XIII.Così come voi udite, fece lo re Anibal di Cartagine primamente tagliare li monti di Mongeu per fare la via con gran costo e con gran pena, e ciò possono sapere coloro che l'ânno veduto e che vi sono passati; e quando ciò ebbero fatto, Anibal passò oltre con tutta sua gente, e al sesto giorno giunse dall'altra parte al piano; e quando ebbero tanto aspettato che giunsero tutti, e tutti furono passati, cavalieri e pedoni e ogni bestiame, elli fece sua gente annoverare per sapere lo numaro di sua gente, e sì trovò ch'egli aveva con seco cento migliaia d'uomini appiei, e sessanta migliaia di cavalieri tutti armati; e sì dice Eutropio e contia ch'elli aveva cento olifanti senza e camelli ed altri animali, de' quali aveva sì grande abbondanzia, ch'appena se ne potrebbe fare il numaro.
Così come voi udite, fece lo re Anibal di Cartagine primamente tagliare li monti di Mongeu per fare la via con gran costo e con gran pena, e ciò possono sapere coloro che l'ânno veduto e che vi sono passati; e quando ciò ebbero fatto, Anibal passò oltre con tutta sua gente, e al sesto giorno giunse dall'altra parte al piano; e quando ebbero tanto aspettato che giunsero tutti, e tutti furono passati, cavalieri e pedoni e ogni bestiame, elli fece sua gente annoverare per sapere lo numaro di sua gente, e sì trovò ch'egli aveva con seco cento migliaia d'uomini appiei, e sessanta migliaia di cavalieri tutti armati; e sì dice Eutropio e contia ch'elli aveva cento olifanti senza e camelli ed altri animali, de' quali aveva sì grande abbondanzia, ch'appena se ne potrebbe fare il numaro.
XIV.E tuttavolta crescevano e multipricavano le genti ad Anibal molto grandemente delle contrade che si ragunavano con loro. Allora cavalcò Cornello Scipio molto forte, e con lui suo figliuolo, che fu poi chiamato Scipio Affricano (e la ragione perchè vi contiarò innanzi che sia la fine di questo libro) con gran popolo di Roma per combattare contra Anibal, che per suo grande orgoglio voleva combattare la terra d'Italia, che ora è Lombardia chiamata. Quando furo tanto approssimati[24]l'osti d'una parte e d'altra, che non v'era altro che abbassare le lancie, ellino broccaro[25]li cavalli delli speroni, e sì si corsero a ferire sì duramente, che più di due milia cavalieri tra l'una parte e l'altra si gittarono a terra de' cavalli, de' quali vi furono molti feriti villanamente. E sappiate che ine si cominciò lo stormo fiero e mortale, che non si risparmiavano niente, anzi vi dico bene di verità che si faceano il peggio che poteano; lo padre non avarebbe riguardato lo figliuolo, e lo figliuolo lo padre. Li Romani credeano per forza sconfiggiare li Affricani per loro grande forza e per loro grande orgoglio, onde erano sì pieni, che non dottavano persona del mondo, ma nollo valse niente, chè troppo avevano gran gente e gran cavallaria quelli di Affrica; e là fu lo consolo Scipio ferito molto duramente, e sì fu abbattuto a terra, ed ucciso l'avarebbero, se non fusse Scipio suo figliuolo, che vigorosamente lo soccorse, d'onde sofferse molta gran pena; e sappiate che là furono morti de' Taliani e de' Romani tanti, che pochine camparono col consolo e col figliuolo, e quali si partirono dolenti e tristi; e in questa maniera ebbero dolore li Romani a quella prima fiata, per la sciagura ch'eglino ebbero contra Anibal, che di quella prima vittoria ebbe molto gran gioia. Allora ebbe Scipio Cornellio molto gran dolore quando fu ferito, e più per sua gente che morta era, la quale aveva di Roma menata; e per quella ontia vendicare assembrò gente, e richiese quanto potè il più tosto che potè, e ritornò contra lo re Anibal, il quale odiava dentro a suo cuore, perciò che tal dannaggio gli aveva fatto, come di sua gente uccidare e tagliare, e assembrare al fiume di Trema.Sappiate che la battaglia fu ine grande e pericolosa, ed allora furo ine li Romani sconfitti e tutti morti e messi a perdizione. Publio Semplonio lo consolo, ch'era in Cicilia, seppe ed intese che Scipio suo compagno aveva auto sì gran dannaggio di sua gente e di sua cavallaria. Allora si mossecon tutta la sua gente e con quanto aiuto elli potè avere con lui per venire centra Anibal, e per vendicare li Romani del gran dannaggio e della gran perdita ch'egli avevano fatta; e tanto andò Sempronio consolo con tutta sua oste, che venne ove li Romani erano stati sconfitti l'altra fiata, e là trovò ancora lo re Anibal e sua gente, che veniva incontra al consolo a battaglia; e sappiate che là furo fatte grandi prodezze per l'una parte e per l'altra per difendare loro corpi e loro vita e loro avere. In quella battaglia fu lo re Anibal ferito d'una saetta molto duramente, ma sappiate che non morì a quella fiata, anzi lo' vendè molto cara l'ira e lo corruccio ch'egli ebbe di sua piaga e del dolore e dell'angoscia ch'egli ebbe; fu elli sì ripreso di mal talento, che fece tanta di prodezza e d'ardimento, poi che fu ferito, che più di mille Romani ne perdero la vita. E sappiate che Publio Sempronio fu sconfitto in quello stormo, ch'era consolo e molto buonoguerriere e valente cavaliere, e sì vi fu sì villanamente menato, ch'a pena ne scampò, e così ebbero li Romani gran perdita e gran dannaggio dallo re Anibal a quella fiata.
E tuttavolta crescevano e multipricavano le genti ad Anibal molto grandemente delle contrade che si ragunavano con loro. Allora cavalcò Cornello Scipio molto forte, e con lui suo figliuolo, che fu poi chiamato Scipio Affricano (e la ragione perchè vi contiarò innanzi che sia la fine di questo libro) con gran popolo di Roma per combattare contra Anibal, che per suo grande orgoglio voleva combattare la terra d'Italia, che ora è Lombardia chiamata. Quando furo tanto approssimati[24]l'osti d'una parte e d'altra, che non v'era altro che abbassare le lancie, ellino broccaro[25]li cavalli delli speroni, e sì si corsero a ferire sì duramente, che più di due milia cavalieri tra l'una parte e l'altra si gittarono a terra de' cavalli, de' quali vi furono molti feriti villanamente. E sappiate che ine si cominciò lo stormo fiero e mortale, che non si risparmiavano niente, anzi vi dico bene di verità che si faceano il peggio che poteano; lo padre non avarebbe riguardato lo figliuolo, e lo figliuolo lo padre. Li Romani credeano per forza sconfiggiare li Affricani per loro grande forza e per loro grande orgoglio, onde erano sì pieni, che non dottavano persona del mondo, ma nollo valse niente, chè troppo avevano gran gente e gran cavallaria quelli di Affrica; e là fu lo consolo Scipio ferito molto duramente, e sì fu abbattuto a terra, ed ucciso l'avarebbero, se non fusse Scipio suo figliuolo, che vigorosamente lo soccorse, d'onde sofferse molta gran pena; e sappiate che là furono morti de' Taliani e de' Romani tanti, che pochine camparono col consolo e col figliuolo, e quali si partirono dolenti e tristi; e in questa maniera ebbero dolore li Romani a quella prima fiata, per la sciagura ch'eglino ebbero contra Anibal, che di quella prima vittoria ebbe molto gran gioia. Allora ebbe Scipio Cornellio molto gran dolore quando fu ferito, e più per sua gente che morta era, la quale aveva di Roma menata; e per quella ontia vendicare assembrò gente, e richiese quanto potè il più tosto che potè, e ritornò contra lo re Anibal, il quale odiava dentro a suo cuore, perciò che tal dannaggio gli aveva fatto, come di sua gente uccidare e tagliare, e assembrare al fiume di Trema.
Sappiate che la battaglia fu ine grande e pericolosa, ed allora furo ine li Romani sconfitti e tutti morti e messi a perdizione. Publio Semplonio lo consolo, ch'era in Cicilia, seppe ed intese che Scipio suo compagno aveva auto sì gran dannaggio di sua gente e di sua cavallaria. Allora si mossecon tutta la sua gente e con quanto aiuto elli potè avere con lui per venire centra Anibal, e per vendicare li Romani del gran dannaggio e della gran perdita ch'egli avevano fatta; e tanto andò Sempronio consolo con tutta sua oste, che venne ove li Romani erano stati sconfitti l'altra fiata, e là trovò ancora lo re Anibal e sua gente, che veniva incontra al consolo a battaglia; e sappiate che là furo fatte grandi prodezze per l'una parte e per l'altra per difendare loro corpi e loro vita e loro avere. In quella battaglia fu lo re Anibal ferito d'una saetta molto duramente, ma sappiate che non morì a quella fiata, anzi lo' vendè molto cara l'ira e lo corruccio ch'egli ebbe di sua piaga e del dolore e dell'angoscia ch'egli ebbe; fu elli sì ripreso di mal talento, che fece tanta di prodezza e d'ardimento, poi che fu ferito, che più di mille Romani ne perdero la vita. E sappiate che Publio Sempronio fu sconfitto in quello stormo, ch'era consolo e molto buonoguerriere e valente cavaliere, e sì vi fu sì villanamente menato, ch'a pena ne scampò, e così ebbero li Romani gran perdita e gran dannaggio dallo re Anibal a quella fiata.
XV.Anibal inforzò e crebbe molto contra li Romani per queste vittorie in tal modo, che la maggiore parte di quelli di Italia vennero a sua mercè per paura ch'egli avevano di lui e di sua gente, e sì si sottomissero a sua signoria, e lassaro li Romani con chinche eglino erano, e là soggiornò Anibal tutto verno, e quando venne la primavera, elli si misse in via per venire in Toscana. Ma sì tosto come venne al monte Apennino, venne una sì gran tempesta di nieve e di gragnuola mescolata insieme, e con ciò folgori sì aspre e sì maravigliose, che ciò era terribile cosa a vedere, per la quale cosa due mesi tutti interinon si potero mutare; anzi furo caricati li olifanti e camelli e cavagli e altre bestie e tutta l'oste di nieve e di freddura e di gragnuola in tal modo, che appena si potevano tenere in piei nè muovare, ed erano sì coperti di nieve l'armadure e le bestie, che non si cognoscevano di che pelo si fussero. E sappiate che lo re Anibal perdè molti de' suoi cavalieri e delle sue bestie per la gran freddura che non potevano sofferire, e di poco si fallì, che tutti li olifanti non perdero la vita. E quando Anibal vidde ciò, elli si partì il più tosto che potè della montagna; e sappiate che ciò non fu niente grande maraviglia, se si partiro d'onde eglino avevano auto tanta pena e travaglio, e per questa pistolenzia e per questa disavventura ricevette lo re Anibal molta grande perdita e molto grande dannaggio maggiore che none aveva fatto in tutta l'altra via. Allora se n'andò Scipio figliuolo dell'altro Scipio,ch'era stato sconfitto per lo re Anibal nelle terre di Spagna.
Anibal inforzò e crebbe molto contra li Romani per queste vittorie in tal modo, che la maggiore parte di quelli di Italia vennero a sua mercè per paura ch'egli avevano di lui e di sua gente, e sì si sottomissero a sua signoria, e lassaro li Romani con chinche eglino erano, e là soggiornò Anibal tutto verno, e quando venne la primavera, elli si misse in via per venire in Toscana. Ma sì tosto come venne al monte Apennino, venne una sì gran tempesta di nieve e di gragnuola mescolata insieme, e con ciò folgori sì aspre e sì maravigliose, che ciò era terribile cosa a vedere, per la quale cosa due mesi tutti interinon si potero mutare; anzi furo caricati li olifanti e camelli e cavagli e altre bestie e tutta l'oste di nieve e di freddura e di gragnuola in tal modo, che appena si potevano tenere in piei nè muovare, ed erano sì coperti di nieve l'armadure e le bestie, che non si cognoscevano di che pelo si fussero. E sappiate che lo re Anibal perdè molti de' suoi cavalieri e delle sue bestie per la gran freddura che non potevano sofferire, e di poco si fallì, che tutti li olifanti non perdero la vita. E quando Anibal vidde ciò, elli si partì il più tosto che potè della montagna; e sappiate che ciò non fu niente grande maraviglia, se si partiro d'onde eglino avevano auto tanta pena e travaglio, e per questa pistolenzia e per questa disavventura ricevette lo re Anibal molta grande perdita e molto grande dannaggio maggiore che none aveva fatto in tutta l'altra via. Allora se n'andò Scipio figliuolo dell'altro Scipio,ch'era stato sconfitto per lo re Anibal nelle terre di Spagna.
XVI.Allora e in quello tempo avvenne a Roma uno maraviglioso segno e per tutta la contrada, sicchè i Romani ne furono sì sbigottiti, che non sapevano che si fare di loro medesimi, imperò che 'l sole scurossi a tutto e menovò sì che quello che se ne vedeva, non era quanto una stella delle più picciole, e quelli d'Arpos viddero nel cielo scudi veramente, per quello che lo' paresse, sì ordinati, come se dovessero combattare, e sì viddero venire a battaglia il sole e la luna l'uno contra l'altro, e l'uno percuotare l'altro, e quelli di Campagna viddero due lune insieme nel cielo, e in Sardegna viddero due scudi che gocciolavano sangue, e molti altri viddero cadere da cielo gocciole di sangue.
Allora e in quello tempo avvenne a Roma uno maraviglioso segno e per tutta la contrada, sicchè i Romani ne furono sì sbigottiti, che non sapevano che si fare di loro medesimi, imperò che 'l sole scurossi a tutto e menovò sì che quello che se ne vedeva, non era quanto una stella delle più picciole, e quelli d'Arpos viddero nel cielo scudi veramente, per quello che lo' paresse, sì ordinati, come se dovessero combattare, e sì viddero venire a battaglia il sole e la luna l'uno contra l'altro, e l'uno percuotare l'altro, e quelli di Campagna viddero due lune insieme nel cielo, e in Sardegna viddero due scudi che gocciolavano sangue, e molti altri viddero cadere da cielo gocciole di sangue.
XVII.Queste novelle ch'io v'ô qui dette, spaventaro molto li Romani, che credevano che ciò fusse segno della distruzione di Roma per lo re Anibal, che molto avea perduta della sua gente per la smisurata freddura, siccome voi avete udito; ma perciò non lassò niente Anibal, che elli assembrò tutta sua gente quanta ne potè avere e concogliare[26], e sì si posaro e presero agio e scaldaronsi, come coloro che grande bisogno n'avevano; e quando furo posati e invigoriti, ed ebbero passato quello grande disagio e quello grande dolore ch'eglino avevano auto dinanzi, lo re Anibal li fece muovare d'inde, e sì se n'andò in quella parte di Italia, ove Saramma[27]corre, il quale traboccava ed era uscito del suo letto per le gran piove del forte verno ch'era stato, e per le grandi nievi delle montagne, che giù erano discese. E sappiate che lo re Anibal si misse per queste vie, perciò che li senatori di Roma avevano mandato lo consolo Flammineo con molta buona cavallaria per combattare con lui, e sì era già tanto andato questo consolo, che s'era attendato sopra al lago Trasimeno con sua cavallaria.
Queste novelle ch'io v'ô qui dette, spaventaro molto li Romani, che credevano che ciò fusse segno della distruzione di Roma per lo re Anibal, che molto avea perduta della sua gente per la smisurata freddura, siccome voi avete udito; ma perciò non lassò niente Anibal, che elli assembrò tutta sua gente quanta ne potè avere e concogliare[26], e sì si posaro e presero agio e scaldaronsi, come coloro che grande bisogno n'avevano; e quando furo posati e invigoriti, ed ebbero passato quello grande disagio e quello grande dolore ch'eglino avevano auto dinanzi, lo re Anibal li fece muovare d'inde, e sì se n'andò in quella parte di Italia, ove Saramma[27]corre, il quale traboccava ed era uscito del suo letto per le gran piove del forte verno ch'era stato, e per le grandi nievi delle montagne, che giù erano discese. E sappiate che lo re Anibal si misse per queste vie, perciò che li senatori di Roma avevano mandato lo consolo Flammineo con molta buona cavallaria per combattare con lui, e sì era già tanto andato questo consolo, che s'era attendato sopra al lago Trasimeno con sua cavallaria.
XVIII.Lo re Anibal, che molto era sottile e malizioso e savio di guerra, si misse per le campagne, ove l'acque erano state, ch'erano ristate e tornate addietro, ma innanzi che n'escisse, ricevette molto grande dannaggio di sua gente e di sue bestie, chè l'acque ch'escivano de' fiumi e de' paludi e delle valli grandi, limolestavano sì duramente, che non sapevano che si fare e dove andare o tornare. Allora là venne molto gran dannaggio e mala ventura, che si imbattero ne' paludi, che la riviera aveva ripieni, e sopra tutto ciò gli assalse la freddura, e perdeano spesso l'uno l'altro, che per la nebbia non si potevano vedere, e per ciò perde molta di sua gente lo re Anibal, e ciò non fu niente maraviglia, tanto dolore avevano e tanta mala ventura, ed elli medesimo appena scampò vivo in sur uno olifante, che gli era rimasto di tutti quegli ch'egli aveva menati con lui di lontane contrade.
Lo re Anibal, che molto era sottile e malizioso e savio di guerra, si misse per le campagne, ove l'acque erano state, ch'erano ristate e tornate addietro, ma innanzi che n'escisse, ricevette molto grande dannaggio di sua gente e di sue bestie, chè l'acque ch'escivano de' fiumi e de' paludi e delle valli grandi, limolestavano sì duramente, che non sapevano che si fare e dove andare o tornare. Allora là venne molto gran dannaggio e mala ventura, che si imbattero ne' paludi, che la riviera aveva ripieni, e sopra tutto ciò gli assalse la freddura, e perdeano spesso l'uno l'altro, che per la nebbia non si potevano vedere, e per ciò perde molta di sua gente lo re Anibal, e ciò non fu niente maraviglia, tanto dolore avevano e tanta mala ventura, ed elli medesimo appena scampò vivo in sur uno olifante, che gli era rimasto di tutti quegli ch'egli aveva menati con lui di lontane contrade.
XIX.Sopra questo olifante era lo re Anibal, quando elli uscì fuore di questo palude e di queste gravose vie. Allora perdè lo re Anibal uno occhio, il quale di prima avea moltoinfermo, che per lo grande travaglio e per la grande freddura l'iscì fuore della testa; ma non di meno per tutte queste sciagure non lassò che non cavalcasse là ov'elli sapea che Flammineo lo consolo era con sua gente, la quale era in loro tende, e sì tosto com'elli s'appressimò, elli fece sonare suoi corni e sue trombette e sue genti armare e ordinare per schiere; e così fece Flammineo lo consolo, che molto avea con lui gran gente appiè e a cavallo. Questa battaglia cominciò sopra 'l lago di Trasimeno, e sappiate che tutto ciò fece fare lo re Anibal a pensato, per mettare più tosto li Romani in isconfitta e a perdizione. Là cominciò tra queste genti gran battaglia e orribile e maravigliosa e piena di grievi affanni e dolore. Lo re Anibal, che molto sapea d'ingegno e di malizia, fece sue schiere ritrare verso le tende, perciò che volea li Romani mettare verso il lago, sicchè non potessero in nulla maniera da nulla parte tornarea fortezza nè a sussidio veruno, se non si mettessero in forti poggi, ove fussero certi che perdarebbero la vita tosto, nè scampare non potrebbero in nulla maniera. Allora s'appressaro sì che delle lancie e delle spade si potevano ferire e danneggiare l'uno l'altro.
Sopra questo olifante era lo re Anibal, quando elli uscì fuore di questo palude e di queste gravose vie. Allora perdè lo re Anibal uno occhio, il quale di prima avea moltoinfermo, che per lo grande travaglio e per la grande freddura l'iscì fuore della testa; ma non di meno per tutte queste sciagure non lassò che non cavalcasse là ov'elli sapea che Flammineo lo consolo era con sua gente, la quale era in loro tende, e sì tosto com'elli s'appressimò, elli fece sonare suoi corni e sue trombette e sue genti armare e ordinare per schiere; e così fece Flammineo lo consolo, che molto avea con lui gran gente appiè e a cavallo. Questa battaglia cominciò sopra 'l lago di Trasimeno, e sappiate che tutto ciò fece fare lo re Anibal a pensato, per mettare più tosto li Romani in isconfitta e a perdizione. Là cominciò tra queste genti gran battaglia e orribile e maravigliosa e piena di grievi affanni e dolore. Lo re Anibal, che molto sapea d'ingegno e di malizia, fece sue schiere ritrare verso le tende, perciò che volea li Romani mettare verso il lago, sicchè non potessero in nulla maniera da nulla parte tornarea fortezza nè a sussidio veruno, se non si mettessero in forti poggi, ove fussero certi che perdarebbero la vita tosto, nè scampare non potrebbero in nulla maniera. Allora s'appressaro sì che delle lancie e delle spade si potevano ferire e danneggiare l'uno l'altro.
XX.Allora vi dico che non lassaro per niente che non s'andassero a ferire l'uno l'altro e uccidare senza nissuno risparmio; là volavano dardi e saette, che l'uni e l'altri traevano sì spessamente più che la piova che cade da cielo; e bene sappiate che là lo' fece molto bene lo consolo Flammineo e li altri Romani che là erano, che difendevano loro e loro terre valentemente, ma poco lo' valse alla fine, chè vi fu morto lo consolo Flammineo, buono cavaliere e savio e pieno di gran prodezza e di grandeardimento. E bene sappiate che poi che fu morto, si difendero sì duramente li Romani come ardita gente e forte, sì che tolsero la vita a più di mille di quelli dello re Anibal. Là fu la battaglia sì orribile e sì grande, che le storie raccontiano, che quella contrada in quello tempo tremò sì forte, che molte case e difizii caddero per terra, e più montagne avallare giuso; e sappiate ch'e fiumi lassaro loro corso e tornarono addietro tanto quanto lo tremuoto bastò, ma di tutto ciò non sentivano niente coloro che combattevano, tanto attendevano l'uno l'altro a uccidare; e là furo tutti sconfitti li Romani, senza che, siccome io v'ô detto, lo consolo Flammineo, che tanto era pro' e ardito e pieno di grande virtù, vi fu morto, e con lui vinticinque migliaia di sua gente, e se' miglia presi, e quagli non perdero allora la vita, anzi li fece lo re Anibal mettare in prigioni, e mandonne in Cartaggine tutto l'avere e la gran preda, ch'avevanoguadagnata della battaglia.
Allora vi dico che non lassaro per niente che non s'andassero a ferire l'uno l'altro e uccidare senza nissuno risparmio; là volavano dardi e saette, che l'uni e l'altri traevano sì spessamente più che la piova che cade da cielo; e bene sappiate che là lo' fece molto bene lo consolo Flammineo e li altri Romani che là erano, che difendevano loro e loro terre valentemente, ma poco lo' valse alla fine, chè vi fu morto lo consolo Flammineo, buono cavaliere e savio e pieno di gran prodezza e di grandeardimento. E bene sappiate che poi che fu morto, si difendero sì duramente li Romani come ardita gente e forte, sì che tolsero la vita a più di mille di quelli dello re Anibal. Là fu la battaglia sì orribile e sì grande, che le storie raccontiano, che quella contrada in quello tempo tremò sì forte, che molte case e difizii caddero per terra, e più montagne avallare giuso; e sappiate ch'e fiumi lassaro loro corso e tornarono addietro tanto quanto lo tremuoto bastò, ma di tutto ciò non sentivano niente coloro che combattevano, tanto attendevano l'uno l'altro a uccidare; e là furo tutti sconfitti li Romani, senza che, siccome io v'ô detto, lo consolo Flammineo, che tanto era pro' e ardito e pieno di grande virtù, vi fu morto, e con lui vinticinque migliaia di sua gente, e se' miglia presi, e quagli non perdero allora la vita, anzi li fece lo re Anibal mettare in prigioni, e mandonne in Cartaggine tutto l'avere e la gran preda, ch'avevanoguadagnata della battaglia.
XXI.Così fu lo consolo Flammineo morto e sua gente altresì tutta vinta, ma li Romani che gran dolore facevano, mandarono lo consolo Fabio Manlio incontra lo re Anibal, sì che poco lo' valse, fuor ch'elli stroppiò allo re Anibal l'andare di Puglia, lo quale paese li Romani avevano pressochè tutto preso, come gente piena di forza e d'ardimento, ed Anibal li volea rimettare nella signoria di Cartaggine, la quale cosa molto desiderava. Ma sappiate che nella fine fu Fabio Manlio sconfitto, e sua gente venta e messa a destruzione. Allora se n'andò Anibal in Puglia per la contrada prendare e mettare in sua signoria, e tanto cavalcò che vi giunse. Ine avea molte terre piene di molti beni, siccomeappare ancora, e sappiate che là fu molto lo re Anibal ad agio e tutta sua gente, e molto erano lieti per le grandi strette che avevano aute.
Così fu lo consolo Flammineo morto e sua gente altresì tutta vinta, ma li Romani che gran dolore facevano, mandarono lo consolo Fabio Manlio incontra lo re Anibal, sì che poco lo' valse, fuor ch'elli stroppiò allo re Anibal l'andare di Puglia, lo quale paese li Romani avevano pressochè tutto preso, come gente piena di forza e d'ardimento, ed Anibal li volea rimettare nella signoria di Cartaggine, la quale cosa molto desiderava. Ma sappiate che nella fine fu Fabio Manlio sconfitto, e sua gente venta e messa a destruzione. Allora se n'andò Anibal in Puglia per la contrada prendare e mettare in sua signoria, e tanto cavalcò che vi giunse. Ine avea molte terre piene di molti beni, siccomeappare ancora, e sappiate che là fu molto lo re Anibal ad agio e tutta sua gente, e molto erano lieti per le grandi strette che avevano aute.
XXII.Allora avvenne nell'anno DXLI, che Roma era stata primamente fondata, ch'e senatori e consoli e tutti li altri uomini di Roma erano tutti sbigottiti delle gran perdite e de' grandi dolori, ch'egli avevano riceuti, e dello re Anibal, che sì l'incalciava e sì li distruggeva per sua buona cavallaria, ch'elli aveva menata con lui, la quale e Romani dottavano molto duramente. Allora s'assembrare li savi uomini e possenti di Roma, per conseglio prendare e domandare che potessero fare sopra lo re Anibal, il quale non intendeva se none a prendare e distruggiare Roma, e per queste cose vendicare fu eletto Emilio Publio;e bene sappiate che questo consolo era molto buono cavaliere e valente e ardito, e sì era nato di grande lignaggio. Costui fu mandato contra lo re Anibal, che molto aveva fatto grande danno a' Romani, e perciò andò questo consolo contra lui con grande gente per lui sconfiggiare se potesse; ogiomai appresso costui non averebbero conforto nè speranza di lui vinciare, che tanti ve n'avevano mandati, che poco era rilevato, che ciò era maraviglia, e perciò erano li Romani sbigottiti e smagati.
Allora avvenne nell'anno DXLI, che Roma era stata primamente fondata, ch'e senatori e consoli e tutti li altri uomini di Roma erano tutti sbigottiti delle gran perdite e de' grandi dolori, ch'egli avevano riceuti, e dello re Anibal, che sì l'incalciava e sì li distruggeva per sua buona cavallaria, ch'elli aveva menata con lui, la quale e Romani dottavano molto duramente. Allora s'assembrare li savi uomini e possenti di Roma, per conseglio prendare e domandare che potessero fare sopra lo re Anibal, il quale non intendeva se none a prendare e distruggiare Roma, e per queste cose vendicare fu eletto Emilio Publio;e bene sappiate che questo consolo era molto buono cavaliere e valente e ardito, e sì era nato di grande lignaggio. Costui fu mandato contra lo re Anibal, che molto aveva fatto grande danno a' Romani, e perciò andò questo consolo contra lui con grande gente per lui sconfiggiare se potesse; ogiomai appresso costui non averebbero conforto nè speranza di lui vinciare, che tanti ve n'avevano mandati, che poco era rilevato, che ciò era maraviglia, e perciò erano li Romani sbigottiti e smagati.
XXIII.Allora e in quella battaglia andaro li senatori e consoli e li alti uomini di Roma, ch'erano chiamati pretori, e molta gente appiè e a cavallo in sì gran quantità, che ciò era una maraviglia; e sappiate certamente che questa fu la più gran parte della forza di Roma. Così comevoi udite, si mossero li Romani con grande apparecchio e con molta grande forza per andare contra lo re Anibal, che molto era altresì bene apparecchiato dall'altra parte con sì gran gente appiè e a cavallo, che ciò era una maraviglia. Emilio, a cui li Romani erano ubidienti, cavalcò tanto per sue giornate elli e Romani appiè e a cavallo, che vennero in Puglia e albergano dinanzi alla città di Cannes presso d'una foresta in una bella prataria sopra una riviera, che corriva verso il mare bella e chiara, e là si riposaro li Romani, perciò che viddero il luogo bello e chiaro e netto, e la prataria grande e bella, e loro cavalli si riposaro altresì, e sì apparecchiaro loro armi, e ciò che apparecchiare si debba a battaglia. E sappiate ch'e Romani erano sicuri d'avere una grande battaglia, imperò che lo re Anibal l'era assai presso, il quale non finò e non cessò di venire contra loro con tutta sua gente; e sappiate che sìtosto come li Romani e li Affricani si viddero, elli si armaro tantosto sanza indugiare, ed assembraro allora per tale forza, che pareva certamente che 'l cielo s'inabissasse sotto loro piei; e sappiate che là non aveva mestiere nullo giuoco nè nulla gabbarìa, chè non v'era sì ardito che non fusse in gran dottanza e in gran paura di non per dare la vita. E bene sappiate che cuore codardo non v'aveva mestiere, che vedevano bene che lo' conveniva passare per mezzo de' ferri, chè la cosa era così divisata per l'una parte e per l'altra, imperò che diliberato avieno l'una parte e l'altra o d'essare tutti morti o presi, od egli averebbero sopra di loro nemici la vittoria; e quando le schiere furono tutte venute insieme, bene potete certamente credare, che molti vi cadevano, che poi non si rilevavano, imperò che morivano. Là furo teste e braccia tagliate, e sì v'ebbe assai cavalieri pro' e arditi feriti, che non ne scamparo di quello dì; onde fu moltogrande dannaggio e molta grande tribulazione; e sappiate che mai dinanzi a Troia non fu sì grande battaglia nè sì crudele, come fu quella.
Allora e in quella battaglia andaro li senatori e consoli e li alti uomini di Roma, ch'erano chiamati pretori, e molta gente appiè e a cavallo in sì gran quantità, che ciò era una maraviglia; e sappiate certamente che questa fu la più gran parte della forza di Roma. Così comevoi udite, si mossero li Romani con grande apparecchio e con molta grande forza per andare contra lo re Anibal, che molto era altresì bene apparecchiato dall'altra parte con sì gran gente appiè e a cavallo, che ciò era una maraviglia. Emilio, a cui li Romani erano ubidienti, cavalcò tanto per sue giornate elli e Romani appiè e a cavallo, che vennero in Puglia e albergano dinanzi alla città di Cannes presso d'una foresta in una bella prataria sopra una riviera, che corriva verso il mare bella e chiara, e là si riposaro li Romani, perciò che viddero il luogo bello e chiaro e netto, e la prataria grande e bella, e loro cavalli si riposaro altresì, e sì apparecchiaro loro armi, e ciò che apparecchiare si debba a battaglia. E sappiate ch'e Romani erano sicuri d'avere una grande battaglia, imperò che lo re Anibal l'era assai presso, il quale non finò e non cessò di venire contra loro con tutta sua gente; e sappiate che sìtosto come li Romani e li Affricani si viddero, elli si armaro tantosto sanza indugiare, ed assembraro allora per tale forza, che pareva certamente che 'l cielo s'inabissasse sotto loro piei; e sappiate che là non aveva mestiere nullo giuoco nè nulla gabbarìa, chè non v'era sì ardito che non fusse in gran dottanza e in gran paura di non per dare la vita. E bene sappiate che cuore codardo non v'aveva mestiere, che vedevano bene che lo' conveniva passare per mezzo de' ferri, chè la cosa era così divisata per l'una parte e per l'altra, imperò che diliberato avieno l'una parte e l'altra o d'essare tutti morti o presi, od egli averebbero sopra di loro nemici la vittoria; e quando le schiere furono tutte venute insieme, bene potete certamente credare, che molti vi cadevano, che poi non si rilevavano, imperò che morivano. Là furo teste e braccia tagliate, e sì v'ebbe assai cavalieri pro' e arditi feriti, che non ne scamparo di quello dì; onde fu moltogrande dannaggio e molta grande tribulazione; e sappiate che mai dinanzi a Troia non fu sì grande battaglia nè sì crudele, come fu quella.
XXIV.Della battaglia che fu in Puglia collo re Anibal, la quale io vi conto, vi dico io ch'ella non fu tosto finita, imperò ch'e Romani volevano prima morire ch'essare venti o cacciati del campo, e le genti dello re Anibal, che molto erano usati d'avere vittoria sopra loro nemici, non volevano perdare uno piè di loro terreno per paura di loro nemici; e per questo grande orgoglio, ch'era nell'una parte e nell'altra, e per lo grande ardimento che avevano, che mostravano che avessero maggiore voglia di morire che di vivare, e così durò la battaglia tre dì interi, e sì vi furo morti vinti miglia uomini o più, che non vi sarebbero morti, se labattaglia fusse per alcuna delle parti lassata. Ma sappiate che ciò non poteva essare, anzi incresceva molto a tali che v'aveva, che la notte veniva sì tosto, che li faceva dipartire e ritrarre addietro, e tali v'aveva che disideravano la morte, per ciò che lassi erano e duramente difendevano loro riposo; e sappiate ch'ello durava poco, come infine alla mattina e all'ora erano montati li buoni cavalieri a cavallo e armati, e li buoni pedoni apparecchiati, che loro schiere ordinavano per assembrare alle mortali battaglie.
Della battaglia che fu in Puglia collo re Anibal, la quale io vi conto, vi dico io ch'ella non fu tosto finita, imperò ch'e Romani volevano prima morire ch'essare venti o cacciati del campo, e le genti dello re Anibal, che molto erano usati d'avere vittoria sopra loro nemici, non volevano perdare uno piè di loro terreno per paura di loro nemici; e per questo grande orgoglio, ch'era nell'una parte e nell'altra, e per lo grande ardimento che avevano, che mostravano che avessero maggiore voglia di morire che di vivare, e così durò la battaglia tre dì interi, e sì vi furo morti vinti miglia uomini o più, che non vi sarebbero morti, se labattaglia fusse per alcuna delle parti lassata. Ma sappiate che ciò non poteva essare, anzi incresceva molto a tali che v'aveva, che la notte veniva sì tosto, che li faceva dipartire e ritrarre addietro, e tali v'aveva che disideravano la morte, per ciò che lassi erano e duramente difendevano loro riposo; e sappiate ch'ello durava poco, come infine alla mattina e all'ora erano montati li buoni cavalieri a cavallo e armati, e li buoni pedoni apparecchiati, che loro schiere ordinavano per assembrare alle mortali battaglie.
XXV.Infra la gente dello re Anibal e li Romani che là erano, era la battaglia sì intrapresa, che tutti erano alla battaglia per avere vittoria tale, come ciascuno aspettava d'avere; e sappiate che di quella battaglia avvenne peggio a' Romani che mai avvenisse innulla battaglia, e sappiate bene che gran dolore e gran gravezza averebbe altri di contiare e di dire sì fatta perdita, come e Romani fecero, se fussero stati Cristiani, ed avessero adorato il nostro Signore Iddio, imperò che in questa battaglia che io v'ô detta, vi fu morto lo consolo Emilio e vinti altri tra consoli e pretori di Roma, e quali menavano e conducevano Roma, e anco vi furo morti trenta senatori, onde la città di Roma fu duramente sconsigliata, e fuvi morti bene cento dieci altri uomini nobili e di grande lignaggio, e tre milia cavalieri e bene quaranta migliaia di pedoni tutti provati e pieni d'ardimento e di gran prodezza[28]; e sappiate bene certamente, che innanziche quelli che io v'ô detti, morissero o fussero presi, n'uccisero molti di loro nemici e molto duramente li menovaro, e allora fu la forza dello re Anibal molto menovata.Uno consolo che aveva nome Varro, si fuggì con cinquanta cavalieri verso Morinde, quando vidde che tutta sua cavallaria fu venta e morta, e di ciò non siate in dottanza, che quello dì non fu l'ultimo della battaglia, chè sappiate che se lo re Anibal n'avesse auto o uno o due più, l'onore e la podestà di Roma era al tutto perduta senza potere ricoverare; e sappiate che se lo re Anibal, ch'era molto buono cavaliere e pro', fusse andato dritto a Roma quando ebbe la battaglia venta, l'arebbe presa senza contradizione nissuna; ma elli non fece niente così, perciò che non se ne accorse, e altri non può essere d'ogni cosa appensato, ma sappiate che lui fece ine dimoro molto gran prezzo e molto longo tempo. Poi fece un'altra cosa, che fece tutto ilcampo cercare per sua gente cognosciare da' Romani, imperò che li voleva fare sotterrare e onorare secondo l'usanza del paese; e quando ebbe ciò fatto, elli fece prendare tutti li corpi de' suoi uomini ch'erano morti, e sì li fece ardare e mettare in cenare, chè cotale era il costume del paese a quel tempo. E quando tutto ciò fu fatto, lo re Anibal fece trarre tutte l'anella del dito a' Romani, e sappiate che quelli che portavano anello in dito, erano e più alti uomini di Roma, e quali uomini erano stati morti nella battaglia; e sì li fece tutti ragunare insieme, e poi li fece misurare con dritta misura, e mandonne in Cartaggine tre mine e più in testimonio della gran vittoria ch'avevano auta contra a' Romani, e in tale maniera vi furo portati per buoni messaggi che Anibal vi mandò; e quando quelli di Cartaggine vidderoqueste cose e questo bel presento[29], ne furo sì lieti e sì gioiosi, che ciò fu maraviglia, imperò che non potevano credare di potere avere vittoria contra sì forte gente, come erano li Romani.
Infra la gente dello re Anibal e li Romani che là erano, era la battaglia sì intrapresa, che tutti erano alla battaglia per avere vittoria tale, come ciascuno aspettava d'avere; e sappiate che di quella battaglia avvenne peggio a' Romani che mai avvenisse innulla battaglia, e sappiate bene che gran dolore e gran gravezza averebbe altri di contiare e di dire sì fatta perdita, come e Romani fecero, se fussero stati Cristiani, ed avessero adorato il nostro Signore Iddio, imperò che in questa battaglia che io v'ô detta, vi fu morto lo consolo Emilio e vinti altri tra consoli e pretori di Roma, e quali menavano e conducevano Roma, e anco vi furo morti trenta senatori, onde la città di Roma fu duramente sconsigliata, e fuvi morti bene cento dieci altri uomini nobili e di grande lignaggio, e tre milia cavalieri e bene quaranta migliaia di pedoni tutti provati e pieni d'ardimento e di gran prodezza[28]; e sappiate bene certamente, che innanziche quelli che io v'ô detti, morissero o fussero presi, n'uccisero molti di loro nemici e molto duramente li menovaro, e allora fu la forza dello re Anibal molto menovata.
Uno consolo che aveva nome Varro, si fuggì con cinquanta cavalieri verso Morinde, quando vidde che tutta sua cavallaria fu venta e morta, e di ciò non siate in dottanza, che quello dì non fu l'ultimo della battaglia, chè sappiate che se lo re Anibal n'avesse auto o uno o due più, l'onore e la podestà di Roma era al tutto perduta senza potere ricoverare; e sappiate che se lo re Anibal, ch'era molto buono cavaliere e pro', fusse andato dritto a Roma quando ebbe la battaglia venta, l'arebbe presa senza contradizione nissuna; ma elli non fece niente così, perciò che non se ne accorse, e altri non può essere d'ogni cosa appensato, ma sappiate che lui fece ine dimoro molto gran prezzo e molto longo tempo. Poi fece un'altra cosa, che fece tutto ilcampo cercare per sua gente cognosciare da' Romani, imperò che li voleva fare sotterrare e onorare secondo l'usanza del paese; e quando ebbe ciò fatto, elli fece prendare tutti li corpi de' suoi uomini ch'erano morti, e sì li fece ardare e mettare in cenare, chè cotale era il costume del paese a quel tempo. E quando tutto ciò fu fatto, lo re Anibal fece trarre tutte l'anella del dito a' Romani, e sappiate che quelli che portavano anello in dito, erano e più alti uomini di Roma, e quali uomini erano stati morti nella battaglia; e sì li fece tutti ragunare insieme, e poi li fece misurare con dritta misura, e mandonne in Cartaggine tre mine e più in testimonio della gran vittoria ch'avevano auta contra a' Romani, e in tale maniera vi furo portati per buoni messaggi che Anibal vi mandò; e quando quelli di Cartaggine vidderoqueste cose e questo bel presento[29], ne furo sì lieti e sì gioiosi, che ciò fu maraviglia, imperò che non potevano credare di potere avere vittoria contra sì forte gente, come erano li Romani.
XXVI.Ora sappiate ch'e Romani ch'erano a Roma a quel tempo, caddero allora in sì grande disperazione, che nullo il potrebbe dire, perciò ch'egli erano così sconfitti e vinti da Anibal, e furo in sì gran confusione, ch'e senatori ebbero gran volontà di lassare la città di Roma e tutta la terra di Italia, e d'andare a trovare altre terre e altre contrade stranie, ove potessero abitare più comodamente, imperò ch'egli erano in sì gran sospezione,che credevano tutti essere morti e distrutti in picciolo tempo, e none aspettavano aiuto nè soccorso da persona del mondo. Queste cose e parlamento disse primamente Cecilio Metello, uno de' maggiori consoli di Roma, e così tutti li altri l'avarebbero volentieri fatto e consentito, e sì avarebbero la città tutta vota, se non fusse uno savio uomo che là era, che aveva nome Cornellio Scipio, ed era allora conestabile della cavallaria, il quale fu poi chiamato Scipio Affricano. Costui trasse la spada fuore tutta innuda dinanzi a coloro ch'erano al conseglio, e disse una parola di molta fierezza e di gran prodezza, che disse che innanzi che lassasse la città di Roma, elli tutto solo combattarebbe con tutti suoi nemici e la difendarebbe da tutti, malgrado dello re Anibal e de' suoi, nè ellino non fussero sì arditi che lassassero la signoria di Roma, ma fussero tutti prod'uomini e leali; e sì difendarebbero molto bene a loro podereloro paese e loro contrada, e non facessero sì che di loro andasse mala fama in altrui paese, che troppo grande ontia e troppo grande malvagità sarebbe, ma fussero di buono cuore tanto come vivessero, e sì guardassero bene loro onore e loro franchigia e loro drittura, chè ciò dovevano bene fare; e tutti li valenti uomini e quelli che savi erano, non dovevano niente tanto dottare la morte, che n'avessero ontia e disonore, imperò che non avevano a morire più ch'una volta, e meglio lo' veniva di morire a onore che di vivare in viltà. Per queste parole e per più altre che Scipio disse, e per lo grande tremore di lui tornaro li Romani in buona speranza, e furo tutti rassicurati come coloro ch'erano tutti sbigottiti, e poi presero cuore e ardimento per le parole dì Scipio.
Ora sappiate ch'e Romani ch'erano a Roma a quel tempo, caddero allora in sì grande disperazione, che nullo il potrebbe dire, perciò ch'egli erano così sconfitti e vinti da Anibal, e furo in sì gran confusione, ch'e senatori ebbero gran volontà di lassare la città di Roma e tutta la terra di Italia, e d'andare a trovare altre terre e altre contrade stranie, ove potessero abitare più comodamente, imperò ch'egli erano in sì gran sospezione,che credevano tutti essere morti e distrutti in picciolo tempo, e none aspettavano aiuto nè soccorso da persona del mondo. Queste cose e parlamento disse primamente Cecilio Metello, uno de' maggiori consoli di Roma, e così tutti li altri l'avarebbero volentieri fatto e consentito, e sì avarebbero la città tutta vota, se non fusse uno savio uomo che là era, che aveva nome Cornellio Scipio, ed era allora conestabile della cavallaria, il quale fu poi chiamato Scipio Affricano. Costui trasse la spada fuore tutta innuda dinanzi a coloro ch'erano al conseglio, e disse una parola di molta fierezza e di gran prodezza, che disse che innanzi che lassasse la città di Roma, elli tutto solo combattarebbe con tutti suoi nemici e la difendarebbe da tutti, malgrado dello re Anibal e de' suoi, nè ellino non fussero sì arditi che lassassero la signoria di Roma, ma fussero tutti prod'uomini e leali; e sì difendarebbero molto bene a loro podereloro paese e loro contrada, e non facessero sì che di loro andasse mala fama in altrui paese, che troppo grande ontia e troppo grande malvagità sarebbe, ma fussero di buono cuore tanto come vivessero, e sì guardassero bene loro onore e loro franchigia e loro drittura, chè ciò dovevano bene fare; e tutti li valenti uomini e quelli che savi erano, non dovevano niente tanto dottare la morte, che n'avessero ontia e disonore, imperò che non avevano a morire più ch'una volta, e meglio lo' veniva di morire a onore che di vivare in viltà. Per queste parole e per più altre che Scipio disse, e per lo grande tremore di lui tornaro li Romani in buona speranza, e furo tutti rassicurati come coloro ch'erano tutti sbigottiti, e poi presero cuore e ardimento per le parole dì Scipio.
XXVII.Allora e in quello tempo ch'e Romani erano sì intrapresi, li principi e tutti li maggiori della città furono insieme; infra loro era uno giovano uomo, che Junio era chiamato, il quale era molto alto uomo e pro e ardito e di molto grande scienza. Questo Junio ragunò tanti giovani insieme d'età di diciesette anni e di meno, infra li quali non era nissuno che passasse diciesette anni per quello ch'altri sapesse, e di questi giovani ne ragunò tanti quanti ne potè avere, e quando gli ebbe, tutti ragunati, egli gli fece tutti cavalieri per lo bisogno che allora era in Roma; e quando ebbe ciò fatto, elli fece contiare tutta sua gente e cavalleria, e si trovarono quattro legioni tutti armati. Erano ciascuna legione sei milia sei cento sessantasei cavalieri, siccome io v'ô detto altra fiata; tanti cavalierierano allora a Roma di rimanente, e sì erano tutti giovanotti, che none dovevano essere cavalieri da inde a buon tempo. Allora pensò Junio un'altra cosa, che tutti e servi ch'erano grossi e membruti e di bella forma, fussero franchi e tutti cavalieri, e così fu fatto, come elli divisò.
Allora e in quello tempo ch'e Romani erano sì intrapresi, li principi e tutti li maggiori della città furono insieme; infra loro era uno giovano uomo, che Junio era chiamato, il quale era molto alto uomo e pro e ardito e di molto grande scienza. Questo Junio ragunò tanti giovani insieme d'età di diciesette anni e di meno, infra li quali non era nissuno che passasse diciesette anni per quello ch'altri sapesse, e di questi giovani ne ragunò tanti quanti ne potè avere, e quando gli ebbe, tutti ragunati, egli gli fece tutti cavalieri per lo bisogno che allora era in Roma; e quando ebbe ciò fatto, elli fece contiare tutta sua gente e cavalleria, e si trovarono quattro legioni tutti armati. Erano ciascuna legione sei milia sei cento sessantasei cavalieri, siccome io v'ô detto altra fiata; tanti cavalierierano allora a Roma di rimanente, e sì erano tutti giovanotti, che none dovevano essere cavalieri da inde a buon tempo. Allora pensò Junio un'altra cosa, che tutti e servi ch'erano grossi e membruti e di bella forma, fussero franchi e tutti cavalieri, e così fu fatto, come elli divisò.
XXVIII.Allora era Roma in grande stretta, quando lo' conveniva fare cavalieri de' servi e de' giovani per loro difendare, e molti ve ne furo, a cui falliro e l'armi per armarsi nel tempio di Jano, che tutto ne soleva essare pieno; ma allora lo' convenne andare agli altri tempii per lo bisogno, per gli scudi e per l'arme, che gli alti uomini v'avevano messe per loro Iddii onorare, in cui avevano fidanza, e col mancamento dell'arme, che nella città era sì grande, fallivanol'altre ricchezze e l'avere, del quale solevano tanto avere in comune, che tutto loro bisogno ne facevano; ma ora erano tutte spese e andate a niente, onde era molto grande dannaggio, che tutto era speso per le crudeli battaglie ch'eglino avevano auto; ma allora ragunaro insieme tutto l'avere che avevano e ricchi uomini e povari, per difendare la città da' loro nemici. Junio, che di tutta la città aveva la cura e la signoria per lo senno e per la bontà che in lui era, comandò per accresciare sua forza e suo aiuto, che tutti li sbanditi della città o contado, per qualunche cosa si fusse, tornassero sicuramente in Roma, sapendo che tutti sarebbero fatti cavalieri dal comune di Roma. Quando queste novelle furono sparte per lo paese, e coloro ch'erano sbanditi l'udirò dire, ellino si ragunaro insieme e vennero tutti a Roma, che furono bene otto milia, e furonofatti cavalieri per la città difendare e guardare.
Allora era Roma in grande stretta, quando lo' conveniva fare cavalieri de' servi e de' giovani per loro difendare, e molti ve ne furo, a cui falliro e l'armi per armarsi nel tempio di Jano, che tutto ne soleva essare pieno; ma allora lo' convenne andare agli altri tempii per lo bisogno, per gli scudi e per l'arme, che gli alti uomini v'avevano messe per loro Iddii onorare, in cui avevano fidanza, e col mancamento dell'arme, che nella città era sì grande, fallivanol'altre ricchezze e l'avere, del quale solevano tanto avere in comune, che tutto loro bisogno ne facevano; ma ora erano tutte spese e andate a niente, onde era molto grande dannaggio, che tutto era speso per le crudeli battaglie ch'eglino avevano auto; ma allora ragunaro insieme tutto l'avere che avevano e ricchi uomini e povari, per difendare la città da' loro nemici. Junio, che di tutta la città aveva la cura e la signoria per lo senno e per la bontà che in lui era, comandò per accresciare sua forza e suo aiuto, che tutti li sbanditi della città o contado, per qualunche cosa si fusse, tornassero sicuramente in Roma, sapendo che tutti sarebbero fatti cavalieri dal comune di Roma. Quando queste novelle furono sparte per lo paese, e coloro ch'erano sbanditi l'udirò dire, ellino si ragunaro insieme e vennero tutti a Roma, che furono bene otto milia, e furonofatti cavalieri per la città difendare e guardare.
XXIX.Intanto tutta Campagnia e tutta Italia si rendè allo re Anibal, imperò che disperati erano ch'e Romani mai potessero avere onore o signoria, e rendersegli città e castella e ville, e sottomissersi alla sua signoria del tutto, e anco in quello tempo li Gallici assembrarono gente per andare contra a' Romani. Contra a costoro fu mandato Lucio Ponponio, che consolo era allora, ma male ne li avvenne allora, perciò che lui e sua gente furono sconfitti e morti, e pochi ne tornarono addietro. Così avvenia allora a' Romani e cresceva loro male di dì in dì, e sì erano sbigottiti, che non sapevano che si fare; ed allora erano consoli di RomaSempronio Gaio e Quinto Fabio[30]. Per lo conseglio di costoro fu mandato Marcello contra lo re Anibal, chè tutto lo regno di Puglia e di Calavria e di Italia e di Campagnia ubbidivano a lui, e facevano sue comandamenta. Questo Marcello Claudio ch'era consolo, andò tanto lui e sua gente, ch'elli assalse lo re Anibal e sua oste a uno stretto d'una riviera, dov'elli doveva passare l'altro dì, ed ine l'assalse Marcello, e da più parti fece gridareRomae sonare trombe e corni, d'ond'elli sbigottì molto lui e sua gente duramente per lo grande romore e per lo grande grido; e sappiate che là fu gran parte della gente dello re Anibal sconfitta e distrutta, imperò che di niuna persona dubitavano, nè di questoincontro non prendevano guardia; e sì tosto come lo consolo si potè partire, elli si trasse addietro col grande guadagno ch'elli aveva fatto, e lo re Anibal, che passati avevano l'acqua, s'attendaro dolenti e corrucciosi di questa sconfitta; e queste novelle furo tosto sapute a Roma, d'onde gran gioia fu fatta, chè non potevano credare che nullo potesse danneggiare lo re Anibal; ma Claudio Marcello lo danneggiò molto duramente e gravò. Ma infra li mali, grandi avventure e grandi pericoli, ove li Romani erano, fu Claudio Marcello lo primo che lo' donasse speranza di potere lo re Anibal sormontare e vinciare.
Intanto tutta Campagnia e tutta Italia si rendè allo re Anibal, imperò che disperati erano ch'e Romani mai potessero avere onore o signoria, e rendersegli città e castella e ville, e sottomissersi alla sua signoria del tutto, e anco in quello tempo li Gallici assembrarono gente per andare contra a' Romani. Contra a costoro fu mandato Lucio Ponponio, che consolo era allora, ma male ne li avvenne allora, perciò che lui e sua gente furono sconfitti e morti, e pochi ne tornarono addietro. Così avvenia allora a' Romani e cresceva loro male di dì in dì, e sì erano sbigottiti, che non sapevano che si fare; ed allora erano consoli di RomaSempronio Gaio e Quinto Fabio[30]. Per lo conseglio di costoro fu mandato Marcello contra lo re Anibal, chè tutto lo regno di Puglia e di Calavria e di Italia e di Campagnia ubbidivano a lui, e facevano sue comandamenta. Questo Marcello Claudio ch'era consolo, andò tanto lui e sua gente, ch'elli assalse lo re Anibal e sua oste a uno stretto d'una riviera, dov'elli doveva passare l'altro dì, ed ine l'assalse Marcello, e da più parti fece gridareRomae sonare trombe e corni, d'ond'elli sbigottì molto lui e sua gente duramente per lo grande romore e per lo grande grido; e sappiate che là fu gran parte della gente dello re Anibal sconfitta e distrutta, imperò che di niuna persona dubitavano, nè di questoincontro non prendevano guardia; e sì tosto come lo consolo si potè partire, elli si trasse addietro col grande guadagno ch'elli aveva fatto, e lo re Anibal, che passati avevano l'acqua, s'attendaro dolenti e corrucciosi di questa sconfitta; e queste novelle furo tosto sapute a Roma, d'onde gran gioia fu fatta, chè non potevano credare che nullo potesse danneggiare lo re Anibal; ma Claudio Marcello lo danneggiò molto duramente e gravò. Ma infra li mali, grandi avventure e grandi pericoli, ove li Romani erano, fu Claudio Marcello lo primo che lo' donasse speranza di potere lo re Anibal sormontare e vinciare.
XXX.Allora mandò lo re Filippo di Macedonia suoi messaggi allo re Anibal, e sì li mandò a dire ch'elli mandarebbe aiuto di buoni cavalierie d'altra gente incontro a' Romani per tale condizione, che quando elli avesse Roma distrutta, che lui l'aitarebbe contra i Greci, che molto il guerreggiavano. Li messaggi di Macedonia cavalcaro tanto per loro giornate, che per avventura incontraro li Romani per la via, e allora furono presi e menati a Roma, e sì li menaro dinanzi a' senatori ed a' consoli per sapere e domandare la verità del fatto di ciò che cercavano collo re Anibal, e che novelle e' portavano, e sì tosto come li messaggi furono dinanzi a' senatori, sì lo' convenne dire, volessero o no, tutta la certezza del fatto; e sì tosto come li senatori e consoli ne seppero la verità, ellino mandarono in Macedonia Valerio Nimio[31]consolo per combattere co' Macedoni, sì che fussero ingombrati in tale maniera, che allo re Anibal non potessero dare aiuto nè soccorso.
Allora mandò lo re Filippo di Macedonia suoi messaggi allo re Anibal, e sì li mandò a dire ch'elli mandarebbe aiuto di buoni cavalierie d'altra gente incontro a' Romani per tale condizione, che quando elli avesse Roma distrutta, che lui l'aitarebbe contra i Greci, che molto il guerreggiavano. Li messaggi di Macedonia cavalcaro tanto per loro giornate, che per avventura incontraro li Romani per la via, e allora furono presi e menati a Roma, e sì li menaro dinanzi a' senatori ed a' consoli per sapere e domandare la verità del fatto di ciò che cercavano collo re Anibal, e che novelle e' portavano, e sì tosto come li messaggi furono dinanzi a' senatori, sì lo' convenne dire, volessero o no, tutta la certezza del fatto; e sì tosto come li senatori e consoli ne seppero la verità, ellino mandarono in Macedonia Valerio Nimio[31]consolo per combattere co' Macedoni, sì che fussero ingombrati in tale maniera, che allo re Anibal non potessero dare aiuto nè soccorso.
XXXI.In quello tempo li senatori e popolo di Roma elessero li due Scipioni, che andassero in Ispagna contra Astrubal fratello dello re Anibal, che là era. Questi due Scipioni andaro tanto, che condussero loro genti in Ispagna contro allo re Astrubal, che là era rimaso, per acquistare lo reame. Là furo molto grandi battaglie infra li Romani e li Poonii, de' quali Astrubal era signore; e sappiate ch'e Romani fecero molto bene in quella battaglia, ch'ellino sconfissero lo re Astrubal e tutta sua gente, de' quali fecero molto grande dannaggio e molta grande perdizione, che sì come Eutropio conta e Orosio lo testimonia, ch'egli uccisero e presero bene vinticinque milia d'uomini; e sì lo danneggiaro ancora in altra maniera, ch'io vi dirò, ch'e Cartaginesi avevano soldati li Tiberieni, una gente moltoardita e molto cavallerosa[32]. Costoro soldaro li Romani e tolserli a' loro nemici; ma quelli di Cartagine mandarono ad Astrubal dodici milia di pedoni e quattro milia cavalieri, e sì li mandaro venti olifanti per accresciare sua forza, e ancora mandaro molta di loro gente nell'isola di Sardegna. Contra costoro mandaro li Romani Manlio Torquato consolo per combattare contra a loro, imperò ch'e Romani avevano lassati per lo re Anibal, a cui s'erano dati.
In quello tempo li senatori e popolo di Roma elessero li due Scipioni, che andassero in Ispagna contra Astrubal fratello dello re Anibal, che là era. Questi due Scipioni andaro tanto, che condussero loro genti in Ispagna contro allo re Astrubal, che là era rimaso, per acquistare lo reame. Là furo molto grandi battaglie infra li Romani e li Poonii, de' quali Astrubal era signore; e sappiate ch'e Romani fecero molto bene in quella battaglia, ch'ellino sconfissero lo re Astrubal e tutta sua gente, de' quali fecero molto grande dannaggio e molta grande perdizione, che sì come Eutropio conta e Orosio lo testimonia, ch'egli uccisero e presero bene vinticinque milia d'uomini; e sì lo danneggiaro ancora in altra maniera, ch'io vi dirò, ch'e Cartaginesi avevano soldati li Tiberieni, una gente moltoardita e molto cavallerosa[32]. Costoro soldaro li Romani e tolserli a' loro nemici; ma quelli di Cartagine mandarono ad Astrubal dodici milia di pedoni e quattro milia cavalieri, e sì li mandaro venti olifanti per accresciare sua forza, e ancora mandaro molta di loro gente nell'isola di Sardegna. Contra costoro mandaro li Romani Manlio Torquato consolo per combattare contra a loro, imperò ch'e Romani avevano lassati per lo re Anibal, a cui s'erano dati.
XXXII.Così come voi avete udito, erano li Romani caricati in quattro parti di gravi e crudeli battaglie: l'una contra lo re Anibal in Italia, che troppo l'era presso, l'altra in Macedoniacontra lo re Filippo, l'altra in Ispagna contra Astrubal, la quarta in nella terra di Sardegna; e bene sappiate che tutte queste genti, che in queste quattro parti erano, se fossero tutte insieme contra lo re Anibal, si credarebbero avere poca gente per loro soccorrare ed aitare, e ciò era grande maraviglia come potevano tanto durare; ma sappiate che troppo andò la cosa peggio che non credevano, che Manlio Torquato, che fu mandato in Sardegna, sconfisse li Cartagginesi, ed uccise di loro genti dodici migliaia d'uomini, e sì ne prese bene due milia, e mandolli a Roma colla preda e collo acquisto ch'egli aveva fatto, e così vinse lo consolo Junio li Macedoni, ch'erano molto forte gente e molto ardita, e sì conquistò molta preda e molto avere; e Claudio Marcello, che molto era nobile cavaliere e pro, sì prese a molta gran pena la città di Serragozza e la terra di Sicilia, che molto era diviziosa terra e piena ditutti beni, la quale aveva per altre volte assediata, ed alla prima fiata che l'assediò, nolla potè prendare in nulla maniera, nè per ingegno che sapesse fare o pensare, sì vigorosamente la difendeva Archimede, ch'era cittadino della città, che per suo senno e per sua forza distruggea tutti l'ingegni, ch'e Romani facevano per la città prendare. Ma altri non die sua matera tralassare se non il meno che può; perciò vi dirò dello re Anibal, per seguitare la storia che io v'ô cominciata, e sappiate che mai in vita vostra non udirete parlare di più vera storia, nè ove abbia meno falsità e bugie; e per meglio dire la verità, ve la contio senza nulla rima, onde è più da credare e da pregiare.
Così come voi avete udito, erano li Romani caricati in quattro parti di gravi e crudeli battaglie: l'una contra lo re Anibal in Italia, che troppo l'era presso, l'altra in Macedoniacontra lo re Filippo, l'altra in Ispagna contra Astrubal, la quarta in nella terra di Sardegna; e bene sappiate che tutte queste genti, che in queste quattro parti erano, se fossero tutte insieme contra lo re Anibal, si credarebbero avere poca gente per loro soccorrare ed aitare, e ciò era grande maraviglia come potevano tanto durare; ma sappiate che troppo andò la cosa peggio che non credevano, che Manlio Torquato, che fu mandato in Sardegna, sconfisse li Cartagginesi, ed uccise di loro genti dodici migliaia d'uomini, e sì ne prese bene due milia, e mandolli a Roma colla preda e collo acquisto ch'egli aveva fatto, e così vinse lo consolo Junio li Macedoni, ch'erano molto forte gente e molto ardita, e sì conquistò molta preda e molto avere; e Claudio Marcello, che molto era nobile cavaliere e pro, sì prese a molta gran pena la città di Serragozza e la terra di Sicilia, che molto era diviziosa terra e piena ditutti beni, la quale aveva per altre volte assediata, ed alla prima fiata che l'assediò, nolla potè prendare in nulla maniera, nè per ingegno che sapesse fare o pensare, sì vigorosamente la difendeva Archimede, ch'era cittadino della città, che per suo senno e per sua forza distruggea tutti l'ingegni, ch'e Romani facevano per la città prendare. Ma altri non die sua matera tralassare se non il meno che può; perciò vi dirò dello re Anibal, per seguitare la storia che io v'ô cominciata, e sappiate che mai in vita vostra non udirete parlare di più vera storia, nè ove abbia meno falsità e bugie; e per meglio dire la verità, ve la contio senza nulla rima, onde è più da credare e da pregiare.
XXXIII.Il decimo anno che lo re Anibal era venuto in Italia, allora eranoconsoli di Roma Gaio Fulvio e Pubblio Supplizio[33], grandi signori e molto valenti, e bene sappiate ch'e' dottavano poco lo re Anibal e tutto suo potere; ed in quello tempo mosse lo re Anibal tutta sua oste di Campagnia, ov'elli avea molto soggiornato, e venne presso a Roma ad una lega e mezzo, e là s'attendò con tutta sua gente, che molto era grande e bella, e alloggioro in sulla riviera del Tevare, e allora corsero li scorridori infino alla città, ove le genti erano molto spaventate, che alla fine credevano essere tutti morti o presi. Li senatori e li alti baroni di Roma e tutto l'altro popolo, che là entro erano, stavano in molta gran sospezione della città guardare e difendare, e di procacciare dardi e saette e altre armi difendevoli; e spezialmente l'alte donne di Roma erano duramente spaventate e sbigottite,che per la gran paura ch'aveano, parea che fussero fuore di loro sentimento; ed appresso sì corrivano suso per le mura e per le bertesche di Roma, ch'erano cariche di pietre e di lancie e di balestre, d'onde primamente volevano difendare la città, s'ella fusse assalita.
Il decimo anno che lo re Anibal era venuto in Italia, allora eranoconsoli di Roma Gaio Fulvio e Pubblio Supplizio[33], grandi signori e molto valenti, e bene sappiate ch'e' dottavano poco lo re Anibal e tutto suo potere; ed in quello tempo mosse lo re Anibal tutta sua oste di Campagnia, ov'elli avea molto soggiornato, e venne presso a Roma ad una lega e mezzo, e là s'attendò con tutta sua gente, che molto era grande e bella, e alloggioro in sulla riviera del Tevare, e allora corsero li scorridori infino alla città, ove le genti erano molto spaventate, che alla fine credevano essere tutti morti o presi. Li senatori e li alti baroni di Roma e tutto l'altro popolo, che là entro erano, stavano in molta gran sospezione della città guardare e difendare, e di procacciare dardi e saette e altre armi difendevoli; e spezialmente l'alte donne di Roma erano duramente spaventate e sbigottite,che per la gran paura ch'aveano, parea che fussero fuore di loro sentimento; ed appresso sì corrivano suso per le mura e per le bertesche di Roma, ch'erano cariche di pietre e di lancie e di balestre, d'onde primamente volevano difendare la città, s'ella fusse assalita.
XXXIV.Mentre ch'e Romani erano sì duramente sbigottiti, lo re Anibal fece tutta sua gente armare e sua cavallaria, e sì cavalcò primamente nella fronte dinanzi Anibal con molta gran parte di sua eletta cavallaria, e non finò per infine tanto che venne presso alla città orgogliosamente e fieramente, imperò ch'elli credette avere senza indugio la città, e non credette niente che si potessero longamente tenere contra a lui; ma quando giunse là, e vidde che le porti non gli erano aperte, e viddeche coloro delle mura li gittavano pietre e dardi e saette, sappiate che n'ebbe grande ira, e perciò fece sua gente ordinare e schierare a battaglia, ed appresso fece fare ingegni per le mura assalire; ma quando li senatori e li alti uomini viddero ciò, ellino parlarono insieme, e dissero che meglio lo' venia d'uscire della città e combattare collo re Anibal, che stare dentro alla difesa della città, e meglio lo' venia di morire ad onore in difensione di loro paese e di loro contrada, che essare presi per forza dentro alle mura e menati in servaggio.
Mentre ch'e Romani erano sì duramente sbigottiti, lo re Anibal fece tutta sua gente armare e sua cavallaria, e sì cavalcò primamente nella fronte dinanzi Anibal con molta gran parte di sua eletta cavallaria, e non finò per infine tanto che venne presso alla città orgogliosamente e fieramente, imperò ch'elli credette avere senza indugio la città, e non credette niente che si potessero longamente tenere contra a lui; ma quando giunse là, e vidde che le porti non gli erano aperte, e viddeche coloro delle mura li gittavano pietre e dardi e saette, sappiate che n'ebbe grande ira, e perciò fece sua gente ordinare e schierare a battaglia, ed appresso fece fare ingegni per le mura assalire; ma quando li senatori e li alti uomini viddero ciò, ellino parlarono insieme, e dissero che meglio lo' venia d'uscire della città e combattare collo re Anibal, che stare dentro alla difesa della città, e meglio lo' venia di morire ad onore in difensione di loro paese e di loro contrada, che essare presi per forza dentro alle mura e menati in servaggio.
XXXV.Sì tosto come ciò fu divisato e detto, ellino assembrarono allora tutta loro gente e loro forza e loro potere, e tutti coloro che arme potevano portare, furo tutti ragunati in Campidoglio, ed allora furo pregatiche arditamente e vigorosamente combattessero, siccome per loro difendare e loro donne e loro figliuogli, ch'e loro nemici desideravano di menare in loro contrada per fare loro volontà. A queste parole furo le schiere ordinate, e le nobili donne e le pulzelle saliro su per le mura della città, tutte spogliate di loro migliori robbe, per la città difendare, se loro gente fusse sconfitta. Intanto furo li Romani usciti della città, e nullo pensiero avevano, se non o essare tutti morti o tutti presi innanzi che tornare per forza dentro alla città. Quando lo re Anibal vidde che li Romani erano usciti tutti fuore di Roma contra di lui nella campagna, e tutti ordinare e apparecchiare per combattare, elli si pensò bene ch'ellino non volevano tornare addietro, che loro si vendicarebbero del duolo e del dannaggio ch'elli l'aveva fatto; e perciò comandò che sue genti fussero bene ordinate e schierate per combattare, e pensò che se potessetanto fare, che si mettesse tra loro e la città, giammai uno solo non avarebbe potere di ritornarvi nella città; e tantosto furo d'una parte e dell'altra le schiere ordinate assai tostamente, ma sì tosto come quelli da cavallo si volevano muovare per combattare, e quelli da piei s'erano già tanto appressimati, che già gli archi tiravano per trarre l'uno all'altro; e intanto venne una sì gran piova ed uno sì gran vento mescolato con gragniuola, e dè lo' adosso per sì fatto modo, che mai sì grande piova e grandine non avevano veduta, e ciò fu una delle maggiori maraviglie, che altri udisse mai parlare.
Sì tosto come ciò fu divisato e detto, ellino assembrarono allora tutta loro gente e loro forza e loro potere, e tutti coloro che arme potevano portare, furo tutti ragunati in Campidoglio, ed allora furo pregatiche arditamente e vigorosamente combattessero, siccome per loro difendare e loro donne e loro figliuogli, ch'e loro nemici desideravano di menare in loro contrada per fare loro volontà. A queste parole furo le schiere ordinate, e le nobili donne e le pulzelle saliro su per le mura della città, tutte spogliate di loro migliori robbe, per la città difendare, se loro gente fusse sconfitta. Intanto furo li Romani usciti della città, e nullo pensiero avevano, se non o essare tutti morti o tutti presi innanzi che tornare per forza dentro alla città. Quando lo re Anibal vidde che li Romani erano usciti tutti fuore di Roma contra di lui nella campagna, e tutti ordinare e apparecchiare per combattare, elli si pensò bene ch'ellino non volevano tornare addietro, che loro si vendicarebbero del duolo e del dannaggio ch'elli l'aveva fatto; e perciò comandò che sue genti fussero bene ordinate e schierate per combattare, e pensò che se potessetanto fare, che si mettesse tra loro e la città, giammai uno solo non avarebbe potere di ritornarvi nella città; e tantosto furo d'una parte e dell'altra le schiere ordinate assai tostamente, ma sì tosto come quelli da cavallo si volevano muovare per combattare, e quelli da piei s'erano già tanto appressimati, che già gli archi tiravano per trarre l'uno all'altro; e intanto venne una sì gran piova ed uno sì gran vento mescolato con gragniuola, e dè lo' adosso per sì fatto modo, che mai sì grande piova e grandine non avevano veduta, e ciò fu una delle maggiori maraviglie, che altri udisse mai parlare.
XXXVI.Quella piova fu sì grande, che appena potevano vedere l'uno l'altro, e non si potevano cognosciare l'uno l'altro, e non si potevano tenereritti, nè tenere suo scudo nè sue armi, sì duramente l'oppressava la piova, che li mollava[34]troppo forte. Per questa avventura tutti li cavalieri ch'erano armati, e tutti e pedoni e cavalli poco si falliva che non venivano meno del tutto, e sì non sapevano partire loro schiere, che assembrare dovevano; e medesimamente quelli della città appena tornarono dentro, e quelli del campo tornarono a' loro padiglioni, e così rimase la battaglia il dì per la piova che fu così smisurata; ma la mattina sì tosto come apparve il giorno, e 'l sole rendea suoi raggi sopra la terra, s'apparecchiaro nell'oste per combattare, e dall'altra parte quelli della città s'apparecchiavano di loro armi, e sì le fecero rischiarare, che erano tutte scure per lo forte tempo che avevano auto, imperò che le volevano belle e chiare mostrare a' loro nemici, e dall'altra parte volevanotosto andare alla mortal battaglia; e sì tosto come furo nella campagna tutti assembrati e apparecchiati per ferire l'uno l'altro, ed eccoti siccome lo dì dinanzi una sì gran tempesta e più forte assai che quella dinanzi, e con sì grande tempesta lo' venne adosso, sicchè era una maraviglia, sicchè lo' tolse l'ardimento e 'l coraggio, che l'uno avea di tollare la vita a l'altro. E così come avevano fatto l'altro dì, sì si tornarono addietro a' loro alberghi; e per così maravigliose venture sì si trasse lo re Anibal addietro nella campagna, che li fu veramente avviso alle disavventure che aveva aute, che lui li sottomettarebbe e signoreggiarebbe, e farebbe di loro e di tutta la contrada tutta sua volontà, fuore solamente della città di Roma; e di ciò era bene sicuro, per ciò che sapeva bene che ella era di troppo grande forza.
Quella piova fu sì grande, che appena potevano vedere l'uno l'altro, e non si potevano cognosciare l'uno l'altro, e non si potevano tenereritti, nè tenere suo scudo nè sue armi, sì duramente l'oppressava la piova, che li mollava[34]troppo forte. Per questa avventura tutti li cavalieri ch'erano armati, e tutti e pedoni e cavalli poco si falliva che non venivano meno del tutto, e sì non sapevano partire loro schiere, che assembrare dovevano; e medesimamente quelli della città appena tornarono dentro, e quelli del campo tornarono a' loro padiglioni, e così rimase la battaglia il dì per la piova che fu così smisurata; ma la mattina sì tosto come apparve il giorno, e 'l sole rendea suoi raggi sopra la terra, s'apparecchiaro nell'oste per combattare, e dall'altra parte quelli della città s'apparecchiavano di loro armi, e sì le fecero rischiarare, che erano tutte scure per lo forte tempo che avevano auto, imperò che le volevano belle e chiare mostrare a' loro nemici, e dall'altra parte volevanotosto andare alla mortal battaglia; e sì tosto come furo nella campagna tutti assembrati e apparecchiati per ferire l'uno l'altro, ed eccoti siccome lo dì dinanzi una sì gran tempesta e più forte assai che quella dinanzi, e con sì grande tempesta lo' venne adosso, sicchè era una maraviglia, sicchè lo' tolse l'ardimento e 'l coraggio, che l'uno avea di tollare la vita a l'altro. E così come avevano fatto l'altro dì, sì si tornarono addietro a' loro alberghi; e per così maravigliose venture sì si trasse lo re Anibal addietro nella campagna, che li fu veramente avviso alle disavventure che aveva aute, che lui li sottomettarebbe e signoreggiarebbe, e farebbe di loro e di tutta la contrada tutta sua volontà, fuore solamente della città di Roma; e di ciò era bene sicuro, per ciò che sapeva bene che ella era di troppo grande forza.
XXXVII.Ora sguardate come ciò può essare, che Roma non fusse presa a quella fiata, e ciò non fu per la forza ch'e Romani avevano, anco fu per la volontà del nostro Signore Jesù Cristo, da cui ebbero buono aiuto e buono soccorso; e sappiate che per la loro forza non fu niente, imperò che s'eglino avessero auta altrettanta gente, quanta eglino avevano, non avarebbero potuto contra lo re Anibal nè forza nè vertù, tanto avea lo re Anibal gran gente e forte, e insieme con tutto ciò erano pieni di sì grande ardimento e di sì grande prodezza, ed erano sì duri per male sofferire, che ciò era una grande maraviglia. Or sappiate dunque, e di ciò non siate in dottanza, che ciò fu per volontà del nostro Signore Iddio, che Roma fu a quella fiata difesa, imperò che non volse per sua pietà e misericordia che allorala città fusse distrutta del tutto, la quale avea eletta ad essare donna e capo del mondo e di tutta Cristianità, avvenga ch'allora fusse maestra degl'idoli e della legge pagana; e ciò possono bene sapere quegli, che la grande potenzia di Dio ânno cognosciuta, e perciò fu Roma difesa, ch'ella non fu presa dallo re Anibal, ch'aveva la forza grande, e Dio la difese in tale maniera, come voi avete udito, che lo' mandò le gran piove da cielo.
Ora sguardate come ciò può essare, che Roma non fusse presa a quella fiata, e ciò non fu per la forza ch'e Romani avevano, anco fu per la volontà del nostro Signore Jesù Cristo, da cui ebbero buono aiuto e buono soccorso; e sappiate che per la loro forza non fu niente, imperò che s'eglino avessero auta altrettanta gente, quanta eglino avevano, non avarebbero potuto contra lo re Anibal nè forza nè vertù, tanto avea lo re Anibal gran gente e forte, e insieme con tutto ciò erano pieni di sì grande ardimento e di sì grande prodezza, ed erano sì duri per male sofferire, che ciò era una grande maraviglia. Or sappiate dunque, e di ciò non siate in dottanza, che ciò fu per volontà del nostro Signore Iddio, che Roma fu a quella fiata difesa, imperò che non volse per sua pietà e misericordia che allorala città fusse distrutta del tutto, la quale avea eletta ad essare donna e capo del mondo e di tutta Cristianità, avvenga ch'allora fusse maestra degl'idoli e della legge pagana; e ciò possono bene sapere quegli, che la grande potenzia di Dio ânno cognosciuta, e perciò fu Roma difesa, ch'ella non fu presa dallo re Anibal, ch'aveva la forza grande, e Dio la difese in tale maniera, come voi avete udito, che lo' mandò le gran piove da cielo.
XXXVIII.Di ciò vi lassarò ora stare, che ciascuno che â senno e discrezione, può bene sapere e cognoscere che assai sono più grandi l'opere del nostro Signore Dio e suoi provedimenti, che non si possono dire nè pensare. Io v'ô detto come li Romani sconfissero Asdrubali in Ispagna; ora dirò del re Anibal, che pertutta Italia, sì grande com'ella è, tenea sua signoria, chè chi â il principio d'una cosa inteso e non la fine, non sa che se n'è avvenuto, e avviene che ne perdono loro buono intendimento, ch'ânno auto al principio; e perciò è buona cosa di seguire in ordine ciò che altri comincia, e perciò mi conviene tornare a ciò quando luogo e tempo sarà, e seguire la materia sì che altri la possa bene intendare.Astrubal, il quale era sconfitto in Ispagna, siccome voi avete udito addietro, assembrò sua gente con quella ch'e Cartagginesi li avevano mandata, e sì cavalcò e tornò verso e Romani, ov'era Cornello Scipio e l'altro Scipio, amenduni consoli di Roma, e quali sconfitto l'avevano l'altra fiata, ed erano mastri e capitani; e sì tosto come seppero la venuta di Astrubal, eglino vennero incontra a lui con molta gran gente, che con loro erano assembrati; ma innanzi che l'osti d'una parte e d'altras'appressimassero, vennero li due consoli, ch'io v'ô nomati, a loro schiere per assembrare primamente alla gente dello re Astrubal, che tutti erano armati ed apparecchiati longo una foresta presso ad una montagna. Li Romani, che poco dottavano li Cartagginesi, avvenga che non credessero che fussero tanti come egli erano, che già entravano nella valle tutti ordinati per combattare con loro nemici; e sappiate che là fu molto fiera e dura battaglia; li Romani che orgogliosi erano, lassaro corrare loro cavalli contra agli Affricani, e quali avevano più gente di loro.
Di ciò vi lassarò ora stare, che ciascuno che â senno e discrezione, può bene sapere e cognoscere che assai sono più grandi l'opere del nostro Signore Dio e suoi provedimenti, che non si possono dire nè pensare. Io v'ô detto come li Romani sconfissero Asdrubali in Ispagna; ora dirò del re Anibal, che pertutta Italia, sì grande com'ella è, tenea sua signoria, chè chi â il principio d'una cosa inteso e non la fine, non sa che se n'è avvenuto, e avviene che ne perdono loro buono intendimento, ch'ânno auto al principio; e perciò è buona cosa di seguire in ordine ciò che altri comincia, e perciò mi conviene tornare a ciò quando luogo e tempo sarà, e seguire la materia sì che altri la possa bene intendare.
Astrubal, il quale era sconfitto in Ispagna, siccome voi avete udito addietro, assembrò sua gente con quella ch'e Cartagginesi li avevano mandata, e sì cavalcò e tornò verso e Romani, ov'era Cornello Scipio e l'altro Scipio, amenduni consoli di Roma, e quali sconfitto l'avevano l'altra fiata, ed erano mastri e capitani; e sì tosto come seppero la venuta di Astrubal, eglino vennero incontra a lui con molta gran gente, che con loro erano assembrati; ma innanzi che l'osti d'una parte e d'altras'appressimassero, vennero li due consoli, ch'io v'ô nomati, a loro schiere per assembrare primamente alla gente dello re Astrubal, che tutti erano armati ed apparecchiati longo una foresta presso ad una montagna. Li Romani, che poco dottavano li Cartagginesi, avvenga che non credessero che fussero tanti come egli erano, che già entravano nella valle tutti ordinati per combattare con loro nemici; e sappiate che là fu molto fiera e dura battaglia; li Romani che orgogliosi erano, lassaro corrare loro cavalli contra agli Affricani, e quali avevano più gente di loro.