CAPO VI.
Altri medicamenti per curar la peste. Quali usati ne’ contagi del 1630 e 1656. Canfora commendata assai, e varie composizioni canforate. Solfo, e suoi pregi contro la pestilenza. Bolo armeno, triaca, diascordio, ed altri antidoti o lodati, o riprovati.
Altri medicamenti per curar la peste. Quali usati ne’ contagi del 1630 e 1656. Canfora commendata assai, e varie composizioni canforate. Solfo, e suoi pregi contro la pestilenza. Bolo armeno, triaca, diascordio, ed altri antidoti o lodati, o riprovati.
Per espugnare l’interno veleno della peste hanno sempre studiato i medici, ma senza trovar finora medicamento alcuno sicuro, specifico ed universale. In difetto di ciò si sono eglino rivolti a prescrivere que’ rimedi che per la loro naturale attitudine sono o paiono contrari ai veleni, ed atti ad impedire o correggere la corruzione, o il troppo o troppo poco moto dei fluidi del corpo umano, e non senza apparenza di aver eglino con ciò aiutata di molto la natura, allorchè ne seguita la sanità degl’infermi. Egli è incredibile, quanta copia di radici, erbe, fiori, frutta, semi, oli, pietre, sali, estratti, siroppi, conserve, conditi, minerali, polveri,elettuari, ecc., ci venga posta davanti nei libri loro col bell’elogio di medicamenti efficaci o mirabili contro la peste, sì semplici come composti. Io non prenderò qui ad esporre, come fa l’Untzero con assai curiosa minutezza, ad una per una tutte l’erbe, radici, frutta, ecc., che servono o si pensa che possano servire contro i morbi pestilenziali. Non crederebbono nè pure gli altri a me, siccome io non credo a tanti discorsi prolissi degli altri intorno alla virtù di sì gran copia di medicamenti. E dopo ancora che avessi riferito tutto, ci resterebbe da imparare a fare il medico (che tale non sono nè pur io) per sapere a chi convengano questi medicamenti, e come s’abbia a mescolare ed usare ora questo ed ora quello; cosa nondimeno anche difficile per i medici stessi, perchè dipendente dal giudizio pratico e dalla prudenza, con la quale, per colpire nel segno, s’hanno da considerare non solamente il mal della peste, ma ancora i sintomi che l’accompagnano, e il temperamento, le forze degl’infermi, ed altre non poche circostanze, dalle quali nascono diverse indicazioni. Mi ristringerò io dunque a notar solamente i primari e più facili de’ medicamenti e rimedi che sono creduti a proposito per guarire, piacendo a Dio, il morbo della pestilenza. E sono principalmente, per quanto ho ricavato da vari autori, gli aromatici e balsamici, de’ quali vien creduto che possano col loro sale volatile oleoso resistere, diciamo così, alla corruzione degli umori; e i diaforetici, o sia sudoriferi, prescritti con intenzione di espellere fuori della cute il veleno pestilenziale, ed aiutar la crisi più salutevole che possa tentar lanatura. Hanno pure tra questi alessifarmaci il luogo loro e le lor lodi molti acidi, i quali possono in alcune pesti impedire o levare lo squagliamento e sfibramento degli umori e del sangue, e talvolta ancora, secondo il parere d’alcuni, o col precipitare o col dar tuono alle fibre, contribuire all’operazione del sudore, alla quale dee allora particolarmente mirare la diligenza dei medici.
E primieramente nella peste del 1630, per quanto apparisce dall’Avvertimento stampato allora in Modena, si vede che in molte città fu costume, subito che appariva la vanguardia più ordinaria del morbo contagioso, cioè febbre mista con dolore di capo, il prendere in bevanda alquanto di polvere, creduta cordiale, con un poco di brodo o acqua di scorzonera, ed ungere la regione del cuore con olio del Granduca o del Mattiuolo. Poco dopo si bevea una dramma di triaca o di elettuario del Mattiuolo, distemperata in 6 once dell’acqua suddetta, o in altra simile, per promuovere il sudore, dopo il quale solevano uscire i carboni, o buboni. Il corno di cervo, la terra sigillata e gli occhi di granchio si costumavano ancora con profitto; cose nondimeno che non veggo tenute per rimedi di gran forza contro il ferocissimo assalto della pestilenza. Anzi essendo stato osservato da altri che i coralli, gli occhi di granchio e la creta sono medicamenti che opprimono l’acido e levano l’appetito, perciò vien consigliato che si vada cauto a valersene nelle pesti, le quali pur troppo sogliono indurre inappetenza. Non trovo poi qual altro preciso rimedio giovasse allora, se non era il ben curare i carboni e i buboni; del che parleremoa suo luogo. È bensì notato ivi che tutti gli altri esperimenti contro la febbre pestilenziale di quel tempo riuscivano vani, e che nella forma suddetta quasi tutti cominciarono a guarire; il che però si noti essere stato avvertito solamente nella declinazione della peste, lasciando ciò dubitare che forse nel suo furore anche il mentovato metodo riuscisse inutile, siccome avviene allora di tanti altri medicamenti.
Nel contagio di Roma del 1656 per quanto abbiamo dal cardinal Gastaldi, parve che giovassero le seguenti cose: Cioè, scoperta in alcuno la malattia pestilenziale, ungergli la region del cuore con olio del Mattiuolo o della comunità di Ferrara o del Granduca e simili; dargli prontamente bocconi cordiali di confezion di giacinto, d’alchermes e altri di tal fatta; nel secondo giorno fargli bere sugo di cedro mischiato con acqua triacale e con alquante gocciole di spirito di vitriuolo e con polvere di bolo armeno in brodo o acque distillate di galega, scabbiosa, sonco, scorzonera e simili alessifarmaci. Di più parea salutifero l’applicare i vescicanti nel principio, particolarmente alle gambe. Si osservò ancora giovevole nello stesso ardore della febbre il bere orzate, e spezialmente nel tempo estivo, temperandosi anche la sete col tenere in bocca sal prunello. Bernardino Cristini espone anch’egli il metodo da sè tenuto in medicare nella medesima peste di Roma. Certo farà egli prendere più coraggio a chi subito voglia accomodar la sua fede a quanto egli lasciò scritto nel suo libro intitolatoArcana Riverii. Chi però non crede sì tosto alle magnifiche promesse deichimici, nè si lascia incantare dai grandi o strani nomi delle cose, anderà lento a fidarsene.
Secondo lui, per medicare allora gl’infetti, non v’era cosa più potente delle confezioni ristorative in forma soda o liquida, prese per bocca, e massimamente giovavano i bezoartici diaforetici, o sia sudoriferi. Prescriveva egli in forma soda il seguente
Antidoto curativo.
℞.Conserva di fiori di borraggine, di rose, di viole, ana mez. onc; fiori di cedro, di pomi medici, di anthos, ana dram. 2; conserva di tutto cedro, radici di tormentilla, d’angelica, bistorta, scorzonera, contrajerva, ana dram. 1; confezion d’alchermes, di giacinto, ana dram. 1 e mez.; unicorno vero, bezoartico animale, corna di cervo, bezoartico solare, joviale, lunare, minerale, ana mezza dram. Mischia insieme, e prendine un cucchiaio per volta cinque o sei volte il dì, come ancor nella notte.
Antidoto curativo in forma liquida.
℞.Acqua di cardo santo, di scorzonera, di ruta capraria, di borraggine, di scordio, di acetosa di rose, di tutto cedro, ana onc. 6; spirito di zolfo, dram. 1; essenza di triaca, di contrajerva, di ginepro, d’angelica, di carlina, di tormentilla, di bistorta, scorze di cedro, elixir vitae, elissire di proprietà, balsamo di vita, balsamo di salute, ana mez. scrup. Mischia insieme, e prendine 2 onc. per volta quattro o cinque volte il dì e altrettante la notte.
Questi medicamenti, se crediamo all’enfasi del suddetto autore, faceano dei miracoli, richiamando uomini ad una nuova vita; e quantunque possa parere diversamente a molti medici, pure tal sorta di rimedj fra gl’infiniti che furono adoperati, questa dice egli che fu divina. Aggiunge d’aver egli dato ad alcuni infermi con dei bezoartici bolo armeno e terra sigillata che a questo effetto son decantati da molti per mirabili; ma che in quel contagio servivano solamente a far del male, nè mai operavano bene. Ordinava egli per le stanze dei malati, affinchè non s’infettassero anche le camere e case dei sani, alcuni profumi di legni di ginepro, cipresso, incenso, mirra, belzoino, storace calamita e simili. Erano profumi più gagliardi quei ch’egli due volte il giorno adoperava nelle stanze sue e de’ suoi amici, cioè le fecce di regolo antimoniale; ma perciocchè riesce troppo ingrato l’odore solfureo, vi aggiungeva pastelli composti di storace o altri simili grati odori, con che egli e tutti i suoi amici si conservarono sempre sanissimi in mezzo ai lazzeretti.
Passiamo noi innanzi a cose forse più sicure. E primieramente la canfora nella cura della peste è esaltata dal Goclenio, dal Cratone, dal Minderero, dal Sennerlo e da altri per uno de’ più potenti ed efficaci rimedj, e alcuni la tengono quasi il migliore di tutti. Fra gli altri l’Etmullero scrive che la canfora leva la palma a tutti gli altri alessifarmaci nella peste. Certo in lodarla assai s’accordano i migliori medici, considerata la sua qualità e attesi i buoni effetti che ne ha fatto veder la sperienza. Perciò abbiamo dagli autori varj medicamenti,ne’ quali entra la canfora. Il Minderero loda come più utile di tutti i più preziosi bezoartici, purchè non vi sieno dolori gagliardi di capo o di ventricolo, la seguente polvere descritta anche dal Platero e del Diemerbrochio, e commendata dal Follino.
Polvere canforata.
℞.Zucchero candito dram. 3; zenzero bianco dram. 2; canfora dram. 1. Si faccia polvere. La dose è di dram. 1 in liquore conveniente e si beva.
Il Riverio prescrive quest’altra, di cui dice essersi egli felicemente servito.
Altra polvere canforata.
℞.Bezoartico minerale dram. 3; sal prunello dram. 2; canfora dram. 1. Se ne formi polvere e se ne prenda dram. 1 in acqua di cardo santo o altra conveniente.
Il Cratone si valeva d’un elettuario lodato poi come eccellente da altri medici. Eccone la ricetta.
Elettuario canforato.
℞.Scordio dram. 3; tormentilla, dittamo bianco, zedoaria, genziana, angelica, garofanata, ana dram. 1; zafferano, canfora, ana scrup. 2. Polverizzato sottilissimamente si spruzzi con acqua di cardo santo, in cui sieno state disciolte 2 dramme di triaca, e con sciroppo di sugo di cardo si formi elettuario.
Fu anche dal suddetto Cratone composta e poi lodata da altri la seguente
Polvere canforata.
℞.Radici di tormentilla dram. 3; dittamo bianco dram. 2; osso di cuor di cervo, sandalo rosso, ana dram. 1; canfora scrup. 2. Mischia insieme e fanne polvere. La sua dose è di dram. 1 in liquore conveniente.
Cornelio Gemma formò un altro elettuario canforato con dire d’averne egli e suo padre provato felici effetti.
Altro elettuario canforato.
℞.Canfora part. 1; zenzero bianco part. 2; zucchero rosato part. 4; vino quanto basta. Mescolato tutto ben bene, se ne formi elettuario, e se ne dia una dramma all’infermo per farlo sudare.
Più generoso o almen più composto è questo
Altro elettuario canforato.
℞.Canfora, dittamo eretico, scordio, radici di angelica, di zedoaria, cinnamomo, zenzero, ana dram. 1; noce moscata dram. 2; bolo armeno mez. dram., seme di ruta, macis, zafferano, ana scrup. 1; muschio gran. 7; zucchero bianco, vino odoroso, ana quanto basta. Si formi il tutto a guisa d’oppiata.
Giovanni Poppio disciolta la canfora in aceto ne dava un cucchiaio all’infermo. Giovanni Hartmannoracconta che nella peste del 1611 giovò ad assaissimi la seguente
Acqua canforata.
℞.Spirito di vino ottimo lib. 1; canfora scelta dram. 7 e scrup. 1 per la state, e dram. 10 e scrup. 2 pel verno. Mischia insieme, tritata prima la canfora, la quale si scioglierà tosta sensa fuoco. Appendi in una pezza croco orientale mez. scrup. Lo spirito di vino diverrà di color d’oro. L’acqua si conservi in un vetro capace e non pieno, cioè lasciandone vota la quinta o sesta parte.
Mattia Untzero forma uno spirito triacale con canfora da darne una dramma e mezza o pur due dramme in alquanto d’acqua di cardo santo, per far sudare: il che narra egli essere egregiamente succeduto nella peste di Halla del 1610. Eccone la composizione:
Spirito triacale canforato.
℞.Triaca vecchia onc. 5; mirra rossa onc. 2 e mez.; croco orientale mezz. onc., spirito di vino ottimo onc. 10. Posto tutto in boccia di vetro e sovrapposto lambicco cieco, nel cui becco sieno prima poste dram. 2 di canfora, stia in infusione per 8 dì in luogo caldo; poi si distilli in bagno maria a fuoco lentissimo e ne avrai spirito triacale sottilissimo.
Se vogliam credere al suddetto Untzero, purchè con dram. 5 di questo spirito triacale si mescolino dram. 3 di spirito di tartaro ottimamente rettificato sopra colcothar di vitriuolo, cioè sopra vitriuolobruciato, e dram. 1 e mez. di vitriuolo, si ha una composizione mirabile, contenente tutti i requisiti per la perfetta cura de’ morbi pestilenziali e superiore a tutti gli altri antidoti contra la pestilenza. Una tal composizione certo sarà da stimarsi; ma l’Untzero fu chimico di professione, e perciò magnifico nelle promesse. L’olio pestilenziale dell’Einisio medico veronese scrivono che facesse delle maraviglie nella peste della sua patria, di maniera che gli fu dopo la morte alzata una statua. Si compone di parti eguali d’olio di canfora, olio di succino, olio di scorze di cedro ben mischiate, con prenderne dieci o quindici gocce, secondo le circostanze. Entra anche la canfora nell’acque triacali e cordiali composte dagli autori contra la pestilenza; ma è tempo di finirla.
Mi sono steso forse più del dovere intorno all’uso della canfora; ma mi dee essere perdonato, perchè son persuaso che veramente possa trarsene gran benefizio in tempi di peste. Solamente è da avvertire col Sennerto che chi è debole di capo o di ventricolo, o ha abborrimento alla canfora, dee medicarsi con altro, e massimamente essendo utile per altre ragioni l’andare allora mutando medicamenti. Di più hanno alcuni avvertito che trattandosi della preservazione i medicamenti o gli odori canforati possono indebolire negli uomini la virtù generativa. Ho veduto impugnata da altri tal opinione, ma dappoichè il Diemerbrochio attesta d’aver egli dovuto medicare varie persone che per l’uso d’essa canfora aveano patito il suddetto difetto, non so se non consigliare a chi ha interesse di conservarsi quella virtù, il valersene per la preservazionecon gran riguardo. Per altro quando si tratta d’infermi di peste s’hanno a dar loro liberamente gli antidoti canforati, dovendo maggiormente ad essi premere la conservazion della vita, giacchè la canfora è in questo credito di contribuir cotanto a risanar dalla peste.
Già di sopra abbiam detto essere il solfo per la sua qualità uno de’ più efficaci rimedj contra gli spiriti pestilenziali per preservarsi da loro. Aggiungiamo ora che può il medesimo produrre ottimi effetti anche nella cura di chi già ha contratta la peste, e che tutti gli autori s’accordano in chiamarlo un potente rimedio contra quel morbo, di modo che Paracelso (autore però, il quale non si può negare che non abbia avuto parecchie idee stravaganti) scrive che il solfo e il sale bastano alla cura della peste, nè bisognarvi altri medicamenti. Servono, come abbiam già osservato, i fiori di zolfo per promuovere il sudore; e congiunti con estratto d’enula campana vien creduto che giovino assaissimo; ma più, secondo il parere di alcuni, gioveranno se con esso loro si unirà un poco di triaca e di canfora. Il Sennerto descrive una composizione di questi fiori, dice egli, efficacissima contra la peste; ed altri medici ne commendano fortemente l’uso e la virtù. Ma lo Zvelfero ha più fede al solfo depurato che alla preparazione dei suddetti fiori. Sopra tutto poi vien decantato l’elisire pestilenziale, composto d’essi fiori di zolfo dal Crollio, e predicato per singolare e miracoloso contra il morbo pestilenziale da molti e massimamente dall’Untzero che dice d’averne fatte felicissime prove nella peste del 1610 allorchè talrimedio veniva preso per tempo nel principio del male, con far sudare due o tre volte. Tanto il Crollio, quanto l’Untzero furono spargirici, e però bisogna andar cauto in prestar loro fede. Tuttavia la qualità degl’ingredienti basta essa sola ad accreditare di molto questa composizione. Così fosse ella men faticosa e meno astrusa per la manipolazione, onde potessero parteciparne i più del popolo. Si fa nella seguente forma:
Elisire pestilenziale del Crollio.
℞.Fiori di solfo preparati spargiricamente onc. 3. Mettivi sopra olio di bacche di ginepro rettificato in bagno, tanto che vi stia sopra all’altezza di tre o quattro dita. Aggiungi olio di succino tre volte rettificato in bagno, e sia tanto come la quarta parte dell’olio di ginepro. Stieno insieme in fuoco di ceneri o di rena, movendoli spesso, acciocchè i fiori senza bruciarsi si sciolgano e diventino liquidi. Poscia
℞.Triaca di Venezia lib. 1, da cui con ottimo spirito di vino estrarrai la tintura, la quale separata dallo spirito di vino serberai in disparte. Estrarrai col medesimo spirito tintura di radici d’elenio, angelica, bacche di ginepro pestate, ana onc. 3. Presa questa tintura separata in bagno dallo spirito di vino, la mescolerai colla tintura della triaca, e vi metterai sopra gli olj di ginepro e d’ambra uniti co’ fiori di zolfo, e filtrati prima per carta sorbitrice; poi lascerai per 14 giorni sopra lentissimo calore di ceneri tutta la composizione, dimenandola di quando in quando.
La dose per la preservazione è di una o due gocciole in vino o aceto ogni mattina, o pure in cadauna settimana 8 o pur 10 gocciole a digiuno, aspettando il sudore. Chi è preso dalla peste, subito nel principio ne prenda da uno o due scrupoli in vino o aceto di ruta o altro conveniente liquore, e sudi.
Il bolo armeno vien descritto da Galeno per un singolare antidoto contra la peste, preso in un bicchier di vino bianco mediocre. Il Cristini, siccome vedemmo, sente diversamente; ma quasi tutti gli altri medici s’accordano in ciò con Galeno, aggiungendo ancora non pochi d’averne scorto colla sperienza buon effetto. Le qualità d’una peste, diverse per lo più da quelle dell’altre, possono esser cagione che in una non riesca ciò che si provò per utile in un’altra. Molto poi più sono da stimare quegli altri due nobili e certo antichissimi antidoti, cioè la triaca d’Andromaco e il mitridato di Damocrate, le virtù de’ quali contra i veleni e contra quello ancor della peste, hanno già conseguita dal consenso di molti scrittori e dalla sperienza di tanti secoli una competente approvazione, essendosi trovato aver essi già fatto dei miracoli, ma giovato più in tali casi che innumerabili altri medicamenti, esaltati con gran bocca da chi cerca il bel titolo d’inventore e di autore, col proporre nuove ricette e screditar le antiche. Presi questi antidoti discretamente, e con varj riguardi all’età e qualità delle persone, servono o vien creduto che servano mercè della qualità dei loro ingredienti atta non meno a difendere dalla malignità degli spiriti velenosi e dalla corruzione,le viscere e gli umori del corpo umano; che ad espellere per li pori della cute colla lor qualità sudorifica il veleno stesso della pestilenza. L’elettuario dell’uovo, la triaca del Monavio ed altre nuove triache di varj autori, vengono anch’esse predicate per molto utili ne’ casi di pestilenza; e quantunque non manchino valentuomini che antepongano loro di molto la triaca ordinaria e il mitridato suddetti, nulladimeno potrà esserne giovevole l’uso. Il Sennerto rapporta un medicamento composto dal celebre Ticone Brac (se però è vero) di triaca, fiori di zolfo, ecc.; ma per essere troppo prolisso e non facile a manipolarsi, io il tralascio con tutte le sue lodi. Così l’antidoto magno, o sia elettuario del Mattiuolo, se noi vorremo ascoltare una gran folla di medici è anch’esso un rimedio felicissimo contra la peste. Alcuni altri non lo stimano tanto, non bastando i grandi epiteti dei lodatori per far che sia veramente grande la virtù d’un medicamento, siccome non basta un’eterna filza d’ingredienti a formare un antidoto di mirabil efficacia, e tanto più perchè non è peranche deciso che molti ingredienti non perdano la lor forza e virtù, ammassati con tanti altri e non possano con ciò diventare anche nocivi. Quell’antidoto è quasi il compendio d’un’intiera spezieria. I moderni si servono più volentieri di medicamenti semplici che composti, per quanto possono. Contuttociò io non vieto, nè biasimo ad alcuno il seguire ancor qui la corrente, e valersi di quell’elettuario con isperanza di frutto. Il diascordio bensì del Fracastoro (la cui dose è di prenderne in bevanda dram. 1 con sugo d’acetosella onc. 2,sugo di cedro onc. 1, specie cordiali di gemme scrup. 2, aceto onc. 1, mischiando tutto) vien comunemente dai medici di maggior reputazione creduto e predicato per un insigne antidoto contra la peste, perchè è concorsa la sperienza ad accreditarlo per tale. Il Minderero, che ne fa de’ grandi elogi, e sperimentollo con felicità nel contagio de’ suoi giorni, stima che per le persone delicate, come i fanciulli e per le donne gravide, sia il diascordio medicamento anche più sicuro della triaca e del mitridato, siccome men calido d’essi. Debbo nondimeno avvertire che nel contagio di Palermo del 1624, 1625 e 1626 fu provato per esperienza che gli appestati guarivano più facilmente con cose rinfrescative, come cucuzze lunghe, latte, sugo di limoni, ecc., che con triache ed altre robe di sostanza ed aromatiche. Forse nel clima caldo della Sicilia saranno riusciti giovevoli tali rimedj che in altri poi non riusciranno; o pure noi crediam troppo a certi strepitosi antidoti composti, e perciò trascuriamo i semplici, che talora sono i migliori, e non badiamo ad altri metodi forse più utili. Certo il P. Filiberto Marchino attesta anch’egli che il metodo suddetto di Palermo riuscì più giovevole nella peste di Firenze del 1630. I saggi medici ne faranno le prove ne’ tempi di bisogno.
Oltre all’acqua triacale del Diemerbrochio, descritta nell’antecedente capitolo e da lui celebrata assaissimo per gli effetti da lui osservati in valersene durante la peste del suo tempo, si leggono nei libri di medicina oltre acque triacali, bezoartiche e cordiali del Sassonia, del Sennerto, del Porzio, del Quercetano, del Langio, del Bauderon,del Mattiuolo, del Platero, ecc., che tutte possono probabilmente servire, siccome ancora varj altri decotti, estratti, aceti bezoartici, apozemi, quintessenze, ecc., riferiti dall’Untzero, dal Diemerbrochio e da altri. Non la finirei mai, se volessi copiarli tutti e massimamente quei recipe che empiono le facciate de’ libri e danno da faticar ben bene agli speziali. Mi basterà di rapportarne solamente quattro altri, lodati non poco dai professori della presente materia. Il primo è una bevanda, la quale per attestato del cardinal Gastaldi giovò assaissimo nella pestilenza di Roma.
Bevanda antipestilenziale.
℞.Radici di carlina, zedoaria, angelica, scordio, dittamo cretico, scorzonera, cinnamomo, croco orientale, ana dram. 1; mirra, mastice, aloè socotrino, ana mez. dram. Facciasi polvere di tutto, la cui dose è una dramma con un’oncia di sciroppo di limoni e 3 onc. d’acqua di acetosa. Si prenda prima del sonno, essendo attissima a liberar dalla peste.
Decotto antipestilenziale.
℞.Radici di calendola, di elenio, fiori di ruta, di nepeta, di nasturzio acquatico, ana onc. 1 e mez.; radici di aristolochia fabacea onc. 1; occhi di granchio onc. 1 e mez., aceto comune di vino buono lib. 8. Si cuoca tutto, finchè se ne consumi la metà. Colato il sugo aggiungivi onc. 1 e mez. di triaca e mischia insieme. Se ne dia un buon bicchiero all’infermo, e sudi.
Aceto di Paolo Barbetta.
℞.Radici d’angelica, zedoaria, ana onc. 1; di petasitide onc. 2; foglie di ruta, di melissa, scabbiosa, fiori di calendola, ana onc. 2; noci immature tritate lib. 2; pomi di cedro freschi e tritati lib. 1. Pesta tutto insieme, e dipoi mettivi sopra aceto ottimo sino a tre quarti. Fa digestione in boccia di vetro nella rena, e poi distilla a fuoco lento sino a seccarsi, ma non a bruciarsi. Adopera questo aceto per preservativo. Che se fossi sorpreso dalla peste, allora congiungi diascordio scrup. 4; sal prunello scrup. 1; assenzio mez. scrup.; aceto suddetto, acqua di cardo santo, sciroppo di berberi, ana onc. 1. Bevi, e suda.
Condito del medesimo autore.
℞.Radici di contrajerva mez. onc., di petasitide, tormentilla, enula campana, ana dram. 2; terra sigillata, bolo armeno, ana dram. 3; polvere di corno di cervo, d’avorio, ana dram. 1; coralli rossi preparati scrupol. 4; cinnamomo acuto, dram. 2; antimonio diaforetico mez. onc. Formane condito. Per la cura prendine scrup. 1, e aggiungi tartaro vitriolato gran. 8; sale di coralli gran. 15; confezione d’alchermes mez. dram.; aceto descritto qui sopra onc. 1 e mez.; acqua di ruta quanto basta. Bevi e suda.
Il croco, o sia zafferano, può aver qualche adito ne’ rimedj antipestilenziali; ma non è da usare se non con gran parsimonia, perchè può offendere ilcapo, e per altro non se n’è veduto mai gran profitto. Il bere l’urina propria è stato creduto in alcuni paesi per efficace rimedio; ma le prove non l’hanno mai autenticato per tale. È stata bensì da non pochi usata e predicata anche per eccellente antidoto nella peste la pietra bezoar; e gli encomj suoi non son leggieri anche per questo conto. Ma il Sassonia, il Minderero, il Cratone, il Diemerbrochio ed altri sostengono esser ben utile questa pietra per altri morbi maligni, ma non già per quello della pestilenza; anzi asseriscono eglino di non averne mai veduto alcun buon effetto, e che si trovarono troppo burlati coloro che nel principio del male si confidarono nel solo bezoar: il perchè non ne fecero più essi medici capitale per quei tempi e mali. In Firenze l’anno 1630 morì chiunque ne prese a riserva d’un solo che si ridusse in malissimo stato. Le confezioni di alchermes e di giacinto son lodate in tempi di peste, e veggendole io usate da’ medici men creduli, penso che possa aversene qualche stima, avvertendo solo che sieno preparate senza muschio, il quale nuoce regolarmente agli appestati. Altri antidoti, ove entra polvere di smeraldo, di zaffiro e d’altre gemme, hanno gran credito presso alcuni medici; ne han poco o nulla presso altri e probabilmente con più ragione. Non è men controversa la virtù dell’unicorno e de’ medicamenti viperati, ove si tratti di domar la peste. Al sapersi però che questi ultimi in tanti altri mali son rimedj assai valorosi, pare che per la peste ancora meritino riflessione, e tanto più, perchè col loro sal volatile possono aiutare ai sudore. Del corno dicervo particolarmente bruciato o filosoficamente calcinato, leggo io presso alcuni di gran lodi anche per guarire il morbo pestilenziale; ma non veggo poi che tali encomj s’accordino colla sperienza d’altri. Oltre di che, quando il corno suddetto sia bruciato o dai vapori dell’acqua calcinato, sembra ch’esso non abbia d’avere maggior virtù che altri alcalici per assorbire, come essi dicono, le particelle velenose, ed impedire i flussi e tormini del ventre. In fine non convien credere sì facilmente ai chimici, e nè pure ad alcuni medici per altro insigni, allorchè s’empiono la bocca delle lodi di questo medicamento (lo stesso è di altri antidoti cari a loro, o da loro inventati per la peste) perciocchè altri autori ci avvisano essere la virtù sua contra il fermento pestilenziale di gran lunga minore di quel che corre la fama; e per conseguente non doversi contentare di lui solo. Se io non vo citando gli autori, non è già ch’io non gli abbia prima consultati. Alcune composizioni mediche fatte col corno di cervo e stimate potenti contra la peste, saran forse tali non per la sua, ma per la virtù d’altri ingredienti.
Veggo convenire i medici nell’asserire per utili in tal occasione i sali di varie erbe e massimamente quei di ruta, d’artemisia, discordio e di scabbiosa; ma più d’ogn’altro il sale di cardo santo e quel d’assenzio. Certo l’erbe stesse per parere di tutti hanno delle qualità sommamente correttive del veleno pestilenziale. Da alcuni è creduto che non sieno di men profitto che la triaca stessa contra la peste le bacche di ginepro, le quali perciò son chiamate triaca de’ Tedeschi, allorchè sene fa estratto e se ne cava il rob, cioè il sugo inspissito. Il P. Marchino scrive che la controyerva o sia contrajerva a noi portata dalle Indie, si provò nella peste di Firenze del 1630 pel più salutare di tutti i rimedj. Ridotta in polvere si prendeva con qualche acqua creduta cordiale, o di cedro o di scorzonera; o pure distillata riusciva meglio. Presa tre o quattro volte dall’infermo, se ne vedeano mirabili effetti, mentre per sudori ed orine si scaricava la natura. Per parere d’altri è moltissimo da stimare ed usare allora l’olio di vitriuolo. La sua singolar possanza in conservare mercè del suo sanissimo acido i corpi ed umori dalla corruzione è attestata dal Sassonia, dal Mercuriale, dal Mattiuolo, dall’Augenio, dal Diemerbrochio e da assaissimi altri, di modo che stima il Minderero con altri che se venisse impedito l’uso dei medicamenti vitriolati, si resterebbe senz’armi per curare la peste. Se ne guardino però gli asmatici e gli altri che patiscono mali di petto, di reni o di vescica. Contra la peste uno de’ più famosi ed accreditati rimedj si è l’olio di scorpioni o sia olio del Mattiuolo, che preparato diversamente si chiama anche olio del Granduca. Non solamente serve a preservare dalla pestilenza, ma ancora alla cura della medesima, bagnando con esso i polsi delle tempie, mani e piedi e la region del cuore, ed anche le parti circonvicine ai buboni. È comune sentenza che quest’olio e nel morbo pestilenziale e in altri participanti di veleno, possa produrre e produca de’ mirabili effetti. Il punto sta ad averne del ben preparato e del non finto dall’avarizia e poca coscienza d’alcuni. La sua ricetta è notissimaagli speziali, e si legge in varj libri. Il Rondinelli nella descrizion della peste di Firenze del 1630 e 1631 avvertì che sopra tutti gli altri antidoti avea giovato la triaca e l’olio contra veleni del Granduca, co’ quali due rimedj soli molti guarirono, e dove era la febbre non troppo ardente, l’averne dato dodici o quindici gocciole per bocca su lo sciroppo, riuscì con ottimo successo, essendo periti pochissimi di coloro che il presero. E questo basti intorno agli antidoti pestilenziali. Poco importerebbe e pochissimo gioverebbe ai più dei lettori, se volessi adunar le sentenze de’ medici intorno a tanti altri semplici e composti che son descritti come antipestilenziali, ma che non si saprebbe come o quando avessero da usarsi. Quanto più fosse il numero de’ medicamenti, tanto più sarebbono alcuni intrigati a scegliere. Convien dunque contentarsi di quelli che son creduti i migliori, e che mi sono ingegnato anch’io di raccogliere o di accennare in questa mia operetta. E mi si perdoni se ho voluto più tosto sovrabbondare in ciò, che scarseggiare, poichè non tutti hanno libri di queste materie alle mani, e può esser utile il conoscere ed aver pronte molte armi diverse per tentare di far fronte a sì gagliardo e sì strano nemico.