Ora, non ne poteva più; non si fidava più di durare in quel sacrifizio lungo ed inutile. Quella sua virtù finiva per essere ridicola. Tutti, dal primo all'ultimo, le avrebbero dato ragione, se ella fosse caduta…. Caduta? Era dunque una colpa il reclamare la propria parte di felicità, un poco d'amore?… E, ad una ad una, le si ripresentavano alla fantasia le figure di uomini intraviste in un salotto, in teatro, alle quali ella aveva pensato secretamente, nelle notti insonni, o fra il vuoto chiacchierio d'una visita di convenienza, o in chiesa, quando gli occhi fissi sul libro di preghiere non vi sapevano più leggere…. Sempre, sempre, il caso, la sua virtù, la sua disgrazia, la gelosia del marito, avevano arrestato il romanzo al primo capitolo; romanzi ella non poteva farne, era condannata a leggerli soltanto!… Suonava ad un tratto l'ora della rivincita! Ella contava bene di non lasciar sfuggire questa volta l'imprevista occasione…. E il dovere? Ah, se ella credeva che le grandi emozioni dell'amore, che gl'incanti di una di quelle passioni che fanno l'invidia del mondo, si potessero provare senza sacrificar qualche cosa!…
La fantasia della duchessa correva, correva, ed ella aveva già architettata l'avventura. Trovava tutto agevole, in quella campagna, nell'assenza del marito; e l'illusione era così forte che ella provava il rimorso del fallo non per anco commesso se non col pensiero. Poi, per gastigo, si derideva, si faceva beffe di sè stessa per tanto almanaccare sopra una semplice presentazione, sopra un avvenimento comunissimo, come ne ricordava mille altri.
—Verrà?… Non verrà?…
Intanto, ella era venuta in campagna senza pensare alla sua toletta; non aveva portato nulla: nè una veste da camera, nè un abito da visita; nè un gioiello, nè una boccettina di profumi! Nulla, proprio nulla, altro che quel miserabile vestitino grigio!… A poco a poco, la sua passeggiata, o meglio la sua corsa per la terrazza s'era rallentata. Ella avanzava ora con le mani dietro la schiena e la testa un po' china. A un tratto rientrò, e seduta al suo tavolino cominciò a scrivere sopra un foglio di carta la lista degli oggetti che le occorrevano. Interrompendosi di tanto in tanto, ella guardava per aria rodendo la punta del suo portapenne e mormorando:
—Verrà?… Non verrà?…
Giunto in vista della villa, Guido Olderico moderò la corsa del suo cavallo. Da lontano, posta alle falde della collinetta arrotondata come un'enorme mammella, circondata da un boschetto di pini e di castagni, la villa della duchessa aveva un aspetto assai pittoresco coi suoi padiglioni, le sue torricelle e i suoi tetti acuminati.
Intanto che il cavallo si avanzava al passo, scalpitando e mordendo il freno, l'Olderico cercava di sorprendere, nella fisonomia dei luoghi, qualche segno rivelatore dell'accoglienza che gli era riserbata. Senza esser fatuo, sapeva che non poteva venir considerato come il primo venuto; pure egli non era senza una certa inquietudine. L'impressione procuratagli da quella donna non era ordinaria. Egli aveva molto sentito parlare di lei, dell'austerità dei suoi costumi, del sacrificio di tutta la sua vita, e non si era potuto difendere, ogni volta che l'aveva intraveduta, o se ne era rammentato, da un movimento di istintiva curiosità dinanzi a quella che tutti, amici e nemici, chiamavano un'eccezione di donna. Però, il giorno della visita all'eremitaggio, uno spiraglio si era aperto pel suo spirito. Da che cosa poteva dunque dipendere la mestizia diffusa nella figura della duchessa di Neli, se non dal vuoto della sua vita e del suo cuore?… Egli la rivedeva, malinconica, nella semplicità quasi dimessa della sua toletta, aggirarsi pei corridoi del romitaggio, e una secreta corrispondenza gli pareva corresse tra quella figura di donna la cui vita era stata una rinunzia, e il soggiorno di coloro che avevano dato un addio al mondo, per sempre. Egli la rivedeva sotto il grigio di quel cielo autunnale, alla terrazza del romitaggio, e non poteva riuscire a difendersi da un sentimento di commiserazione pensando a quei poveri capelli bianchi, a quel tramonto d'una bellezza invano fiorita. Di quale amore tenero e forte ad un tempo doveva amare quella donna! Che tesori di affetto aveva dovuto accumulare nel suo cuore, così a lungo deserto! Come avrebbe egli voluto darle, nel breve tempo che ancora le rimaneva dinanzi, tutte le dolcezze che le erano state defraudate! Come avrebbe voluto che l'aurora dell'amore confortasse la malinconia di quel tramonto! Con quale tenerezza avrebbe egli baciato quei poveri capelli bianchi, con qual cura gelosa ne avrebbe composta e custodita una piccola ciocca!…
Ad un tratto, il cavallo si arrestò. L'intelligente animale pareva avesse compresa la distrazione del padrone e indovinata la mèta, poichè s'era fermato da sè dinanzi il cancello della villa. L'Olderico discese, legò le redini all'inferriata e s'avanzò pel viale. Dei cani gli abbaiarono contro, un servo si avanzava.
—La signora duchessa?…
—Favorisca.
L'Olderico salì la breve scala di marmo, ornata di grandi vasi. Sull'uscio, un cameriere gli fece strada. Traversarono una fila di stanze semi-buie, dove i passi si attutivano sui tappeti; la duchessa stava in un salottino ancora più scuro. Entrando, l'Olderico non l'aveva scorta; com'ella si scosse sulla poltrona, le si fece incontro.
—Signora duchessa….
—Buondì, cavaliere; è stato molto buono di ricordarsi di me! Sono lieta di poterla ringraziare a voce dei bellissimi libri. Un vero regalo. È tanto lungo il tempo in campagna, in questa stagione uggiosa! Grazie a lei, ho passato delle ore piacevolissime….
—Mi permetta di credere che tocca a me ringraziarla….
Assuefatti gli occhi a quel dubbio chiarore, l'Olderico potè veder meglio la duchessa. Ella portava una ricca veste da cameraloutrecon largotabliera pieghe disurahceleste pallidissimo; guarnizioni di merletti e cascate di nastriloutree celeste. Da tutta la persona esalava un profumo dicorilopsiscosì acuto, che finiva per dare alla testa.
Senza saper bene perchè, l'Olderico si sentiva vincere da una freddezza crescente; aveva creduto di trovare la donna incontrata al romitaggio; ne aveva invece dinanzi un'altra. Come la duchessa parlava della noia dell'autunno, delle promesse dell'inverno, egli finì per darle ragione, contro genio, per darsi un contegno.
—Ecco il suoMont-Oriol; sto per finirlo.
La duchessa prese il volume dallo sgabello vicino e stese un poco il braccio. Le sue dita erano ricoperte di anelli, i brillanti gettavano bagliori tutt'intorno.
Ora si parlava di letteratura; ella l'aveva contro i naturalisti, trovando mal fatto che non si descrivessero le cose ricche, la vita elegante, le passioni nobili e generose. L'Olderico, sempre più impacciato, parlava a pena.
La duchessa si alzò.
—Ama i dolci, cavaliere?…
—Grazie, signora duchessa….
Com'ella prese la bomboniera sul caminetto, vicino la finestra, e l'Olderico le si fece vicino, scorse la fronte di lei in piena luce. I capelli bianchi? Scomparsi, spariti; invece, la pelle era impercettibilmente macchiata di nero….
—E resterà ancora un pezzo in campagna?
—Oh, no, signora duchessa. Mi pare che ella abbia perfettamente ragione. Quest'autunno non ha nessuna poesia. Ritornerò in città domani l'altro.
La prima messa, a San Giorgio, era poco frequentata: delle donne di umile condizione, in vesti dimesse, inginocchiate dinanzi alle seggiole; qualche vecchio seduto sulle panchette di legno; due o tre beghine appartate in un angolo, riconoscibili al pallore clorotico del viso, alla rigidità quasi meccanica del gesto col quale sgranavano i loro rosarii: una trentina di persone, in tutto.
La chiesa era piccola, moderna, dall'architettura semplicissima, senza nessuna di quelle rarità dell'arte che attirano nelle case della preghiera l'irriverente processione dei curiosi, deitouristescon la guida sotto il braccio e il binocolo a bandoliera. Le pareti, quasi nude, erano d'un candore abbagliante; il pavimento, di marmo, a grandi lastre bianche e nere, aveva una lucentezza di specchio; e nell'ordine rigido, nella severa nudità regnante tutt'intorno, si rivelava uno spirito rifuggente da ogni pompa, sollecito solo della concentrazione interiore e dell'adorazione.
Era padre Ladislao il rettore di San Giorgio, l'officiante di quell'ora mattutina; e la figura del giovane ministro, austera nei semplici paramenti, dalla fronte alta e spaziosa, dagli occhi ceruli, dalla carnagione delicata, dalle mani bianchissime mirabilmente modellate che toccavano leggerissimamente i sacri arredi dell'altare, presentava un'intima, una completa corrispondenza con quell'ambiente severo e luminoso ad un tempo.
San Giorgio era tutto un mondo per il padre Ladislao, l'oggetto delle sue cure più assidue; e per continuare a regger quella chiesa, egli ritardava volontariamente l'avanzamento che lo aspettava da molto tempo nella gerarchia ecclesiastica.
L'anello piscatorio ed il pastorale sarebbero già toccati da tempo a padre Ladislao Mantaldi dei principi di Valdiriva, e qualcuno andava fino a predirgli il rosso cappello cardinalizio. Non erano soltanto le tradizioni della grande famiglia, la sua potenza, le sue relazioni, che gli spianavano così la via ai più alti gradi; era ancora, e più, la vasta intelligenza, la varia cultura, lo zelo illuminato, la modestia esemplare, la purità dei costumi, che facevano di questo gran signore una delle speranze della chiesa napoletana. E bisognava veramente stimare irresistibile quella vocazione che lo aveva fatto rinunziare, in età giovanissima, alle seduzioni del mondo, alla eccelsa posizione che egli vi era naturalmente chiamato a sostenere, per l'umile nera veste del seminarista. Più tardi, quando era giunta l'ora di pronunziare i voti irrevocabili, quando una sua sola parola avrebbe deciso dell'intera sua vita, si era creduto che egli si sarebbe arrestato dinanzi alla definitiva e irreparabile rinunzia. Ma quella parola, Ladislao Mantaldi l'aveva pronunziata con voce ferma e sicura; e tutto era stato detto, per sempre.
Per iscoprire l'ignoto autore di un delitto, il magistrato possiede un criterio ordinariamente sicuro: cercare se il delitto può avere arrecato dei vantaggi, ed a chi. Coloro che si fossero rivolta una simile domanda, dinanzi alla rinunzia di Ladislao Mantaldi, sarebbero stati messi sulla via della verità. Dando un addio al secolo, egli primogenito, era suo fratello minore che ereditava, col titolo del nobilissimo casato, i beni terrestri; e la cieca passione che la principessa madre aveva per il suo secondo figlio spiegava il sacrifizio che Ladislao, col suo carattere mite, ossequente, rassegnato, era stato persuaso a compire.
Pronunziando i suoi voti, egli non aveva inteso però di adempiere ad una semplice formalità, con una di quelle restrizioni interiori così frequenti che modificano e talvolta annullano gl'impegni che noi affermiamo di prendere dinanzi a noi stessi. Nella sua nuova vita, a cui l'educazione religiosa disposta dalla madre lo aveva preparato del resto fin dagli anni più giovani, quando le sue passeggiate, sotto la scorta d'un vecchio prete, avevano per meta un antico convento, e gli stessi suoi giuochi consistevano in rappresentazioni sacre; in quella sua vita Ladislao era entrato interamente, senza transazioni di sorta, col fervore solo capace di attutire la sorda voce che diceva la dolcezza delle gioie terrene.
Per il giovane imbevuto di precetti rigidamente impartiti, fuori di ogni personale esperienza, era stato lungo tempo un argomento di sconforto il ritorno frequente di questa voce, la visione ostinata di quel che egli aveva già appreso a considerar come il Male. La purezza nelle azioni gli pareva una cosa molto mediocre, se ad essa non avesse corrisposto quella dei sentimenti, e con un terrore infinito egli si vedeva impotente non che a domare, ma perfino a guidare il proprio pensiero. In questa sua dolorosa incertezza, in quest'intima impotenza, egli aveva temuto di andare incontro ad una perdizione eterna, ingannando gli uomini e Dio con le aspirazioni ad una santità che si vedeva incapace di conseguire là dove appunto sarebbe stata più meritoria, nel dominio spirituale.
Lo spirito d'analisi, grandezza e tormento dell'uomo moderno, non sarebbe che un effetto della legge cattolica dell'esame di coscienza? Qualunque ne sia l'origine, il certo è che esso prende, in certe nature superiori, uno sviluppo esorbitante, nel quale la sottigliezza dell'indagine è in ragione inversa della nettezza dei risultati. A un tale stato intimamente angoscioso la lunga pratica di scendere in fondo alla propria coscienza aveva ridotto padre Ladislao, quando egli era perfino arrivato a temere che quella sua ingenua persuasione di indegnità potesse essere una suggestione perversa, un comodo pretesto trovato per evitare la via della rinunzia e per conseguire il sodisfacimento delle sue brame secrete.
Allora, la parola del vecchio maestro che aveva sorretto i suoi primi passi, dell'umile prete venerato come un padre, lo aveva tratto da quell'angoscia, con la dimostrazione della universalità di ciò che egli aveva creduto un caso particolare, una specie di morbosa impotenza di cui egli solo si trovava di essere vittima. Allora, egli aveva misurato l'abisso che separa sempre l'azione dall'intenzione; aveva compresa l'irriducibilità del pensiero, l'incoscienza con la quale si compiono le operazioni dello spirito, e rassegnatosi quindi alle inconfessate e spesso inconfessabili suggestioni della mente, la sua vocazione si era fatta più salda, più sicura, col dovere che gli si tracciava ora nettamente dinanzi, di illuminare le anime umane, di guidarle, di sorreggerle con tanta maggiore sollecitudine quanto più grande, più naturale era la probabilità della colpa.
Una reputazione di santità era il frutto di quella abnegazione; una reputazione di cui egli avrebbe sorriso nel suo interno, con qualche sfumatura di amarezza, se non fosse stato più forte in lui lo spirito di compatimento per gli errori degli uomini…. Quel giorno, come sempre allorquando egli dominava dall'altare la folla dei fedeli sparsa qua e là per la chiesa, il pensiero del contrasto fra il rispetto, fra la devozione un poco meravigliata che si leggevano negli sguardi di quanti lo circondavano, e l'intima sfiducia di esserne veramente degno, occupava la sua mente intanto che egli si preparava ai mistero dell'elevazione. Se gli uomini avessero potuto leggergli nell'anima in quell'ora; se avessero potuto sospettare il dubbio che vi tenzonava, intanto che egli teneva chini gli sguardi sul messale e le mani congiunte in segno di adorazione?…. In quei momenti, per l'attenzione stessa di cui lo faceva oggetto, il dubbio s'ingigantiva; egli si persuadeva della propria indegnità, dell'ipocrisia che vi era da parte sua nel presumere di farsi curatore di anime, lui che aveva pel primo bisogno di esser guidato! In una rapida evocazione, riprovava allora le inquietanti impressioni dell'adolescenza, quando veniva di tratto in tratto nel sontuoso palazzo degli avi, e come dietro un sipario intravedeva il magico spettacolo del mondo e delle sue attrattive; allora, l'acuto profumo dei fiori freschi, unica nota vivace profusa su quegli altari quasi nudi, gli procurava un turbamento profondo…. Un istante dopo, la crisi era superata; egli aveva degli slanci interiori di sommessione, di sacrifizio, che lo redimevano ai proprii occhi; mentre l'ostia si alzava, in un nembo d'incenso, egli si prostrava con lo spirito, si faceva umile, si annichiliva, e nel suo volto non si leggeva più che una pietosa serenità….
La messa era finita. Come le sacramentali parole furono pronunziate, si levarono per la piccola chiesa dei rumori diversi: urti di sedie rimosse, stropiccii di passi; e padre Ladislao, passato nella sacrestia, si disponeva a spogliarsi dei suoi paramenti. Ad un tratto, il giovane seminarista che aveva servito l'uffizio e che si era attardato in chiesa, venne a raggiungerlo con un'animazione nel bel volto bianco dagli occhi intelligenti.
—Padre Ladislao,—diss'egli, mostrando col braccio disteso la porta di legno scolpito a bassorilievi,—vi è in chiesa una signora, una signora entrata a momenti, che domanda di lei, per confessarsi….
—Ebbene?
—Che cosa debbo dirle?
—Che vengo subito.
Il seminarista scomparve, intanto che padre Ladislao finiva di rivestirsi, con una lentezza un poco in contraddizione con la sua risposta. In verità, egli non si sentiva molto disposto alla confessione quel giorno; il suo spirito non aveva la necessaria lucidità, delle nebbie erranti lo velavano. Nondimeno, come fu pronto, rientrò in chiesa. Si era avanzato di qualche passo appena, quando scorse la donna inginocchiata accanto ad un pilastro, col velo nero come la veste gettato sulle spalle. Egli stese a un tratto un braccio tremante, quasi in cerca di un appoggio, e si scolorì rapidamente in viso.
Vistolo, ella gli s'era avvicinata, prendendogli una mano e portandola alle labbra, prima ancora che egli avesse potuto pensare di opporsi a quell'atto.
—Padre, se non la disturbo….
Era lei, la sua figura, la sua voce!… Il suo lontano sogno di giovanotto improvvisamente riapparso, con l'intensità della vita stessa, col materiale contatto di quelle labbra che gli bruciavano la mano, malgrado egli tentasse di cancellarne con l'altra l'impronta…. Come mai la tentazione delle sue notti lontane gli veniva ancora dinanzi, quand'egli giudicava di averla domata per sempre? E che cosa voleva da lui, che aveva saputo custodire nel più profondo dell'anima il proprio secreto?
—Confiteor….
Ma egli non poteva confessarla! Non poteva confessare nessuno, e lei tanto meno! Egli era un uomo, debole, cieco, turbato, malfermo come tutti gli uomini, ed in quel momento d'affanno più di tutti gli altri! Perchè metterlo dunque alla prova; e quale mostruoso sacrilegio doveva compirsi sotto quel confessionale, nella casa del Signore?…
Nessuno di quei varii sentimenti tumultuanti in lui si poteva rivelare alla donna. Accasciata in ginocchio sulla predellina, dietro la piccola finestra tutta simmetricamente forata, ella cominciava a parlare con voce rotta dall'emozione, cercando stentatamente le parole, con frequenti reticenze piene di turbamento. Ella diceva i pericoli che la insidiavano, l'abisso della colpa che le si spalancava dinanzi, che le dava le vertigini, e che l'attirava…. Unita contro la propria volontà ad un uomo che non amava, ella non era libera di soffocare la voce del cuore; poi, ella sapeva tutta la gratitudine di cui quell'uomo che le aveva dato il suo nome ed il suo affetto—il padre di sua figlia—era degno; la gratitudine, sì, qualcosa di più del dovere…. ed ella si sentiva dilaniar l'anima, e la sua pace era perduta, ed invocava una parola che la reggesse in quella lotta di tutti gl'istanti, tanto più atroce quanto più intima.
—Padre, o padre! voi che tutti venerano come un santo, voi che passate pel mondo sorretto da una forza divina, datemi voi un aiuto…. Io non ho nessuno accanto a me; non ho più mia madre; mia figlia è lontana, chiusa in un lontano convento…. Ditemi voi, padre, come vincere in questa guerra….
Dietro la sottile parete di legno traforato, rispose la voce del confessore, leggermente velata:
—L'aiuto che altri può dare non è mai così efficace come quello prestato dalla propria coscienza. È ad essa che bisogna domandarlo; essa non lo nega mai fin quando è viva. E che sia viva, lo prova questa confessione, il contrasto provato, il pentimento prima della colpa….
Ella balbettò:
—È orribile!… È orribile!
La voce tacque un istante, un rapido istante; poi riprese:
—Fin quando la colpa ispira quest'orrore, non bisogna disperare. Vi sono delle leggi che regolano tutto: il mondo materiale come il mondo spirituale, l'universo come la vita. Tutto ciò che offende la legge è condannato naturalmente a perire; la colpa porta con sè il gastigo immancabile.
—O padre, basterà dunque astenersi dal peccare per paura della punizione?
—-Bisogna ancora alzar gli sguardi in alto…. ma non tutti ne sono capaci.
Vi era una impercettibile intonazione di durezza nella voce che aveva pronunziate quelle parole e che, subito dopo, si era spenta. La donna aveva preso a respirare affannosamente, rovesciando un poco la testa, come in cerca d'aria. Poi, riavvicinandosi alla finestrella, nascondendosi la faccia tra le mani, mormorò rapidamente:
—Misericordia…. misericordia di me! Perdono, Signore, pietà!…
Un silenzio di qualche momento, durante il quale non si sentiva altro che il respiro affannoso della penitente. Dall'interno del confessionale, nessun segno di vita, come fosse deserto. Poi, una voce ne uscì, più profonda, più velata, trasformata così che non pareva più quella di prima.
—Nessuno domanda invano pietà, nessuno si rivolge invano alla eterna misericordia. Il pentimento è il lavacro di tutti gli errori; il ritorno dell'anima che minacciò di smarrirsi è ancor più festeggiato tra gli eletti….
La voce si faceva a poco a poco sempre più fievole, si spegneva, moriva.
Ella si passava ora una mano sulla fronte ardente, ne scostava nervosamente i riccioli dei bruni capelli.
—Sì, sì; io sono colpevole, più di quanto ho detto,—balbettava ansiosamente.—Io non ho detto tutto, e questa è una nuova colpa…. Il peso del mio secreto mi soffoca, mi toglie il respiro…. Ho giurato a due uomini…, ad uno dinanzi alla legge umana e divina; all'altro dinanzi alla mia coscienza…. E non debbo, mio Dio! ingannar l'uno, e non posso scordarmi dell'altro!… Come ho resistito, quante volte ho pregato il Signore di darmi quella forza che a poco per volta mi è venuta mancando, quante volte ho invocato la generosità di quell'uomo sempre più insistente….
La voce disse, duramente:
—Non bisogna contare sulla generosità degli uomini.
—Ah, sì! è stato forse questo il mio errore; è per questo che mi sono sentita trascinare sempre più vicino all'orlo della colpa, da rasentarlo…. da esser considerata come perduta…. Ah, che dolore e che vergogna, all'accusa menzognera! Perchè non è vero, padre! perchè se ho peccato col pensiero, non ho peccato con le opere!… E non esser creduta! E non aver nessuno al mio fianco, dinanzi a cui piangere le lacrime dell'innocenza e del rimorso; dover comporre una maschera di serenità dinanzi all'uomo che ho offeso: non trovarmi accanto mia figlia… Io piangerei dinanzi ad essa, ma non sarei costretta ad arrossire; lo giuro a Dio, sulla mia salute eterna…. Padre…. Padre, mi ascoltate voi?
La voce rispose, dolce e lieve:
—Ti ascolto, figlia mia, come ti ascolta tua madre di lassù….
Allora, ella ruppe pianamente in pianto. Gli occhi aridi, le guancie ardenti, erano tutti irrorati dalle lacrime, l'eccitazione dello spirito trambasciato si risolveva in quella crisi benefica.
—Madre mia!… Madre mia!… Che buona parola!… Come fa bene poter piangere!… Sarò dunque perdonata?…
—Sempre che ne avrai la speranza….
—Il pianto non è dunque una debolezza, se io mi sento ora più forte di prima, più disposta ad uscir vincitrice dalla lotta?… Che bene mi avete fatto, padre mio!…
—Bisogna guardarsi dall'eccesso della fiducia dopo l'eccesso dello sconforto. A sostenerti, riprendi tua figlia presso di te; il posto delle figlio è accanto alle madri. Pensa che essa penserà a te, come tu oggi pensi a tua madre; pensa che l'amore, l'odio, l'ambizione, l'invidia, tutte le più forti passioni finiscono prima di noi, e che, quando tutto è finito, una cosa resta: la soddisfazione del dovere compiuto….
Parlava ancora, sotto voce, con una grande dolcezza, che ella io interruppe:
—Sì, è vero, è giusto!… Grazie, padre; grazie del bene che mi avete fatto…. E potrò ancora ricorrere a voi?
—Ogni volta che ne avrai bisogno.
Ella restò ancora un poco in orazione; poi si levò, traversò lentamente la chiesa, bagnò le dita nella pila dell'acqua santa, si curvò ancora voltandosi, ed uscì.
Il seminarista, che aveva finito di mutare le tovaglie degli altari per la prossima festa, vedendo che padre Ladislao non usciva ancora dal confessionale, si avviò verso di lui.
Al rumore di quel passo, il confessore venne fuori. Era straordinariamente pallido in viso, ed aveva uno sguardo incerto che fece chiedere al piccolo chierico:
—Padre, la confessione l'ha stancato?
—No, no….
—Allora, si fa oggi la prova della cantata?
—Domani, Luigi; dirai che vengano domani. Oggi ho qualche cosa da fare.
Diede ancora alcune disposizioni; poi uscì, dirigendosi verso la città alta. Camminava rapidamente, col capo chino, senza guardare nessuno. In breve, si lasciò dietro le ultime case, ed avanzò per l'erta della collina. Gli alberi proiettavano il loro verde tenero sull'azzurro del mare; un mare tranquillo come un lago, popolato qua e là di stormi di piccole vele. La strada, nei suoi zig-zag, rasentava l'orlo della scoscesa, difesa soltanto da un basso parapetto, e l'occhio, di lì, dominava l'abisso.
Padre Ladislao procedeva sempre con passo eguale. A volte, un alitare più forte della brezza gli avvolgeva fra le gambe la nera veste, impacciando il suo andare. Egli sostava un momento, portava una mano al cappello e spingeva uno sguardo lontano, all'orizzonte. Giunto finalmente dinanzi ad un cancello arrugginito fra due pilastri di mattoni dai quali l'intonaco era quasi tutto scomparso, lo spinse, ed entrò nel grazioso podere, piantato a vigne dalla rigogliosa vegetazione. Sulla piccola spianata della casetta, all'ombra d'una tettoia, un prete vecchissimo stava seduto sopra una poltrona di cuoio, reggendo un breviario con le mani scarne. Come i passi si avvicinavano sempre più, egli volse un poco il capo, e posando il libro sulle ginocchia, con le mani stese verso l'arrivante ed una espressione di letizia nello sguardo, esclamò:
—Ladislao, ragazzo mio!…
Il nuovo venuto prese una di quelle mani, la portò alle labbra e la baciò. Poi, curvandosi un poco, quasi in ginocchio e con la testa bassa:
—Padre,—disse,—sono venuto per confessarmi.
Come le carrozze si fermarono dinanzi alla porticina della casa in costruzione, e ne cominciarono a discendere i padrini col fascio delle sciabole avvolte in un vecchio panno verdastro di tavolo da giuoco, la comitiva raccolta nelCaffè della Stazione, in fondo alla piazza lì dirimpetto, si agitò.
—Eccoli!… Eccoli lì!
—Ci sono tutti?—chiese il Monterani.
—Manca ancora il marchese. Quello lì non è il dottor Salandri?
—E l'altro dottore?
—Non si vede. Sono già le tre.
Tutti gli occhi erano rivolti da quella parte; il cameriere, col tovagliolo sotto il braccio, se ne stava fermo sull'uscio a curiosare.
—Ed il motivo di questo duello?—chiese l'avvocato Corsi.—Se ne sa nulla?
—È semplicissimo. Luzzi annoiava il marchese con le sue assiduità presso la moglie.
—Ed il marito non ha trovato di meglio che mandarlo a sfidare?
—A proposito,—interruppe il Monterani rivolgendosi a Baldassare Gargano, che non aveva ancora aperto bocca.—Tu non sei stato pregato dal marchese di rappresentarlo?
—Sì, ma non ho accettato.
—Hai delle ragioni speciali?
—Ho giurato, dopo l'ultima volta che presi parte ad una quistione d'onore, di non fare più il padrino a nessuno.
—Perchè?… Che cosa ti è successo?
—Una scena che non dimenticherò mai più.
—Qualcuno dei combattenti è rimasto sul terreno?
—Al contrario; il duello non avvenne.
—Oh, allora?
—Racconta, racconta un poco!—insistettero tutti, ad una voce.
—Bisogna innanzi tutto sapere,—cominciò Baldassare Gargano,—i motivi pei quali si scendeva sul terreno. Fu una sera, a…, al Circolo dello Sport, dove mi ero recato per caso, per non sapere che cosa fare di me. Avevo sfogliato dei giornali, scambiata qualche parola con alcune conoscenze, ed ero passato nella sala dei bigliardi. Stavo per sedermi, attirato dall'interesse di una partita impegnata fra due delle più forti stecche, quando scorsi, appoggiato allo stipite di una porta, quasi nascosto dalla tendina, il conte di Bauern; sapete, il figlio del ministro di Sassonia?…. In altre circostanze, quell'incontro non mi avrebbe fatto nè caldo nè freddo; ma il conte era stato di fresco colpito da una grande sciagura: la morte della sua giovane moglie adorata e pianta amarissimamente. Il triste avvenimento, che aveva commosso tutti coloro dai quali la contessa era stata conosciuta, non era molto recente, datava forse da quattro o cinque mesi; nondimeno, era quella la prima volta che lo sconsolato marito riappariva in pubblico. Questo fatto stesso vi potrà dare un'idea dell'intensità di un dolore le cui traccie, appena io ebbi scorto il conte, potei leggere sulla sua figura disfatta, nella magrezza e nel pallore del viso che l'abito nero contribuiva a mettere in ispicco, nello smarrimento degli sguardi nuotanti come in un vapore di lacrime. Il lutto che aveva nelle vesti, era anche nell'anima—di quanti vedovi credete voi che si possa dire altrettanto? Egli è che la contessa di Bauern, la gentile creatura così rapidamente sparita, riuniva tutte le condizioni per rendere felice un uomo—se la felicità è possibile. Bellezza, grazia, cultura, nobiltà di nascita e di sentimenti, austerità di costumi; ella aveva tutto; ed io non so se un nuovo Pigmalione, foggiandosi da sè un essere destinato a dividere la propria vita, avrebbe potuto farlo più perfetto. Per ogni dove, il conte di Bauern era guardato con un sentimento di invidia, che la possessione di un tale tesoro destava, ma che—pur troppo!—doveva presto mutarsi in pietà, quando il rapido estinguersi di quell'esistenza venne in certa guisa a dimostrare come essa non fosse fatta per questa terra….
—Ecco, ecco il marchese!—interruppe il Monterani.
S'intese infatti il rotolare di un legno che venne anch'esso a fermarsi dinanzi alla casa in costruzione. Erano tre le carrozze stazionanti ora lì vicino, circondate da alcuni curiosi che domandavano notizie ai cocchieri.
—Dicevo dunque—riprese il raccontatore—che vedendo per la prima volta al Circolo il vedovo conte, non potei esimermi da un movimento di curiosità. Senza essere molto intimo con lui, lo conoscevo abbastanza. Al tempo della sua disgrazia, ero andato a lasciargli una carta—formalità che ha il grande vantaggio, come tutte le formalità, di dispensarvi da ogni altra cura; però, vedendolo al Circolo, notando la sua tristezza, la curiosa espressione dei suoi occhi nei quali si leggeva la ricerca della distrazione in lotta col bisogno di concentrarsi nel proprio dolore, credetti conveniente di avvicinarlo. Quando gli fui accanto, mi pentii della mia iniziativa. Il conte di Bauern, presente col corpo in quella sala di bigliardo rischiarata dalle sei lampade dai grandi riflettori, ne era lontano con lo spirito—infinitamente lontano. Dove vagava esso? che cosa cercava? quale visione seguiva? Non lo so; so questo: che ebbi appena l'agio di stringergli la mano, di balbettare non ricordo più quali frasi di convenienza, e passai in una sala vicina.
«Quando il diavolo ci mette la coda….
—Un'altra carrozza!… Il medico del Luzzi….
—Silenzio!—ingiunse l'avvocato, che l'interesse aveva già preso.—Quando il diavolo ci mette la coda?
—Nulla può impedire il precipitare delle catastrofi. Giusto quella sera, un'indisposizione della Nevosky aveva fatto sospendere lo spettacolo, e un tempo orribile aveva reso problematico per molta gente l'impiego della serata.
«A poco a poco, una comitiva rumorosa si formò nel Circolo, alla testa della quale era Rodolfo Vialli, un capo scarico, un essere leggiero più della cenere di questa sigaretta. Si chiacchierò, dapprincipio; si commentò la malattia della cantante, si mise non so che scommessa, e a un tratto il Vialli, pigliandosi sotto il braccio l'Ansaldi, un dilettante di musica suo competitore, lo trascinò al bigliardo. La curiosità mi spinse di nuovo da quella parte; il giuoco cominciò, fra il sopravvenire continuo di nuova gente….
All'orologio del caffè scoccò la mezz'ora.
—Debbono già essere in guardia—disse qualcuno.
—State a sentire!—ingiunse di nuovo l'avvocato.
—Se voi volete—riprese il narratore—che io vi ridica in qual modo da una questione d'arte il discorso sdrucciolasse a poco a poco nella maldicenza, io non potrei contentare la vostra curiosità. Sapete come avviene: una parola tira l'altra: si sa donde si parte, non si sa dove si va a parare. Si parlava di uno scandalo scoppiato in una famiglia dell'alta società, uno dei soliti drammi domestici: il marito che scopre la colpa, la moglie che deserta la casa coniugale per seguire l'amante.
«Povero Geppino,—esclamava il Vialli, parlando di quest'ultimo—che tegola sul capo! Queste cose, da principio, sembrano il paradiso, come all'amante diSaffopareva il paradiso salir le scale di casa portando l'amica sulle braccia. Arrivato in cima, stava per morire dalla stanchezza!…» Non so più chi osservò: «Quando si affronta una situazione, si ha il dovere di subirne le conseguenze.»—«Non dico il contrario—rispose lentamente il Vialli, studiando se gli convenisse di tirare la sua palla sulla bianca o sulla rossa.—Non dico di no…. ma l'adempimento di un dovere non è sempre una cosa allegra….—E, mancata la carambola: Il malanno al dovere!… La fortuna è di poter rompere a tempo!…» L'Ansaldi, anche lui, sbagliò il suo colpo. «Alla rivincita!…—disse il Vialli, ma irritato da un nuovo sbaglio:—Le liberazioni,—esclamò,—come quella della Bauern non capitano tutti i giorni!…»
«Amici miei, io non so ripetervi quel che provassi in quell'istante. Che cosa voleva dire il Vialli? O avevo frainteso?… Automaticamente, appena egli ebbe pronunziato quel nome, gli occhi mi andarono alla portiera dove avevo visto il conte. Egli era ancora lì… scorsi soltanto i suoi occhi, gli occhi lucenti come fossero di fosforo. Si erano quegli altri accorti come me della sua presenza? Perchè nessuno si alzò? perchè io stesso non mi alzai di scatto gridando al malaccorto: Taci, sciagurato: non vedi tu chi ti ascolta?… Vi sono dei momenti nei quali una tragica fatalità sembra pesare su di noi; nei quali, con la nitida percezione di quel che ci avviene dintorno, noi abbiamo, come negl'incubi, l'assoluta impossibilità di far nulla per arrestare il corso delle cose…. Io vi dico tutto questo ora; in quel momento non vi fu il tempo di pensarne una minima parte. «Augusto Secchi—continuò il Vialli, sbattendo per terra la sua stecca—è stato ben fortunato di liberarsene….
«Oh, che scena; che terribile scena! S'intese sul tavolato il rumore di un passo, che fece voltare tutta quella piccola folla, e il conte di Bauern, come un'apparizione fantastica, si avanzò verso il Vialli. Nessuno si mosse; io non avevo fiato da respirare. Quando il conte fu vicino al giuocatore, disse con voce d'una freddezza stridente—lasciate pure correre l'espressione—che mi risuona ancora all'orecchio: «Mentitore vigliacco!…» Come allo scatto di una molla, il Vialli alzò la stecca; allora il conte, in un lampo, glie la strappò di mano e mandando indietro l'uomo con un urto nel petto, ruppe sul ginocchio il forte bastone come fosse un fuscellino…. Cieco d'ira, il Vialli fece per slanciarsi su lui, ma era troppo; il terrore da cui eravamo stati ammaliati svanì; dieci, venti persone si slanciarono in mezzo, io fra questi; e, trovatomi vicino al conte, lo trascinai in un'altra stanza….
«Egli era stato ammirabile di coraggio e di sangue freddo; ancora non un tremito tradiva l'emozione che certo aveva dovuto essere formidabile. Tutti, concordemente, condannavano il Vialli. Calunniare una donna su cui nessuno aveva mai avuto nulla da dire, infamare la memoria di una morta senza nessuna possibile scusa, e ciò dinanzi a tanta gente, dinanzi al marito, era una leggerezza che rasentava la colpa. «So che ho torto—esclamava egli nell'altra stanza—ma non sono disposto a soffrire in pace gl'insulti.» Il fatto è che, non potendo trovare padrini fra le persone presenti, fu costretto ad andarli a cercar fuori. Il conte, da parte sua, mi pregò con una correttezza impeccabile che in quel momento era ancor più notevole, di assisterlo in questa circostanza, indicandomi il barone Narconi come testimonio. «Accettino ogni patto; desidero solo che si faccia presto. Se è possibile, domani stesso.» E andò via. Erano trascorsi pochi minuti, che tornò l'altro coi suoi secondi. Avrei voluto stabilire ogni cosa in poche parole; facevo i miei conti senza il signor Mendosa, il padrino del Vialli. Un avvocato in tribunale, un diplomatico incaricato di negoziare un trattato, non è più minuzioso, più meticoloso, più circospetto, più attaccato alle forme di quel che egli era. Io non avevo una gran pratica di queste cose; ma parevami che vi fosse poco da discutere. La qualità delle offese, il modo con cui erano state fatte, quale fosse la più grave, a chi toccasse la scelta delle condizioni, le condizioni stesse: tutto fu soggetto di lunghi dibattimenti. Prevedevo che, con quella specie di contradditore, avrei avuto molto da fare sul terreno. Come Dio volle, si stabilì che lo scontro, alla spada, a discrezione dei dottori, sarebbe avvenuto il domani alle otto del mattino.
«Lasciai, la sera stessa, un biglietto dal portiere del conte, e il domani, alle sette, insieme col barone Narconi, passai da casa sua. Fummo introdotti in una sala di studio e il domestico passò ad annunziarci. Aspettammo, aspettammo: non veniva nessuno. Ci guardavamo l'un l'altro, non sapendo che cosa pensare. Ad un orologio vicino suonarono le sette e un quarto. E non veniva nessuno. È difficile farsi un'idea dell'imbarazzo in cui lo stranissimo caso ci metteva. Bisognava prendere una risoluzione mi avvicinai ad un bottone di campanello elettrico e suonai. Lo stesso domestico riapparve. «Avete annunziata la nostra visita?»—«Immediatamente.»—«Il signor conte è levato?»—«Signor sì.»—«Allora, ripassate a dirgli che non c'è tempo da perdere….»—Dopo qualche minuto, la porta si schiuse, ed il conte apparve. Si avanzò, lentamente, e con un tono di cerimonia, come dinanzi a degli sconosciuti, ci disse: «In che cosa posso servirli?…» Non mi perdo in commenti da darvi un'idea della nostra stupefazione,—più che stupefazione, cominciava ad essere sdegno. «Ma, scusi, iersera io le scrissi che lo scontro sarebbe avvenuto stamani alle 8!»—«Ah!» fece egli, e pareva cascasse dalle nuvole! Aveva ancora gli stessi abiti della sera, era evidente che tutta la notte non si era svestito. «Tutto è pronto—disse il barone—e sono già le sette e mezzo….» Il conte si passò una mano sulla fronte. «Dunque, bisogna andare?…»
«Imaginatevi come rimanessi!—In carrozza, nessuno disse una parola. Il conte guardava lo sfilare del paesaggio, e la sua destra passata nello sparato dell'abito aveva un piccolo tremito. Io cominciavo a sentire una viva inquietudine; quello che succedeva, mi faceva temere di peggio quando saremmo stati sul terreno, con l'aggravante che avremmo avuto da fare col terribile signor Mendosa. Il conte aveva paura di battersi: questa era la persuasione che, malgrado la scena drammatica a cui ci aveva fatto assistere la sera precedente, si faceva nel mio spirito. Il ridicolo della cosa ricadeva su di noi, ed io ero disposto a tutto, fuorchè a veder ridere il Mendosa alle mie spalle.
«Si arrivò. Era una villa signorile, nella cui corte, al riparo da ogni sguardo curioso, il combattimento doveva seguire. Il combattimento! Ma il conte di Bauern pareva avesse tutte le voglie, fuorchè quella di battersi. Guardava per aria, si pigliava la fronte tra le mani, strappava delle foglie dalle piante—e tremava! È vero che la mattinata era rigida. Malgrado la perdita di tempo, eravamo arrivati i primi. S'intese una carrozza fermarsi: era il nostro dottore. Alcuni istanti dopo, arrivarono tutti gli altri. Salutati quei signori, mi voltai a cercare del conte. Il conte era scomparso! Aveva oltrepassata tutta la corte ed era andato ad appoggiarsi ad un angolo dell'inferriata del giardino. Mi avvicinai a lui e lo ricondussi sul terreno, dicendogli con una concitazione che mi pareva troppo giustificata: «Spero che il signor conte non perderà la sua presenza di spirito!» Quegli altri si avanzavano anch'essi. Allora, come il conte di Bauern scorse il Vialli, scoppiò in una risata….
—Il duello è finito!—esclamò ad un tratto il Monterani.—EccoVillardi che chiama la carrozza….
L'interruttore si alzò, per andare a chieder notizie, fra le proteste degli altri ai quali l'interesse del racconto aveva fatto dimenticare la curiosità che li aveva là radunati.
—Dicevi dunque?…
—Che il conte scoppiò ad un tratto, alla vista del Vialli, in una risata. Dire l'impressione che quello scroscio di risa fece lì in mezzo, non è possibile; lo scoppio improvviso di un tuono a ciel sereno non avrebbe prodotto l'eguale. Ma la luce come di un lampo si fece ad un tratto nel mio spirito: mi slanciai verso il conte…. Il nostro dottore mi aveva prevenuto. Fermandomi con un gesto della mano, e mostrando quella scomposta figura, le cui palpebre tratto tratto battevano, dalla cui bocca uscivano mezze parole, egli disse vivacemente «Questo duello è impossibile; il signore non gode delle sue facoltà mentali….» E di subito, quasi a conferma di quella sentenza, il conte si strappò violentemente il vestito, frugandosi con una mano nel petto. Era impazzito….
—Oh! dalla paura?…—interruppe l'avvocato.
—No,—rispose Baldassare Gargano.
—E allora?
—Voi volete sapere perchè il conte di Bauern era impazzito?… Perchè l'asserzione del Vialli nella sala dei biliardi era vera; perchè Augusto Secchi era stato proprio l'amante della contessa….
—Che!…—esclamarono tutti.
—Pare incredibile, non è vero? Eppure era stato così!… Rientrando in casa, quella sera, con le terribili parole ancora risuonanti all'orecchio, che cosa aveva provato il conte di Bauern? Quale sospetto rodente gli era entrato nel cervello? Per quali gradi insensibili o per quale rapido passaggio, l'indignazione prodotta dall'infame calunnia aveva dato luogo al dubbio tormentatore? Quali prove, quali indizii, quali ricordi sorsero nella sua mente e presero corpo? Nessuno potrebbe ridirlo. Non si possono accertare che i fatti; ed il fatto accertato è questo: che, dopo la morte della moglie, il conte passò, quella sera per la prima volta, nella stanza un tempo occupata dalla defunta, e lasciata religiosamente nello stato in cui si trovava quando era abitata. Nessuno seguì il conte in quella stanza; ma, al nostro arrivo, il domestico aveva trovato lì il suo padrone. In quella stanza, nascosta dentro un piccolo armadio la cui chiave stava ordinariamente nelnécessaireda lavoro della contessa, il conte trovò la corrispondenza di Augusto con la propria moglie…. Centinaia di lettere, le prove palpabili—le più eloquenti, le più irrefutabili!—di ciò che aveva asserito il Vialli! Quella relazione, troncata dalla morte, durava da più di due anni; e nessuno—o ben pochi—l'avevano sospettata, e il conte aveva votato tutto sè stesso alla memoria della moglie idolatrata!… Che cosa accadde dentro di lui alla improvvisa rivelazione? Dovette essere un crollo spaventevole, una rovina terribile. Un ciclone che si abbatte sopra la vostra casa, su tutto il vostro paese; un disastro che vi porta via tutta la vostra fortuna e non vi lascia altro che gli occhi per piangere; la morte d'una persona cara che isterilisce la sorgente delle lacrime, dànno appena un'idea della miseria in cui il conte fu repentinamente piombato. L'amor suo per la contessa era tutta la sua vita; scomparsa la creatura reale, restava almeno nel suo cuore l'immateriale figura, la pura idea; ed in quella religione d'oltre tomba l'uomo trovava ancora una ragione—l'unica ragione di vivere. Ora avveniva questa cosa orribile: la profanazione d'un ricordo, la morte d'una fede!… Ad un tratto, quella imagine ideale portata gelosamente nell'anima, adorata, divinizzata, invocata a tutti gl'istanti come il supremo dei beni in tanta amarezza ed in tanta solitudine, ad un tratto si dissolveva in putredine…. Che cosa posso io dirvi ancora? Come poter seguire in tutte le sue fasi il processo svoltosi nel secreto della coscienza di quell'uomo? Io ve ne ho detto il risultato, lo smarrimento della ragione, preparato da lunghe ore di un'agonia spirituale, affrettato dalla vista di colui che per il primo gli aveva rivelata l'amara verità….
—Il marchese ha una spalla fracassata,—venne in quel momento a riferire il Monterani.
—Ecco il giudizio di Dio!—esclamò l'avvocato Corsi.
—Non conosco cosa più buffa,—riprese Baldassare Gargano.—Ed il comico di quella tragica scena, sapete voi qual era? Che il Mendosa, alla dichiarazione del dottore, esclamò guardando in giro: «È un caso imprevisto!…» Io non dimenticherò mai l'aria di meraviglia, di sbalordimento, di curiosità, di indignazione, di incredulità, che alla folle risata ed alle parole del medico gli si era dipinta sul viso: «È un caso imprevisto!…»
«Una fede perduta, una ragione smarrita, un'esistenza spezzata, il terribile dramma scoppiato in una coscienza, si riducevano per quel signore ad un caso imprevisto nella giurisprudenza cavalleresca. Evidentemente, il codice aveva una lacuna. Perchè non si dice in un articolo che cosa bisogna fare se uno dei due avversari perde la ragione sul terreno? E quali conseguenze diverse derivano, secondo che l'impazzito è l'offeso o l'offensore? Come va fatto il verbale? E come accertare la pazzia?…»
Vi era un grande umorismo nella serietà con cui Baldassare Gargano diceva quelle cose.
—Avete ragione!—esclamò l'avvocato.—La verità,—aggiunse poi, a modo di conclusione,—è che siamo dei matti un po' tutti.
9 settembre.
Ella parte!… Ella muore!…
Ella muore per me!… Io non la rivedrò più mai!… Quale strana, quale fatale potenza si racchiude in questa parola breve ed acuta come il grido che strappa il dolore? Io ne esamino la forma, ne studio il suono, cerco di scoprirne il significato recondito: Mai! mai! mai!…
Ed è vero? ed è possibile?… Le divine emozioni che io ho provate nella presenza di lei, la luce che si irradiava dai suoi occhi fin nei recessi dell'anima mia, le sussurranti armonie della sua voce, la muta comunione degli spiriti, tutto questo sta per finire?… Nulla di ciò che si è destato in me, degli ardori, delle tenerezze, degli entusiasmi, dei fremiti, dei delirii, degli sconforti, delle esultanze, nulla, nulla di tutto questo resterà?… Come un bolide che solca luminosamente l'oscurità dei cieli, e che si dissolve in una pioggia d'oro, questo tumulto dell'anima amante si dissipa?… svanisce?…
Mai! Mai! Mai!…
L'oscurità si fa tutt'intorno, un crespo avvolge tutte le cose. È lutto nel cuore, è freddo nella natura…. O glorie di luce raggianti nei crepuscoli estivi! O voci misteriose parlanti nelle paci delle notti imbalsamate! O sospiri esalanti dai fiori oppressi di voluttà!…
Notte.
Prima che ella parta, prima che ella muoia, prima che io la perda per sempre, non troverò io la parola da tanto cercata? O voi, poeti innamorati, o voi, sacerdoti prostrati nella polvere, o voi tutti che nutrite un'aspirazione suprema, che rivolgete all'alto gli sguardi, non mi suggerirete voi la parola finora indarno cercata?
Gl'istanti fuggono e il mio pensiero s'arresta. Nessuna idea più vi si svolge, nessuna imagine più vi si affaccia. Io sono colpito da una paralisi spaventevole: la paralisi della mente….
10 settembre.
Ancora?… Avevo sognato che tutto fosse finito. Io ero rigidamente composto nelle tenebre iperboree e il silenzio stagnava tutt'intorno. Sul dubbio orizzonte un'ombra incorporea si allontanava, ed era come se l'anima mia fosse legata a quell'ombra, ed al fuggire di quell'ombra l'anima si distendeva, si distendeva, si distendeva come una elastica corda, e le sue radici gemevano dentro il mio petto, ma non per anco si strappavano; e come l'ombra correva all'infinito, all'infinito l'anima si distendeva….
Il sole splende; la vita riprende il suo corso.
Ancora un giorno!
11 settembre.
No, la Parola non esiste! Esistono delle parole, degli accozzamenti di sillabe, delle successioni di suoni più o meno rapidi, che presumono di esprimere l'idea, mentre ne sono separati da un abisso, da un abisso infinitamente più grande di quello che separa i balbettamenti del muto dalle parole.
Io non le ho detto mai nulla. Quando il prestigio della sua presenza ha esaltate tutte le potenze della mia vita, quando il contatto della sua mano ha trasfuso nelle mie vene nuovi torrenti di un sangue più ricco, più rapido, più inebriante, quando tutte le cose hanno taciuto per ascoltare il suono della sua voce, io non le ho detto nulla.
Che cosa le avrei detto? Che ella è l'adorazione costante dell'anima mia? È troppo poco. Che vorrei avere mille vite per darle tutte per lei? Che vorrei distruggere tutta la razza umana, perchè nessuno respiri più l'aria che ella respira, perchè nessuno calpesti più la terra che la sorregge, perchè nessuno contempli più il cielo che impallidisce quando l'azzurro dei suoi occhi lo fissano? Che tutte le anime dovrebbero gravitare intorno alla sua, come i minori astri gravitano intorno al sole?
E dopo ciò? Che cosa saprebbe ella di quel che io provo per lei? Meno che nulla….
Notte.
Nel tempio di Flora, in un meriggio d'estate. Si penetrava aprendosi un passaggio tra gli arbusti dai rami strettamente allacciati, sotto l'ombra delle acacie. Tutt'intorno si distendeva circolarmente una parete di verzura, come un immenso merletto vegetale a cui l'azzurro del cielo faceva da fondo. Nel centro, un gigantesco palmizio dal fusto eretto come una colonna rôsa dal tempo, e i cui rami, incurvandosi in alto, mettevano una cupola su quel verde recesso. D'ogni intorno, null'altro che il verde: il verde scuro dei ligustri, il verde cinereo degli eucaliptus, e il verde tenero, quasi giallo, di certe robinie. A destra, un cantuccio d'Africa, una siepe di cactus erti come pilastri, rampanti come rettili, orridi, contorti, spinosi; e poi ancora le agavi, i banani, gli aloè. A sinistra, un angolo di Norvegia; dei pini, degli abeti, una varietà di conifere dal fogliame fitto e minuto come una nebbia.
Tutte queste sensazioni di verde compenetravano il cervello, lo saturavano; ed era come se anche noi tenessimo alla terra per le radici, se anche in noi scorressero le fresche linfe, se anche noi vivessimo la vita immobile e silenziosa del verde. Allora, io ebbi un istante di felicità piena ed intera: io sentiva che la parola umana mi era fatta estranea, che il pensiero era abolito in me, che io esistevo soltanto per lei, che io vivevo della sua vista, come l'elianto vive della vista del sole.
12 settembre.
Impressione ed espressione sono due termini fra i quali non sarà mai possibile stabilire il segno dell'eguaglianza. Le più semplici percezioni del mondo materiale sono immateriali, e nessuna materia potrà mai rappresentarle. Come descrivere il profumo impercettibilmente dolce di questa ciocca di lillà che muore nel calice di cristallo? Esso mi riempie l'animo di un soave turbamento, mi ridesta mille confuse imagini, mi procura delle vaghe, incoscienti aspirazioni, mi diletta e mi opprime…. Come descriverlo? Come procurare ad un altro la sensazione mia?… Come descrivere il colore di questi fiori? Dirò che è celeste? Vorrà dire: colore del cielo. Ma come dare ad un cieco o ad un minatore vissuto dalla nascita nelle profondità della terra, un'idea di questo colore o di un colore qualsia?
13 settembre.
La parola avrà tutt'al più un valore suggestivo, non mai espressivo. I segni verbali, a cui s'è dato un convenzionale significato, potranno destare, per associazione, l'idea ad essi attribuita, ma non rappresentarladirettamente.
Io non voglio dirle che l'amo! io vorrei farlevedereil mio sentimento, tutti i moti dell'anima innamorata: io vorrei farle leggere nella mia coscienza, farle assistere, come un altroio, a tutto quello che nel campo della mia coscienza si svolge….
14 settembre.
Che cosa importa? Da secoli e da secoli, il linguaggio serve ai bisogni dell'umanità. Perchè ti preoccupi tu dell'imperfezione di questo strumento? Quale movimento di superbia ti persuade a disdegnarlo? Perchè non tentare di esprimere, bene o male, il sentimento di cui tu vivi?
Sera.
No! No! Qualcuno mi dà ragione.
Vi sono degli stati dell'animo troppo fini per essere nominati, troppo spirituali per ammettere un'espressione sensibile. L'estasi è uno di questi stati. Il puro Spirituale è escluso dal linguaggio umano. (Bossuet).
Ed Ella è la più pura delle Spiritualità! L'amor mio è un'estasi infinita! Che cosa possono le parole per me?…
No! No! Come i mistici in orazione, io non posso dirle che l'amo altrimenti che amandola.
16 settembre.
Pietà! Pietà!… È per oggi….
Sogno gentile, alata fantasia, ombra inafferrabile, non fuggire—per pietà!—non fuggire lontano!… Come non hai tu indovinato ciò che io non ti ho detto, ciò che io non tipotevodire?… Credi tu che potrai un'altra volta essere amata come da me?… Oh, se esiste qualcuno che sappia farti felice, possa il mio voto esser compiuto, se non da me, almeno come io vorrei!…
Mezzogiorno.
Pietà, Signore, pietà!… La mente si perde, la vita si spegne…. Tutto è sospeso in me, d'intorno a me. Io ho la sensazione dell'arresto del tempo. Nel silenzio delle cose aspettanti, si ode il battito lento del mio cuore così gonfio di sangue e di lacrime che sta per scoppiare….
O Sogno! Sogno! Sogno!
Ore 2.
Che urlo! che urlo rauco, selvaggio, lacerante!… Il mostro ansava, sbuffava, fremeva, sprizzava faville di fuoco—il mostro di ferro che come un serpente si snodava e spariva….
Se dall'oppresso mio petto potesse esalare un simile urlo, rauco, selvaggio, lacerante!… Che cosa hanno rovesciato sul mio petto? Una valanga? una montagna?… Aiuto!… Soccorso!… Nessuno sente la mia voce…. Io soffoco…. io sono sepolto vivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.^o ottobre.
Quando Ella sedeva al piano, nei giorni felici di questa primavera splendente nella memoria, i suoni dolci, carezzanti, giocondi, le melodie lente, cullanti, gli accordi tristi, dolorosi come gemiti di moribondi, le parlavano essi per me? Le ripetevano essi i gemiti sordi che io soffocavo dentro il mio cuore? Le narravano essi le aspirazioni dell'anima mia assetata d'amore? Le promettevano essi il paradiso di felicità che spiegava ai miei occhi affascinati i suoi luminosi miraggi?…
4 ottobre.
«Nessuna creatura umana è compresa da nessuna creatura umana.»(Taine).
L'impossibilità di una tale comprensione deriva unicamente dall'impossibilità dell'espressione. In un'ora di raccoglimento interiore, a centinaia e a migliaia le aspirazioni, gl'impulsi, i propositi nobili od abbietti; le persuasioni, i giudizii, i concetti fondati o falsi; le imagini fantasmagoriche, i ricordi e le previsioni col loro corteggio di pentimenti, di rammarichi, di delusioni, di speranze, di compiacenze, sorgono nella mente, brillano più o meno a lungo e si spengono nelle tenebre dell'incosciente. Quanti di siffatti momenti psicologici, la cui serie costituisce il mioio, sono da me manifestati—ammesso che la manifestazione sia adeguata? Una parte infinitesimale. Di me non si conosce se non quello che io faccio—ed un'azione apparentemente generosa può essere determinata da ignobili moventi—e quello che io dico. Ora, le mie parole non rispondono mai al mio pensiero—perchè sono parole; vuol dire qualcosa di determinato, di concreto, di fisso, di immutabile; ed il pensiero possiede le qualità perfettamente opposte; esso nonè, madiviene, si fa, in una gestazione perenne…. Le parole non rappresentano se non un fuggevole istante di questa rapidissima successione—ed è come se uno, per dare l'imagine del movimento, rappresentasse il mobile fermo in diversi punti della sua traiettoria.
15 ottobre.
Talvolta io fingo con me stesso, nell'intimità impenetrabile della mia coscienza, e spesso non so dove finisce la sincerità, e dove comincia la menzogna.
Se io non posso gettare uno scandaglio in questo baratro del mio pensiero, come potrà altri esplorarlo per mezzo delle mie parole?
Notte.
Talvolta, io non l'amavo….
16 ottobre.
È un mese che io non parlo più, che dal mio labbro non escono se non le poche parole necessarie ai brevi rapporti di questa mia vita raminga. Quando io mi son deciso a parlare, nel tempo che pronunzio le prime parole, il mio pensiero è già mille miglia lontano da quel punto di partenza.
Io mi ripiego su me stesso, io vivo di me e per me: l'anima mia è un mondo, e la vita cesserà prima che io ne abbia compiuta l'esplorazione.
Leggo talvolta, e le voci dei grandi spiriti poetici, dei pensatori profondi, risvegliano mille echi nelle più recondite pieghe della mia mente.
Sera.
M'inganno ancora. La parola scritta risponde più imperfettamente all'espressione del pensiero. Parlando, si è più ingenui, più fedeli, più veri; la scrittura è un'arte—voglio dire un artifizio. Il periodo non esce bello e foggiato dal cervello; esso è invece il frutto di mille tentativi, di mille ricerche, di mille pentimenti; la sua coesione è tutta opera dello studio, il pensiero è per sè stesso ondeggiante, incoerente, indefinito….
17 ottobre.
Perchè prendo queste note su di me stesso? Se la parola traduce male il pensiero, come pretendere di adattarla all'espressione del sentimento?
Se le mie parole fossero come i rintocchi di un mortorio, in una campagna spogliata e deserta, sotto un cielo plumbeo e opprimente come il coperchio di una bara, esprimerebbero esse l'agonia dell'anima?
18 ottobre.
Nelle grandi emozioni, nei dolori cocenti, nelle gioie profonde, si è muti. Le parole scorrono più abbondanti, più facili, quando il cuore è tranquillo; se esso precipita o rallenta i suoi palpiti, non escono dalle labbra che grida inarticolate.
19 ottobre.
«Nella conversazione, ordinariamente, s'inventa poco; più volontieri si ripete ciò che si è già detto, imparato o pensato; la parola interiore, al contrario, è il linguaggio del pensiero attivo, personale, che cerca, che trova e che si arricchisce del suo proprio lavoro.» (Egger).
Sera.
Quando io parlo ad alta voce, il pensiero interiore è per me sensibile—ed io noto il disaccordo.
20 ottobre.
«Noi abbiamo più idee che parole. Quante cose sentite e che non sono nominate! Di queste cose ve ne sono senza numero nella morale, senza numero nella poesia, senza numero nelle belle arti…. Le parole non bastano quasi mai per rendere precisamente quel che si sente.» (Diderot).
22 ottobre.
Troverò io mai l'entusiastico slancio che destò in me un giorno la marcia delTannhäusereseguita da lei?… Come l'araldo annunzia l'arrivo del corteggio, sfilano maestosamente i landgravi, i margravi, i principi, i feudatari che vengono con le loro dame alla lotta dei cantori nella Wartburg. Il sangue affretta il suo moto, l'anima si esalta nell'aspirazione ad una vita più intensa, gloriosa ed eroica….
Sera.
Quest'arte dei suoni è l'unica che sappia conseguire una diretta espressione dei moti dell'anima. Il sentimento è un movimento, e nel movimento consiste la principale virtù del suono. L'emozione, che nessuna parola riesce ad esprimere, è per sua natura vaga, indefinita; questo carattere è quello che la musica consegue mirabilmente.
Beethoven è il più grande psicologo. Qualche volta io sento di arrossire, tanto a fondo scruta nell'anima mia.
25 ottobre.
Quando i miserabili accozzatori di parole hanno detto che una sensazione od una emozione sono ineffabili, hanno detto tutto.
È una confessione d'impotenza.
26 ottobre.
«Io qui non esprimo abbastanza bene quanto le nostre anime erano in comunicazione in quel momento. In generale, io non posso esprimere le sfumature delicate, il profondo, il meglio delle cose, perchè i termini mancano….» (Stendhal).
27 ottobre.
Lo svolgimento del periodo musicale imita ancora più da vicino lo svolgimento del pensiero, coi due salienti caratteri di continuità e di multiformità. Intorno alla frase principale altri motivi meno distinti si affollano, come una congerie di idee e di imagini fa corteggio al pensiero dominante.
Notte.
Io non andrò più a teatro. L'opera in musica è una profanazione. L'elemento personale che gli esecutori vi portano offende la pura spiritualità dell'armonia. Le parole che l'accompagnano, precisando troppo il significato della rappresentazione, le tolgono quel carattere di subbiettività che solo può renderla fedele.
Wagner che sdegna i drammi troppo umani della storia, per cercare i suoi soggetti nella fantastica leggenda, è ancora schiavo del reale; i suoi eroi sono ancora degli uomini. Wagner che sdegna il mondo esteriore per cantare le crisi spirituali, non rinunzia abbastanza alla materia mettendo il suo canto in bocca di odiosi personaggi d'ossa e di carne.
Il poema sinfonico eseguito da suonatori invisibili è la sola forma conveniente. Dove trovarla?
31 ottobre.
Se le mie parole potessero ripetere tutto,tuttoquello che mi passa per il cervello, le processioni tumultuose di imagini, i pensieri frammentari, le fulminee associazioni di idee per cui i termini più lontani nel tempo e nello spazio sono ad un tratto ravvicinati, la gente mi giudicherebbepazzo….
2 novembre.
Grigia, minuta, a larghe falde, piove la cenere dal cielo ottenebrato, e ricopre la terra, e seppellisce i viventi. Nei campi agguagliati, piccole elevazioni indicano il posto di una tomba; ma ben presto quelle pieghe si livellano anch'esse, e per l'immenso cimitero dei mondo niun segno distingue più la cenere della terra dalla cenere delle generazioni mietute…
Così cantava l'organo.
3 novembre.
Ecco quello che io cercavo.
Questo strumento monumentale, che si slancia a guglie come anelante all'alto, dalla voce piena, grandiosa, possente, fatta di milioni e milioni di vibrazioni sonore che si fondono in una; questo strumento sul quale mani invisibili si esercitano, traendone suoni che errano per la vastità delle navate, sotto il cielo delle cupole, in un ambiente dove tutto è disposto per parlare della vita spirituale, è il solo che valga la pena di essere ascoltato.
5 novembre.
L'organo di Donato del Piano è uno dei più mirabili di Europa. Ha cinque tastiere, settantadue registri, e duemila novecento sedici canne.
La chiesa è la più grande di Sicilia, il convento uno dei maggiori del mondo. È tutta una piccola città. Vi sono corridoi lunghi come strade, delle corti vaste come piazze, due giardini, un museo, una biblioteca.
12 novembre.
Se l'idea mi costa, l'azione mi ripugna. Nulla di quanto mi circonda può riuscire ad interessarmi. Ilveroreale è ciò che si passa nel mio spirito: la finzione, l'illusione, è il mondo esteriore. Nulla esiste, fuor che l'idea….
15 novembre.
Nella mia cella, vi è un ritratto dell'abate del Piano. È rappresentato con la sinistra sorreggente un libro sopra un tavolo; in fondo l'organo e una imagine della Vergine che nasconde a mezzo una corona d'alloro. La testa è piccola, molto modellata; occhi grandi, naso profilato; rughe profonde solcano la fronte e le guancie. L'iscrizione dice:
Sac.DONATUS DE PLANOortus Nivani in Diocesi Aversana—a parentibus Thoma, et Vrsula Chiarello—claruit morum innocentia, et virtutibus omnimodis, auctor musicorum organorum Monrii Cassinensium S. Nicolai de Arenis Catinae, ubi diu commoratus obdormivit in Dno pridie idus Junias An. 1785 aetatis vero suae 80 præter menses X et dies VI atque in eo jacet.