Chapter 29

Tutto ciò si passava nell'interno del Lazzeretto sotto il più grande secreto; e nella città ignoravasi al tutto che vi fosse la peste, e che la vi fermentasse con tanta forza. Mentre vivevasi in uno stato di sì infausta sicurezza, la peste già penetrata nella città serpeggiava furtivamente di casa in casa, e preparava il tristissimo fomite di tanta sciagura, e della distruzion di quella popolazione.

Il dì 20 Giugno nella strada detta Belle Table Margherita Dauptane cadde malata di un carbonchio al labbro. Il chirurgo della Carità, che ne fu alla cura, fece avvertito di ciò il Magistrato; ma il chirurgo della Sanità, inviato sopra luogo, dichiarò ch'era un carbonchio ordinario; e la cosa finì così. Il dì 28 del mese stesso un sarto, nominato Creps, che abitava sulla piazza del Palazzo, morì con tutta la sua famiglia in pochi dì; e la malattia fu giudicata una febbre maligna.

Il primo di Luglio morì nella contrada, detta l'Escale, un certo Eigaziére con un carbonchio sul naso, e poco appresso nella stessa contrada certa Tanouse con buboni, e dopo di essa parecchi altri individui delle case vicine, e molti altri della stessa contrada si morirono alla medesima guisa dopo rapido corso di malattia.I signori medici Peyssonel, padre e figlio, il dì 9 Luglio denunziarono, che un certo Issalene, giovanetto di circa 14 anni, si ritrovava effettivamente attaccato da peste in una casa della piazza di Linche, non guari distante dalle dette contrade, dove s'ebbero i primi malati. Il giorno appresso questo giovanetto morì, e vi cadde malata sua sorella, sarta di professione. Durante la notte, si trasportò l'uno, e l'altra al Lazzeretto insieme con tutta quella famiglia, e tutti vi perirono di peste in pochi dì; e se n'è fatto chiuder la casa.

Il giorno dopo la morte del giovanetto sopraindicato, cioè il dì 11 Luglio, cadde malato certo Boyal, uno dei passeggieri venuti di Levante colla nave Chateaud, stato messo a pratica nella città il giorno 14 Giugno, come s'è detto. Il chirurgo, che lo curava, gli trovò un bubone sotto un'ascella, e denunciò il fatto alla Sanità. Vennero tosto apposte guardie alla porta; e il Boyal, morto lo stesso giorno, fu la sera trasportato e seppellito al Lazzeretto dai bastazzi, che vi erano tenuti chiusi. Si trasportarono pure al Lazzeretto tutti gli abitatori di quella casa, che fu poi fatta chiudere; e quindi a tutti quelli, che avevano visitato il Boyal, si ordinò di star riservati nelle proprie abitazioni, e di usar dei profumi.

Dopo queste prime costernazioni del morbo si passarono alcuni giorni in un'ingannevole calma. Già la gente incominciava a riaversi dei concepiti timori di peste, ed applaudiva alle ordinate precauzioni; ed il popolo, facile a volgersi e ad essere illuso, attribuiva le seguite morti a tutt'altra specie di morbi. Ma il male pullulava segretamente di mezzo a così cieca credenza, ed alle improvvide direzioni de' Magistrati. Non tardarono molto a manifestarsi nuove insorgenze nella medesima contrada della Scala, in quella dell'Oratorio, alla Piazza de' Predicatori, ed in parecchi altri quartieri della città, andandone estinte intere famiglie. Le dette famiglie prime attaccate, furono quelle dei sarti, de' rigattieri, e d'alcuni famosi contrabbandieri.

M. Peyssonel, il padre, che serviva nell'ufficio di Medico della Carità, e di gran pratica nell'esercizio dell'arte sua; dall'aver osservato parecchi malati, infermati con buboni e carbonchi, che morirono in poche ore, convinto che quel morbo realmente fosse peste, ne avvisò il dì 18 Luglio i Magistrati. Essi invece di uniformarsi al giudizio di quell'uomo dotto, ed esperto, nominarono per visitare i malati altro chirurgo, il quale per ignoranza o per gelosiadichiarò che la malattia era una febbre verminosa semplice e senza contagio. Dopo questo fatto gli altri medici si tacquero, per non esporsi alla stessa mortificazione ricevuta dal loro collega. Così il contagio fece progressi spaventevoli. Qui M. Bertrand, quantunque lontano dall'adottare le false prevenzioni del popolo, risguardanti l'apparizione de' segni celesti, che precedono le grandi calamità, fa menzione del seguente fenomeno. Il dì 21 Luglio essendo il cielo coperto di nubi, minaccianti pioggia, si fece nella notte un temporale così terribile con lampi e tuoni tanto spaventevoli, che non v'era memoria di alcun altro simile giammai accaduto. Tutta la città ne fu in somma angustia e spavento. Molti fulmini cadettero sopra diverse case senza offender nessuno. Questi tuoni spaventevoli si risguardaron dal popolo, quai segnali di terribile mortalità. A quel tempo il contagio, superato ogni argine, si sparse rapidamente in tutti i quartieri della città. Il giorno 23 Luglio morte quattordici persone nella sola contrada della Scala, e cadute inferme molte altre, che morirono il dì seguente, lo stesso parroco della contrada si recò al Magistrato della Sanità per denunziar questi fatti. La costernazione fu somma in tutta la città. M. Peyssonel,col chirurgo deputato dal Magistrato, continuarono a visitare i malati, e sulle loro dichiarazioni si continuò a farli trasportare al Lazzeretto, sempre di notte per non ispaventare il popolo. M. Peyssonel, carico d'anni e d'acciacchi, rimise al proprio figlio, pur esso medico, l'incarico di cotali visite. Questo giovane non prevedendone le conseguenze, sparse il terrore in tutta la città pubblicando che la peste era già in tutti i quartieri di Marsiglia. Scrisse lo stesso ne' paesi confinanti; lo che diè motivo che i vicini si mettessero in gravissima combustione, per cui restarono intercette tutte le comunicazioni colla città. Di già il Parlamento di Aix aveva pubblicato, in data 2 Luglio, un decreto, in forza del quale era proibito sotto pena della vita ogni comunicazione con Marsiglia. Appresso cominciò la carestia a farsi sentir nella città crudelmente. Cominciava già il popolo ad ammutinarsi. Si cercò riparo, stabilendo tre mercati, uno a due leghe da Marsiglia sulla strada d'Aubagne, l'altro su quella d'Aix, ed il terzo a l'Estagne per le provenienze di mare. Là i venditori, separati dai compratori col mezzo di barricate, provvedevano alla sussistenza degli abitanti della città; ma questo provvedimentonon poteva, che in parte, supplire ai bisogni.

Il pubblico infrattanto mormorava, del non esser stati ordinati medici di riputazione alla visita dei malati sospetti; ed ognuno instava con parole ed ufici, perchè si passasse formalmente a darne un giudizio deliberato sulla vera natura del male. Dietro queste pubbliche voci e lagnanze sono stati nominati dal Magistrato quattro medici dei più accreditati, cioè i signori Bertrand, Raymond, Audon, e Robert, ciascuno col suo chirurgo ed un giovane pratico. Essi tra loro si divisero la cura di tutti i malati della città. Appena visitati alcuni malati, dichiararono al Magistrato della Sanità, non esser più luogo a dubitare che la malattia non fosse vera peste, ed anche la più terribile che fosse comparsa da molto tempo[36]. Importunati dalle istanze, e dalla curiosità de' cittadini non tardarono essi a soddisfarla, manifestando ciò, che avevano di fatto riconosciuto. La dichiarazione di questi medici non trovò maggior credenza nell'opinionedei Magistrati, e nel pubblico, che quella, fatta qualche giorno prima dai dottori Peyssonel e Sicard. Il Magistrato di Sanità, lungi dal prestar fede a relazioni sì autentiche, fece affiggere un avviso, col quale annunciava, che quelli, che sono stati nominati alla visita de' malati, hanno finalmente riconosciuto che la malattia, la quale dominava, non era che una febbre maligna ordinaria, cagionata dai cattivi alimenti e dalla mendicità. Il che pur mostrava qualche apparenza di verità; dappoichè fino allora la malattia non aveva attaccato, che famiglie povere, e particolarmente i ragazzi; oltredichè, nella maggior parte de' casi, il morbo era accompagnato da gran quantità di vermi, che i malati evacuavano sì per bocca, che per secesso. M. Michel d'altra parte, medico del Lazzeretto, scriveva che i malati che gli s'inviavano a quel luogo, non avevano altro male che la noja di esser chiusi, e la lue venerea. Chi volesse giustificar il Magistrato, potrebbe dire ancora, ch'esso fece pubblicar questo avviso col solo oggetto di tranquillare lo spirito del popolo, e per impedire ch'esso non si abbandonasse alla costernazione ed allo spavento.

Infrattanto, sia che non si risguardasse piùil male come contagioso, sia che tutte le infermerie del Lazzeretto fossero già occupate, non s'avviarono più i malati a questo luogo come per l'innanzi. Il perchè, crescendo ogni giorno più il numero de' malati e dei morti, si aumentarono in proporzione le ragion del contagio. Coll'accrescersi i bisogni pubblici, e l'urgenza di provvedere a tanti malati, ed al seppellimento di sì gran numero di morti, s'accrebbero in proporzione l'imbarazzo, e la confusione de' Magistrati, i disordini e lo spavento fra la popolazione.

La truppa, chiusa nella cittadella, mancandole sussistenza e sussidj, minacciava la città, chiedendone provvedimento. Ciò accresceva le angustie nella carestia di tutte le cose, delle quali si abbisognava. Il corpo delle galere stazionando allora a Marsiglia, nuovo grave imbarazzo per quelli, ch'erano al governo della città, sarebbe stato il provvedere anche ai bisogni di questo numeroso corpo, contando allora più di diecimila persone; ma gli officiali comandanti si condussero con mirabil saggezza, a tale, che formava sorprendente contrasto con l'imprudenza degli officiali municipali. Ai primi sentori di peste nella città fecer quelli tirar al largo le galere, spedirono unodei loro medici, ed un chirurgo a visitar malati nella città, onde assicurarsi della vera natura del morbo regnante, e così liberarsi da ogni e qualunque incertezza. A M. Perrin, medico, ed a M. Croizet, chirurgo, fu imposto di eseguire sì fatta commissione. La eseguirono essi il dì primo Agosto, e nella lor relazione, indirizzata al Comandante delle galere, dichiararono: chela malattia era pestilenziale, contagiosissima; e ch'era necessario usare le più grandi precauzioni per prevenirne le conseguenze. Assicurati della verità del fatto, gli officiali delle galere presero tosto le opportune precauzioni, fecero ritirare i loro bastimenti al largo dalla parte dell'arsenale, e con una palizzata li separarono dal resto del porto; rendettero isolati nell'arsenale tutti gli equipaggi, mettendo barriere a tutte le uscite, come se fosse una città assediata; deputarono alcune tartane a trasportar giornalmente da Tolone, e dal porto di Bouc legne, carbone, farina, carne, vino, e tutte le cose necessarie alla vita, che alcuni provveditori, nominati dai comandanti, avevano cura di opportunamente allestire. Di tal modo trovavansi sopra le galere, e nell'arsenale, ed a modico prezzo tutti i generi di vittuaria,de' quali aveasi bisogno, mentre che, ad onta d'una spesa immensa, riusciva difficile, od impossibile alla città il fornirsi delle cose occorrenti.

Ciò non pertanto, le comunicazioni fra la città e le galere erano state libere fino allora, ed era ben difficile che qualcuno dell'equipaggio non avesse già contratta l'infezione, o qualche morboso seme non vi fosse stato trasportato per entro ai navigli con altro mezzo. E di fatti, la peste si manifestò nella galerala Gloria. Due forzati caddero malati, uno il 31 Luglio, l'altro il dì primo Agosto. Quindi il male si sparse insensibilmente fra le ciurme, attaccò gli equipaggi, e finalmente si diffuse anche tra le famiglie rinchiuse nell'arsenale. I periodi della maggior mortalità della malattia nelle galere e nell'arsenale seguirono dappresso quelli della città, non così però riguardo alla loro rapidità, e violenza; ed è ben lungi che abbia fatte le medesime stragi, nè durato tanto. Nel Settembre la malattia a bordo delle galere e nell'arsenale fu nel suo forte, e ne' mesi seguenti andò sempre più declinando. Il maggior numero dei malati fu dai 25 ai 30 al giorno, ed alla metà dì settembre il numero dei morti giunse al più a 17 in un giorno.In Agosto morirono 170 persone, in Settembre 286, in Ottobre 189, in Novembre 89, in Dicembre 37: in tutto 771. Ne' mesi di Gennajo, e Febbrajo non vi ebbero che 7 od 8 morti. In Marzo la malattia cessò intieramente sulle galere. Per merito delle precauzioni usate, e delle sagge misure opportunamente prese, e forse anco in forza della situazione, e delle diverse circostanze de' luoghi la malattia non fece grandi progressi sopra la detta flottiglia, e nell'arsenale. Di 10,000 persone non ne caddero malate che da 1300; e di queste, 782 soltanto ne sono morte, come ho già detto di sopra.

Nella città tutto era disordine, e confusione. Erasi trascurato di regolar per tempo le cose, e porsi opportunamente in difesa. Gl'inconvenienti, e gli errori si tenevan dietro l'un l'altro, e crescevano in proporzion della gravità del pericolo, dell'urgenza de' bisogni, e dello spavento. Di molti consigli venivano sposti ai Magistrati, ma essi non sapevano più a qual partito appigliarsi. L'ultima opinione era d'ordinario quella, che prevaleva sopra i suggerimenti più saggi. In fine venne accolta avidamente la proposizione di certo medico, che fu M. Sicard; il quale, avendo letto, che Ippocrate,quando la peste desolava l'Attica, aveva fatto accender de' fuochi per le strade di Atene a purificarne l'aria, aveva pur consigliato di accendere i fuochi a cinque ore della sera per tre giorni seguitamente dinanzi ad ogni casa, e sulle piazze pubbliche, e di bruciare dello zolfo negli appartamenti per spurgarne le suppelletili, e vestimenti. Ciò si eseguì, e l'atmosfera per tre giorni continui fu coperta da un fumo nero ed ardente, che avendo aumentato il calor naturale della stagione, e del clima, parve conferir al contagio nuovo alimento, e vigore. In fatti allora il veleno pestilenziale si spiegò con tal violenza, che giunse a spaventare anco i più intrepidi; e vide il pubblico con suo rammarico consumata inutilmente una sì grande quantità di legne, donde teneva doverne averne gran disagio in appresso. Gli abitanti disertarono le loro case, e i più timorosi già s'eran giovati della libertà delle comunicazioni, andatisi a rifugiare in altre città, e in altre provincie. Quelli poi, che guidati da una cieca prevenzione, fin allora erano stati increduli, quando furono deliberati di partire, ne trovaron chiuse tutte le uscite, e guardate tutte le strade; sicchè furon costretti, o di ritirarsi alla campagna, o di rinchiudersinelle proprie case. Ciascuno era divenuto sollecito di approvvigionarsi di viveri, e di trasportar fuori della città le proprie masserizie. I mezzi di trasporto, quantunque in gran numero, non bastavano a soddisfare la smaniosa sollecitudine di quelli, che colti da timore fuggir volevano dalla città. Le genti del popolo, che non avevano case di campagna, andarono a ricoverarsi sotto tende nella pianura di s. Michele, altri sulle rive del Veaune, e lungo i ruscelli, che bagnano il territorio, altri su i bastioni, altri salirono sulle vicine colline, altri finalmente cercarono asilo fra le rupi, e nelle caverne. Le genti di mare s'imbarcarono colle loro famiglie sulle navi, sopra barche, ed anche entro a piccioli battelli, tenendosi al largo dalla riva, presentando così lo spettacolo di una città galleggiante. Le religioni uscirono de' lor monasteri, e seguirono nella fuga i lor parenti, od amici. Gli ufficiali della giustizia, quelli dei municipj, i direttori degli spedali, in somma quasi tutti gli impiegati cercaron fuori della città un rifugio contro la peste; ma sventuratamente questi infelici fuggiaschi portavan già seco nella lor fuga il fatal seme del rio morbo, che poscia doveva ucciderli. I membri, come diconsi, del Magistrato Sanitariostettero fermi al loro posto, e fra gli ecclesiastici restarono nella città i parochi, ed i vicarj. Questi uomini rispettabili, animati dall'esempio del lor capo, e venerando vescovo monsignor Belzunce, usarono al pari di esso d'un coraggio veramente eroico, e una carità maggior di ogni elogio. È difficile portare queste virtù a cotanto alto grado, come le portò in quella terribile congiuntura il sullodato monsignore Belzunce. Appena si dichiarò che sussisteva la peste nella contrada della Scala, come s'è soprattocco, egli chiamò a se i parrochi ed i superiori delle comunità. Animato da quell'ardente zelo che le circostanze rendevano sì necessario e sì grave, non durò gran fatica ad ispirarlo nel cuore dei suoi cooperatori. Prescrisse loro la maniera di condursi in quei tempi di calamità; e qual novello s. Carlo per tutto quel tempo, che durò il contagio, si vide per tutto, dove la salute del popolo richiedeva la sua presenza.

L'ospital civile, che conteneva gl'infermi di altre malattie ordinarie, venne chiuso per lo timore, che, accogliendo nuovi malati, non vi s'introducesse la peste.

Il Governatore comprese ben tosto la necessità di stabilire degli altri spedali. Si elesse aquest'uopo l'edificio della Carità, luogo il più adatto per la sua situazione, e disposizione interna, e per la sua vastità. Il Governatore n'aveva anche per assoluto ordinato lo sgombramento, e l'istituzione di questo nuovo spedale; ma bisognava darne incomodo ai religiosi, che lo occupavano, perciò la cosa trovò qualche obbietto, e il piano non si eseguì. Passarono ancora otto giorni prima di deliberar per trovare altro luogo; ed intanto i malati s'accumularono da per tutto, e ben tosto si appalesò quella confusione, e quel disordine, la cui sola ricordanza ancora fa inorridire. Si deliberò finalmente di formar uno spedale nel luogo dei Convalescenti, appartenente all'Hôtel-Dieu; ma ben presto si riconobbe che pur esso era troppo angusto; mentre ne fu riempiuto in men di due giorni. E siccome i malati vi accorrevano in folla, così fu forza collocargli, misti coi buoi e cavalli, in una grande stalla, vicina al succennato spedale.

Due medici offrirono spontanei l'opera loro per li bisogni del detto spedale. Accettata l'offerta, essi vi restarono chiusi. In quella cura vi adoperarono reiterate cacciate di sangue, ed i purgativi; ma questo metodo riuscì manifestamente dannoso: perchè la mortalità vi fuestrema. Dopo alcuni giorni tutti due questi medici furono attaccati dal contagio, ed in poche ore ne morirono pur essi.

Il Magistrato di Sanità non lasciò di pubblicare parecchie ordinazioni, dalle quali si prometteva trar buon partito per la salute pubblica. Una d'esse fu quella di far uscire della città tutti i vagabondi, e' mendicanti forestieri. La storia però non riferisce che a quest'ordine siasi dato esecuzione. In fatti dove mandargli? Quale asilo poteva trovare cotesta classe d'individui, che già pericolosi per la lor professione, lo diventavano ancora più, essendo cacciati fuori da una città appestata? Altre ordinazioni risguardarono gli oggetti annonarj, e la polizia delle strade. D'ordine dello stesso Magistrato si levarono quattro compagnie di soldati, che divisi in parecchi corpi, furono disposti fra i quattro quartieri, dove era più urgente il bisogno, sotto gli ordini di un commissario di Sanità. Questo commissario era incaricato di distribuire pane ai poveri del quartiere, di sporre lo stato de' malati nelle respettive famiglie del proprio quartiere, e di sorvegliare, perchè fosser curati, ed assistiti col minor pericolo, che si potesse, delle persone rimaste sane. Ma queste sagge disposizioninon furono eseguite, dappoichè esigevan esse quella certa calma e quella tale regolar vigilanza, che difficilmente si può conservare in mezzo agli orrori di sì terribili giornate, in cui ognuno vedeva la falce di morte già vibrare il colpo sul proprio capo. In pochi dì si diffuse l'infezione per tutte le contrade di Marsiglia. Le notti erano troppo brevi da poter trasportare tutti i cadaveri; quindi fu forza farne il trasporto anche di giorno, appalesando così al pubblico le immense perdite che andava facendo: il che fin allora con somma cura s'era cercato di occultare. I vagabondi e' girovaghi, che per avventura non aveano obbedito all'ordine, che li cacciava della città, furono obbligati a servir da becchini, e a levar i cadaveri, che giacevano ammucchiati nelle case. D'ordinario costoro gli strascinavano per li piedi giù dalle scale; o li gittavano dalle finestre, rotolandoli poi per le strade. Lo strepito delle carrette mortuarie, misto al fremito, che cagionava il rotolamento dei cadaveri, metteva un orribile spavento negli animi; ed ai sani, non che ai malati, faceva gelar il cuore di raccapriccio. Tutte le botteghe erano chiuse; chiuse le chiese, i tribunali di giustizia, e tutti i luoghi pubblici; era interdettoil commercio, sospeso ogni lavoro, e le aziende degli uffizj ecclesiastici, e civili. Un funebre lutto copriva la città; un cupo melanconico silenzio da per tutto regnava, e su tutti. Ogni legame di amicizia e di parentela era sciolto. I parenti schivavano di vedersi l'un l'altro; si fuggivan gli amici tra loro, e si temevano i vicini. Ognuno sembrava formare una società a parte, ed avrebbe voluto ciascuno, se fosse stato possibile, riservare a se solo l'aria, che respirava. Mancavan le cose più necessarie alla vita, e gli alimenti non si prendevano, che con ispavento, e colla più grande circospezione. L'ospitale traboccava di morti, e di moribondi, le strade seminate di malati, e di agonizzanti, i bastioni delle mura coperti di tende, ricoverandovi i più presso a mancare. Nella faccia d'ognuno leggevansi lo spavento, e il terrore; e quella angosciosa sollecitudine di garantirsi con ogni più possibile mezzo da sì tremendo malore, che tien l'animo in un continuo tremito di desolazione e d'ambascia, e che ben predispone alla malattia. Ogni giorno sentivasi la perdita di più amici e parenti, nè più si osava di chieder conto delle persone più care. I movimenti della natura, e le voci dell'amicizia erano repressi allavista spaventevole e continua di una vicina morte. I padri, e le madri si defraudavano della dolce consolazione di vedere i loro figli, i figli abbandonavano i languenti lor genitori, il fratello la moribonda sorella, e stupido e muto restava in loro ogni sentimento della natura. L'opulenza la più doviziosa non bastava a procurare i soccorsi anche de' più comuni. Il ricco in mezzo al suo oro mancava, al pari del povero, di tutto, e l'un e l'altro languiva nell'abbandono e nella miseria. Queste catastrofi di orrore e di desolazione incominciarono nell'Agosto, e si fecero in seguito sempre più spaventevoli e orrende; che appunto circa il primo di Agosto arrivarono a Marsiglia due medici da Montpellier, il Chicoaneau e il Verny, inviativi dalla Corte Sovrana per recarne un definitivo giudizio sulla natura della malattia, e suggerire i necessarj soccorsi. Chi 'l crederebbe! Questi due professori medici, che per la loro riputazione s'erano meritati un sì onorevol favore della sovrana confidenza, preser pur essi un grossolano errore sulla natura del male, quantunque fosse omai arrivato ad un punto da escludere ogni dubbio ed ogni incertezza anco fra le persone, che non fosser dell'arte. Essi nol ravvisarono per peste; madichiararono che «quel morbo, il quale metteva pure cotante stragi e scompigli, non era che una febbre maligna, cagionata dalla corruzione e dai cattivi alimenti». Ignoranza tanto funesta, quanto più si aveva del lor sapere la maggior confidenza! Ciò non pertanto cotesti signori medici stimarono prudente consiglio di non trattenersi molto in Marsiglia; perchè dopo dieci giorni se ne partirono dalla città carichi di onori e di regali, ritirandosi ad Aix.

Il giorno dopo la loro partenza sulla relazione da essi indirizzata al Governatore della città, ed al Magistrato di Salute, si è creduto dover pubblicare un avviso, col quale si avvertiva il popolo che «la malattia, che regnava nella città, non era pestilenziale, ma solamente una febbre maligna contagiosa, della quale si sperava di poter in breve arrestare i progressi». Questo avviso riassicurò il popolo, il quale da quel momento incominciò a rallentare le precauzioni, e a comunicare più liberamente[37].Monsignor lo vescovo ed i magistrati furon costretti di cedere alle istanze e alle sollecitudini del popolo, permettendo che si facesse la solita processione di s. Rocco, la cui protezione in quella calamità si rendeva tanto più necessaria. Intanto la peste, a guisa di rapido torrente, che superato ogni argine, che lo intrattiene, tutto invade e distrugge, circa la fine di Agosto di sì fatta guisa s'era accresciuta e diffusa, che uccise in pochi dì immenso numero di persone, giovani e vecchi, deboli e forti, poveri e ricchi indistintamente, riempiendo tutta la città di disperazione e di pianto.

Nel mese di Settembre la mortalità colse fino a mille persone al giorno. E qui come descriver gli orrori di quelle tristissime e terribili giornate! Quale spettacolo presentava Marsiglia! Quella città sì ricca, sì fiorente, sì popolata pochi mesi prima, era divenuta squallida e deserta, e rimasta in preda alla desolazione, al pianto, all'indigenza, alla morte. Nelle case le più delle porte e delle finestre erano chiuse, il lastrico delle strade da una parte e dall'altra tutto coperto di malati e di moribondi, parte distesi in sul nudo terreno, parte sopra materassi ma tutti senza soccorso di sorta. In mezzo alle strade e sulle piazze pubblichenon si vedevano che cadaveri mezzo putrefatti, logori cenci, e masserizie miste col fango, e carrette cariche di morti, parte strascinate dai forzati, e parte abbandonate, perchè non vi aveva chi le conducesse. La strada Delfina in ispezieltà offeriva uno spettacolo spaventevole e orrendo. Dessa era quella, che conduceva all'ospitale. Tra gli appestati, rimasti soli nelle lor case, e per conseguente privi di ogni sussidio e d'ogni assistenza, i poveri, i quali mancavano di tutto, tentavano ogni mezzo, e, dirò così, facevano gli ultimi sforzi per giugnere fino a quell'asilo, dove speravano trovar ajuto e ricovero; ma sovente venivan meno ad essi le forze prima di giungervi, o, come v'erano giunti, non vi trovavano luogo, perchè tutti i posti v'erano già occupati; quindi dovendo essi tornar indietro, e isforzandosi di ricoverarsi ancora, donde eran partiti, mancando loro ogni lena, cadevano sfiniti a terra, e tra poco pur colà si morivano. Altri, corrucciati da ardentissima sete, appressavansi ai ruscelli, scorrenti di mezzo alla strada, per bagnarsi la lingua e le labbra, fatte aride per l'ardore del male, e, coricatisi appena, esalavano così in mezzo all'acque l'ultimo fiato. Ma perchè non mancasse alla desolazion diMarsiglia nessuno di quegli orrori, onde fu percossa Gerusalemme, pur là donne si videro spirare coi lor bambini, attaccati ancora alla mammella. Quella strada, che ivi corre cento ottanta tese di lunghezza sopra cinque di larghezza, era tutta così affollata di malati, e ingombra di morti, che non vi si poteva muover passo, che non ne fossero calpestati. Chi varrebbe mai a ricordare e descrivere appieno tutti i patimenti e languori di tanti malati? Alcuni furono, ai quali, morti tutti i loro congiunti, ed amici, rimasti soli in casa senz'alcun ajuto e soccorso, la vita medesima era restata a più grave stento, e sciagura. Nè potendo più reggere, nè intrattenersi in que' luoghi, dove tutto ad essi le funeste perdite ricordava; quindi abbandonavan la propria casa per riporsi di mezzo alle strade: parecchi arrestavansi in sulla porta, ritenutivi dalla debolezza, o dalla vergogna di mostrarsi in pubblico, ridotti a cotanto estrema miseria. Quivi i più finivano angosciosamente la vita. Altra specie di malati, la cui condizione era misera ben più d'assai, vedevasi pur sulle strade. Era questa formata di que' fanciulli, i quali dagl'inumani lor genitori, in cui lo spavento del male aveva soffocato ogni sentimentodella natura, erano messi fuor dalla porta delle loro case, con postogli indosso uno sdruscito panno, ed una scodella in mano: cosa inverisimile, ma vera, venendone confermata dal celebre storico M. Bertrand, che fu di tutta questa pestilenza testimonio oculare. Que' fanciulli infelici con sì tristo corredo si trascinavano essi medesimi, quanto più potevan, lontano. Alcuni, dopo fatto qualche passo, cadendo, morivano, ai primi sforzi; altri si fermavano al sentirsi venir meno le forze, rialzandosi poscia, e così a più riprese giungevano al luogo ad essi proposto. La più parte credevasi felice, quando dato l'era di potersi allogare in sui gradini di qualche porta, sopra una panca o di legno, o di pietra, sopra la balconata di una bottega, o dietro qualunque riparo, che lor si fosse offerto, formandone quivi suo letto. In questo mezzo, ahi crudeltà, si contrastava loro anche sì fatto asilo. Ognuno naturalmente temeva dell'avvicinamento di un appestato e ognuno cercava di allontanarlo dalla propria casa. A questo fine di tratto in tratto si gittava dell'acqua sulla strada, e su i limitari delle porte; altri ne lordavan le soglie, e' gradini con feccia di vino, perchè i malati non vi si adagiassero. Per tal modo cotestiinfelici, cacciati da tutti, e da ogni luogo rispinti, trascinavano, a grave stento, il resto di una moribonda esistenza in sulle piazze pubbliche le più vicine, dove speravano di poter più liberamente morire.

Sopra queste pubbliche piazze appunto era orribile cosa il vedere da dugento a trecento di questi miseri, abbandonati a tutto il rigore di una violentissima malattia, il patir de' quali diventava più atroce per la mancanza de' comodi necessarj, e per la privazione di ogni ajuto, e d'ogni assistenza. Ad un solo sguardo vedevasi la morte, su cento volti e cento, differentemente dipinta, a tristi e diversi colori e segnali. Uno aveva il viso pallido e cadaverico, l'altro rosso ed infiammato; a chi erasi fatto livido, e pavonazzo; a tale altro di color quasi violetto; e cento altre specie di tinta, che tutti gli sfigurava. Alcuni avevano gli occhi mezzo spenti, altri ben troppo vivi ed accesi; quindi languidi gli sguardi di quelli e tristi, di questi erano forti, e truci eziandio irregolarmente: tutti però si mostravano all'aspetto pieni di turbamento, e di spavento, a tale da rendere sconosciute e ignote le lor fattezze. Chi giacea coricato; chi se ne stava mutolo, e quasi come stupido; chi preso da delirio non cessavadi parlare; chi rimaneasi immobile, e chi si dimenava smanioso e irrequieto, per modo, che la piazza non aveva abbastanza di spazio per dare sfogo all'acerba loro inquietudine. E siccome la peste assume i sintomi di tutte le altre malattie; così sentivasi ogni sorta di lamenti per le differenti specie di dolori e di mali: que' della testa erano acutissimi, e così di tutte altre parti del corpo; vomiti fieri e soffocanti, stiramenti di ventre corrodenti, carbonchi, che abbruciavano; in somma tutto era un cumulo, raggruppato d'ogni spezie di morbi, che diventavano più violenti, e crudeli per cagione del freddo, che gl'infermi prendevano nel corso della notte, riconosciutosi che la traspirazione dava più riposo e più sollievo ai malati, che tutti gli altri rimedi.

Entrando poi nell'Ospitale, quale tristo spettacolo, e spaventoso! quale scena di turbamento e di affanno schiudevasi al guardo renduto immobile per raccapriccio! Vedeansi per ogni dove affollati gl'infermi e i moribondi, parte distesi sul nudo terreno, parte in sulle panche di pietra, frammischiati e confusi senza distinzione di sorta. Ogni angolo, ed ogni sito n'era occupato. Quelli, che giacevano men disagiati, non altro s'avevano che un pagliariccio,senza lenzuola, e senza coperte, tranne que' pochi, che occupavan le sale; gli altri tutti eran privi di comodi, e d'ogni assistenza, abbandonati a' sergenti, e a' famigli duri e crudeli, che non s'eran preso quel carico, pur periglioso, se non per poter più liberamente ladroneggiare, e rapire. La maggior parte di que' malati avevano portato seco tutto il denaro e le cose preziose, che possedevano, quasi come in luogo di sicurezza; e mentre sentivansi avvicinar l'ultima ora, accresceva ad essi l'acerba doglia il prevedere, che sarebbero stati ben presto spogliati di tutto, e tolta con essi ogni speranza de' loro eredi; il che pur troppo conoscevasi fare agli altri, che lor morivan daccanto. Oltre di che, in quello spedale aveavi sempre gran numero di cadaveri ammonticchiati; e questo era non meno orribile a vedere, che pericoloso a sentire per lo fetor, che esalavano.

Fra tante miserie poi non v'era cosa, che movesse più a compassione, quanto quegli sventurati fanciulli, che, rimasti orfani e soli, o si restavano abbandonati entro alle case, o erranti andavano per le strade, e faceano risonar l'aria delle lor grida, e dei loro lamenti. Nè v'era alcuno che avesse cuore di dar loroasilo, sì per lo timore di contrarre l'infezione, e sì per la necessità di dover poi con essi dividere le poche sussistenze, che lor restavano per il suo proprio sostentamento. Allora di pubblico ordine si fecero trasportare questi miseri orfanelli all'ospitale di s. Giacomo di Galizia. Il loro numero era di 1200 verso la fine di Agosto, ed in seguito oltrepassò i due mille. Quale calamità! qual orrore! Per formarsene in qualche modo un'idea basta il dire, che di due a tremila fanciulli ivi ricoverati non ne sfuggirono alla morte, che soli cento; e che l'economo dello spedale, incaricato di averne cura, poi convinto di enormi delitti, venne appiccato pochi mesi appresso. Fra questi fanciulli ve n'ebbe parecchi, a' quali per la morte de' loro parenti apparteneva il diritto di grandi fortune, ma, rimasti confusi in mezzo a tanto disordine, non si potè più effettuare la cosa.

Fra gli spettacoli lagrimevoli di questa atroce calamità era ben compassionevole quello di una intera famiglia, colpita dal contagio ad un medesimo tempo! Tra' suoi individui, uno abbruciato dagli ardori della febbre, dimandava acqua od altra bevanda, che 'l refrigerasse, e non v'era alcuno, che potesse dargliela; unaltro agitato da mortali inquietudini, mandava profondi sospiri e lamenti; e chi n'era tra lor meno inquieto, dimandava inutilmente i soccorsi della chiesa, vedendosi spirar dallato i figli, i fratelli, le sorelle, la moglie, senza che l'uno potesse l'altro soccorrere. Là un giovanetto, vicino a morire, confortava alla pazienza il dolente genitore; qui il padre riteneva a forza le lagrime per non estinguere affatto il coraggio nel languente figliuolo. D'altra parte era agonizzante la madre, che non aveva altro conforto, che grida e pianto dei figli, e delle persone ad essa più care, e che con la morte sulle labbra esortava ciascuno di non avvicinarsele. Uno che dopo aversi veduto morire tre, quattro, o cinque individui della propria famiglia l'un dopo l'altro, oppresso dall'afflizione, estenuato dalle veglie, e dagli stenti, agitato dallo spavento, prevedendo inevitabile ed imminente una egual sorte, cadeva in istato di avvilimento, e di abbandono, e periva d'inedia, e di debolezza. Finalmente vi aveva chi diveniva stupido, e demente per l'estrema afflizione; chi, mancando di confidenza in Dio, si abbandonava alla disperazione, e davasi la morte; e chi ad un'ora oppresso dal proprio male, dalla tristezza perquello degli altri, dall'acerbo cordoglio per la privazione di ogni soccorso, e per l'impossibilità di sovvenire quelli, che amava, vedendoseli cadere a canto, preda di morte, mettevasi in così disperato e crudele affanno, della morte peggiore d'assai. Il colmo dell'orrore era quello di vedere parecchi cadaveri in una stanza, ove era ancora taluno di questi infelici malati, in preda a tutta l'acerbità di un'immenso dolore.

Assai più d'afflizione e tristezza era per li superstiti di queste sventurate famiglie la necessità di sgomberarle dei cadaveri, e trasportargli in sulle strade, di quello che non fossero state le pene provate nel corso della malattia. Comunque cara ci sia una persona, da che ella è morta, non se ne può reggere più alla sua vista. Non ci avviciniamo che con orrore ad un cadavere, e ancora più a quello di un appestato. Era inutile lo aspettare che alcuno per carità o per interesse volesse incaricarsi di così fatto trasporto. Quando s'era tenuto in casa un cadavere uno o due giorni, e' conveniva alla fine farsi una crudele violenza, e a proprio malgrado forzar la natura a rendergli ancora questo ultimo uficio. Quindi v'era forzato prestarlo il padre al figliuolo, il figliuolo al padre, lamadre alle figliuole, ed esse reciprocamente alla madre. Alcuni li portavano, altri li trascinavano; e quelli, che non potevano fare ne l'un, nè l'altro, li gittavano dalle finestre. Crudele estremo, che rinnovava il dolore, e tutta l'acerba angoscia di una perdita, che non s'era ancora cessato di piangere! Che se finalmente si trovava un qualcheduno, che avesse voluto assumersi l'incarico di levare un morto e trasportarlo o sulla strada, o su d'alcuna pubblica piazza, costui esigeva una somma sì straordinaria, che assai poche famiglie erano in istato di poterla pagare. Chi 'l crederebbe! In mezzo a tanti orrori, così proprj ad ammorzar le passioni, di que' tristi e terribili giorni pur si vider passare al più alto lor grado la dissolutezza, e l'avarizia. La prima risvegliata dalle frequenti occasioni, ed esaltata dall'effervescenza del contagio venne a tali eccessi da far vergogna all'umanità; l'altra, non mai sazia, videsi inventar mille spezie di delitti per isbramar sua ingorda inestinguibile sete.

Che se trista e desolante era la vista de' malati, e de' moribondi, più spaventevole ed orrenda era quella de' cadaveri insepolti, de' quali le strade, e le piazze eran tutte coperte in guisa che appena trovar potevasi, dove por piedesenza passarvi di sopra; che anzi per transitare in alcuni siti conveniva camminar su i cadaveri. Stavano essi ammonticchiati in sulle pubbliche piazze, e presso le porte delle chiese; e più di mille corpi insepolti v'erano sempre nella spianata, detta la Torretta, ch'è fra la cattedrale, ed il forte di s. Giovanni, contrada abitata dalle genti di mare, e dal minuto popolo. La piazza stessa della Corte n'era ripiena; sicchè quel luogo di delizie, ove le persone solevano andarvi a diporto, era divenuto un luogo di orrore, assai proprio a far riconoscere dalle mondane vanità la vera virtù. Tutte le fosse, dove seppellivansi i cadaveri, eran già piene, nè vi aveva più chi ne scavasse di nuove. Mancavano i beccamorti, e que' pochi, che vi restavano, esercitavano un infame mercimonio, trasportando que' soli morti, i cui parenti erano in istato di pagarli generosamente. Altri cadaveri, passati già alla corruzione, non era più nè agevole nè opportuno il trasportarli. L'aspetto loro era di vero il più terribile e spaventoso a que' miseri infermi, che vi languivan daccanto. Altri eran nudi affatto, altri ravviluppati in un lenzuolo, o tra' cenci; altri vestiti ancora de' proprj vestimenti, e questi eran quelli, che furon coltida morte improvvisa, o sommamente affrettata. Altri v'erano quasi come imballati ne' lor materassi; altri legati su quella tavola, che servì a trasportargli; ed altri, pochissimi, chiusi dentro alle barre. Soprattutto v'era quantità di piccioli fanciulli di ogni età, e d'ogni sesso; che d'essi ne sopravvisser ben pochi. Osservarono i medici, che la lor malattia era stata sempre la più violenta. Alcuni dei morti vedevansi o seduti, o appoggiati in sul gomito, ed in tutte altre attitudini, e questi eran quelli, che si morivano sulle vie, e che restavano in quell'atteggiamento, nel quale la morte gli aveva colti. Fra cotanti, sparsi d'in su le strade, ve n'eran molti sì orribili a vedere, e così diformati, che in lor non mostravasi più lineamento, non che fattezze di umana creatura. Così fatta, e cotanto funesta malattia fa di cotali impressioni e sì forti, che l'effetto loro sussiste anche dopo la morte, come se essa continuasse la sua violenza anco su i cadaveri. I morti di quella corromponsi più presto d'ogni altro, e dopo dieci o dodici ore esalano un fetore insofferibile. Quale dunque non doveva esser quello di tanti corpi, de' quali parecchi si giacevano insepolti da dieci o dodici giorni, così fracidi, e corrotti, che a pezzi colavan lorole carni, ed il sangue spandevasi per le strade, misto a tutte le altre immondezze? Qui narra lo storico di aver veduto in una pubblica piazza confuso cogli altri il cadavere della più bella donna, che fosse in Marsiglia. Ma i corpi a veder più orribili fur que' di coloro, che nell'accesso di frenesia gittati s'erano dalle finestre. Chi aveva la testa fracassata, chi squarciato il ventre, chi il corpo schiacciato; e somiglianti orridezze. Un numero infinito di cani affamati, vaganti per l'abbandono, o per la morte de' loro padroni, s'avventavano sopra i cadaveri, e se gli divoravano. Le fetide e micidiali esalazioni, che si sollevavano da tanti corpi infraciditi, ammorbavano l'aria, e diffondevano da per tutto la mortal contagione. E di vero penetrò essa a quel tempo ne' luoghi, che fin allora rimasti n'erano illesi; dappoichè i monasteri di più severa clausura ne furon tocchi, e si apprese eziandio alle case le meglio custodite e chiuse; talchè si credette, che non avesse più alcuno a restar sano, e che tutta la città diventar dovesse un cimitero.

Infrattanto alla voce, che i cani potevano soggiacere all'infezione, e comunicarla essi pure, fu tosto lor mossa guerra crudele, cacciandoli da tutte parti, e ben presto se ne ucciseun sì gran numero, che in pochi dì le strade ne furon piene, gittatane in mare non picciola quantità. Respinta essa ben presto dal reflusso dell'onde, se ne rimase a imputridir sulle rive. Quindi mentre la corruzione di tanti corpi, esaltata, dirò così, dagli ardori del sole, e la quantità de' cenci, e delle immondezze di ogni sorte, che gittate dalle finestre ingombravan le strade, venivano a sollevare nell'aria vieppiù insofferibili, e funeste esalazioni; niente meno dannosi e molesti renduti s'erano i neri vapori, che s'innalzavano dal continovo bruciare, in sulle strade, dei letti, vestiti, equipaggi, e d'ogni altra sorta di masserizie, usatesi dagli appestati; dappoichè dallo spavento tenevasi per fermo non potersi nessuna cosa purgare interamente, se non col fuoco: quindi n'andò distrutta un'immensa quantità di stoviglie, e di mobili, ricchi e preziosi.

Ecco lo stato a cui fu ridotta Marsiglia, quando la peste vi s'attrovava nel forte. Cotale stato durò sino alla fine incirca del Settembre. Che se taluno fosse tentato di credere esagerata questa mia storia, potrà convincersi che stia la cosa altramente, ed anche minor del vero il mio dire, facendosi a leggere la viva, ed elegante narrazione, che d'essa nescrisse il sullodato vescovo monsignor Belsunce nel suoMandament, pubblicato il dì 22 Ottobre 1720[38]. Lo zelo magnanimo di questo illustre prelato non venne mai meno, per quanto in sua fierezza e nelle stragi si fosse accresciuto quel morbo, e per quanto più grave ne fosse divenuto il pericolo. Egli percorreva le strade tutte e le piazze continuamente, marciando tra i vivi e tra' morti[39], lasciando per tutto manifesti segni della sua carità, per modo che dalla Francia anche all'Inghilterra passò la fama di sua virtù, a tale da meritarsi, che il Pope medesimo, quell'insigne filosofo, e poeta, nel suoSaggio sull'Uomofacesse l'elogio di lui[40]. Tutti gli ecclesiastici, chelo accompagnarono, l'un dopo l'altro periron anch'essi, mortigli ancora tutti i suoi famigliari. Tra' ministri della religione, datisi in quella terribile circostanza all'assistenza degli ammalati, vi furon parecchi, i quali si distinsero in modo particolare. Alcuni di loro, trovatisi fuor di città, allo scoppiar della peste vi rientrarono, mossivi da quella pietà, che pericoli non conosce, nè danni; confortando, confessando, ed assistendo in tutte altre guise i malati, fino a che gloriosa morte avesse posto fine alle lor fatiche. Il che fu di molti sacerdoti delle parrocchie e della cattedrale. Non altramente fecero i più de' sacerdoti regolari. Tra questi parmi di dover notare che quantunque i Padri dell'Oratorio non fossero allora nell'esercizio di confessare, si sono essi però segnalati con altri pietosi ufici, andando nelle case infette a consolare i malati, a rianimar in loro il coraggio, e ad inspirargli sempre nuovi ed efficaci sentimenti di religione, distribuendo limosine, ed usando ministeri anche i più vili, e pericolosi. In ispezieltà il P. Gaultier, lor superiore, a gran missionario, si segnalò in quelle calamitosissime circostanze. Le quali cose io soggiungo risguardanti la virtù della religione, e la pietà de' suoi sacerdoti, come quelle, che nelleavversità, e principalmente nella terribilissima della pestilenza, non sono gli ultimi, ma sì bene i principali obbietti, a cui debbon mirare, e miraron mai sempre i ben regolati Governi. Il perchè alla storia non si dee togliere una parte, che tanto intimamente la risguarda, rendendosi per essa agli uomini trapassati un pubblico testimonio del retto loro operare, e ai lettori presenti, e futuri un esempio onorato di rinnovarne le prove. A questo fine mirando io in questa parte, soffra il lettore, che nuove tracce gli segni di sì fatte virtù. Il perchè sappiasi, che fra l'altre Comunità religiose si distinsero in que' frangenti quelle de' Cappuccini, de' Canonici Regolari Lateranesi, e de' Gesuiti. E di esse tutte, e di tutte lor opere di carità e di zelo basta dir che non pochi non le finirono che col lasciarvi la vita; il che fu di 26 Canonici Regolari; di 43 Cappuccini; e di diciotto Gesuiti. Di parecchi loro individui potrei fare spezial memoria; basti però, oltre il sullodato P. Gaultier, ricordare i due Gesuiti, Millet, direttore di due loro Congregazioni, e rinomato oratore, e il Lever, uomo di grande autorità, e dottrina.

E continuando al mio dire, piacemi di soggiugnere che nel mentre mancava agl'infermil'assistenza de' confessori, mancò pur quella dei medici, parte morti dal contagio, e parte fuggiti dalla città. Soli due ne restarono in istato di agire, il Robert e l'Audon. Mantennesi il primo sano per tutto il tempo, che durò il contagio, malgrado che perduto avesse tutta la sua famiglia. Non così fu dell'altro, che morì in sul finir dell'Ottobre. Al Bertrand, testimonio oculare, come dicemmo, di tutta questa pestilenza, e scrittore il miglior ch'abbiasi d'essa, e da me in gran parte seguito, s'appiccò il contagio tre volte con tutta la sua famiglia, ma ne guarì. Maggior ne fu la mortalità de' chirurghi. Venticinque ne perirono, fuggitine alcuni. Pur morirono quasi tutti i garzoni farmacisti con cinque de' lor principali, o padroni, in sul principio del male; gli altri si salvaron fuggendone a tempo. E come addivenir suole ne' trambusti delle città, alcuni giovandosi di quelle angustie, vendettero farmaci e droghe a più caro prezzo, cogliendo frutto e capitali dell'altrui disgrazie e desolazioni.

Sparso così e diffuso quell'incendio pestilenziale per tutta la città, non tardò molto ad inoltrarsi più lungi. Conciossiachè si diffuse nella contrada di Riva Nuova, che sta fuor di Marsiglia, separata a settentrione dal porto.ed a levante da una porzione dell'arsenale, che or più non sussiste. Questa terra dominata dai freschi venti delle alpi, s'era conservata immune dal contagio sino al fine di Agosto per la vigilanza, e buona polizia sanitaria, sotto le ordinazioni del Commissario generale il cavalier Rose; ma essendo assai difficile lo impedire ogni comunicazione colla città, la peste quivi pure si apprese, operò colla medesima rapidità e violenza, che a Marsiglia; e vi fece pure di non poche stragi, ma non sì grandi come in quella, nè v'ebber luogo gli stessi disordini. Il detto cavalier Rose, uomo di molta energia e prudenza, e di gran perizia per le varie sue spedizioni, aveva già a tempo disposto ciò tutto, che occorrer potesse per gli opportuni provvedimenti degli ammalati, e per lo seppellimento de' morti. Quindi la contrada dalla città la più lontana, la quale sembrava dover esser pur anco la più abbandonata, per la virtù di lui solo fu la meglio regolata, e più pronta, ed abbondantemente soccorsa. L'abbazia di s. Vettore, pur distante dalla città, dove trovansi le reliquie di più santi, e le ceneri di venerandi solitarj, ne fu preservata del tutto; e quivi solo fu la chiesa, in cui, senza interruzione, si continuò a celebrare i divini ufizi. L'abateM. Matignon, uomo di molta pietà, vi profuse la sua liberalità, senza mai uscire dell'abazia, verso i poveri, e gli ammalati. Il che pur fatto aveva s. Teodoro, vescovo di Marsiglia, trovatosi nella medesima badìa, durante la peste di quella città nel 588 (l. c. f.273).

Quelli, i quali, credendo trovar sicuro asilo contro il contagio, s'erano rifugiati colle loro famiglie entro barche, come s'è detto, formando quasi come una città galeggiante sul mare, ne andaron ben presto disingannati. Costretti essi a discendere in terra per fornirsi di vittuaglia, s'infettarono, e perirono ancor più miseramente degli altri, senza soccorsi, senza poter o fuggire, o trovare al proprio male nessun refrigerio. Per delirio altri gittavansi in mare, ed altri galeggiandovi, senza scampo, si brigavano poi di salvarsi. Deforme cosa era a vedere i brani di que' cadaveri, smozzicati dai pesci che venivano di tratto in tratto gittati dall'onde sulla spiaggia. Sopra le già dette barche v'erano gli stessi orrori, la medesima desolazione, che nell'interno della città, perchè la cosa era venuta a tale, che non v'aveva sito, che sicuro fosse contro ai colpi di sì terribil flagello. Nè anche coloro fur salvi, i quali eransi accampati sotto le tende in apertacampagna. Sia che il bisogno di sussistenze gli avesse obbligati a comunicare in luoghi, o con persone infette; sia che avessero già seco portato dalla città il tristo seme del morbo; certo è, che molti di loro, attaccati dalla contagione, perirono. Oltre di ciò la solitudine, in cui si ritrovavano, e la privazion di ogni cosa pur necessaria, rendevano lo stato loro ancora più deplorabile. Ma come descrivere la desolazione delle famiglie sparse nella campagna, allorchè il male obbligavale di rientrare in città? L'uno recavasi in collo un moribondo fanciullo; traevasi l'altro semivivo per le strade diserte; e chi in una, e chi in altra foggia, ma tutte miserabili e strane, mostrava agli atti ed al viso la paura, il cordoglio, l'angoscia, il desolamento della comune strage e rovina. Chi più dicesse eziandio, forse direbbe meno; dacchè le grandi sciagure più presto fanno ammutire, e istupidire pur anche, di quello che dire, o colorire.

Nel fatto poi del commercio di derrate e di commestibili tra il contado e la città, i villani, non così in folla, come erano usati di fare, da quello venivano ad essa; ma liberamente entrando ed uscendo per le porte, rimaste senza custodia, quei pochi, a' quali dava il cuor di ciòfare. Così i ricchi, e' signori, ritiratisi alla campagna, avevano giornalmente, chi lor provvedesse dalla città le cose necessarie alla vita. Ed anche per queste ragioni il contagio fu portato nel territorio, e a poco a poco si sparse per li casali, per le borgate, ed in tutte quasi le ville. Ad onta delle precauzioni medesime, suggerite dallo stesso terror del contagio, e malgrado la distanza delle abitazioni, la malattia ebbe a un'incirca nel contado lo stesso sviluppo e progresso, che nella città avuto aveva. D'essa morirono da principio tutti i giardinieri de' contorni, e d'una in altra si diffuse ben anco nelle più rimote contrade. Colà specialmente i malati provarono gli effetti crudeli del più assoluto abbandono, e del più barbaro e inuman trattamento. Venivano essi, dico i malati, rilegati nel luogo più rimoto non solo della casa, ma di esso il territorio, dove non altri testimoni avevano de' lor patimenti, che, s'è lecito dire, gli uccelli dell'aria; i quali, cessando i consueti lor canti, sembravan mostrare di sentire pur essi pietà di tante sventure. Gl'infermi, che avevano ond'essere più d'altri amati, potevano eziandio sperare d'essere anche meno male trattati degli altri, collocandosi dentro di apposite capanne, vestitede' rami delle piante; le quali stettero pur troppo, coperte de' loro frutti sin anche al principio del verno, per non esservi chi li cogliesse, e nè meno chi ardisse ad esse appressarsi.

Ma chi potrebbe, e a qual fine, annoverar più oltre le diverse condizioni, le attitudini, i modi, e le varie vicissitudini dolorose e mortali di tanti infelici? Tutto è detto, quando si dica, a por termine a questa mia descrizione, che la malattia e la morte in ispaventevole guisa da per tutto mietea le vite de' ricchi, e de' poveri, degl'idioti, e de' sapienti, de' fanciulli, e de' vecchi miseramente. Più fatti, di circostanze e di forme diversi, ch'io soggiugnessi, a nulla più monterebbero, che a confermare, quanto io già mi proposi di far manifesto, ciò è che sia stata la peste di Marsiglia una delle più micidiali, e delle più miserande.

Ridotte le cose a tanta desolazione e rovina, gl'Intendenti della Sanità in quel fiero trambusto, a ripararne ulteriori maligni effetti, rivolsero le loro istanze ai Comandanti ed Uffiziali delle galere, pregandoli di volergli assistere coll'opera loro, e coi lor consigli, dacchè il buon ordine, ch'essi prescritto avevano, ed osservato nell'arsenale, e nelle galere medesime; e la felicità, onde per le lorocure venne a buon termine il contagio, inspirava una giusta fidanza, che fu ben presto comprovata dai fatti. I cavalieri de Langeron, de la Roche, e de Levi, uffiziali superiori, accondiscesero alle istanze di que' magistrati, ed intervennero alle loro sessioni. La prima cosa si ordinò di riparare le fosse, dove s'eran sepolti i cadaveri, le cui esalazioni mantenevano un insopportabil fetore, e pericoloso. Vi sì gittò sopra di nuova quantità di calce viva, coprendoli bene di terra. Dopo questa importante operazione si nominarono alcuni commissari per que' quartieri, che non ne avevano, e in difetto di secolari, atti all'ufizio, si nominarono alcuni religiosi, come s'era fatto altra volta. Il celebrarsi de' divini officj nelle chiese manteneva viva una pericolosa comunicazione fra gli abitanti, e fomentava la diffusion del contagio. Quindi si fece istanza a mons. vescovo, perchè se ne sospendesse interamente quel sacro esercizio; ed egli ordinò la chiusura di tutte le chiese. Altri regolamenti necessari ed utili si promulgarono; ma al loro adempimento convenne obbligarne il popolaccio, sempre inchinato ad abbandonarsi alla licenza, isbigottendo i malfattori, che dall'impunità, quasi inseparabile da ogni stranaperturbazione, erano incoraggiati al delitto. Si soddisfece a questi due obbietti, piantate le forche sulle pubbliche piazze. Quindi avvisarono doversi principalmente sgomberare le strade dei cadaveri, procurandone convenevole sepoltura. Come s'è detto, mancavano a quell'uficio i becchini, morti quasi tutti pur essi, nè al sostituirne valeva altezza di prezzo, giunto sino a 15, 20, e più franchi al giorno per ogni singulo. In tali e tante angustie si tornò ai Comandanti delle galere pregandoli di accordare per tal ufizio alcuni forzati, che furono in tutti venzei, promessagli la libertà, finita la peste. Ma a tutti questi nuovi beccamorti si apprese il contagio; il che pur fu d'altri, che ad essi furono sustituiti; e in otto dì si concedettero allo stesso fine 133 condannati delle galere, mortine ottanta pur in quegli otto dì. Cotesti, non accostumati alla spezie di quel lavoro, levavano i cadaveri senza alcuna precauzione; nè sapendo guidar cavalli, e vetture, ne le rompevano co' respettivi attrecci, restandone i morti in sulle strade. Quindi per le vie disposersi soldati a piedi, e a cavallo per vigilare sulla condotta di quei becchini, accrescendo il numero de' funebri carri col soccorso reciproco de' più agiati cittadini. Votata appenauna piazza, e una strada, il dì appresso erano ancora piene di morti; e non di rado avveniva che si rovesciasser que' carri, aventi più uomini semivivi. La lontananza delle fosse, ove dovevano esser riposti tutti que' cadavari, era nuovo ostacolo per un sollecito sgombramento. Se n'erano aperte molte, ed ampie, ma, essendo fuori della città, molto tempo ne importava il trasporto. In tale imbarazzo varie ne furono le opinioni. Chi teneva doversi abbruciar i cadaveri nelle piazze; chi aprir fosse in tutte le strade; chi gittar viva calce sopra i morti, lasciandoli consumare, dove giacevano: chi in fine propose di giovarsi del più grande vascello del porto, disalberandolo e votandolo al tutto, quindi, riempiuto di cadaveri, e chiuso, lasciarlo colare a fondo lungi dalla città. Tutte queste proposte si rigettarono, adottatosi, non senza molta opposizione, di far aprire le chiese dei quartier più lontani dalle fosse, e di gittarvi nelle cave dei sepolcri tutti i rimasti insepolti d'in sulle strade, sovrapponendovi calce in copia. Si fece di più; si aprirono pur anche due gran fosse dalla parte della cattedrale. La celerità, colla quale si eseguirono queste pratiche, dava speranza di felice e di presto successo; ma la cosa andò altramente. Accresciutasila mortalità, se n'accrebbe l'orrore; e nuovi mezzi se ne tentarono. I Soprastanti al comando delle galere accordarono degli altri forzati. M. Moustier uno degli Intendenti della Sanità si pose alla testa de' beccamorti egli medesimo, ordinandoli, incoraggiandoli, e persino accompagnandoli di luogo in luogo, donde più pronto si richiedea quell'uficio. Di questa sua lodevole pratica se ne avrebbe avuto quasi immediato il buon effetto; ma di 200 forzati, che si accordarono, soli dodici camparon la vita; il perchè con nuove istanze del Magistrato di Sanità e de' più autorevoli cittadini, accorsi personalmente agl'Intendenti delle galere, se ne ottennero altri cento col di più di 40 soldati co' loro bassi uffiziali. A questi, dico uffiziali e soldati, che fossero rimasti in vita, si convenne col pubblico, che si assegnassero giuste ricompense in danari e pensioni. Tutto quel numero si distribuì in quattro squadre, tre sotto uno degl'Intendenti, e la quarta sotto il cav. Rose. Per molta, che fosse l'efficacia, e lo zelo d'ognuno, non bastava esso alle molte pratiche, che occorreva di fare per provveder sussistenze agl'infermieri e agl'infermi, e tutte le altre cose occorrenti per tutta la città, in quella principalissima azienda. Il Presidente dellaProvincia M. Bret vi si adoperò a questo fine e provvidamente. Fornì quell'afflitta città di paglia, granaglie, carni, calce, tele, legne, cavalli, danaro, e d'ogn'altra spezie di masserizie, viveri, ed artigiani. D'altra parte il Magistrato della Sanità, fece solenne voto, ordinando del pubblico erario l'applicazione di due mila franchi a sostegno delle orfanelle povere, raccolte nella Casa della Carità, fondata sotto il titolo di Nostra Donna del buon Soccorso.

Manifestatosi al Re il miserando stato di Marsiglia, nominò egli per Comandante supremo della città e del territorio il maresciallo di campo cav. di Langeron, capo squadra delle galere, uomo di tal merito, e di tale virtù, quale si conveniva in quelle circostanze. Il perchè sotto di lui nè pretesto, nè intrigo, nè accettazion di persone non v'ebber luogo. Tale condotta e tenore fecero ben presto cambiar aspetto alle cose; poichè ben egli conobbe la salute pubblica della città dipendere principalmente da tre cose, le quali erano il ristabilir il buon ordine, il dare un pronto e convenevol ricovero agli ammalati, e 'l terminare lo sgombramento dei cadaveri. Per questo obbietto egli procurò il soccorso d'altro grosso numero di forzati per la nettezza dellestrade, e delle piazze. Quindi obbligò alcuni uomini del contado ad iscavare in città quattro fosse, già piene l'altre a ribocco. Il che, fattosi esatta e sollecitamente, diè a divedere, quanto importi al ben pubblico in sì gravi emergenti il pronto ordinare, e il pronto eseguire. Così si condusse in questa e in altre sue prescrizioni quel personaggio, che fu valoroso in guerra, e nella peste provvidentissimo. Sul finir del Settembre il contagio cominciò a declinare nella città; e quasi tutte le vie furon di cadaveri sgombre, tranne qualcuno gittatovi la notte. Così fu fatto de' cenci, e d'altre immondezze, non levate per la mancanza de' villani dalla città. Era questa divenuta quasi una pozzanghera per lo pantano restatovi dal tempo innanzi.

Ciò tutto, ed altre cose assai ordinò quell'avveduto ministro della provvidenza; le quali si possono leggere minutamente descritte nelle allegate storie; e perciò credo soverchio di più riferirle, ricordando solo che seppe egli riparare ad un tempo alle miserie della carestia e della peste, a quella provvedendo colla copia delle biade, e di questa compiendo, qual che si fosse, lo spedale dettodu jeu de Mail, e l'altro erigendo detto della Carità. Alle suecure si aggiunse la liberalità, e la saggezza del Duca d'Orleans, allora Reggente, perchè il meglio che si potesse, ritornasse Marsiglia al buon ordine naturale e civile.

Si ordinò da lui il pagamento di considerevole somma per provvedere il carname agl'indigenti, prescritto più altri soccorsi alle provincie del regno per lo sollievo de' miseri Marsigliesi. Si fornì pur la città de' medici, M. Pons di Pezenas, e M. Bouthillier di Montpellier coi chirurghi Moutet, e Rabaton. Ad ognun d'essi accordato fu lo stipendio, da esso loro richiesto; al primo di sei mille franchi il mese, e una pension di tre mila, durante la vita di lui, della moglie, e de' suoi figliuoli; al secondo di mille soltanto, che di più non ne aveva chiesta, ed una pensione a vita di se, di sua moglie, e' figliuoli; a' chirurghi di tre mila al mese, oltre le spese del viaggio, e del mantenimento loro in Marsiglia. In Aix se ne firmarono le condizioni. Da queste si può ben riconoscere di qual prezzo siano i servigi dei medici in tempo di peste, e qual considerazione meritano quelli, che mirando generosamente alla salute pubblica, si dedicano in sì gravi calamità senza viste venali all'assistenza dei loro simili.

Giunti que' medici a Marsiglia nel Settembre, e datisi all'esercizio de' respettivi loro uficj, fur sopraggiunti dai due Professori di medicina Chycoineau, e Vorny, e dal chirurgo Soulier, stati in contumacia ad Aix, e che d'ordine della Corte dovettero ritornar a Marsiglia. Da Montpellier furonvi pure spediti il professore di medicina Deidier, e il chirurgo Fiobesse, con altri medici e chirurghi giovani, inviativi a pari tempo da Parigi, e dalle circostanti provincie.

Sol nell'Ottobre di quell'anno fu al tutto ordinata, e regolarmente condotta quell'azienda; e a sostenerla versarono i facoltosi di grandi somme in mano de' parrochi, e d'altri sacerdoti, che sapevano con carità e con giustizia distribuirle ai più bisognosi. Singolare fu la condotta di monsignore il vescovo, il quale nè per lunghezza di tempo, nè per gravità di mali, nè per diversità di bisogni non cessò mai di largamente soccorrere, consolare, ammonire, e confortare infermi, moribondi, desolati, e mendici. Secondarono pure la liberalità e carità di lui, dico di M. Belzunce, parecchi prelati del regno; tra' quali M. Law si distinse, inviandogli da dispensare 100 mila franchi. Il Sommo Gerarca della terra, il dignissimoVicario di Cristo, Clemente XI accompagnò una sua Bolla d'Indulgenze, a chi cooperava alla salute temporale e spirituale degli appestati, colla giunta di tremila some di Biade. Queste pie largizioni, fatte dai ministri evangelici, furono accompagnate da quelle de' regj uficiali. I Ricevitori generali offrirono al consiglio del Re gratuita, e anticipatamente un prestito di tre millioni di franchi da pagarsi in dieci mesi, 300 mila lire per mese. Questa somma doveva impiegarsi nel provveder granaglie. Allo stesso modo e fino 100 mila lire offerse M. de Senozan, e 200 mila il cav. Bernard. Soggiungo a pubblica norma le istruzioni, date per la distribuzione e l'uso di queste somme[41].

Ora è a toccar leggiermente alcuna cosa sullo spavento, in che pose le genti de' Paesi vicini il contagio. Ogni Prefetto delle circostanti provincie levò tutte le comunicazioni con Marsiglia e col suo territorio. Il perchè ogni città veniva a formare una popolazione da se. Le genti vegliavan dì e notte sull'armi, guardando gelosamente i respettivi loro confini, Quindi la Francia tutta presentava l'aspetto spaventevole di una guerra civile: tanta era la desolazione, il sospetto, la diffidenza. Il Reggente, vedendo ragione di far cessare uno stato sì desolante che rovinava il commercio l'agricoltura e l'industria, e di porre argine a tanti mali, prescrisse e ordinò tali forme da osservarsi ai popoli, le quali a pari tempo mantenesser tra loro il reciproco esercizio de' ministeri e dell'arti, dell'agricoltura e del commercio, e la sicurezza, e la guarentia delle persone da nuova infezione e rovina. Ammansatasi sul finir del settembre la fierezza del male, qualcheduno, della poca gente, rimasta nelle case, come suole avvenire in sì luttuose catastrofi, da necessità spinto, e forse non ancor ben risanato, si fe' ad uscire sulle desolate e solitarie vie di Marsiglia. Nè qui è a ridire, come a poco a poco o l'uno o l'altrodi quelli, che avventuratamente campato aveano la vita, si facesser tra loro scambievolmente a parlar cose da se o da' suoi, già trapassati, sofferte miseramente. Natura poi di questo male si fosse, o più presto opinione avventuratamente seguita, che in chi campato ne fosse, più non si riproducesse suo tristo germe; ne venne, che, rassicurati, si dessero briga i già risanati di provvedere alle bisogne degl'infermi pur anco. Il che eseguivano co' più manifesti segni di carità, eziandio mossi dall'amor della patria e de' lor congiunti; perchè abbandonati gl'infermi non vi continuasse infierire quel micidial morbo. Seguitamente all'entrar dell'Ottobre sì per lo menomar degli ardori, e sì per lo miglior ordinare delle cose riguardo all'andamento politico, e al purgamento delle strade, come ancora per il provvedimento de' cibi più salutari e copiosi, il contagio si minorò d'assai, e per tal modo che il comunicar delle persone intra loro non era più cotanto pericoloso, e vi aveva ragion di sperare essere alla fine pervenuti a estirpare da quella terra, stata cotanto travagliata, e infelice ogni reo seme pestilenziale. E se ripullulava in alcuno, la natura sua era affatto leggiera e benigna, a tal che gli attaccati per ordinarionon erano impediti nemmeno dal continuare ad attendere alle ordinarie loro facende. Non segni esterni apparivano, o risolvevansi in pochi giorni felicemente. Il perchè ogni specie di medicine, e di medicanti divenne in poco di tempo al tutto soverchia, bastando al guarire il saluberrimo farmaco della natura. Della peste quasi non s'aveva più orrore; se non che molta cautela, figlia della prudenza, e in parte ancor del timore, tuttavia osservavano i cittadini in usando tra loro. Quindi s'introdusse il costume di portare certi lunghi bastoni, che dicevansiBatons de Saint Roch, per tenersi lontani l'uno dall'altro, e principalmente a cacciarne i cani, credutosi ch'essi ritenesser la peste. Dal contado poscia ripararono alla città quelli, che se n'erano allontanati, non senza orrore mirandovi l'eccidio restatovi del passato malore. E in questo mezzo la peste verso la fine d'Ottobre parve fosse terminata al tutto, essendo passati alcuni giorni senza che alcun s'infermasse. Dissi, parve; perchè il dì primo Novembre caddero nuovi malati nella contrada di s. Ferreol. Questa era abitata da ricche persone, le ultime, che n'erano andate infette; ma pur ciò in breve scomparve. Nell'Ottobre s'erano accolti agli ospitali dellaCarità, e delJeu de Mail867 malati; e ne morirono 465; nel Novembre 455, mortine 287, e 94 ne uscirono risanati; nessun nell'Ottobre. Nella città scemando così la malignità del morbo, andavasi ripullulando qua e là nel contado. Crescendovi il numero degli appestati e de' morti, per l'avidità degli eredi, ch'erano impazienti d'usar delle cose state tocche o usate dagli appestati, il contagio ne riceveva più funesto alimento. E questo pur toccò ai ladri della città, che ve ne aveva più assai, che non si sarebbe giammai creduto. I servitori, i famigli, ed anche i forzati, de' quali 691 erano stati conceduti dal 20 Agosto al 3 Novembre, vieppeggio concorsero a questa nuova spezie di desolazione. Imperciocchè questa razza di gente rapinatrice non guardava a ragioni di sangue, di sesso, di età, di uficio, di condizione; ma dove giugneva tra' morti e semivivi, talora anco al tutto uccidendogli, essi e le case loro ne spogliavano barbaramente. Così il popolo abbandonavasi a pari tempo ad ogni eccesso di licenza, e di dissolutezza. La prudenza e la fortezza del Comandante ne seppe ogni avvelenato colpo ribattere felicemente. Prigioni aperte, e pene incusse ai malfattori repressero la malnata licenza. Il patibolo ne fu la più efficacemedicina di tanto male. Poscia a ristabilir l'ordine civile s'istituì un Commissario, che registrasse effetti e mobili, e un Tesoriere da custodire e mantenere i danari, trovati presso i morti senza eredi. Assai matrimonj poi ne succedettero, ma cagion pur furono essi che la peste ne dovesse ripullulare. Nel che è da notare l'eccesso, o abuso che fosse per questa parte, che apertesi le chiese, principalmente per questo obbietto, in 24 ore si trattavano e conchiudevansi comunemente. La qual cosa ho soggiunto, come notabile circostanza od effetto di quella e di altre pestilenze; per modo che, stante sì grande affluenza di matrimonj, sarebbesi in poco tempo ripopolata Marsiglia, quale era in prima, se il periodo di gravidanza avesse potuto abbreviarsi. Quindi si riparò al disordine del troppo concorso de' villici alla città, non permettendosene l'ingresso, che a quelli, ch'eran muniti da cartello della Sanità, il quale accertasse, da oltre a 40 dì non esser più segno di peste in quel luogo, dond'essi eran partiti. All'affare de' matrimonj si provvide pur anco, mediante attestato, a chi voleva maritarsi, di non esser punto infermo, ma di trovarsi pur sano compiutamente. Il che importò a' medici più briga,che non fosse quella di visitar gli ammalati. Finì la peste col finir del Novembre, restatone qualche segnale in contado. Quivi, diviso questo in quattro parti, rivolsero i medici le loro cure, andandone ogni dì a quelle contrade, che gli fossero toccate a sorte. Nel Dicembre non s'avevano in città, che cinque o sei malati per settimana, qualcheduno di più alla campagna, dove al solstizio d'inverno si menomò per modo, che nel Febbrajo soli 45 se ne portaron di là al civico spedale, de' quali ne guarì la metà incirca.

A rimettere in Marsiglia il commercio di prima, e con esso pur il ritorno de' negozianti, e de' forestieri pubblicò il Superior Comandante, che la città ne sarebbe al tutto purgata da ogni reliquia d'infezione, e restituita alla prima salubrità. Detto fatto. Sì segnaron di croce rossa le case state infette; si deputò ad ogni quartiere un Commissario, dettosidell'espurgo; dipendendo ognun d'essi da un general Commissario, ed avente sotto di se famigli e sergenti, a' quali ordinare gli ufici tutti e le parti di lor mestiere; ma guardati pur essi da un deputato Ispettore. Entravan essi nelle case de' morti appestati; ne gittavan fuori le masserizie, utili a conservarsi, perchè si consegnasseroal pubblico lavatojo; tutto ciò che non meritava di riserbarsi, abbruciavano immantinente. Quindi si passò ai suffumigi nelle stanze, diversi per materia e per modo; conciossiachè altri facevansi d'erbe aromatiche; altri di polvere da cannone, ed altri d'arsenico, e di droghe parecchie, com'era costume antico di far in quel Lazzeretto. L'arsenico poi fu proibito da M. Chirac. Ciò eseguito, davasi alle muraglie due o tre strati di calce, e così ai pavimenti, sì in città, e sì nelle case del contado. Al purgare i bastimenti del porto si durò più difficoltà, dovutosi trasportare le mercanzie del lor carico nell'isole più vicine, e quivi darle alla ventilazione, come si fece delle rimaste ne' fondachi e nelle case. Ma nelle chiese, obbietto il più gravissimo, si deliberò suggellarne con ferri ogni sepolcro, stato riempiuto di cadaveri degli appestati, stuccatane prima ben bene ogni fessura con cemento della più dura tempra. Si passò al fine a cercare con ogni diligenza stanze, cantine, e tutti i ripostigli più segreti per trovarne le rubate masserizie, e suppelletili, che vi fossero state nascoste.

Mentre queste cose operavansi salutarmente, si riaccesero alcune scintille contagiose; perchène cadder malate in città 128 persone, e 67 in campagna. Otto soltanto ne moriron di quelle, e di queste sole dieci ne camparono; e ciò tutto nel civico spedale. A prevenirne ogni ulteriore accidente si prescrisse il notificare chiunque si trovasse ancora offeso da qualche rimasuglio del morbo, offerendo ai poveri d'essere mantenuti allo spedale dalle ragioni del pubblico, e a' ricchi di potersi intrattenere a curarsi nelle respettive lor case. Il perchè ognun di buon grado secondò quelle misure, che ne produssero poi buon effetto. Ciò non pertanto nell'Aprile dell'anno susseguente di diciannove appestati novellamente ne morirono tredici allo spedale; e soli otto di sessantacinque del territorio ne son guariti. Questo andamento riconfortò il popolo, e tanto, che il dì di Pasqua, non si ritenne dal gittar a terra le porte delle chiese per celebrarvi i divini ufizi; e ciò fu in città. Prova sicura poi fu, che il malore era giunto al suo fine, il veder ricomparire e tornare in volta le malattie comuni, e ordinarie, ch'erano sparite, durante il contagio. Colla primavera tornò il sereno e la calma; riavutasi la natura dal rigore della stagione e dagli orrori della peste. Le arti, le discipline, i costumi, e le usanze religiosee civili ripresero allora felicemente il lor corso.

Dopo le quali cose non mi pare inutile il notare, che, trovatesi a Marsiglia mercanzie del valore d'oltre quindici milioni, compresi quattro mila quintali di lana, ancorchè non sì esattamente ventilate, prima che la peste cessato avesse dei tutto; pure, passate per luoghi e per mani parecchie, non ne recarono nessun danno. Di 90 mila persone, ond'era popolata Marsiglia, ne perì da 40 mila; e dieci mila in contado.


Back to IndexNext