PARTE QUARTADOCUMENTI

PARTE QUARTADOCUMENTI

Lettera di Giulio Genoino agli Accademici Oziosi intorno alle pretensioni del popolo di Napoli

Alli Signori Accademici Otiosi— Mi è stato riferito ch'io sia stato ripreso da alcuni della Vostra Accademia de certo mio parlamento fatto pubblicamente a Sua Eccellenza in Palazzo nella sala dell'Ecc. della Signora Viceregina, lunedì li 6 del presente mese di Maggio 1620. Provate con dire che in quello sia stato da me usata arte oratoria e mordace. Quel mio ragionamento fu a fatto all'improvviso, a richiesta di alcuni miei Cittadini, et se in qualche cosa impensatamente non dicevole fussi trascorso, mi faranno piacere le Signorie Vostre (scrivendoli io a quest'effetto) corregermi, et perchè non me si attribuisca dal volgo quello che io non ho detto, vengo hora a punto a scriverli quanto io all'hora dissi, che altro non fu che questo:

Sono venuto, Signore Eccellentissimo, da parte di questo mio Popolo qui presente ad esporre querele, sperar giustizia, et impetrar gratie. Querele, Signor Ecc.mo. Si è inteso che molti nobili di piazza (salvo però la pace di coloro che non intervengono a tal consiglio) facciano conventicoli, conspirazioni, et monopolii in diversi privati luochi, case, chiese et ridotti; cose detestabili et da ogni legge prohibite; et sì questa nobiltàha da fare alcun parlamento, ha le sue pubbliche Piazze, dova gionta potrà deliberare et concludere ogni suo parlamento, sì come fa questo mio Popolo. Quello che questo mio Popolo sospetta contro detta nobiltà, è che quanto dichi et operi sia cospirazione contro di esso et contro di chi l'Eccellenza Sua può immaginarsi, e per quanto vedo, fa la mira al piede per colpire in testa: l'uno et l'altro capo prenderà peso di provare questo mio Popolo. Intenderà forsi questa nobiltà in questo modo privarci di quel bene ove è fundata ogni nostra speranza; non sarà giammai et s'inganna di lungo. Pretenderà forsi suppeditare questo mio Popolo? Non conviene, essendo suo affezionatissimo. Intende forse esser nostra tiranna? Nè questo, mentre stiamo sotto regia protezione. Finalmente pretenderà farci suoi schiavi? Il che non sarà giammai, poichè se al proprio nostro Re non havemo altro obbligo se non di fidelissimo vassallaggio, come si presumerà che dobbiamo esser schiavi a questa privata nobiltà? Erra certamente alla lunga: dovrebbe al fine porre mente a tante cose, nè fastidirse più l'orecchia del nostro Re di tante querele et messi, et lasciar quieta la Cattolica Maestà attendere ad altro, et a cose più gravi che in queste nostre gare, pretensioni et liti, et quelle fra noi con amorevolezza terminare et finire; al che con vivo affetto di cuore preghiamo la detta nobiltà et quelle debbiamo con amorevolezza vicendevole componere; nel che l'Eccellenza Sua non sia più giudice nostro, ma amichevole compromissore.A questo con ardente affetto di cuore anzi con vive lagrime da parte di questo mio Popolo prego voi tutti Signori qua presenti che vogliate adoprare ogni vostro valore, potere et forza, che questa nobiltà resti quieta di vivere unita col suo carissimo Popolo, e che gli ceda quella parte di autorità che nelle cose comuni di giustitia li conviene, non l'aggravi più, ma lo sollevi a ciò non habbia occasione alla fine darsi in preda di disperatione, et quello che detta nobiltà con occulti conventicoli contro di esso consulta l'habbia a dirlo in pubblica piazza. Viviamo dunque in tranquilla pace. Anzi si è risoluto questo mio Popolo chiamare con citatorio pubblico editto detta nobiltà a giusto et onorevole partito di quiete et questo acciò sia manifesto appresso Iddio et il mondo tutto quanto questo mio Popolo desideri la tranquilla pace.Et voi, Signor Ecc.mo, non volendo questa nobiltà inchinare l'orecchia a preghiere di questo Popolo, et volendo più oltre procedere in dette sue ostinate cospirationi, allora la pregamo voglia usare il debito rigore della sua giustizia contro li trasgressori, come disturbatori della universale quiete et pace. Et quando che no, avemo, signore Eccellentissimo, un volgare nostro napoletano proverbio che “il mal guadagno sparte compagnia„. Si è visto, signor Ecc.mo, che da questa nostra comunità (ma per opera non so de chi) s'è causato un mal guadagno; si sa quanti milioni di oro deve questa nostra Città: si dovrebbe per ragione, per sollevamento di quella, dividere questo peso, et la mità pagarne il nostroPopolo et l'altra mità la detta nobiltà. Ma ecco, signore Ecc.mo, come quello mi risponde: Questo non è giusto nè conviene, che, essendo il Popolo tanto numeroso et la nobiltà tanto pochi, paghi la maggior parte il Popolo et una minima parte paghi la Nobiltà; al che li dico come li pesi sono tutti del Popolo et gli onori tutti della Nobiltà? Queste, signore Eccellentissimo, sono male spartenze:leonina divisio.È stabilito per autorità di legge che nessuno a forza sia tenuto stare in compagnia; per ciò quando la nobiltà si vorrà attribuire più di quello, che le tocca di questa nostra Comunità et unione, allhora è resoluto questo mio Popolo di vivere dissunito da quella. et da mo le dice: Addio, restate in pace.Questo basti all'esponere di querele et aspettar giustitia. Resta, signore Eccellentissimo, de impetrar gratia.Et primo sa l'Eccellenza Sua quanto è povero questo mio unito Popolo che non ha altro eccetto il solo legato della felice memoria del Serenissimo Re Cattolico, che appena basta a distribuire li legati pii, et pie dispositioni; perciò è resoluto fra sè stesso fare una tassa et per volontarie contributioni fare almeno la somma di ducati 30000, et quelli poi convertire in compra de annue intrate, anzi quelli de anno in anno cumulare, acciocchè si possa di dette entrate soggiovare in ogni urgente bisogno, mantenimento di lite, et tutte altre cose in comune et in privato, che sarà espediente di detto popolo, conforme li bisogni che di giorno in giorno potranno occorrere a questa volontaria attione. Si supplica il beneplacito et consenso di Vostra Eccellenza.2. Mira l'Eccellenza Sua questa nobiltà, che sta nel suo cospetto, come sta pregiata, pomposa et ornata. Mira all'incontro questo mio Popolo che sta humile et con quelle sue positive vesti, che per decentia del loro stato così conviene stiano vestiti. Perciocchè si supplica Vostra Eccellenza che, per ornamento e decoro di questo Popolo, voglia permettere l'Eccellenza Sua che a questi populari Capitani et Consultori se li permetta vestire di una veste lunga talare a modo di senatoria veste, et di quella servirse assolutamente in tutte le pubbliche functioni che lui farà, et quando compare all'aspetto dell'Eccellenza Sua per cose pubbliche. Questo domando per onore et decoro di questo mio Popolo et a ciò reveriscano tanto più l'Eccellenza Soa et a sua gloria.3. Ha stabilito questo mio Popolo deputare sei di ciascuno di detti Capitanii e Consultori ogni dì, acciocchè comparino ogni mattina avanti l'Eccellenza Sua, et quella umilmente salutino et se li offeriscano per servi et le ricordino che li sono fidelissimi.4. Instantemente pregano l'Eccellenza Sua almeno si lasci personalmente vedere una volta la settimana nella Piazza di questo suo Popolo, acciocchè vedendo il suo aspetto viva lieto et sicuro.5. et ultimo. Signore Ecc.mo, le propongo questo che è successo a me medesimo, che andando l'altro hieri a pigliare possesso di questo mioufficio ebbe loco appena di unirsi questo popolo ad esercitare detto atto; attesochè quelle Reverendi Padri di Santo Agostino, per erigere il Campanile, hanno sfabbricato quello antichissimo edifizio dove se univa detto Popolo. Perciò non ha luogo dove unitamente congregarsi.Si è resoluto edificare un particular luogo dove si possa per lo advenire quello unirsi, quale s'intitolerà: Seggio della Piazza Popolare, e là possa unito parlare di tutte pubbliche cose occorrenti. Tutte queste sono gratie, che si supplica l'Eccellenza Sua potrà a quello facilmente concedere, mentrechè sono cose volontarie et non pregiuditiali al terzo et per maggior onore et quiete di detto popolo, del che humilmente supplica l'Eccellenza Sua e gli fa reverenza. Ho detto, Ecc.mo Signore.

Sono venuto, Signore Eccellentissimo, da parte di questo mio Popolo qui presente ad esporre querele, sperar giustizia, et impetrar gratie. Querele, Signor Ecc.mo. Si è inteso che molti nobili di piazza (salvo però la pace di coloro che non intervengono a tal consiglio) facciano conventicoli, conspirazioni, et monopolii in diversi privati luochi, case, chiese et ridotti; cose detestabili et da ogni legge prohibite; et sì questa nobiltàha da fare alcun parlamento, ha le sue pubbliche Piazze, dova gionta potrà deliberare et concludere ogni suo parlamento, sì come fa questo mio Popolo. Quello che questo mio Popolo sospetta contro detta nobiltà, è che quanto dichi et operi sia cospirazione contro di esso et contro di chi l'Eccellenza Sua può immaginarsi, e per quanto vedo, fa la mira al piede per colpire in testa: l'uno et l'altro capo prenderà peso di provare questo mio Popolo. Intenderà forsi questa nobiltà in questo modo privarci di quel bene ove è fundata ogni nostra speranza; non sarà giammai et s'inganna di lungo. Pretenderà forsi suppeditare questo mio Popolo? Non conviene, essendo suo affezionatissimo. Intende forse esser nostra tiranna? Nè questo, mentre stiamo sotto regia protezione. Finalmente pretenderà farci suoi schiavi? Il che non sarà giammai, poichè se al proprio nostro Re non havemo altro obbligo se non di fidelissimo vassallaggio, come si presumerà che dobbiamo esser schiavi a questa privata nobiltà? Erra certamente alla lunga: dovrebbe al fine porre mente a tante cose, nè fastidirse più l'orecchia del nostro Re di tante querele et messi, et lasciar quieta la Cattolica Maestà attendere ad altro, et a cose più gravi che in queste nostre gare, pretensioni et liti, et quelle fra noi con amorevolezza terminare et finire; al che con vivo affetto di cuore preghiamo la detta nobiltà et quelle debbiamo con amorevolezza vicendevole componere; nel che l'Eccellenza Sua non sia più giudice nostro, ma amichevole compromissore.

A questo con ardente affetto di cuore anzi con vive lagrime da parte di questo mio Popolo prego voi tutti Signori qua presenti che vogliate adoprare ogni vostro valore, potere et forza, che questa nobiltà resti quieta di vivere unita col suo carissimo Popolo, e che gli ceda quella parte di autorità che nelle cose comuni di giustitia li conviene, non l'aggravi più, ma lo sollevi a ciò non habbia occasione alla fine darsi in preda di disperatione, et quello che detta nobiltà con occulti conventicoli contro di esso consulta l'habbia a dirlo in pubblica piazza. Viviamo dunque in tranquilla pace. Anzi si è risoluto questo mio Popolo chiamare con citatorio pubblico editto detta nobiltà a giusto et onorevole partito di quiete et questo acciò sia manifesto appresso Iddio et il mondo tutto quanto questo mio Popolo desideri la tranquilla pace.

Et voi, Signor Ecc.mo, non volendo questa nobiltà inchinare l'orecchia a preghiere di questo Popolo, et volendo più oltre procedere in dette sue ostinate cospirationi, allora la pregamo voglia usare il debito rigore della sua giustizia contro li trasgressori, come disturbatori della universale quiete et pace. Et quando che no, avemo, signore Eccellentissimo, un volgare nostro napoletano proverbio che “il mal guadagno sparte compagnia„. Si è visto, signor Ecc.mo, che da questa nostra comunità (ma per opera non so de chi) s'è causato un mal guadagno; si sa quanti milioni di oro deve questa nostra Città: si dovrebbe per ragione, per sollevamento di quella, dividere questo peso, et la mità pagarne il nostroPopolo et l'altra mità la detta nobiltà. Ma ecco, signore Ecc.mo, come quello mi risponde: Questo non è giusto nè conviene, che, essendo il Popolo tanto numeroso et la nobiltà tanto pochi, paghi la maggior parte il Popolo et una minima parte paghi la Nobiltà; al che li dico come li pesi sono tutti del Popolo et gli onori tutti della Nobiltà? Queste, signore Eccellentissimo, sono male spartenze:leonina divisio.

È stabilito per autorità di legge che nessuno a forza sia tenuto stare in compagnia; per ciò quando la nobiltà si vorrà attribuire più di quello, che le tocca di questa nostra Comunità et unione, allhora è resoluto questo mio Popolo di vivere dissunito da quella. et da mo le dice: Addio, restate in pace.

Questo basti all'esponere di querele et aspettar giustitia. Resta, signore Eccellentissimo, de impetrar gratia.

Et primo sa l'Eccellenza Sua quanto è povero questo mio unito Popolo che non ha altro eccetto il solo legato della felice memoria del Serenissimo Re Cattolico, che appena basta a distribuire li legati pii, et pie dispositioni; perciò è resoluto fra sè stesso fare una tassa et per volontarie contributioni fare almeno la somma di ducati 30000, et quelli poi convertire in compra de annue intrate, anzi quelli de anno in anno cumulare, acciocchè si possa di dette entrate soggiovare in ogni urgente bisogno, mantenimento di lite, et tutte altre cose in comune et in privato, che sarà espediente di detto popolo, conforme li bisogni che di giorno in giorno potranno occorrere a questa volontaria attione. Si supplica il beneplacito et consenso di Vostra Eccellenza.

2. Mira l'Eccellenza Sua questa nobiltà, che sta nel suo cospetto, come sta pregiata, pomposa et ornata. Mira all'incontro questo mio Popolo che sta humile et con quelle sue positive vesti, che per decentia del loro stato così conviene stiano vestiti. Perciocchè si supplica Vostra Eccellenza che, per ornamento e decoro di questo Popolo, voglia permettere l'Eccellenza Sua che a questi populari Capitani et Consultori se li permetta vestire di una veste lunga talare a modo di senatoria veste, et di quella servirse assolutamente in tutte le pubbliche functioni che lui farà, et quando compare all'aspetto dell'Eccellenza Sua per cose pubbliche. Questo domando per onore et decoro di questo mio Popolo et a ciò reveriscano tanto più l'Eccellenza Soa et a sua gloria.

3. Ha stabilito questo mio Popolo deputare sei di ciascuno di detti Capitanii e Consultori ogni dì, acciocchè comparino ogni mattina avanti l'Eccellenza Sua, et quella umilmente salutino et se li offeriscano per servi et le ricordino che li sono fidelissimi.

4. Instantemente pregano l'Eccellenza Sua almeno si lasci personalmente vedere una volta la settimana nella Piazza di questo suo Popolo, acciocchè vedendo il suo aspetto viva lieto et sicuro.

5. et ultimo. Signore Ecc.mo, le propongo questo che è successo a me medesimo, che andando l'altro hieri a pigliare possesso di questo mioufficio ebbe loco appena di unirsi questo popolo ad esercitare detto atto; attesochè quelle Reverendi Padri di Santo Agostino, per erigere il Campanile, hanno sfabbricato quello antichissimo edifizio dove se univa detto Popolo. Perciò non ha luogo dove unitamente congregarsi.

Si è resoluto edificare un particular luogo dove si possa per lo advenire quello unirsi, quale s'intitolerà: Seggio della Piazza Popolare, e là possa unito parlare di tutte pubbliche cose occorrenti. Tutte queste sono gratie, che si supplica l'Eccellenza Sua potrà a quello facilmente concedere, mentrechè sono cose volontarie et non pregiuditiali al terzo et per maggior onore et quiete di detto popolo, del che humilmente supplica l'Eccellenza Sua e gli fa reverenza. Ho detto, Ecc.mo Signore.

Questo è quanto io esposi nel mio ragionamento et non altro, et si pure il volgo o altra persona dicesse aver detto altro di questo, erra. Vedete dunque se in detto ragionamento ho commesso alcun eccesso, riceverò volentieri l'emenda et correzione, del che instantemente li prego. E gli fo humilissima riverenza. Delle Signorie Vostre.

Servitore AffezionatissimoGiulio GenoinoEletto del Popolo Napolet.

Lettera dell'Eletto e della Piazza popolare a D. Baldassarre Zunica presidente del Consiglio d'Italia, con cui si espongono le querele di essa contro le Piazze nobili.

“Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore — Sono tanti et tali gli aggravii et vilipendii che questa nostra Piazza del fidelissimo Popolo napoletano (tanto devoto della Maestà Sua et dei suoi reali Ministri, et in particolare di Vostra Eccellenza) riceve giornalmente dalle piazze de' Nobili un disservizio di Dio, del Re N. S. et del ben publico, che obbligheriano noi, che la governiamo, a venire o mandarecento et mille volte l'hora in codesta Real Corte ai piedi della Maestà sua e suoi Consigli per gli opportuni rimedii. Ma, poichè questo non ci è permesso, mercè che questa povera Piazza non ha modo dello spendere, come l'hanno quelle de' Nobili, che (per le prerogative che ora godono di poter quattro di esse sole far conclusione di Città, benchè la nostra Piazza pretenda non senza raggione o la parità de' voti, o che non possa farsi cosa senza la nostra saputa, giacchè così conviene al servizio del pubblico e del Re), spendono e spandono del peculio universale come lor pare et piace, ancorchè ci habbiano così poca parte; poichè l'entrate della Cittâ si cavano mille volte più da questo Popolo numerosissimo che da' Nobili che sono così pochi; habbiamo stimato ben degno, se non in tutto almeno in parte, ragguagliarne V. E. Capo del Consiglio d'Italia, et sopra modo zelante del servizio di Sua Maestà et beneficio de' suoi sudditi, et supplicarla con questa (se pure la nostra buona fortuna vuole che ella capiti nelle sue mani, poichè possiamo assicurarcene per la potenza e stratagemmi degli avversarii), a degnarsi far queste nostre giuste querele pervenire alle reali orecchie della Maestà sua, acciocchè possa essa nostra fidelissima Piazza, riportarne quelle gratie et provvigioni che la giustizia de' suoi miserabili casi ricerca; assicurando V. E. che non meno sarà opera degna di vera pietà christiana l'adoperarsi essa con la Maestà del Nostro Re a pro di questo fidelissimo Popolo, di quello che sarebbe se l'Eccellenza Sua cavasse dalla schiavitudine molte migliaia di persone.

Saprà dunque V. E. che tra le molte cose, nelle quali è venuta e viene la nostra fidelissima Piazza aggravata et vilipesa da' Nobili (tacendo l'altre peggiori per hora per non tanto fastidirla con la lunghezza di questa lettera) ve ne sono tre che a nostra istanza si discutono in questo regio Collaterale.

L'una è che quattro delle cinque Piazze nobili conclusero ad Agosto passato, ciascuno da per sè separatamente, controla forma del dovere e del solito, che dovesse tenersi aggente perpetuo in cotesta Corte, et in effetto, senza chiamare la nostra Piazza, elessero il Dottor Giovan Camillo Barnaba, che quivi resiede, con provvisione di 600 ducati l'anno, a tempo che questa Città va debitrice sinhora (e Dio perdoni a coloro, per colpa de' quali ciò è avvenuto) in più di 11 milioni, senza le tante centinaia di migliaia di ducati che deve di terze vecchie, non ad essi Nobili, Signore Eccellentissimo, perchè ha ben saputo e potuto pagarsi: ma a tante povere vedove, pupilli et altri miserabili del popolo.

L'altra, che a' 9 di Settembre anche passato, deputarono et mandarono per ambasciatore in codesta medesima Real Corte il Padre Taruggi dei Gerolomini, senza il nostro intervento e saputa, e non obstante che dal Collaterale Consiglio fosse stato tre giorni prima, mediante provvisione agli stessi nobili notificata a' 6 del medesimo mese, ordinato che non si mandasse.

E la terza, che havendo la stessa piazza de' Nobili firmata una capitolazione, sotto il titolo diRiforma de' Tribunalidella nostra Città, per la quale si levano e tolgono affatto non pure alla nostra fidelissima Piazza et ai suoi Eletti le loro antiche raggioni et autorità, ma anche a' regii Ministri che in essi Tribunali assistono a petition nostra, hanno rechiesto essa nostra Piazza a concorrere alla detta riforma, et noi abbiamo ricusato di farlo per essere cosa di tanto nostro preiudizio e della Reale giuridittione.

Intorno alle due prime V. E. resterà servita veder dalle qui incluse copie come già per decreto del Signor Regente Valenzuela, commissario in questo particolare delegato dall'Illustriss. Signor Cardinale Vicerè, sta sospesa l'elettione di Aggente, et per decreto parimente di tutto il Collaterale, annullata l'ambasceria del Padre Taruggi, come fatte illegittimamente et contro la forma del dovere.

Et in quanto alla terza, già si sta da noi facendo istanza appresso questi signori Reggenti che sieno intese le nostreraggioni. Non lasciando di dire a V. E. che i sudetti Nobili oltre l'haver privato alcuni dei nostri di qualche carica o officio conferitogli dalle lor Piazze, senz'altra caggione che di non haver voluto aderire a' loro disegni, si sono lasciati trasportar dall'odio conceputo contro di noi, solo perchè habbiamo voluto difendere le ragioni della nostra Piazza con termini della giustizia contro le loro irragionevoli pretensioni et conclusioni, che e privata et pubblicamente in absenza et in presenza nostra non si sono astenuti dal maltrattarne di mille ingiurie et minacce, come ne abbiamo dato parte all'Ill. signor Cardinal Vicerè et suo Collaterale Consiglio, forse per provocarci a farne qualche resentimento da per noi, per lo quale poi avessero potuto tacciarne di persone rivoltose et inquiete. Ma noi habbiamo il tutto sopportato con animo piucchè forte per non cagionare qualche giusta alterazione al nostro fedelissimo Popolo, il quale, come chè non è mai stato solito di ricevere simili affronti della Nobiltà nelle persone de' suoi Eletto, Capitani et Consultori, da che è stata fondata questa Città, facilmente havrebbe potuto far qualche movimento di vendetta, se noi havessimo cercato di rissentirci dell'aggravio fattone, e non havessimo procurato diminuire al possibile la gravità delle cose appresso quelli de' nostri quartieri. Anzi, hierimattina, 27 del corrente, vigilia dell'odierna festa de' gloriosissimi Apostoli Simeone e Giuda, tutte le Cinque piazze Nobili ad una stess'hora, unite, ciascuna però nella sua, con manifesto monopolio (con riverenza) conclusero che si facessero deputati, i quali potessero, per mezzo del sudetto Padre Taruggi asserto ambasciadore o d'altri, non pur resentirsi dalle istanze fatte (com'essi dicono) tanto licenziosamente dalla nostra Piazza in disservizio del Publico, ma dar parte a S. M. degli aggravii, che dicono haver patiti nel particolare delle istanze fatte anche da noi intorno all'haver voluto impedire il detto Padre, dove medesimamente si dolgono e del signor Vicerè (di niuno de' quali non mai si contentarono) che del Collaterale, per ordine del quale, con sommagiustizia, si prende informationi contro i deputati c'hanno spedito il medesimo Padre, cosa che mai si ricorda c'abbiano fatto contro questa fedelissima Piazza, della quale sempre hanno fatto qualche stima, fuorché da alcuni mesi in qua, sebben crediamo (se pur ad altro non hanno l'occhio) che tutto ciò habbiamo fatto et facciano per atterrirci et farci desistere dalle oppositioni, che tanto giustamente facciamo alle loro ingiuste conclusioni et pretensioni, et ottenere per questa strada quanto bramano, poiché veggono che questa nostra fidelissima Piazza è hoggidì, per gratia d'Iddio, retta e governata da persone da bene (se pure è lecito lodarci con la propria bocca) timorose di Dio e della giustizia, et sopratutto amiche della pace e zelose del servitio della M. S. et in particolare del suo Eletto, di conosciutissima bontà e qualità. Però noi staremo sempre fermi e saldi et attenderemo coi termini del dovere e della giustizia la difesa delle nostre raggioni, sintanto che da chi può comandarci non ci verrà altrimente commesso et ordinato, ancorchè ci fosse con notabile preiudizio dell'havere dell'honore et della vita di tutti noi.

Abbiamo dunque, signore Eccellentissimo, voluto narrare queste cose a Vostra Eccellenza, sia perchè Ella ne stia com'è di dovere informata, sì anche, come detto abbiamo, perchè ci faccia la gratia col suo christianissimo zelo di farlo a saper a S. M. acciocchè et Ella et V. E. col suo Consiglio non pure intendano che suddetti Aggente et Ambasciadore sono stati dichiarati nulli, come eletti contro la forma della raggione e che come tali non devono esser ammessi et ascoltati, ma anche la M. S. provvegga con la sua giusta e potente mano in maniera che non siamo a questo modo maltrattati e dispreggiati da questi Nobili che ad altro non aspirano che a farsi soli et assoluti padroni del maneggio delle cose, di questa Città, senza la nostra fidelissima Piazza del Popolo ci abbia una menoma parte. E per fine baciando a Vostra Ecc. humilissima et riverentemente le mani le preghiamo da Sua Divina Maestà il colmodi ogni felicità e compita grandezza — Di Napoli a 28 Ottobre 1622 — Humilissimi e Devotissimi Servi — L'eletto, Capitani et Consultori della piazza del fed. Popolo Nap. —Paolo Vespolo, eletto —Anello Auricola, cons. —Orlando Prencipe, capitano —Giacomo Pinto, cons. —Giuseppe Palmisano, capitano —Giov. Ang. della Monica, cons. —Giov. Batt. Pelliccia, capit. —Pietr'Antonio Ferrante, cons, et capit. —Andrea Pulce, capit. —Loise Rispolo, Cons, et Cap. —Agost. de Juliis, cap. —Agost. Miranda, Cons, e capit. —Francesco d'Anna, capit. —Francesco Schettino, capit. —Horatio Pisano, capit. —Giov. Loise Saggio, capit. —Giuseppe Maffeo, capitano —Giov. Tommaso Giovine, capit. —Pietr'Antonio Sorrentino, cap. —Genn. Fasanocap. —Santolo Manso, cap. —Ottavio Cassano, cap. —Marcello Manna, cap. —Bened. Mancino, cap. —Ottavio di Mayo, cap. —Lutio di Maria, cap. —Giov. Andrea Sances, capitano —Giov. Andrea Canale, cap. —N. Giov. Vinc. Petito, cap. —Cesare Campanile, cap. —Paolino d'Amato, cap. —N. Giov. Bernardino de Juliano, Cap. et Secr.„

Bando, con cui si ripete l'ordine di doversi rivalere le robe mobili, che erano state prese da diverse case per ordine di Masaniello.

Philipphus dei Gratia Rex. etc.

Per un altro nostro Banno fu ordinato che chi tenea robbe mobili di qualsivoglia conditione prese da diverse case, borghi e casali di questa fedelissima Città, consistentino in gioie, in oro, argento di qualsivoglia maniera, drappi d'oro, seta et altro prese per ordine del q. Masaniello d'Amalfi o per altro ordine le debbiano rivelare sotto pena della confiscazione et altre a nostro arbitrio. E perchè molti pochi hanno rivelato appresso di chi fossero dette robbe, per questo acciò si possa provvedere di giustitia vogliamo chein termine di ventiquattro ore doppo la pubblicatione di questo lo debbiano rivelare all'Eletto o al Presidente Genoino delegato per S. E. E se in questo termine di ventiquattr'ore doppo l'affissione del presente Banno non le riveleranno si dà indulto a tutti quelli, quali etiam saranno stati complici et oltrechè se reveleranno in potere di chi si ritroveranno dette robbe, se le darà la terza parte della pena, nella quale saranno incorsi li trasgressori, quale se le darà sicuramente. Dat. Neap. die 19 Julii 1647 —Il Presidente,D. Giulio Genoino. D. Marzio Scalesio,segretario.

INDICEPrefazionepag. vNotizie di alcune opere inediteadoperate in questi ricordi3Parte prima— La Piazza del Mercato di Napoli e la casa di Masaniello19Parte seconda— La famiglia di Masaniello61Parte terza— Masaniello ed alcuni di sua famiglia effigiati nei quadri, nelle figure e nelle stampe del tempo137Parte quarta— Documenti181


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