«Garibaldi spirò iersera; lasciò un’autografa disposizione in data 17 settembre 1881, così concepita: — Avendo per testamento determinato la cremazione del mio cadavere, incarico mia moglie dell’eseguimento di tale volontà , prima di dare avviso a chicchessia della mia morte. Ove ella morisse prima di me, io farò lo stesso per essa. Verrà costruita una piccola urna in granito che racchiuderà le ceneri sue e le mie. L’urna sarà collocata sul muro dietro il sarcofago delle nostre bambine e sotto la acacia che lo domina. — »
«Garibaldi spirò iersera; lasciò un’autografa disposizione in data 17 settembre 1881, così concepita: — Avendo per testamento determinato la cremazione del mio cadavere, incarico mia moglie dell’eseguimento di tale volontà , prima di dare avviso a chicchessia della mia morte. Ove ella morisse prima di me, io farò lo stesso per essa. Verrà costruita una piccola urna in granito che racchiuderà le ceneri sue e le mie. L’urna sarà collocata sul muro dietro il sarcofago delle nostre bambine e sotto la acacia che lo domina. — »
Era insieme un pensiero sublime ed una volontà sacra. Garibaldi non voleva nè essere sepolto, nè esserlo in Roma; voleva, prima ancora che il mondo sapesse della sua morte, essere bruciato, colle piante odorose della sua Caprera, e quivi, poca cenere chiusa in un’urnetta, tra i sarcofagi delle sue bambine, sotto l’acacia che li consola di molle ombra, dormire in pace per sempre.
E questo voto doveva parere tanto più intangibile e santo, in quanto non era nè estemporaneo nè nuovo. Molto prima, può dirsi, che il rito della cremazione tornasse di moda, Garibaldi ebbe quell’idea di confidare la suprema cura della sua spoglia mortale alle fiamme. L’aveva confessato fin dal 1870 al colonnello Bordone; l’aveva ridetto al suo vecchio amico Giuseppe Nuvolari; lo ripetè poco dopo ad Achille Fazzari; lo raccomandò ancora più esplicitamente nel 1877 al suo fido medico, il dottor Prandina.[407]«Voglio esserebruciato: bruciato e non cremato capite bene. In quei forni che si chiamanoCrematoinon ci voglio andare. Voglio esser bruciato come Pompeo, all’aria aperta.... e voi, Fazzari, soggiungeva scherzando, sarete il mio liberto..... Farete una catasta, soggiungeva al Nuvolari, di quelle acacie della Caprera, che bruciano come l’olio; stenderete il mio corpo vestito della camicia rossa sopra un lettino di ferro, mi deporrete sulla catasta colla faccia rivolta al sole e così mi brucerete. La cenere che resterà la metterete in un’urna.... anzi in una pignatta qualunque, e la deporrete sul muricciolo dietro le tombe di Anita e di Rosita. Così voglio finire.»
Ma chiese il dottor Prandina: «E se per disgrazia moriste sul continente, lontano dalla vostra Isola?» — «Non importa, fece il Generale, mi caricherete sopra una barca, mi condurrete alla Caprera, e mi brucerete come v’ho detto.»
Nessun uomo espresse mai più chiaramente e replicatamente la sua estrema volontà , e di nessun uomo avrebbe dovuto essere più religiosamente osservata.
Ma altro fu il parere di coloro che l’Eroe aveva il diritto di credere i più gelosi interpreti e più fidi custodi del suo testamento. I politicanti dissero che le spoglie di Garibaldi non appartenevano a lui, ma alla nazione, e che a questa sola, mediante i suoi legittimi rappresentanti, spettava il diritto di decidere della loro sorte; i medici, sgomenti del rapido progredire della corruzione, sostennero la necessità di provvedere senza indugio alla imbalsamazione del cadavere, il che era già un avviamento alla sua conservazione; altri, quale il signor Crispi, affermava l’impossibilità di eseguire alla lettera la combustione come il Generale l’aveva ordinata, affermando che la mancanzain Caprera de’ mezzi adatti ad una perfetta cremazione esponeva al certo pericolo di vedere «le ceneri della spoglia confuse con quelle delle legne;» altri vociarono: Roma! Roma sola degna tomba dell’Eroe: tutto deve piegare, anche Garibaldi, innanzi alla maestà di quel luogo e di quel nome; e insomma quali per una ragione, quali per l’altra, radunatosi in Caprera una specie di consiglio di famiglia, al quale erano presenti, oltre la signora Francesca, Menotti, Canzio e la signora Teresita, anche il dottor Albanese, Francesco Crispi, Alberto Mario e Achille Fazzari, contro la volontà , fu detto, della signora Francesca (e doveva farla valere più gagliardamente) e contro il parere del Fazzari, la maggioranza deliberò di compiere senz’altro l’imbalsamazione del cadavere e di seppellirlo frattanto in Caprera, lasciando al Parlamento di decidere quale ultima dimora gli dovesse essere destinata.
Noi non discuteremo qui quelle ragioni, nè riapriremo una polemica, che falserebbe il carattere di questo libro. Alla storia interessa soltanto che la deliberazione del Consiglio di Caprera suscitò in tutta, può dirsi, l’Italia un grido unanime di riprovazione e di sdegno.
Le città e le associazioni radunarono comizi e votarono indirizzi di protesta; la stampa, fatte poche eccezioni, echeggiò concorde l’indignazione della coscienza nazionale; gli uomini più eminenti di tutti i colori e di tutte le parti sfolgorarono talvolta in parole eloquenti il sacrilegio minacciato, ma indarno. Garibaldi aveva voluto; un Plebiscito della nazione aveva confermato, ma il conciliabolo di Caprera aveva deciso altrimenti;sic volo, sic jubeo, stat pro ratione voluntas.
L’8 giugno, presente il Principe Tommaso per il Re, i ministri Ferrero e Zanardelli per il Governo, le Presidenze della Camera e del Senato, le Rappresentanze della marina e dell’esercito, gli inviati delle città e delle corporazioni, i superstiti dei Mille e dei Volontari, presente in simbolo tutta l’Italia ufficiale e reale, Garibaldi, in un giorno di uragano, protestando il cielo ed il mare, fu fatto scendere a forza sotto l’umida terra, a forza vi fu chiuso e suggellato dentro sotto una duplice lapide; la volontà dei vivi mise a giacere per sempre la volontà del morto; la inviolabilità della pietra sepolcrale tagliò corto a tutti i reclami e a tutte le querele; e il popolo italiano, facile alle accidie perchè facile agli entusiasmi, piegò la testa al fatto compiuto e lo subì.
Washington non volle altra tomba che un’aiuola del suo Mount Vernon, e nessun Americano avrebbe nemmeno per un istante dubitato che quella volontà potesse essere violata. Robert Peel lasciò scritto di voler esser sepolto nella chiesa parrocchiale di Draylon Bassett, e il Parlamento che gli aveva destinato gli onori di Westminster s’inchinò al suo volere; il conte di Cavour volle posar per sempre nel domestico sepolcreto di Santena, e nessuno della sua famiglia l’avrebbe ceduto a Torino, o a Santa Croce.
Giuseppe Garibaldi non pretese dalla sua patria, per la quale aveva tanto operato, non domandò alla sua famiglia, che aveva tanto adorata, altro pegno di gratitudine, altro ricambio d’amore, che di dormire pugno di cenere tra le fosse delle sue bambine, lontano dal fatuo rumore del mondo, che aveva sempre sprezzato, nell’Isola solinga, sotto il libero aere, presso l’immenso mare, che avea tanto amati; — e gli fu negato.