Egli è sepolto sotto il suo capolavoro; fu l'unico compenso da lui chiesto. Quest'organo gli costò dodici anni di fatiche; uscìtuttodalle sue mani.
Quando l'aria s'ingolfa in quella foresta di canne vibranti, quando le onde sonore se ne sprigionano allargandosi tutt'attorno, l'anima dell'abate deve vibrare all'unisono.
16 novembre.
Silenzio! silenzio!… che meraviglia!… ascoltate!
Basse, umili, incerte, delle voci si levano confusamente, in un limbo di attesa angosciosa. In mezzo al coro, una finisce per emergere, lunga, triste, narrante i dolori di tutti. Oppressi, circondati dalle tenebre impenetrabili sono gli spiriti, e da tanto dura l'esilio, ch'essi hanno perduto ogni speranza. Gli spiriti assentono, con gemiti sordi.—O voi che il sole illumina, o voi che veste l'etere, non ne avrete pietà?—Silenzio. Più debolmente:—O voi che veste l'etere, non ne avrete pietà?—Silenzio. La voce muore. Allora il turbine degli spiriti ripiglia la sua corsa, avvolgendosi a spire, scindendosi in cerchi, cadendo incessantemente per un abisso senza fondo, dove le tenebre sono sempre più fitte, dove il freddo è sempre più acuto. Lo strazio è infinito; l'anima si schianta…. Un tuono formidabile che scuote la terra dalle fondamenta. La caduta si arresta. Dall'alto, brilla un punto luminoso che s'ingrandisce, s'ingrandisce, s'ingrandisce, saettando raggi più vivi, allagando tutto di luce gioconda. Un canto serafico di laudi e di trionfo. Su, su, di sfera in sfera, agili, leggieri, balzano gli spiriti eletti; su, su, per l'etere chiaro, nel fluido zaffiro, tra le danze degli astri immortali….
6 dicembre.
Quando si schiude il registro dellavoce umana, qualcuno parla, qualcuno chiama.
Dicembre.
Non ho ancor visto l'organista, nè voglio vederlo; non voglio neppure conoscere la musica ch'egli eseguisce. Che cosa importa? Essa non ha altro significato se non quello che io le do. La grandezza di quest'arte è a patto della sua subbiettività.
L'oggetto non esiste se non in quanto è pensato da un soggetto. Le cose sono nelle coscienze umane; abolite queste, tutto è abolito….
Nessuna notizia del mondo arriva più fino a me; ho perduta la misura del tempo.
Iosoche Ella è morta.
Silenzio!… Ascoltate.
Nel mare della Serenità fila la nave con moto eguale; la pace è nel cielo, la calma è nel mare. Perduto ogni vestigio di terra. Il biancore plenilunare inonda di spazii, inargenta le acque dormenti. Fila la nave con moto di culla e la sua corsa è lunga e senza mèta come le vaghe aspirazioni umane. Al suo passaggio, grandi pieghe si formano sulle superficie delle acque, e pare che le acque fuggano guizzando. Ma se si leva all'alto lo sguardo, tutto rientra nella silente immobilità, e solo l'insensibile moto della nave culla e addormenta….
Notte. Tutto tace.
Il silenzio è pieno di rumori, di zufolii, di strepiti, di squilli, di tintinnii. Talvolta si odono anche delle voci….
Chi mi chiama?
In mezzo ai corridoi, i lontani fanali proiettano delle ombre smisurate, grottesche, spaventevoli. I quadri polverosi mostrano confusamente le loro figure dagli sguardi immobili, insostenibili. Il vento che passa per le fessure delle imposte, che s'ingolfa pei corridoi, ha dei suoni gravi e lunghi come quelli dell'organo.
Che vista!
Nella notte profonda, le immense finestre della cupola si disegnano vivamente illuminate. La luce non è eguale, ma vacillante come se delle grandi ombre errassero tutt'intorno. Quale cerimonia si celebra a quest'ora nella chiesa?…
La chiesa è vuota. Sono sceso dalla sacrestia, ho guardato da una vecchia porta tarlata. Nessuno. La luce parte non so di dove. Le lampade dei pilastri, le torcie degli altari, le candele delle lumiere non ardono. L'organo canta….
Sono le anime che cantano, sono le anime che parlano il loro immateriale linguaggio. Il canto è fievole, triste, doloroso, quando esse dicono i ricordi della terrena esistenza; limpido, sereno, giocondo il canto si effonde quando le anime narrano le paci ed i tripudii della vita spirituale.
Cori d'armonie, torrenti di anime vibranti, prendetemi con voi, trascinate con voi l'anima mia, perchè, appreso il vostro linguaggio, essa esprima finalmente le sue angoscie e le sue esultanze.
Vi sono certi accordi chiari come fasci di luce penetranti nel buio.Certi lenti tremolii sono pieni di silenzio….
Quando si schiude il registro dellavoce umana, qualcuno parla, qualcuno chiama.
Il padre guardiano vuole distogliermi dal mio proposito; dice che l'impresa è arrischiata, che bisogna avere il piè fermo e l'occhio avvezzo alle vertigini del muratore o del marinaio.
La scala di ferro descrive un grande arco, adattandosi sull'emisfero della cupola fino al lanternino.
Di lassù, la vista dev'esser più grandiosa, l'occhio deve abbracciare un orizzonte immenso, il respiro deve trarsi più profondo, l'anima deve spaziare liberamente…
Notte.
La chiesa è illuminata ancora, le finestre si incendiano nell'oscurità. L'organo canta….
Dall'alto della cupola, l'effetto dev'essere meraviglioso. Le vibrazioni delle anime, rinforzate tutt'intorno per la vuota sfera, convergenti concentricamente in un punto, devono acquistare una forza ed una fusione straordinaria.
Il padre guardiano mi ha fatto discendere a viva forza, minaccia di chiudermi nella mia cella.
Non tenterò per ora. La porta aerea del campanile, da cui si va nella cupola, è sempre aperta, giorno e notte….
Il terrore dei sogni; dei soli lividi, senza raggi, spaventosamente immobili nel cielo tenebroso….
Ancora! La luce vacillante… i suoni dell'organo…. Ah! il registro dellavoce umana!…
Ella si lamenta, fiocamente. Perchè la lasciai? Perchè non la seguii? Come dolorosamente patì! Il pianto bruciava le sue gonfie palpebre, struggeva le sue pallide guancie. Perchè la lasciai? Perchè non la seguii?…
No! Ella si dà torto. La colpa non fu mia. Nella vita terrena avremmo entrambi sempre sofferto! Nella vita terrena saremmo sempre stati disgiunti!… Io non le dissi mai nulla; che cosa le avrebbe detto la parola umana? Dal cielo spirituale dove Ella spazia, vede la miseria nostra….
Ora mi compiange, s'impietosisce alla sorte mia. Io sono ancora tra i lacci, io sono ancora nel buio. La sua voce si fa più tenera, più dolce; mi sfiora la fronte come una mano materna. «Riposa, povero amore, sogna un sogno felice.» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Dall'alto della cupola, l'anima di Donato del Piano spicca i suoi voli liberamente. La porta aerea è sempre dischiusa, il padre guardiano dorme, la notte è profonda. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Silenzio! Lavoceriprende.
Era un'alba di primavera: il primo apparire della luce sulla terra dormente e silenziosa mentre le stelle impallidivano in cielo. Ella moriva, e tutt'intorno risuonavano le nenie ed i lamenti. Perchè piangevano? La gioia rientrava in lei a misura che l'istante si avvicinava, e quando il primo raggio di sole lampeggiò come una spada, l'anima sciolse il suo volo. Pura, gioconda, libera, volava incontro al sole. Nelle chiarezze diafane, nelle luminosità iridescenti, le anime volano eternamente, in cerca delle anime predestinate. Quando s'incontrano, inni di trionfo risuonano per l'etere, echeggiano pei cieli profondi…. «Vieni dove io ti aspetto, dove t'aspetta il gaudio, dove ogni brama è paga. Ascolti tu queste voci?…» Dolci, teneri, soavi, dei sussurri si levano intorno. Sono le anime amanti, le disposate anime, che si dicono eterne cose. «Impara questo linguaggio; che tu mi comprenda, che tu mi risponda. In alto! in alto! in alto!…» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La porta aerea è dischiusa…. Vengo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Questo manoscritto si rinvenne in una cella del monastero dei Benedettini di Catania, il giorno che un tedesco lì ospitato e affetto da una mite pazzia, fu trovato cadavere informe sulla spianata del campanile, dove la sua caduta dall'alto della cupola era stata arrestata.
…. Che cosa fare delle lettere d'amore prima di morire? Ogni altra carta può legarsi agli eredi; essi custodiranno certamente le importanti, e le inutili saranno distrutte. Ma che cosa faranno delle lettere d'amore, quando la persona a cui furono dirette è spirata? Sguardi profani percorreranno indifferentemente, forse con un sarcastico sorriso, quelle linee che già fecero battere più forte un cuore ora spento. Il secreto di quel cuore sarà profanato!… Da un'altra parte, come rassegnarsi a distruggere con le proprie mani quei documenti in cui è la prova che si è vissuto? Non sarebbe un morire più presto?… Ricchezza inestimabile agli occhi di chi le possiede, quelle carte perdono ogni valore per tutti gli altri, simili in questo ai tesori di certe leggende diaboliche che si convertono a un tratto in un mucchio di sassi e di cenere… Che cosa fare delle lettere d'amore prima di morire?…
Seduto al suo scrittoio, col gomito appoggiato alla cassetta dischiusa e la testa nella mano, Roberto Berni si rivolgeva da un'ora quella domanda. Le sue lettere erano lì, riunite in piccoli fasci sui quali erano tracciati dei segni convenzionali, ancora tutte odoranti d'un profumo indefinibile di cui la cassetta era impregnata. Ed a quel profumo, come per virtù d'una magica operazione, una figura sorgeva dinanzi a Roberto, così viva, così presente, come se il tempo e la morte non si fossero frapposti, come se una nuova vita non fosse cominciata per lui. A momenti, egli stendeva la mano per prendere qualcuna di quelle lettere: poi si arrestava, in preda ad uno scrupolo. Il ritratto di sua moglie nell'antica cornice di bronzo lo guardava coi begli occhi sereni, ed egli sentiva il sangue colorargli le guancie dinanzi alla fermezza di quello sguardo. Gli pareva che quel ritratto si sarebbe animato se egli si fosse deciso ad aprire una di quelle lettere, se egli avesse finalmente ceduto all'imperiosa tentazione di evocare una storia di cui aveva lì davanti le uniche testimonianze…. Le uniche, no. Ve n'era un altro, dei ritratti, in fondo alla cassetta, sotto il fascio delle lettere; un altro che egli non aveva rivisto da anni e che ora lo chiamava, lo attirava con la prepotenza di una nostalgia. Perchè non lo avrebbe rivisto?… Perchè sarebbe stata una colpa!… Gli risuonava ancora all'orecchio l'accento teneramente malfermo con cui, un poco prima, sua moglie gli aveva annunciato che le sue speranze si confermavano, che la loro unione sarebbe resa fra breve più intima dal più tenero e dal più indissolubile dei legami. Provava ancora sulle labbra la freschezza della fronte di lei, su cui aveva stampato, in premio della lieta novella, un lunghissimo bacio. La sentiva ancora discutere gravemente sulla scelta di un nome per la loro bambina—sarebbe stata una bambina, la desiderava tanto! egli non se ne sarebbe avuto a male? gli uomini sogliono preferire i maschietti!…—E come ella era andata via a comunicare la notizia alla mamma, rovesciato sopra un divano, cogli occhi socchiusi, egli s'era sentito travolgere da un turbine di idee e d'imagini.
Vi è una specie di stratificazione dei sentimenti, come vi è una stratificazione dei terreni di cui si costituisce la crosta del globo; il cataclisma che mette a nudo le formazioni preistoriche trova il suo riscontro nelle crisi della coscienza che sollevano l'antico fondo sepolto sotto le impressioni di più fresca data. Uno sconvolgimento di questo genere era quello operatosi in Roberto Berni; soltanto, esso non era dovuto ad un urto repentino e violento. Insensibilmente, a propria insaputa, un movimento di reazione interiore lo aveva rivolto dalla presente adorabile realtà ad una lontana, tormentosa memoria. Per la prima volta dopo tanto volger di tempo, dimenticando tutto ciò che lo circondava, strappandosi alla sua fantasticheria, egli aveva osato di rivedere le reliquie della sua giovinezza, di rimescolare gli avanzi di una storia finita in una tomba precocemente ed improvvisamente dischiusa. Ora, nel contrasto fra il bisogno di evocare in tutti i suoi particolari quel passato in cui aveva lasciato tanta parte di sè, e il dovere che egli sentiva incombergli di dimenticarlo, il ritratto di sua moglie, su cui i suoi sguardi erano inchiodati, si sbiadiva, si confondeva, si cancellava, e sugli scomposti lineamenti un'altra figura si disegnava, più precisa, più netta, più attraente: la figura della Morta…. Egli non aveva più bisogno di cercare l'altro ritratto: la vedeva come se l'avesse dinanzi! Sua moglie non lo guardava più, non avrebbe potuto più rimproverarlo col suo immobile sguardo! E, risolutamente, dimenticando tutti i suoi scrupoli, Roberto Berni disciolse uno dei fasci di carte.
Per il primo, un telegramma gli cadde sotto gli occhi, un telegramma di città dal grosso carattere nero, così fresco come se fosse arrivato soltanto il giorno innanzi, «105 2000 3 24B.» Degli anni erano passati, mille altre vicende avevano lasciato le loro traccie nel suo cuore e nella sua mente; ma l'impressione di angosciosa inquietudine destata da quel telegramma si rinnovava, e così scuotente come la prima volta…. Aveva egli ben letto? Il convenzionale cifrario era stato bene interpretato? «Domani, nell'ora e nel luogo consueti, a qualunque costo, per un affare grave…» Che cosa voleva dire?… E ad un tratto egli si rivedeva sulla strada maestra del villaggio, trascinato al trotto serrato della carrozza che s'avviava verso la villa del conte Des Fayolles; vedeva il paesaggio sfilargli rapidamente dinanzi senza più distinguerne le particolarità che, nella frequenza di quelle gite, gli si erano stampate nella memoria e con la loro successione prevista gli indicavano l'avvicinarsi della meta sospirata. Ora i cavalli si erano messi al passo nella ripida salita serpeggiante per il versante della collina, e un'impazienza tormentosa s'impadroniva di lui.—Sferza! più presto!—I cavalli acceleravano il passo un istante, col collo teso, faticosamente; poi si abbattevano, lasciavano pendere la testa, bianchi di sudore sotto la pioggia di fuoco di quel pomeriggio d'agosto. Cogli occhi, con la forza del pensiero egli spingeva la carrozza, cercava di farsi più leggiero sui cuscini scottanti, metteva ad ogni istante il capo allo sportello, battendo i piedi, torcendosi le dita, con un'angoscia crescente all'idea dell'ignoto pericolo che gli sovrastava, che le sovrastava…. Uno schioccar della frusta, ed il trotto riprendeva, più serrato, al cessare dell'erta. La pieve di S. Lorenzo…. ilBelvedere… il crocevia della Pineta…. Finalmente! Egli saltava dalla carrozza non ancora ben ferma e spariva per la viottola sassosa, incassata fra gli alti muri da cui sporgevano l'edera e i rovi. Ah! la porticina del parco!… Ella era lì, pallida, tremante… lo afferrava con una mano, mentre portava con l'altra un fazzoletto alla bocca….—Che è stato? In nome di Dio, che è stato?…—Ella non poteva parlare, in preda a un moto convulsivo, che dal petto le saliva alla gola, soffocandola; pure trovava la forza di toglierlo di lì, dove potevano essere scorti, e di trascinarlo verso lochaletnascosto dietro la cinta delle araucarie e dei cedri del Libano. Lochalet!l'angolo più remoto e silenzioso del parco! ilparadiso terrestre!il luogo verso cui sempre volava il suo pensiero, sulle ali del desiderio! il testimonio di una felicità che egli aveva sperato inesauribile!…—Ma che cosa era dunque successo?…—Inginocchiata sul tappeto di stuoia, con le braccia distese verso di lui, ella balbettava disperatamente: È finita! È finita!…—Come? perchè? chi poteva avere la forza di opporsi al loro amore, di sciogliere i loro corpi da una stretta come quella che ora li avvinceva, faccia a faccia, tremanti, ansiosi, smarriti?…—Mio marito….—Ebbene?…—Ha tutto scoperto….—Non è che questo?—E parte, domani! gli ordini sono dati, tutto è disposto…. Egli torna in Bretagna, comprendi?… torna nelle lande delle Fayolles, a migliaia di leghe da qui…—Repentinamente, egli si era disciolto da quella stretta.—E tu lo segui?—O Roberto, che fare?…—Infatti!…—Ora egli passeggiava per la stanza, in preda ad una cupa concitazione; uno sgabellino di bambù lo fece inciampare; afferrarlo e spezzarlo fu tutt'uno.—O Roberto—supplicava lei, accasciandosi—dici tu come fare! Come resistere a quella volontà di ferro? Io ho paura di quell'uomo, Roberto; come resistergli?…—Come? Lasciandolo! venendo via con me, oggi, ora, sull'istante, per la porticina che mi hai dischiusa, nella carrozza che mi ha condotto fin qui; venendo con me per sempre, mettendo una fine a questa vita di palpiti, di angoscie, di separazione, a questa morte lenta e continua; venendo con me per realizzare il paradiso in terra, il paradiso vero, il paradiso eterno; venendo via con me perchè tu sei mia e nessuno può avere la forza di strapparti da me…—Sì, sì….—Ella si trascinava verso di lui, lo afferrava alle ginocchia, rifugiando nel suo lo sguardo impaurito.—Sì, sì!… portami via… quell'uomo mi ucciderà!… Portami via con te…. Ah! mia figlia….
E cadde di nuovo per terra. Egli le si era inginocchiato vicino, sorreggendole la testa.—Ebbene, tua figlia? Non sei tu già separata da lei?…—Ma egli la farà morire! me lo ha detto!… Se io non lo seguo egli la farà morire!… No, Roberto; non fra le sue mani la creatura mia!…—Allora?… Era proprio finita? era finita per sempre? Non si sarebbero più rivisti? Non l'avrebbe egli potuta seguire?—Dove? Tu non sai quale vita mi aspetta?…—Non avrebbe almeno potuto provocare quell'uomo, ucciderlo o farsi uccidere?—Non si batterà!—Ammazzarlo a tradimento, ammazzare tutta la sua razza?… Ah, egli delirava! egli perdeva la testa!… Allora, era proprio finita?… E con una forza sovrumana essi si erano avvinghiati l'uno all'altro, così strettamente, così ferocemente come se avessero voluto soffocarsi, come se avessero preferito morire in quel momento se da quel momento non dovevano più rivedersi…. Un rumor di passi sulla ghiaia del lontano viale….—Addio, Roberto… addio….
E poi? Che cosa era poi successo? La cascina, il parco, la porticina, il sentiero, il crocevia della Pineta… egli non ricordava più nulla. Come aveva fatto ad andarsene? Di dove era passato? Si ritrovava dinanzi alla carrozza, senza sapere perchè lo aspettasse, perchè vi prendesse posto. Ma come la frusta aveva sferzato l'aria fischiando e i cavalli si erano mossi, un grido veemente gli era uscito dal petto; «Arresta! Arresta!» E rapidamente, come impazzito, come inseguito, avea ripreso la viottola del parco. Rivederla! Bisognava rivederla! Come era possibile che egli l'avesse lasciata? A costo della propria vita, a costo della vita di entrambi bisognava rivederla, non fosse che un istante…. La porticina era chiusa; ogni sforzo per aprirla riusciva vano. «Bianca!… Bianca!…» Il grido si perdeva nel silenzio afoso del pomeriggio. «Bianca!… Soccorso!…» Tentò di arrampicarsi sul muro, lacerandosi gli abiti, le mani, la faccia. A mezz'altezza, cadde. «Bianca!…» Ebbe ancora la forza di sollevarsi, si avventò di nuovo contro la porticina, vi dette su la testa….
Roberto Berni si era alzato di scatto. I ricordi si succedevano così vivi come se la scena si svolgesse in quello stesso momento. Tutta l'oppressione dei giorni tramontati si rinnovava, da togliergli il respiro, da costringerlo a schiudere la finestra in cerca d'aria….
Così l'aveva perduta! Il domani della separazione fatale, destandosi a casa sua dove il cocchiere lo aveva trasportato fuori dei sensi, un altro telegramma dalla stazione di Bardonecchia gli ripeteva l'ultima sua parola: «Addio!…» E poi, delle lettere rare, ad intervalli sempre più lunghi, ed il tormento di non poterle scrivere, di non poterle far pervenire nulla che le parlasse di lui…. E poi, un silenzio di lunghi e lunghi mesi; e poi, una sera al Circolo, l'annunzio brutale letto nelleNouvelles et EchosdelGil Blas, fra uno scandalo parigino e laréclamedi un nuovo romanzo. «Nous venons d'apprendre la mort de M.^me Bianca des Fayolles, la femme de M. le comte Léopold des Fayolles, dêcédée à son château de Bretagne des suites d'une maladie de coeur»….
Malgrado sapesse a memoria quelle poche parole, Roberto Berni s'avvicinò di nuovo al suo tavolo e con mano tremante rovistò nella cassetta. IlGil Blasera lì, gualcito, bucato, ingiallito nelle pieghe. «Nous venons d'apprendre….» e come lesse il suo nome, il nome di Bianca, il nome della sua Bianca morta e adorata, scoppiò in pianto dirotto. Con labbra convulse, amaramente e disperatamente, egli chiamava: Bianca! Bianca! Bianca!… e baciava le sue lettere su cui le lacrime cadevano, grosse e roventi. Ora l'imagine di lei non si stampava più sul ritratto di sua moglie, e lo sguardo di costei tornava a fissarsi sereno come prima sul suo. Che cosa voleva? Che cosa pretendeva? Non sapeva che quello era stato il suo amore, il suo primo, il suo grande amore? Era gelosa della morta? Di che cosa era gelosa, se lo aveva tutto per sè? Se qualcuno doveva essere geloso, era la sua povera morta dimenticata, era la sua povera morta sulla cui tomba egli non si era inginocchiato, non aveva pregato, non aveva portato un sol fiore!… No, egli non se n'era scordato!… Il tempo aveva rimarginata la piaga, ma essa ora si riapriva e il sangue ne grondava!… La vita aveva potuto riprenderlo, distrarlo, creargli altre cure; ma la miglior parte di sè era sepolta con lei!… Un'altra donna aveva potuto sorridergli, amarlo e farsi amare; ma il ricordo di Bianca, della sua morta, viveva ancora in lui, sarebbe sempre vissuto, puro, ideale, immortale come una religione . . . . . . . . . . . . . .
Il fruscìo d'una veste. La signora Berni, avvolta in una mantiglia luccicante dijais, le mani nascoste nel manicotto, il cappellino ancora in testa, si avanzava verso il marito, affrettando il suo piccolo passo.
—Roberto, Roberto, hai tu trovato?
Egli non aveva l'aria di intendere.
—No?… È un affare grave! La mamma non vuole assolutamente che si chiami come lei. «Lucia! o dov'è Renzo?…» E rideva! A me non dispiacerebbe, per via dell'affezione, capisci!… Intanto, se sarà un maschietto, le difficoltà sono belle e troncate; si chiamerà Roberto; il più bel santo del calendario!…
E gli passò una mano dietro la testa.
—Tu cosa fai? Sei molto occupato?…
Girando uno sguardo sul tavolo, scorse le lettere, un ritratto. Vide che le sue labbra tremavano.
—Oh, scusa….
E balbettata confusamente quella parola, si avviò verso l'uscio.
Non si sentì richiamare.
Ella sapeva tutto. Sapeva che dedicandogli tutta la verginità del suo cuore non avrebbe potuto contare sul contraccambio. Sapeva che egli aveva vissuto, che era stato di altri, che le rughe solcanti la sua fronte segnavano il lutto del cuore. Che importava?… Ella lo aveva amato di più per quella nebbia di malinconia che velava il suo viso, per quel gran dolore che lo aveva atterrato e che sarebbe toccato a lei di far dimenticare!…
La scossa prodotta dal lamentevole dramma non aveva soltanto inaridita l'anima di Roberto Berni, aveva ancora offuscate le sue facoltà intellettuali. A trentacinque anni, nel pieno rigoglio dello spirito, pareva che egli avesse smarrita la via fino a quel tempo felicemente battuta, e mentre si apprestava a dare, in un'opera da molto tempo annunziata ed ansiosamente attesa, la piena misura del suo ingegno, quell'ingegno si isteriliva!… Che cosa avrebbe potuto guarirlo se non l'amore, un amore così felice da cancellare gli effetti dell'amore disgraziato?
Ella aveva accettata la partita; gli aveva fatto il sacrifizio di tutta sè stessa; aveva sperato che i suoi baci, le sue carezze, le sue cure, le sue premure, la sua devozione, la sua umiltà, l'atmosfera di affetto in cui lo avrebbe da ora innanzi fatto respirare, sarebbero riusciti a guarirlo. Ed aveva vista la vittoria sorriderle da vicino. Non pareva che egli avesse tutto dimenticato? Non le aveva dato cento prove di amore caldo e sincero? Non era tornato, con forze cresciute, al lavoro? Non aveva sorriso?… Quel giorno stesso, poche ore innanzi, quando ella gli aveva annunziato, in un abbraccio, la fausta notizia, il prossimo realizzarsi delle loro lunghe speranze, il nuovo e più potente e più dolce vincolo che li avrebbe uniti, non l'aveva egli stretta tenerissimamente, non gli aveva sussurrato fra i baci interrotte parole d'amore e di gratitudine? Chi avrebbe potuto dirle che più tardi, un momento dopo….
Abbandonata sopra una poltroncina, nella sua stanza da letto, con la testa fra le mani ella chiudeva gli occhi dinanzi al crollo repentino dell'edifizio pazientemente costrutto. Egli amava ancora la morta! Egli non l'aveva mai dimenticata! Egli rileggeva le sue lettere, baciava il suo ritratto, rievocava la sua memoria!… Egli non le aveva dato ascolto quando gli aveva parlato dellalorocreatura! Egli avea pianto—per lei, per la morta!—quando avrebbe dovuto sorridere alla nuova vita che si agitava nelle sue viscere!… Tutto era stato inutile! Tutti i suoi sforzi erano stati invano sprecati! L'amor suo non era bastato! Quando egli le aveva detto di amarla, non aveva detto a lei; aveva detto all'altra, alla morta!… Che forza aveva dunque costei, se dal fondo di un sepolcro lo attirava ancora, lo possedeva più interamente, più saldamente che non l'avesse posseduto viva?…
Il suo spirito si confondeva: ella non sapeva darsi una spiegazione altrimenti che balbettando delle parole: l'amore!… la passione!…. con quella meraviglia che si prova dinanzi alle cose più strane. Che cosa sapeva ella dell'amore, delle passioni? Che cosa sapea della vita? Quel poco che egli le aveva rivelato. V'era stato qualcuno che avesse mai pensato a lei, che si fosse interessato a lei?… Riandando col pensiero la sua vita passata, ella si rivedeva fanciulla, nella solitudine che l'aveva circondata fin dalla nascita, a curare i suoi vecchi zii malaticci, a coltivare i suoi fiori, ad educare il suo spirito alla disciplina di studii severi. Egli era venuto, e il sole aveva sorriso!… Come pretendeva ella di giudicarlo? Si giudica l'aria che vi mantiene in vita? Non viveva ella per lui, non era ella la sua creatura, la sua cosa?… «L'amore!… le passioni!…» Ella non intendeva quelle grosse parole; ella sapeva soltanto che egli era il suo culto, che bisognava stargli innanzi in ginocchio, aspettando l'elemosina di un suo sguardo benigno. Egli era fatto per una vita di comando e di gloria; ella per l'abnegazione e per il sacrifizio. Egli si era abbassato fino a raccoglierla, bisognava adorare quelle mani che si erano tese verso lei. Che cosa aveva ella fatto per meritare questo premio insigne? Quante la guardavano con invidia gelosa? Non avrebbe egli avute tutte, tutte quelle che avrebbe desiderate?
No, egli non ne desiderava nessuna! La morta lo aveva preso con sè…. Come aveva dovuto amarlo!… Più di lei! di un amore più cieco ed assoluto del suo, contro cui la gelosia nulla poteva, che si faceva invece più saldo ora che si vedeva meno apprezzato!… Che cosa voleva dire esser gelosi?… Ella avrebbe voluto amarlo comelei, avrebbe volutoessere lei, sollevarla dalla bara in cui era stata composta, spirarle la sua propria vita, per ridarla a lui, per farlo felice…. Ella se ne sarebbe andata lontano, in qualche parte; o piuttosto lo avrebbe scongiurato di tenerla ancora con lui, in un angolo, per servirlo, contenta dello spettacolo della sua felicità…. No, la morta non era da compiangere; la morta era degna d'invidia! Ella avrebbe voluto essere morta ed essere amata così, di un amore che l'eterna lontananza della persona amata rendeva ancor più potente!… No, la morta non era da compiangere; da compiangere era lui, ridotto a combattere contro tutto ciò che cospirava per portargli via la sua pietosa memoria. Infine, era una colpa se la povera morta aveva ancora un posto nel suo cuore? Come essere gelosa di chi non era più?… Se ella avesse osato!… Gli avrebbe parlato dilei, avrebbe ascoltato tutto ciò che egli le avrebbe detto dilei, avrebbe saputo trovargli un rimedio contro l'infinita amarezza del suo ricordo….
L'uscio si schiuse. Nella semi-oscurità che al sopravvenire del crepuscolo aveva invaso la stanza, ella scorse la figura di Roberto. Prima ancora che avesse avuto il tempo di ricomporsi, se lo vide inginocchiato dinanzi nasconderle la testa in grembo.
—Emma! perdono….
Ella lo attirò a sè, lo baciò in fronte, lo accarezzò, passandogli e ripassandogli una mano fra i capelli.
—Oh sì, Roberto… povero Roberto mio!…
Vi fu un istante di silenzio. La donna riprese:
—Senti, Roberto… io vorrei dirti una cosa….—Ella parlava pianissimo.—Se sarà una bambina… nostra figlia si chiamerà… Bianca….
—O buona!… o Emma mia buona!…
Le loro teste si confusero di nuovo. Come era già buio, egli non potè vedere gli occhi di lei, dove luccicavano due lacrime.
L'egoismo, se dobbiamo esser sinceri, è il sostrato costante di tutti i nostri molteplici sentimenti; nè, per verità, esso dovrebbe venirci rimproverato, dipendente com'è da un'illusione di ottica morale comune ad ogni uomo. Poichè tutti gli esseri e tutte le cose in tanto esistono in quanto sono pensati da noi, è naturale che ciascuno di noi si creda il centro intorno a cui gravita l'universo, e che le ragioni dell'iosiano considerate come le sole attendibili. È presumibile che se lo specchio avesse una coscienza, esso affermerebbe soltanto la esistenza di ciò che vi si riflette; ma, siccome facendo riflettere uno stesso oggetto in due o più specchi, ciascuno di questi lo vedrebbe sotto un angolo necessariamente diverso, i giudizii che essi darebbero sulla forma dell'oggetto non potrebbero mai essere identici. Così è dei giudizii nostri. Per la doppia influenza del temperamento iniziale e dell'educazione acquisita, il modo di vedere di ogni uomo è, a proposito di tutto, nel mondo fisico e nel morale, più o meno diverso da quello di ogni altro uomo; quando poi l'interesse personale è in giuoco, il dissidio diventa ancora più grande.
Nella pratica della vita, per le necessità stesse del consorzio sociale, l'accordo sembra farsi sotto la vernice dell'ipocrisia, o si fa realmente, qualche rara volta, per lo spirito di sacrificio; accade però spesso, quando gli interessi impegnati sono troppo forti, che il contrasto scoppii violentemente, e nulla è più curioso, per l'osservatore spassionato, della ingenuità con la quale da ciascuna parte si crede di essere solamente ed interamente nel giusto.
Ridotta ad una espressione rigorosa e si potrebbe quasi dire scientifica, questa era la tesi che la signora Auriti sviluppava, con le incertezze e le ripetizioni inevitabili della conversazione, dinanzi ad Eugenio Darsi, e che trovava invece in costui un avversario deciso.
I due erano soli nel grazioso salottino giapponese dove la signora Auriti riceveva le sue visite; un silenzio assoluto regnava in quell'estremità dell'antico palazzo prospettante in una via erta e solitaria; e la conversazione, iniziata sopra un futile soggetto, l'approssimarsi della stagione dei bagni, era caduta sulle cose del sentimento.
Caduta non è forse la parola conveniente; poichè il Darsi, attraversando, nei suoi rapporti con la signora Auriti, quel periodo pericoloso in cui il secreto e vago desiderio che ogni uomo prova in presenza della donna sia pure la più rispettata, comincia, date certe circostanze, ad ingigantire e quindi a manifestarsi, aveva egli stesso preparata la via a più intime espansioni.
Se non che, una virtù severa, o meglio forse le scettiche persuasioni dell'esperienza, corazzavano la signora Auriti contro ogni seduzione anche più potente di quella che tentava di spiegarsi sopra di lei; e il freddo ragionamento, la logica inflessibile con cui ella aveva risposto alle professioni di fede, un po' troppo vivaci per esser tutte sincere, del Darsi, avevano ben presto fatto temere a quest'ultimo che il suo gioco non venisse scoperto. Perfino la chiara, la viva luce penetrante dalle finestre e temperata appena dalle tendine tenuissime, gli procurava un certo fastidio, abituato com'egli era alle propizie semi-oscurità dei salottini delle signore alla moda.
—Io le domando scusa—tentava nondimeno di insistere—ma lei non mi persuaderà che due esseri non si possano comprendere, che l'accordo sia impossibile, che il disinteresse non esista; non mi potrà persuadere che sotto la spinta delle grandi passioni il nostroionon scomparisca, non si annulli, per farci vedere, per farci sentire, per farci vivere di un altroio….
—Sì, sì,—interruppe la signora Auriti, prendendo da un minuscolo tavolinetto uno svelto calice di cristallo e odorando le violette di Parma che vi suggevano nuova vita,—glielo concedo; ma fino a quando quest'altroioci seconda. Aspetti però il giorno che sorgono le contrarietà!… E poi, crede lei che l'accordo sia vero, o non è più tosto apparente? Non è il nostro interesse che ci spinge a passar di sopra ai malintesi quotidiani nell'attesa di un vantaggio avvenire, fin quando questi malintesi non sono così grandi da nuocerci immediatamente?…
—Si direbbe un professore di morale!—esclamò il Darsi, non senza una piccola punta di ironia.
—La morale astratta, ha ragione, è spesso falsa e noiosa….
—Io non ho detto….
—Ma la moralità che scaturisce viva dai fatti non va disprezzata.Guardi, per esempio….
La signora Auriti sembrò esitare un istante; poi, risolutamente:
—Ne vuole un esempio palpitante?—ripigliò.—Io non commetto una indiscrezione, poichè lei non conosce le persone di cui si tratta….
E alzatasi, aperto un armadietto e frugatovi un poco, ne cavò una lettera che venne a porgere al suo contradditore.
—Che cos'è questo?—chiese curiosamente il Darsi.
—Legga, legga; lo saprà subito.
Il Darsi spiegò la carta e lesse:
«Cara signora,
«Ella non sa dunque rassegnarsi ancora a credere a quello che ho fatto? Senta, non ci credo neppur io!… Sono proprio io che scrivo da questa sala d'albergo, su questa carta intestata? Che cosa son venuto a far qui?… Giro intorno uno sguardo: non un viso conosciuto, non una persona con cui scambiare una parola. Fermo a questo tavolo, mi pare che tutte le cose oscillino in giro, che il suolo si muova sotto i miei piedi, che la mia testa vacilli; l'impressione precisa che si prova a bordo di una nave. Dopo lunghe e lunghe ore di viaggio, di immobilità ambulante, mi pare di essere ancora sospinto non so verso dove. Ho nella testa un caleidoscopio di paesi e di figure, i nomi di certe stazioni mi tornano stranamente alla memoria, come nel delirio:Oulx,Culoz, e tanto repentino e radicale è il mutamento della mia vita, che non posso credere che esso dati da qualche giorno soltanto.
«Qualche giorno addietro, dunque, io ero ancora costà, avevo una sciabola al fianco, andavo a prendere gli ordini del mio colonnello, venivo a far visita a lei? Che cosa debbo mettere in dubbio, i miei ricordi del tempo trascorso o le impressioni del presente?… Non è solo al fianco che io sento la mancanza di qualche cosa; qualche cosa mi manca ancora qui, dentro il cervello!
«Ho troncata la mia carriera, ho abbandonato il mio paese che potevo ancora servire, mi sono ridotto in questa terra d'esilio; e tutto ciò è nulla! È l'aria che mi manca, è la gola che mi si stringe, è il petto che mi si opprime…. Senta, dopo tutto è una provvidenza che lei mi abbia scritto, che mi abbia offerta l'occasione di sfogarmi, di buttar sulla carta una parte di ciò che mi tempesta nel cranio e che minaccia di farmi ammattire!
«Allora, stia a sentire: bisogna che io le dica tutto, non è vero? Ebbene, la prima colpa è un po' sua. Perchè si ostinò a farmi conoscere quella donna? Perchè mise tanto zelo ad interessarmi a lei? Si diverte dunque a far degli esperimenti inanima vili? Lei lo sapeva bene quel che doveva accadere in me, il bisogno che io aveva di un poco di cuore, malgrado il cinismo della caserma, malgrado la facilità degli intrighi di guarnigione, che l'ordine di tramutamento rompe, come rompe il contratto d'affitto delle camere mobiliate!… Egli è che questo cinismo è una specie di obbligo; che a fare i sentimentali si corre il rischio di esser messi in berlina dagli ufficialetti freschi di spalline! Egli è che vi sono dei sentimenti che si esprimono come si indossa l'uniforme d'ordinanza, perchè così va fatto, per non essere consegnati e per non essere canzonati!
«Ebbene, quello che doveva accadere accadde! Io l'amai, quella donna; l'amai subito che la vidi, l'amavoprima! Quando io ricordo i primi tempi di questo amore muto, inconfessato, forse per ciò stesso più intenso—no, dico male, più raro—quando io ricordo questi giorni che non potranno ritornare mai più, è come se tutte le mie vene si vuotassero…. Sarebbe stato molto meglio che si fossero vuotate allora davvero!
«Perchè dunque colei mi fece capire che non le ero indifferente? Perchè, invece di rafforzare la mia paura di offenderla, le sue parole, i suoi sguardi, i suoi stessi silenzii mi spinsero alla confessione? E quando io non potei più frenarmi, quando le ebbi fatto leggere nell'anima mia come in un libro, sa Ella la risposta che mi diede? «Mio Dio!… esclamò, che cosa ha fatto!» Dunque ella aveva paura? Dunque mi amava!… Quale altra interpretazione potevano avere quelle parole?… No, ella non aveva ragione di temere; io non le domandavo nulla che non volesse accordarmi ella stessa. Che cosa mi rispose ancora? Che solo così poteva essere amata, come una sorella; che una fatalità pesava su di lei, che forse un giorno avrei tutto saputo….
«Perchè quella reticenza? Che cosa poteva essere quella fatalità? Era libera, era stato suo marito che l'aveva lasciata per la prima venuta: lo avevo sentito ripetere da tutti. E nessuno dava una colpa a lei, nè prima nè dopo quell'abbandono; neppure l'ombra d'un sospetto la sfiorava. Allora? Aveva un amante ad insaputa del mondo? Ma se lo aveva, perchè accettare la confessione dell'amor mio? perchè non dirmi alle prime parole che non era libera?… Chi l'obbligava a fingere quella paura: «Mio Dio, che cosa ha mai fatto?» Perchè non mi aveva fatto mettere alla porta, o non si era messa a ridermi in faccia?
«Non v'ha di peggio che trovarsi dinanzi all'assurdo e sentire nello stesso tempo la necessità imperiosa di trovargli una spiegazione. Quando mancano le induzioni ragionevoli, le più pazze ipotesi si presentano allo spirito. Dire tutte quelle che io formulavo e che dopo un attimo respingevo, non è assolutamente possibile. Ma quell'ansioso farneticamento, quell'assiduo lavorìo dell'imaginazione, se non mi avanzava di un passo nella scoperta della verità, riusciva però ad offuscare la figura della persona amata, gettava il dubbio su di lei, menomava, contaminava l'idolo che io me ne ero formato!
«Questo, da una parte. Dall'altra, vedendola spesso, restando solo con lei, respirando la sua stessa aria, stringendo la sua mano, il mio martirio si raffinava; e se aveva voluto mettermi alla prova, qual prova maggiore potei darle del rispetto timido di cui la circondai?
«Vi è un limite a tutto. Quando io non potei più oltre resistere, che cosa feci? Le scrissi che non l'avrei più rivista; non avevo il coraggio di dirglielo a voce. Ella mi richiamò, mi supplicò di rivederla;era necessario!…Mi amava! Era lei che lo scriveva! era lei che me lo ripeteva, aggiungendo che un giorno mi avrebbe tutto rivelato…. Che importava tutto il resto? Io non chiesi più nulla; me le affidai; non sospettavo ancora gli abissi di doppiezza di cui un cuore di donna è capace!
«Non chiesi più nulla. Avevo sete dei suoi baci, non volevo aver l'aria di rubarglieli. Vi erano dei momenti in cui la mia ragione minacciava di smarrirsi; allora ella gemeva: «È una colpa!…» Perchè colpa? Se mi amava? Se io non avevo altri doveri, e se lei non ne aveva più? Poteva esser l'idea del dovere astratto, della legge divina che l'arrestava? Se era così, perchè non lo diceva?
«Un giorno, non so più come, io nominai suo marito. Si turbò tutta, scongiurandomi di non parlare di lui. Comprendevo bene come il ricordo di quell'uomo non dovesse riuscirle gradito; però le dissi: «Fortunatamente egli è lontano…» Ella stette un momento guardando dinanzi a sè; poi rispose: «È ancora troppo vicino!» E nascose la faccia tra le mani. La luce d'un lampo traversò il mio spirito. Mi sentii morire. Nondimeno tacqui.
«Al ballo del generale, qualche sera dopo, come il fascino di lei era irresistibile, io le mormorai:
«Ebbene…. a quando la rivelazione?…»—«Anche ora! rispose; bisognerà però avere molto coraggio.»—«È dunque molto triste a sapere?»—«Anche a dire; credevo che avesse indovinato…» Allora io sentii come una mano che mi afferrasse alla gola, che mi strozzasse, che mi facesse schizzar gli occhi dalle orbite. Potei dire ancora: «Suo marito?» Ella chinò la testa. Poi mi afferrò una mano: «Mi giuri che non farà nulla, mi giuri che prima mi ascolterà…»
«Io non le rivelo delle cose nuove; sono tanto amiche! Quel marito che l'aveva oltraggiata ed abbandonata, tornava ora da lei, pentito, ma non abbastanza da riparare alla luce del giorno i propri torti! Veniva a trovarla, di quando in quando; non si faceva veder da nessuno in città, restava nascosto il giorno, passava le notti da lei…. Ah! ah! non avevo io l'anima sua! «Che importa il resto?» ella mi domandava. «Il resto non esiste!» rispondeva quest'uomo accomodante! E appena io andavo via, quell'altro veniva ad esercitare i suoi diritti; faceva, secondo ogni probabilità, le grasse risate alle mie spalle! E colei, da economa esperta, dava l'anima a me, il resto all'altro! Io le schiudevo le gioie del cuore, l'altro… Oh! in nome di Dio, io vorrei scendere in istrada e fermare i passanti, il primo galantuomo che passa; io vorrei domandare: Di qual nome è degna costei? Che perfidia deve annidarsi nel suo petto, di quali transazioni è capace, se avendo dei pretesi doveri da custodire, allettava me di lusinghe; se giurandomi di non amare che me, non sapeva rinunziare a quell'altro; se si ridava a chi l'aveva offesa, se vilipendeva il sentimento sacro di cui le avevo fatto l'omaggio?… Come aveva mentito, sapientemente, dal primo all'ultimo giorno! Come aveva dovuto prendersi beffe di me!… In nome di Dio, perchè non mi aveva detto, se non era libera: «Andatevene, io non sono per voi?» Perchè quando volliioandarmene, mi trattenne? Perchè non mi disse da principio, subito, la verità; e mi derise invece con quellafatalitàassurda, inverosimile, da lei stessa creata? Come mi accecai così; come caddi in tanto ridicolo? Guardi, io piango di rabbia!
«Che cosa aspettava, dunque; che cosa sperava? Che una vampa di desiderio mi avesse un giorno fatto perdere la ragione e che io avessi preso i resti di quell'altro? Che mi fossi accomodato di questa divisione amichevole?… Guardi, piango di umiliazione….
«Andiamo, via; ho torto di prendermela così calda. «Perfida come l'onda» il giudizio è antico; ma sono soltanto gli ammaestramenti della propria esperienza quelli che ci s'inchiodano nella mente. Ella mi perdoni queste lunghe ed inutili geremiadi; ma gli ammalati non provano una soddisfazione lor propria nel parlare del loro male?
«Io non so ancora quel che farò; il presente è incerto e l'avvenire più tenebroso che mai. Si ricordi di me.»
Come il Darsi ebbe decifrato la firma:Alessandro Morea, la signoraAuriti domandò:
—Ebbene, che cosa ne dice?
—Ecco un uomo—esclamò vivacemente il Darsi, credendo di aver trovato un argomento in suo favore—a cui la passione strappa accenti di una grande eloquenza! Lei non mi sosterrà, credo, che quest'uomo non sia sincero, che egli faccia delle frasi, se ha abbandonato il suo paese, se ha distrutta la sua vita….
—Non è vero che egli ha ragione? Non pare anche a lei che sarebbe difficile giustificare la parte avversa, e più difficile ancora ritorcere le accuse contro di lui?… Stia dunque a sentire.
E questa volta, presa un'altra lettera dalla stessa cassetta dell'armadio, la signora Auriti cominciò a leggere ella stessa:
«Amica mia,
«Partito? per sempre?… Egli è partito, dopo avermi giurato di attendere dei mesi, degli anni, un'eternità? Di attendere la confessione di tutta la mia vita, dello strazio dell'anima mia? Partito, lui, senza ascoltarmi, abbandonandomi vilmente dopo aver rubata la mia pace, la tranquillità del mio povero cuore che io custodivo gelosamente, come il supremo dei beni?
«Ah, se potessi credere che non è vero, che sono vittima d'una dolorosa allucinazione! Vorrei poterlo credere per me, ed anche per lui, per non disistimare quell'uomo che avevo messo molto in alto, in cima ai miei pensieri!… Non è possibile, è vero? La realtà è schiacciante! Non è possibile neppure il pianto: gli occhi sono aridi, lo sguardo è inebetito….
«Mio Dio, mio Dio! perchè ha egli fatto questo? Che cosa aveva da rimproverarmi? Dici tu, amica, quali sono i miei torti? Non fui forse sincera con lui fino all'eroismo? La confessione che gli avevo promesso non mi avrebbe fatta l'anima a brani? La triste storia non mi avrebbe bruciato le labbra?… Eppure, avevo deciso di farlo ad ogni costo, come una espiazione, come un primo sacrifizio a quest'uomo che mi aveva dischiuso degli arcani dolcissimi, che mi aveva richiamata alla vita del cuore, mentre mi reputavo morta per essa!
«Quest'uomo che io stimavo tanto diverso dagli altri sulla fede delle sue nobili parole, dei giudizii che gli altri, tu stessa per la prima, ne davano, aveva destato in me una grande simpatia; ma se io non ero padrona del mio sentimento, ero padrona della mia ragione; e può egli dire di essere stato da me incoraggiato, sia pure con la più innocente civetteria di cui nessuna donna va esente, a tentar di mutare la natura dei nostri rapporti? Se egli mi avesse subito fatto comprendere quali speranze nutriva, io avrei potuto farmi forza, disilluderlo fin dal principio, non vederlo più; egli invece seppe abilmente aspettare fino a quando io caddi in una fitta rete, quando la mia simpatia era diventata amore, amore potente, del quale non potevo più fare a meno, come non si fa a meno dell'aria che si respira!… E, ciò malgrado, che cosa gli risposi io? Chiedilo a lui stesso; mi affido alla sua coscienza, se ne ha una; che cosa gli risposi? Gli diedi forse allora qualche speranza vaga, lontana? Io gli dissi che non doveva concepirne nessuna, che non potevo amarlo se non come un amico, come un fratello; che una fatalità pesava sulla mia vita!
«Una fatalità, la più triste, la più terribile: essere legata, indissolubilmente, a chi non si ama e non si può amare; esser libera agli occhi di tutti e sentire tutto il peso del dovere nell'intimo della coscienza! Tu lo sai, tu che sei stata presente alle mie dolorose vicende dal momento che fui legata a quell'uomo fino ad oggi, tu lo sai quel che mi fece soffrire! Ebbene, per ragione di queste sofferenze medesime, potevo io cacciarlo da me quand'egli era tornato pentito, umile, supplice, quando a sua volta tradito, invocava il mio perdono, quando io stessa avevo apprezzate tutte le tristi conseguenze della mia falsa posizione, i sospetti che la malignità sempre desta andava gettando su di me?
«Il mio cuore era libero, allora; io non conoscevo ancoralui; avevo creduto che tutto fosse finito per me; non ebbi la forza di respingere mio marito che veniva in nome del nostro passato, che prometteva di riparare pubblicamente, alla luce del giorno, tutti i suoi torti, di smentire per ciò stesso le voci malvagie di cui ero l'oggetto. Quand'anche l'avessi avuta, questa forza, come resistere a lungo? Non aveva egli il diritto dalla sua parte? Non era mio marito?… Fu allora che conobbilui, e puoi tu imaginare un tormento più grande del mio, spinta com'ero a gettarmi ai piedi dell'uomo amato, e incatenata intanto a chi avevo giurata la fede? Non erano tanto più grandi i miei doveri verso costui, quanto più grande era la mia apparente libertà, quanto più ero sottratta alla sua sorveglianza?… E non lo ingannavo, intanto? non gli mentivo? non avevo dato l'anima mia a quell'altro? Avrebbe quell'altro forse voluto che io mi fossi divisa fra loro due?…
«Io non so; la mia mente si turba, la mia ragione si smarrisce! Quando io gli dissi che un triste secreto mi pesava sul cuore, che un giorno lo avrebbe saputo (non volevo, non dovevo confessarmi a lui?) io gli chiesi se avrebbe avuta la forza di affrontare una posizione tristissima, di contentarsi di quel che solo gli potevo dare. Che cosa rispose? «Non sa che forza la sicurezza di essere amato può dare ad un uomo!» Egli m'ingannava; traeva profitto del mio accecamento, contava presto o tardi di vincere in un modo o in un altro! Un galantuomo avrebbe detto: «Questa forza io non l'ho; mi si chiede l'impossibile!»
«Ed ancora, non gli avevo io chiesto di aver fede in me? Non aspettavo l'occasione propizia da un istante all'altro di dire a mio marito: Mantenete la vostra promessa, riprendetemi con voi dinanzi a tutti, o rinunziate per sempre a me? Non ero io quasi sicura ch'egli avrebbe esitato, nuovamente sedotto com'era da quella donna che lo aveva ammaliato, non più bisognante di me; che egli mi avrebbe presto lasciata libera, questa volta davvero, e per sempre?… Giurava di aver fede in me,lui, e mentiva; e quand'era il tempo di provarla, questa fede, mi abbandonava vilmente; vilmente, lo ripeto ancora, non mi stancherei di ripeterlo!… Dunque, il martirio che io sopportavo, i rimorsi di ogni natura che mi laceravano il cuore in tutti i sensi, la posizione di una donna che è sull'orlo della colpa, i mille pericoli cui andavo incontro, tutto questo era dunque nulla? Per chi mi aveva presa egli dunque?…
«Ah, io mi lamento a torto! È forse provvidenziale che sia finita così! Egli mi avrebbe forse abbandonata dopo avermi avuta, come una cosa inutile ormai!… Mi ha lasciata prima; anche questa è una specie di lealtà di cui bisogna tenergli conto!
«Non è men vero per ciò, amica mia, che vi sono delle nature predilette dalla sventura. Ed io sono del numero. Amami tu, per tutti gli altri, lascia che io versi nel tuo seno la piena del dolore; vieni, vieni presto, vieni a soccorrermi.»
La signora Auriti ebbe un piccolo sorriso di trionfo dinanzi al Darsi che restava un poco interdetto.
—Vede se io avevo ragione? Sente come suona diversa l'altra campana?Mi parli dell'intesa, della compenetrazione delle anime, adesso!…
—Ebbene!—esclamò il Darsi, che non si voleva arrendere.—Ciò prova che vi sono nella vita delle situazioni complesse, che ammettono per ciò stesso diverse soluzioni, tutte fino ad un certo punto legittime. Ma se queste persone giudicavano così diversamente della loro condotta di fronte al sentimento che li dominava, ella converrà meco che, almeno in questo sentimento, essi si accordavano del tutto, gettati com'erano per esso in preda al più disperato dolore…
—Oh, non lo creda!—interruppe la signora Auriti, con un nuovo sorriso.—Non lo creda completamente. Certo, la scossa dovette esser sensibile; ma io penso che la previsione, in ciascuno di essi, del dolore dell'altro, dovesse essere più forte che non la personale sensazione dolorosa.
—Come può dirlo?
—Sa che cosa fece la mia amica, il giorno stesso in cui apprese la rottura? Andò a pranzo in casa di lady Dalty, dalla quale aveva già ricevuto un invito, dopo aver fatto un'accurata toletta. Per confessione stessa di lei—badi, io non metto una parola di mio—fattasi allo specchio, la sua meraviglia fu grande nel rivedersi la stessa, anzi più bella; il sangue affluito alla testa aveva acceso il suo volto, fatto come di bragia, coi grandi occhi sfavillanti. Quei preparativi di festa, i profumi dell'Ixorae dellaveloutine, le infusero quasi un benessere; a poco a poco una strana reazione si operò in lei; ebbe l'agio di trovare che il suo abitomauve, guernito di trineécruese dijais, le stava a pennello…
—Oh!
—Aspetti ad esclamare. Per le vie, ella scambiava graziosi saluti e sorrisi, si sentiva ammirata da tutta quella folla; le pareva quasi che con quell'ammirazione le si rendesse giustizia… Esclami, amico mio; esclami pure; in quel momento ella pensava certo—questa è l'induzione mia, non me l'ha detto lei—alla disperazione dell'uomo, allo sconforto mortale a cui doveva essere in preda; e trovava giusto che egli soffrisse per lei e che lei si distraesse così… Egoismo, e del più puro! L'uomo invece…
—L'uomo?…
—Telegrafava ad un amico, per avere del danaro; il soggiorno di Parigi, anche quando ci si va per raccogliere un'eredità (suo fratello maggiore era stato colpito da paralisi, egli non fece che affrettare le sue dimissioni) non è una misura di economia. Da Milano a Torino fece il viaggio coi Marnengo; la signora conserva un gradevole ricordo dell'amabilità del capitano. Intanto che egli sfoggiava la sua più squisita galanteria, pensava probabilmente all'ambascia della donna, al rimorso che doveva divorarla, come la più giusta delle punizioni. Se gli avessero detto che in quell'ora precisa ella era a pranzo da lady Dalty, si sarebbe pentito di aver avuta tanta fretta!…
—È disperante!—disse il Darsi, che vedeva l'inutilità dei suoi tentativi e cercava di lanciare un gran colpo.—Ella dunque crede che tutto sia finzione? Se io le provassi…
—Mio Dio, vuol dire che non ho saputo ancora spiegarmi. Io dico che tutto è relativo, che tutto può esser vero e falso al tempo stesso, secondo il punto di vista. Lei, per esempio, è qui, nel mio salotto, a sostenere il disinteresse, l'altruismo, il sacrifizio. Questo, non è vero? è un concetto…
—Del quale io non domando che darle la prova!
—Allora, consideri un poco: non potrebbe anche essere un calcolo?
«La solitudine ed il silenzio mi circondano. Gli uomini fuggono il mio consorzio. Io sono diventato un oggetto di scherno e di pietà per i miei simili. Essi non ascoltano le mie parole, il vento dell'oblio le disperde come il turbine del tempo disperde via, l'uno dopo l'altro, i giorni irrevocabili….
«La neve antica imbianca i miei rari capelli; fu un tempo che essi biondeggiavano folti come spiche mature. Le mie messi son fatte, ed un'altra Falciatrice ha compito dintorno a me l'opera sua. Tutta la stirpe dei miei è scomparsa; simigliante alla quercia che il novembre ha spogliato di ogni sua fronda, io resto, rigido tronco torcente le braccia sotto il cielo impassibile.
«Quanti inverni hanno scavato le rughe della mia fronte? Quante vite si sono spente dinanzi a me?… Non ne conosco più il numero. Le fila di mille avvenimenti trascorsi si tessono nella mia memoria; io ho visto le guerre e le paci, le feste dei potenti e le rivoluzioni dei deboli, le carestie e le abbondanze, gli esodi e le pestilenze; ho visto siccidi inverni ed estati piovose, vizii premiati e virtù neglette; ho visto il cieco avvampare delle passioni, l'accorto tramare degli interessi, le lacrime unirsi ai sorrisi, gli eroismi alle viltà; ma ho visto sopra ogni cosa uno spettacolo uniforme, quotidiano, immancabile: l'eterno spettacolo della morte.
«I miei parenti, l'uomo che mi generò, la donna che mi portò nel suo grembo, questi esseri che mi dettero la vita, che mi trassero dalla notte profonda dell'Inesistente, che mi trasfusero il loro sangue, che mi soffiarono il loro spirito, questi esseri sono spariti, io li ho visti l'uno dopo l'altro morire. I miei figli, le creature che sono uscite da me, la mia stessa vita continuata in un'altra compagine di muscoli e d'ossa, i miei figli sono scomparsi; io li ho visti uno dopo l'altro morire. Da una parte e dall'altra il filo che mi legava ad esseri viventi si è rotto; quelli che sorressero i miei primi passi, quelli ancora i cui primi passi io sorressi, chiusero gli occhi al sorriso del sole. E intorno a me ogni altra vita si è spenta: i miei fratelli, compagni della mia fanciullezza; la donna che io elessi fra tutte, la madre dei miei figli; i miei amici, fratelli del cuore; tutti, tutti scomparsi.
«Nei giorni remoti della gioventù, tra il primo agitarsi della attività dello spirito, alzando gli occhi lontano, sulle alture della maturità; più lontano, più lontano ancora, sulle vette della vecchiezza, io mi domandavo quali meraviglie si sarebbero offerte all'avido sguardo, quali infiniti orizzonti mi si sarebbero dischiusi, che fantastici miraggi avrebbero popolato gli spazii. A quelle alture lontane io pervenni; più su, alle ultime cime che parevano inaccessibili la rapida età mi ha innalzato più presto che dal piano l'occhio inesperto non giudicasse; e appena se sopra tanta altezza il sole getta i suoi ultimi raggi. Su per l'erta faticosa, che cosa ho veduto? Io ho veduto i miei compagni cadere. A quando a quando, fra l'una e l'altra dipartita, un panorama più vasto ma più confuso mi si è presentato dinanzi: il vento, la pioggia, le nebbie, le nevi hanno più spesso distratta la mia ammirazione.
«Sull'eccelsa vetta ove son giunto, un freddo polare agghiaccia il mio sangue, il disco del sole già rasenta l'orizzonte, e l'ombra livellatrice invade la sottoposta pianura. Se io chino gli sguardi alla strada percorsa, se aguzzo gli sguardi, io distinguo le tombe di cui essa è disseminata, le tombe disposte in lunghissime file, come colonne miliari. Là sotto la terra greve, oppresse, schiacciate, stanno le forme esanimi nella rigida posa in cui le mirai per l'ultima volta….
«Voi che passate gonfii di superbe speranze, leggieri d'anni e di cure, udite; io ho visto i sudori delle agonie imperlare le pallide fronti; io ho visto le labbra bagnarsi di spume; io ho visto gli immobili sguardi degli occhi stravolti sotto le ciglia vischiose; io ho visto le bocche aperte come per l'avida sete dell'aria; io ho visto le rigide pieghe delle lenzuola ricoprenti i corpi accasciati…. Io ho passate le lunghe notti delle veglie alla triste luce dei ceri consunti, io ho udito il cupo martellare sulle bare che si chiudono, io ho aspirato l'acre odore della terra frescamente rimossa per ricettar le sue prede….
«Voi avete occhi e non vedete; voi avete orecchi e non udite. Sul vostro cammino, se voi incontrate un convoglio funerale, voi torcete lo sguardo; voi non pensate che fra le assi inchiodate un cadavere è disteso con le braccia raccolte sul petto, voi non pensate che l'oscurità circonda quegli occhi pur dianzi dischiusi alla luce, che l'aria manca a quelle labbra pur dianzi aperte al respiro….
«Si muore! Nella tarda età o nella fresca, in alto e nel basso, l'Impassibile falcia le sue spiche con moto uniforme; e che cosa sono le diecine degli anni dinanzi all'eternità del sepolcro?
«Si muore! Tutte le gioie e tutti i dolori, le speranze, gli sconforti, le passioni, i fastidi, tutto finisce nell'ultimo sonno; e perchè degnare di pensieri e di cure ciò che è condannato a perire?
«Si muore! E sapete voi soltanto ciò che diverrà di voi quando il vostro cuore avrà cessato di battere, quando il vostro sangue si aggrumerà nelle vene?…
«La vita è il transitorio, è il contingente; la vita è l'ora che scocca e che passa, è l'onda che spira alla riva, il lampo che brilla e si spegne. Voi che vi afferrate ad essa, voi che ne ricercate avidamente la poca gioia bevendone la tanta amarezza, voi siete nel falso.—O figli degli uomini, canta il salmista, fino a quando vi starete col cuore aggravato? E perchè amate la vanità e andate in cerca della menzogna?
«Non un giorno, non un'ora voi fissate lo sguardo all'avvenire immancabile, voi meditate il problema del vostro destino. Voi non vi dite l'unica cosa memorabile: la morte mi aspetta, io sono destinato a perire, il mio spirito, questo specchio che riflette l'universo, sarà distrutto…. voi non v'inquietate del minacciosopoi; e deridete chi per voi se ne inquieta….
«Il sonno verace, il sonno rivelatore vi ammonisce talvolta; voi sentite un freddo guadagnarvi ogni fibra, la spaventosa immobilità cadaverica impietrarvi le membra, il respiro esalare, la tenebra fosca avvolgervi tutti…. Voi siete morti, e un lungo, un infinito terrore preme sui vostri petti; eterno è il buio ed il silenzio…. Non appena destati, non appena il primo raggio di luce sorrida, la vita vi riprende, la menzogna torna a sedurvi; l'orgoglio invade le anime già timide, una sfida superba sale alle labbra già mute….
«Se l'ora dell'angoscia scocca per voi, se l'unghia del dolore vi lacera le carni; ecco ogni ardire si fiacca, la viltà vostra vi fa abbassare la fronte e piegare i ginocchi; allora, allora soltanto voi tendete le mani congiunte ad un cielo prima schivato…. Cessi il dolore, scomparisca il pericolo, lo scettico o l'indifferente sorriso errerà nei vostri sguardi.
«O ciechi affidamenti! o folli aberrazioni! Dal primo istante di vita, voi portate il vostro proprio lutto; fin dalla culla i vostri piedi stanno sulle soglie della morte. Il tempo v'inghiotte istante per istante; come le goccie d'acqua della clepsidra i vostri giorni se ne vanno l'un dopo l'altro; invano tentereste di arrestarne uno solo, voi potete soltanto contarli—e quando essi saranno tutti trascorsi, saranno fatti eguali all'attimo alato. Voi chiederete appena: Qual'ora è?—e la voce dell'Ignoto risponderà: L'Eternità….
«O uomini, o miei fratelli, mettete la vostra mano nella mia. Essa è scarna e tremante; nondimeno non chiede un appoggio. Io voglio guidarvi, io voglio farvi mirare uno spettacolo nuovo.
«Nella solitudine nuda, quando nessuna cosa attrae l'occhio sulla terra, gli sguardi amano errare per le plaghe del cielo. Le nuvole vagabonde v'intrecciano i loro corsi: ed ecco in quelle forme ed in quelle colorazioni sono tutte le imagini del mondo. Tal fiocco leggiero naviga tranquillamente nell'azzurro, come nave cui sieno propizie le onde; tali plumbei ammassi spumosi sono un mare flagellato dalla tempesta. All'alba, piccole forme dorate, come alati messaggieri, dispiegansi alla luce saliente; al tramonto, fosche vampe si slanciano dall'occidente, si perdono in una caligine densa, come se l'orbe s'incendiasse. E sono ancora candori abbaglianti, come di campi nevosi, come di giogaie iperboree; e sono ancora immense fuliggini, come tediose tele di ragni colossali; e sono ancora monti di porpora e d'oro, miserabili cenci sdruciti, scaglie opaline di madreperla, ghirlande di rose, mucchi di sassi. Sorgono dall'ampia cerchia dell'orizzonte mutevoli forme: linee ondulate di lontane colline, picchi superbi, rocche munite; aerei ponti si slanciano arditi, lunghi fiumi serpeggiano, isole e continenti si formano. Non reclinereste voi la stanca testa su quel morbido, voluttuoso guanciale? Qual pastore guida quell'armento sterminato? Di che sangue è tinta quell'immensa spada gocciolante?… Cozzano formidabili Titani, gonfi d'odio e di livore; s'intrecciano ali leggere che l'amore sospinge…. E tutto questo è un po' di vapore, un soffio: i monti s'adeguano, le rocche crollano, le rose si sfrondano, le spade si spezzano; tutto svanisce e tutto ricomincia…. Simigliante è lo spettacolo della vita; nel mare dell'essere tutto è soffio, è parvenza….
«Anch'io, anch'io misi un gran prezzo a tutto ciò che vi preme di più, anch'io amai e odiai, anch'io sognai la potenza e la gloria. Un po' del mio cuore è rimasto da per tutto lungo la strada, e la mia memoria è popolata e rumorosa come un alveare…. Dov'è la casa che mi vide nascere, il tetto che riparò la mia culla, il focolare intorno al quale il mio spirito cominciava a destarsi, sognando di fantasmi e di eroi? Distrutta, lontano! Dove sono i fiori che l'amore falciava nella stagione felice? Appassiti, dispersi…. O lacrime invano versate! O più vani sorrisi! Che cosa avanza di tante energie? Delle rughe sulla mia fronte, che in breve spariranno con me….
«Come nel profondo silenzio i suoni più flebili acquistano una straordinaria intensità: l'aliare di un insetto, il cader d'una fronda; così all'occhio di chi vede la morte vicina le cose più trascurate hanno sole un alto valore. Non più gl'interessi che si chiamano grandi, non più le passioni che si dicono forti hanno seduzioni per me. Savio era Lemminkainen, l'eroe che, partito ad espugnar la Pojola, vinto a mezza via dalla noia, dalla paura e dal dolore, si fabbricò un nero cavallo fatto di fastidii, con una briglia composta di giorni tristi ed una sella d'angosce, e se ne tornò presso la madre. La madre è la natura, e sono le sue semplici vicende, il nascere e il morire del giorno, il germogliare e l'appassire del verde, le cangianti voci del vento e del mare, le sinfonie delle colorazioni, l'accendersi e lo sfolgorare degli sguardi astrali che lo spirito mio ansioso segue.
«Interrogate, o voi cui morde l'enimma, questa infinita natura, sempre varia ed identica sempre: forse intorno a voi purissime essenze aleggiano irrequiete, dolenti della vostra trascuranza; forse in ogni atomo vibra una vita che vuol esser compresa.
«Interrogate, interrogate la storia, chiedete ad ogni religione la sua filosofia, aspirate ad un olimpo, ad un nirvana, ad un paradiso. Mille risposte si son date all'enimma, e chi sarà tanto ardito da dire: Io solo sono nel vero?
«Qualcuno esiste.
«Qualunque sia il nome dato alla sovrana potenza, essa permane, eternamente immutabile. Microscopici insetti annaspanti sopra un grano di miglio, noi siamo nella sua piena balìa. Un soffio ci disperde, un turbine travolge col nostro miriadi di mondi, di su, di giù, per gli spazii infiniti…. La notte è formidabile; nell'oscurità formicolante di astri uno sguardo pertinace, inflessibile, sembra pesar su di noi.
«Ma, ignoranti, noi abbiamo una grande scienza; deboli, disponiamo d'una forza grandissima. Essa è la Preghiera, Che importa la natura e la forma del Dio, se possiamo intrattenerci con lui, se possiamo fargli l'olocausto dell'anima?
«La Preghiera è divina: la Parola che s'innalza al trono di Dio partecipa della sua divinità. Nel cielo di Brahma essa si confonde con lui.—Io son la regina, canta negli inni del Rik; io porto Mitra, Indra, Agni, gli dei Asvini e gli altri tutti. Per mezzo degli Dei io sono presente in tutte le cose e penetro tutte le cose.
«Che cosa sarebbe rinunziare al mondo, mortificarsi, vestire di cenci cuciti insieme e raccattati nei cimiteri o fra le immondizie, vivere di elemosine non chieste, soffocare ogni istinto, per amore dell'eterna salute?… Ebbene, basterà che preghiate. In ginocchio, pregate! Pregate per voi e pei vostri fratelli, pei morti e pei nascituri! La preghiera sarà la colonna di vapore e di fuoco che vi guiderà giorno e notte, sarà il Sinai sul quale la Legge vi verrà rivelata…. Siate umili, fatevi più piccoli ancora di quel che non siete; accettate ciò che è, benedite le gioie ed i dolori, soffrite la vita, adorate la mano che vi accarezza e che vi flagella. E le vostre inquietudini svaniranno, voi sarete affrancati dai vostri terrori. Venga ora la morte, essa non avrà virtù di turbarvi; sereni voi vi chinerete sulla faccia dell'abisso….
«Bestemmiate ancora, ribellatevi se vi credete zimbello d'uno stolto potere, se stimate che vi fu data una vista illusoria poichè la verità è stata inescrutabilmente nascosta! La bestemmia è una preghiera al rovescio, ribellarsi è un modo di credere, l'angelo caduto ha anch'esso la sua grandezza, e tutto, tutto è preferibile alla limacciosa indifferenza dove s'impantanano le anime vostre….
«Guai a voi che nessuna cura del futuro non morde! Guai, guai al secolo che non scruta il problema dei destini! Quando l'ora fatale sarà scoccata, quando voi sarete per naufragare nel mare dell'immensità, non sarà il vostro orgoglio, non sarà la vostra potenza terrena, non saranno i vostri vani piaceri che vi daranno soccorso! Nel commercio della vita, nel cozzo delle passioni, non saranno essi che vi additeranno la diritta via!
«Ascoltatemi ancora; io voglio dirvi ciò che orecchio umano non ha ancora saputo; voglio confessarmi a voi, tutto. Come potrei aspirare ad essere seguito, se fossi sospettato di non esser sincero?… Ascoltate: io peccai. Sollecitato da brame violente, assicuratomi della umana impunità, col tradimento più nero, io armai la mia mano. Odo ancora i gemiti del caduto, fuggo ancora nella notte tremenda…. Ed era come se le mura, gli alberi, i monti, tutta la terra si rovesciasse dietro di me, perseguitandomi. La fuga era inutile; nessuno m'inseguiva, nessuno mi aveva scorto. Io portavo fra gli uomini la mia fronte alta e serena, la mia mano era ancora stretta dalle mani leali. Solo io leggevo un'accusa in ogni sguardo, in ogni parola, in tutte le cose; un'accusa sorda, implacabile…. Non era un'allucinazione della mente turbata? Tutto procedeva come di consueto, e nessuno mi rimproverava nulla.
«Internamente, il rimorso mi assiderava; io mi chiedevo tremante; qual gastigo mi è riserbato? e stavo sempre nell'attesa di mali terribili, delle più spaventose miserie del corpo e dello spirito…. Il gastigo non veniva, la vita scorreva egualmente, con le stesse vicende.
«Io mi chiedevo ancora, con più profondo terrore: Sarà forse la morte che mi colpirà, presto, prima che io abbia compita la mia carriera?… Ed io l'aspettavo da un momento all'altro; un triste sorriso m'increspava le labbra quando mi si parlava del domani. E la morte veniva; ma invece di colpir me, si abbatteva intorno a me, mi isolava in un cimitero sempre più vasto. Vecchi, giovani e piccoli, tutti se ne andavano; io solo persistevo, che avrei dovuto pagare pel primo; persistevo a misurare l'orrore dell'inutile colpa, la malvagità della speme bugiarda, il precipizio della nostra miseria; persistevo a misurare la terribilità del gastigo e la giusta sovrana che l'infliggeva; invocando come una liberazione la morte temuta, ansioso di entrare finalmente nel Vero….