VI.SMASCHERAMENTO
Abbiamo detto che dopo la morte di Ugo Ferraretti, Luigia si era sottratta alla tirannide del fratello. Ella era fuggita nel colmo della notte, provveduta di una piccola somma che per ispecial favore il Ridolfi le avea conceduta sulla parte dell’eredità del Baronetto: ella erasene andata dapprima a Pisa in casa di una tenerissima amica di sua madre, la quale approvò la condotta di lei; chè troppo conte le erano le crudeltà del sordido fratello, e le promise di serbare il più gran segreto sulla permanenza di lei in sua casa.
E qualche tempo Luigia rimase in sicurtà appo questa amica, lamentando un dolore, cui lo stesso tempo non potea mitigare. Ella passava gran parte della giornata a lavorare; ma di notte non dormiva, chè dava sfogo all’affanno che le pesava sul cuore; e bagnava i suoi guanciali con disperate lagrime, e abbracciava nei trasporti del suo delirio l’immagine del suo estinto Ferraretti. Qualche volta, ella si metteva a sedere nel mezzo del letto, tenendo tra le mani la maschera del suo diletto, sulla quale venivano a cadere i morti raggi della notturna lampada.
Questo ella non facea di giorno, perciocchè avea promesso all’amica di non abbandonarsi alle crudeli angosce di rimembranze sterili e funeste. Tuttavia, quando si alzava il mattino, le profonde occhiaie scavate sulle gote e l’estremo pallore del volto rivelavano abbastanza in che modo avesse passata la notte; di che la tenera amica rimproveravala con uno di quegli sguardi più eloquenti di qualunque discorso.
Luigia amava Ugo Ferraretti con quell’amore che tanto più è vivo ed intenso, quanto meno nutrito da speranze. La morte del giovine artista lungi dallo spegnere questa fiamma, l’avea alimentata col fuoco della disperazione. Un solo era ormai il desiderio di questa misera giovinetta: ricongiungersi, morendo, al suo caro. Qualunque ragionamento che le si faceva per indurla a dismettere la tristezza che l’opprimea, le riusciva molesto e fastidioso; dappoichè ella sentiva che non era nelle sue facoltà lo strapparsi dal cuore una passione in cui avea riposta la sua vita; nèpotea persuadersi a dimenticare l’estinto Ferraretti, però che ella dicea lui non esser morto, ma sibbene partito per una regione, a cui tra poco ella stessa andarne dovea: dicea di amare, non il corpo, ma l’anima di Ugo, la quale, sendo immortale, non era soggetta ad estinguersi e consumarsi; sapeva insomma trovare di tali argomenti ed arzigogoli da pascersi di lugubri fantasime sino a caderne inferma, e sino alla minaccia di follia.
Non passarono molti mesi dalla sua dimora in Pisa, che discoperto venne da Carlo Ridolfi il suo asilo: questa novella arrecò dolore grandissimo all’amica di Luigia, la quale comprendeva ormai la necessità di doversi dividere dalla cara e sventurata giovinetta, che a tal modo sarebbe rimasta abbandonata in balìa del suo dolore, ovvero restituita novellamente in potere del dispotico fratello.
Una mattina, due ceffi di uomini, nell’un de’ quali riconobbesi Carlo Ridolfi, e nell’altro colui che doveva impalmar la Luigia, si presentarono a casa della costei amica, chiedendo con maniere rozze e bestiali, lor venisse renduta quelle donna, a cui dettero epiteti infamanti e osceni. Soggiunsero che se di buona voglia la non si fosse renduta loro, avrebbero, per via della autorità e delle leggi, costretta la consegna di lei. La amica di Luigia, con coraggio superiore al suo sesso, rispose che non avrebbe giammai acconsentito a consegnar nelle loro mani l’onesta fanciulla, figliuola della più diletta amica ch’ella s’avesse, e che, se le leggi e l’autorità glielo avessero comandato, avrebbela tosto restituita a chi di dritto; facendo pertanto conoscere a tutti le sevizie, le estorsioni e i mali trattamenti di ogni maniera, ond’egli, il Ridolfi, opprimeva la sventurata donzella. Non sappiamo se furon queste ultime o altre le ragioni che indussero que’ due ceffi a desistere per un momento da ogni violenza; certo si è che, bufonchiando tra i denti vituperevoli parole e forse alcune bestemmie, si partiano di malissima voglia, e in sembiante di chi mediti estremi propositi.
La Luigia intanto, la quale tutta tremante e spaurata avea udito, a traverso di un muro soprammattone, il colloquio della sua amica con que’ due ribaldi, e che si era veduta libera, almen pel momento, dalla violenza di coloro, pregò subitamente la dolcissima amica di volerle permettere che si allontanasse da quella casa, in cui non potea rimanersi in sicurtà. Alla qual persuasione, comecchè a contraggenio, dovette affarsi la buona donna, e, dandole ogni ragione di consigli, di raccomandazioni e di aiuti, si separò da lei, sul cui capo genuflessa implorò la benedizione di Dio.
Luigia Aldinelli trasse a Livorno, dove era stata raccomandata, in qualità di esimia lavoratrice d’immaginette, ad un vecchio ed onesto scarpellino di questa città. Da due oggetti l’Aldinelli non si era mai divisa, dall’anello di sua madre e dalla maschera di Ugo Ferraretti, la quale era per lei tutto ciò che può attaccare una donna alla vita, perocchè su quella parlante immagine affisava la miserella per lunghe ore gli sguardi, e vi beveva un dolcissimo tossico, e vi si confortava con le più ardenti speranze di essergli congiunta nel cielo. Ma parea che un fato incomprensibile si piacesse a perseguitar questa misera; giacchè una lettera dellasua amica da Pisa avvertivala che suo fratello, nella massima rabbia di vendetta, accingevasi a venire a Livorno per istrapparla alla quiete; se non alla felicità della presente sua dimora. La Luigia era stanca di tali persecuzioni; e, volendo porsi a salvamento da ogni ulteriore violenza, pensò di scrivere al solo amico che ella si avesse nel mondo, Maurizio Barkley. Aspettando la costui risposta dall’Inghilterra, si era intanto ritirata in un sobborgo di Livorno, rimoto e solitario, ove menava miserissima vita, o dove con ansia aspettava che l’operaio scultore livornese, a cui era stata raccomandata, le avesse fatto ricapitare la sospirata lettera del Barkley. La quale non tardò ad arrivarle; perciocchè Maurizio giammai non mettea tempo in mezzo nel venire a soccorso de’ sofferenti e de’ miseri. In quella risposta, ripiena delle più calde dimostrazioni di amicizia, Maurizio le facea sapere che, per un funesto avvenimento accaduto al fratello di lei, Sir Eduardo Horms, egli dovea recarsi immantinente a Parigi; epperò le ingiungeva di non frapporre alcun indugio ad imbarcarsi sul primo vapore diretto a Marsiglia, e trarre a dirittura alla capitale della Francia; dove egli si sarebbe trovato immancabilmente all’Albergodes Princes, stradaRichelieu. Il generoso e nobile Maurizio avea messo nella sua lettera una cambiale a vista sovra un banchiere di Livorno, per la somma di mille franchi. Le lagrime della riconoscenza irrigarono le pallide gote di Luigia; ed ella volse al cielo i suoi begli occhi in atto del più fervido ringraziamento. — E si partia tosto da Livorno, dopo avere scritto una tenerissima lettera di addio alla sua amica di Pisa, e dopo aver ringraziato lo scultore di Livorno per le cure ed assistenza prestatele durante la sua permanenza in questa città.
Luigia Aldinelli giungeva in Parigi verso il mezzo del mese di settembre dell’anno 1829, vale a dire, due mesi all’incirca dacchè le gallerie del Louvre si erano aperte all’esposizione di quell’anno.
Smontata appena dalla diligenza, ella si era fatta condurre all’albergodes Princesper chiedere di Maurizio Barkley, ma le venne detto che questi era uscito fin dalla prima ora del mattino, e non si sapea a che ora fosse di ritorno. Luigia, straniera ed ignorante di tutto e di tutti in quella vasta capitale, non sapendo che cosa farsi di quelle lunghe ore che la dividevano dal momento in cui avrebbe riveduto l’amico Barkley, si era fatta condurre in carrozza a passeggiare peiBoulevards. Arrivata presso le Tuilleries, vide una gran folla che pareva trarre verso un luogo, quasi mossa dalla curiosità di qualche spettacolo; però ne chiese, come meglio potè al cocchiere, il quale disse che quella folla traeva ai corridori del Louvre aperti alla pubblica mostra di Belle Arti.
Per cercare una distrazione ed una occupazione Luigia si condusse appresso agli altri in quelle sale, e vide che tutti sembravano convergere verso un sol punto, dove forse era esposto il quadro del più gran merito. Ben s’intende che la curiosità, spinse l’Aldinelli ad immischiarsi in quella folla, e trarre assiem con gli altri nella gallerie in cui era esposto il quadro laPreghiera.
Non tenteremo di dipingere l’immensa sorpresa da cui fu colta la giovinetta nel portare i suoi sguardi su quella tela nella quale parea palpitare l’anima ed il genio del Ferraretti. Ella non prestava credito agli occhi suoi, tenendo come illusione della fantasia quel dipinto; le sue propriesembianze eran quelle ivi ritratte; quello il suo vestimento; l’anima sua quella che si vedea negli occhi rivolti al cielo; quello in fine l’anello che splendea al dito dell’inginocchiata: non ci eran dubbi! Quel ritratto era il suo, e l’autore di quel ritratto altri non poteva essere che Ugo Ferraretti, il suo amante. Però ella gittò incontanente gli occhi sul nome posto a piè del quadro; e la sua meraviglia ed il suo dolore furon smisurati nel leggere un nome francese a vece del vero italiano. Quel nome erale noto: esso era quello dell’amico dell’estinto Ferraretti, di colui che gli aveva forse accelerata la morte coll’immergerlo nelle più pericolose orgie. Il lampo della verità balenò alla mente di lei quando le ricorse al pensiero averle il suo amante parecchie volte accennato vagamente che ei stava sopra un lavoro di qualche lena; e questo era certamente il quadro che ora colpiva gli occhi suoi; e questo, senza dubbio alcuno, era stato involato dal perfido francese, dopo la morte dello sventurato giovine artista italiano. Una simile infamia metteva un incendio nell’anima di lei, sicchè ella non sapea staccare i suoi sguardi da quella tela; e la sua faccia, or bianca come per morte, or soffusa di rossore, esprimeva a vicenda la sorpresa, il dolore, la rabbia e una certa commozione di piacere. E cosiffattamente era ella tutta sospesa col pensiero e cogli affetti in sul quel quadro, che punto non si avvide della straordinaria ammirazione di cui ella stessa era divenuta l’oggetto, in simil guisa che tutti gli astanti compresi da stupore, guardavan lei ed il quadro, ed eran vivamente colpiti dalla strana rassomiglianza tra essa e l’immagine dipinta. Nè badò al mormorio che le si facea dattorno e che vieppiù si prolungava, richiamando sempre l’attenzione degli spettatori e de’ nuovi arrivati. E poscia che qualche ora fu rimasta al cospetto della creduta tela del Ducastel, Luigia si partì dal Louvre in gran fretta; un pensiero le saettava il cervello: smascherar subitamente tanta infamia e tanta impostura, e restituire alla memoria del Ferraretti gli onori che un ladro esimio involavagli. Arrivata alla piazza Carrousel, ella voleva ritornare indietro per andare a cancellare pubblicamente l’infame nome del Ducastel sotto quella tela, e restituirvi quello di Ugo Ferraretti a cui si apparteneva; ma si trattenne temendo di non ruinare per imprudenza lo smascheramento dell’impostore. Fra pochi istanti ella dovea riveder Maurizio Barkley; onde fermò di parlarne a costui e prender di concerto le risoluzioni su ciò che si avesse a fare. Gittatasi però novellamente in carrozza, ella era tornata all’albergodes Princes, dove venne introdotta nell’appartamento di Lucia Horms, nel momento in cui Maurizio Barkley, Emma, Lucia e Marietta erano in conversazione intorno alla sorte di sir Eduardo Horms.
Ella era giunta, inosservata da que’ quattro, nel punto in cui Maurizio aveva sulle labbra il nome di Ferdinando Ducastel, chiamandolol’occhio diritto della nazione francese e del governo. I nostri lettori ricorderanno che Luigia avea gridato queste parole:
— Ferdinando Ducastel è un infame impostore, un assassino della gloria italiana!
Luigia Aldinelli fu accolta come sorella da que’ cuori sì nobili e affezionati: la più gran simpatia nacque subitamente tra quelle donne e la sventurata sorella di sir Eduardo. Lucia abbracciò con estrema tenerezzala cara cognata, delle cui sventure Maurizio le avea parlato. Un diluvio d’interrogazioni fu rivolto a Luigia: nel modo più succinto ella dovette compendiare il tristo racconto della sua vita, che rischiarò il mistero di quelle parole che ella aveva proferite mostrandosi in quel crocchio di famiglia.
Grandissimo fu lo stupore di tutti nel sentire la novella infamia del Ducastel e la storia del giovine artista pisano Ugo Ferraretti. I sospetti dell’Aldinelli apparvero come evidente certezza agli occhi di Maurizio Barkley, però che questi si ricordava delle confidenze fattegli dal ladro Dumourier e rammentava avergli costui rivelato quanto il Ducastel raccontava su l’ardente sete di gloria che il tormentava, e per ottener la quale avrebbe commesso anche un delitto.
Non c’era dubbio: Ducastel era il ladro del quadro del Ferraretti, siccome era il vero autore della morte di Giustino Victor! Per una delicatezza che Lucia ed Emma seppero apprezzare, Maurizio non avea voluto manifestare a Luigia che il creduto Ferdinando Ducastel era il fratello di lei, Federico Lennois. Questa rivelazione avrebbe forse potuto mettere nell’animo generoso dell’Aldinelli qualche scrupolo nocivo allo smascheramento delle turpitudini di cui si era bruttato il Lennois.
Lungamente si ragionò intorno al modo di ottenere il desiato smascheramento, dapprima del furto del quadro, e indi della trama commessa a danno del giovine Victor, e per la quale sir Eduardo era privo di libertà e minacciato da grave processo criminale. Bisognava anzi tutto trovar modo onde i sospetti fossero addivenuti realtà. Dopo non pochi ragionari, fu convenuto di prendersi del tempo per aspettare dalle circostanze qualche novella prova dei delitti del Ducastel, e sorvegliare intanto i passi e la condotta di costui.
Luigia avea confessato di conservar la maschera del cadavere dell’infelice artista di Pisa. Questa confessione ispirò a Maurizio Barkley il disegno dell’inganno che i nostri lettori hanno veduto operarsi dall’Aldinelli al ballo dell’Opéra.
Il risultato di quella scena avea pienamente confermato i sospetti di Luigia e de’ suoi amici. Or più non trattavasi che svelare in modo nobile e dignitoso la verità, e colpire della meritata infamia l’autore di sì nera usurpazione.
Una mattina, due giorni dopo della scena nellostanzino particolaredi Very, tutta Parigi accorreva a leggere ne’ caffè e nei gabinetti di lettura un articolo dellaFrance Artistiquecosì concepito:
«Nel momento in cui tutta la Francia si rallegra di salutare in uno dei suoi figli un emulo delle più colossali riputazioni artistiche: nel momento che tutta Parigi si contende l’onore di stringer la mano a Ferdinando Ducastel, cui il Giurì ha decretato il premio delSalonedi quest’anno, una grave rivelazione ci vien fatta da persona, il cui carattere ci vieta revocarla in dubbio. Ci piange il cuore nel segnar queste righe, ma ci sentiamo nel dovere di parlare, prima che ne parlino i giornali italiani e gettino su noi la riprovazione e lo scherno.
«Si cessi dignitosamente dal profondere ovazioni ed incensi a Ferdinando Ducastel.L’autore del quadroLA PREGHIERAnon è FerdinandoDucastel, ma sibbene un giovine artista italiano, morto l’anno scorso, per nome Ugo Ferraretti. Le prove incontrastabili di questa usurpazione saranno date a’ Tribunali competenti dalle persone che vi hanno interesse».
Mentre con grandissimo stupore e sdegno si leggea questo inatteso articolo dellaFrance Artistique, giornale di somma riputazione, si seppe che il Ducastel era gravemente infermo, e che, poche notti addietro, venia trasportato quasi morto al suo domicilio, essendo stato soprappreso da un colpo improvviso in una delle stanze segrete deltrattoreVery.