamente felici, o eternamente miseri. E pure, di che non è capace la corrotta ed infelice natura degli uomini? Ho gran pena ad accennarlo, ma pur si dee accennarlo per istruzione nostra. In quei miserabili tempi, la sola relazione de’ quali, non che l’aspetto effettivo, dovrebbe pur bastare per santamente atterrirci tutti e condurci totalmente a Dio, in que’ tempi, dissi, non mancano persone che non solo non diventano migliori, ma più che mai s’immergono ne’ peccati con temerario sprezzo di Dio, giudice onnipotentissimo, e con pazza dimenticanza del grande interesse dell’animaloro. Alcuni pur troppo intuonano ilMangiamo e beviamo, che domani morremo; ed altri già descritti dalla divina Sapienza si fanno animo l’uno all’altro con dire:Godiamo dei beni finchè li abbiamo; coroniamoci di rose prima che marciscano; nè ci sia prato per cui non passi la nostra lussuria. Peggio fanno altri, i quali, figurandosi di portar seco un’infallibile salvaguardia, non credono che la peste abbia veleni per loro, e però si danno a ladrerie e ad ogni altra sorta d’iniquità ed eccesso. Non si crederebbono cose tanto stravaganti se la sperienza non le avesse più volte fatto vedere, e non fosse ancora per rinnovarne gli esempi. In somma è pur troppo vero ciò che anche il grande arcivescovo S. Carlo diceva d’aver conosciuto per prova nella peste de’ suoi tempi, cioè:Che il buono si emenda sotto il flagello, e il cattivo sempre peggiora.
Ora contro tali pazzi ed empj egli è necessario che vegli e s’armi in primo luogo la giustizia dei principi, gastigando immediatamente e con qualche rigore certi delitti enormi, o pure pubblicamente scandalosi, ove sia con loro mischiata la disubbidienza agli editti allora pubblicati dal buon governo; e ciò per salutevol terrore ed esempio degli altri. Benchè non sarà tanto facile il commetterne di questi, ove si proceda con quelle provisioni e leggi che si sono proposte in trattando del governo politico. Contro certi altri delitti che non appartengono alla giustizia punitiva del fôro o per la loro qualità, o per la loro segretezza, ma che senza fallo non fuggiranno gli occhi di Dio, dee in quei tempi sfavillare più che mai lo zelo e l’eloquenzade’ predicatori e confessori, inculcando a questa gente cieca e dimentica di sè stessa, ora con aspri ed ora con piacevoli modi, ma sempre con paterna censura, il tremendo giudizio di Dio, la sua gran giustizia, la sua immensa potenza in gastigare i figliuoli ribelli ed ostinati. E conciossiachè a certe persone di scorza dura, e tali ordinariamente non per altro se non perchè credono poco, essendo la divina virtù della fede troppo languida in esse, non fanno gran forza, nè mettono terrore certi esempi ed insegnamenti delle sacre Scritture, appunto perch’esse credono poco, bisogna dar di piglio anche alle ragioni umane e filosofiche, per levar loro di mente, se fia possibile, gl’incanti delle loro passioni e la sciocchezza de’ loro consigli e raziocini. Gioverà per tanto dilucidar loro questi inganni, e mettere in mostra tutto il pericolo e l’orror della morte imminente che quegli infelici mirano ben allora con gli occhi del corpo, ma non già con quei dell’anima, e quindi passare a far conoscere quanto sia folle e nemico di sè stesso chi in tempi tali va sì malamente spendendo i forse pochi momenti che gli restano di vita e quanto sia terribile il cadere nelle mani di Dio vivo e vero, giustissimo punitore delle offese e degli strapazzi contro di lui usati, e usati con tanto sprezzo di lui, perchè in tempi sì fatti; e quanto in fine sia necessaria a tutti la penitenza e la divozione e pietà, per preservarsi allora dalla morte temporale, e molto più dall’eterna. S. Gregorio il Grande, scrivendo appunto della pestilenza a Domenico vescovo di Cartagine, nell’epist. 41 del lib. 8 già ci avvertì cheInter flagella positos,flagellis digna committere, contra ferientem est specialiter superbire, et sævientis acrius iracundiam irritare.
Ma per tali miscredenti ed iniqui, che finalmente poi, allorchè il flagello di Dio fa una lesione cotanto sensibile ai peccatori, si riducono a poco numero, pongasi mente di non atterrire la maggior parte del popolo che o è buona da lungo tempo, o certo allora si dà di vero cuore al pentimento de’ suoi peccati. A questi si ha da dire che non si parla, ma sì bene a certi ostinati, per i quali hanno anzi tutti gli altri veramente pentiti e compunti e tutti i buoni da implorar con preghiere la divina misericordia che li muova e converta. Colla gente già buona, o divenuta buona nelle calamità, io torno a ripeterlo, non si ha allora da metter mano al terrore, ma sì bene alle consolazioni, parlando della infinita clemenza di Dio verso chi daddovero ricorre a lui, e inanimendo, e confortando chi fa profitto dei gastighi di lui. Corrono bene; non bisogna avvilirli nel corso, servendo già loro di sprone la terribil faccia della stessa pestilenza.
Appresso è da promuovere la pietà nel popolo, in guisa però che non si contravvenga alle sagge regole del governo politico con adunanze pericolose, o pure con disubbidienze che dispiacerebbono al medesimo Dio. Prescriverà dunque il vescovo certe regole di vita cristiana, orazioni vocali, meditazioni, ed altri simili esercizi di vera pietà; o pure, non facendolo il vescovo, ognuno si aiuterà da sè stesso, e potrà essere aiutato dai confessori e predicatori. Gioverà pertanto leggere allora piùche mai libri divoti che trattino delle tribolazioni, per imparare da essi la maniera cristiana di tollerarle; ed altri che insegnino la vita divota e la perfezione, per unirsi bene a Dio, e rassegnarsi al suo santo volere. Alcuni consigliano il leggere, oltre ad alcune omilie da me accennate di sopra, l’operetta di Tertulliano intorno alla pazienza, il Trattato del Disprezzo del Mondo d’Innocenzo III, il Tesoro della Misericordia di Gabriello del Toro, il Cacciaguerra della Tribolazione, il Conforto degli Afflitti di Gasparo Loarte, alcuni Sermoni di Gabriello Biele e del Busto in materia di peste, le Opere del P. Bartolomeo da Saluzzo, il Conforto degl’Infermi del P. Stefano Binetti. Io per me consiglierei tutti a leggere allora in primo luogo, per chi può, i divini libri, specialmente del nuovo Testamento; e secondariamente le vite dei santi o beati, scegliendo anche i più caritativi, sieno martiri, sieno confessori e vergini, purchè scritte da autori approvati, e con semplicità di stile, e con verità di storia. Quelle dei santi e beati degli ultimi secoli, siccome più diffuse, e per lo più composte o tradotte in volgare, riusciranno maggiormente comode ed utili al popolo. S. Filippo Neri, gran maestro di spirito, raccomandava più che gli altri libri di divozione la lettura di queste vite, perchè sapeva che ivi nel medesimo tempo s’imparano le massime della santità, e si mira la santità posta in esercizio, restando chi legge egualmente istruito e spronato dall’esempio altrui. In terzo luogo essendo facilissimo l’aver seco o il trovare l’aureo libro dell’Imitazione di Cristo di Tommaso da Kempis, o sia dell’abate Giovanni Gersen, etutte le sugose ed eccellenti opere del P. Luigi Granata e di S. Teresa, e quelle ancora di S. Francesco di Sales, io persuaderei tutti ad attenersi ben forte più alla loro lettura piena di santa unzione, che a quella d’alcuni altri libri, i quali non toccano bene spesso il cuore, benchè parlino o insegnino tanto. Chi potesse anche leggere il Trattato dei Travagli di Gesù del P. Tommaso di Gesù agostiniano, e l’Erario della Vita Cristiana del P. Giambatista Sangiurè della compagnia di Gesù, e le Opere Ascetiche del piissimo cardinale Giovanni Bona, e del P. Lorenzo Scupoli, cherico regolare teatino, per tacer d’altri autori, ne speri gran soccorso e consolazione spirituale.
Quindi si potrà e dovrà esercitare la divozione in orazioni vocali e mentali, che ognuno sceglierà secondo la capacità sua, o pure secondo la direzione del vescovo o del confessore. Il basso popolo, che non sa leggere, ha le sue orazioni, che basteranno purchè accompagnate dal buon cuore e dall’intenzione pura di pregare o lodar Dio. Quei di sfera un poco superiore ne aggiungeranno dell’altre conformi alla necessità di que’ tempi, con ricordarsi principalmente di recitare almeno una volta il giorno, più col cuore che con la bocca, gli Atti di fede, di speranza, d’amore di Dio e di contrizione, siccome le più sode orazioni che dopo la dominicale e il simbolo della fede, dovrebbono praticarsi nella nostra santa religione. Ma non si può dire che utilità e divozione, e qual soave conforto possano recare in ogni tempo, e specialmente in quello della calamità, alcuni salmi della divina Scrittura. D’ordinario non se ne sente ilmele e non se ne cava gran profitto anche recitandoli, perchè o non s’intende la lingua in cui si recitano, o non si ferma l’attenzione, nè fa posata la mente sopra i loro santissimi sensi e mirabili affetti. Sarà pertanto allora di un sommo vantaggio e conforto alla gente pia il parlare attentamente con Dio mercè d’alquanti salmi, scelti apposta per cura del prelato, ed anche volgarizzati, con lasciar da parte tutti que’ versetti che non si adattano al bisogno d’allora, ovvero che esigono troppo comento per capirne gli alti loro sensi e misteri. Gli abbiamo tradotti in volgare per opera di Pellegrino degli Erri, nostro Modenese, e stampati in Venezia l’anno 1573. Anzi perchè i più del popolo, a cagione del non intendere il latino, non sono atti a trarne tutto quel frutto che possono gl’intendenti, sarebbe da desiderarsi che venisse composta una selva di varie orazioni e di affetti, tutta di versetti de’ salmi, per quanto si può continuati, e talvolta ancora di salmi interi, con aggiugnere in un’altra colonna la loro traduzione, e con ridurre essi sotto diverse categorie, come sarebbe di pentimento, di speranza, di coraggio pio, di preghiere nelle tribolazioni, di risoluzione per eseguire la santa legge, di consolazione per i giusti, di confidenza de’ buoni in Dio, di ringraziamento, di lodi del Signore, e simili. Certo è che quelle parole, per esser dettate dallo Spirito Santo, purchè intese e recitate con attento e divoto cuore, più di qualunque altra orazione formata dagli uomini, ci possono riempiere di tenerissimi e santi affetti. Sarebbe propria di qualche anima innamorata di Dio, e insieme molto giudiziosa e intendente, l’esecuzione di untal disegno; ma quando niuna di queste vi si applicasse, bramerei di poter io un giorno tentare, se mai ciò mi riuscisse, in una forma tollerabile.
Chi poi ha il costume e la grazia da Dio di potere e saper meditare, più allora che mai si dovrà esercitare in questo efficacissimo pascolo della vera divozione, ricordandosi però che il profitto dell’anima non consiste in pensar molto, ma in amar molto Dio, e in determinarsi a conformare in tutto e per tutto la nostra volontà a quella di Dio, e ad operare e patire assaissimo per amore di lui, e in farlo poi quando se ne offra l’occasione. Ancor qui potrà il vescovo suggerire, o pure cadauno consigliandosi col suo direttore, o coll’intendimento suo, eleggerà i punti che principalmente sono da meditare ne’ tempi di gran calamità, mettendo in primo luogo la Passione del nostro divino Redentore per addestrarci coll’esempio del nostro divino Duce a patire, e a patir coraggiosamente e volentieri, per dar gusto a lui e per fare il suo santissimo volere. Lo sprezzo del mondo, la rassegnazione che dobbiamo a Dio, la grandezza dei beni ch’egli ci riserva nel suo regno, la misericordia sua, l’utilità delle tribolazioni, i mirabili insegnamenti di carità dati a noi da esso Dio, sopra tutto coll’esempio e colla voce del suo divino Figliuolo, ed altri simili argomenti saranno a proposito per eccitar allora maggiormente le anime a pensieri ed opere sante, e all’effettivo loro esercizio. S’hanno in fine da scegliere varie giaculatorie ben vivaci e pie, essendo queste per consiglio de’ maestri un cammino de’ più corti e de’ migliori per unirsi e per istare continuamente unito a Dio.