DA DANTE AL BOCCACCIO
Nella solenne adunanza dellaSocietà Colombaria, tenuta il 21 maggio 1887 nel Palazzo del Presidente, principe don Tommaso Corsini.
Nella solenne adunanza dellaSocietà Colombaria, tenuta il 21 maggio 1887 nel Palazzo del Presidente, principe don Tommaso Corsini.
Colleghi egregi, Signore e Signori,
Fu cortese desiderio del meritissimo Presidente e del Consiglio degli Anziani della nostra Società, che fra i lettori designati, secondo le Costituzioni, per l'anno presente, io trattenessi oggi per breve tempo l'udienza, invitata alla Relazione, che con la consueta nobiltà di pensieri e schiettezza affettuosa di forme, ci avrebbe fatta ascoltare il Segretario[114]nella fratellevole allegrezza di questo, come i vecchi dicevano, nostro annuale. A più modesta adunanza veramente che a questa, la quale celebriamo in città tuttavia festeggiante e all'ombra di quell'ospitalità di cui il patriziato fiorentino si onorò sempre verso gli umani studi, a più modesta adunanza riserbavo io le osservazioni, piuttosto accennative che dissertative, le quali sono per leggervi, sulla idealità femminile nella letteratura fiorentina da Dante al Boccaccio: nè dell'adunanza, in cui si è voluto che io le rechi, intendo occupar con esse altro luogo che una estrema linea e come d'appendice. Appendice forse non disadatta, per l'argomento, alla genialità del convegno odierno; appendice altresì e compimento di altra mia recente lettura;[115]trovino presso di Voi, come questa ebbe presso altri gentili, accoglienza benevola: e in ogni caso, lo avere non altro che obbeditovalga e a scusarmi e insieme a liberarmi dalla taccia di quel Cherilo oraziano, che batteva sempre sulla medesima corda; e male, per giunta.[116]Io, fidato nella vostra bontà, rinunzierò volentieri alla difesa che potrei trarre da una sentenza del Machiavelli: «Se niuna cosa diletta o insegna nella storia, è quella che particolarmente si descrive.»[117]Lo dice egli della storia, con piana applicazione, com'è di tutti i suoi lucidi e appuntati aforismi: nella critica, l'equivalente di questo mi sembra essere, che non si trascuri alcun ordine di fatti, così dall'ideale come dal reale, i quali appartengano alla illustrazione d'un dato argomento. Nè a me, studiando la Donna fiorentina nei primi secoli del Comune, parve poter trascurare, dopo mostrato ciò ch'ella fu nei fatti e nelle tradizioni, un sommario cenno a quale ella ci vive tuttora presente, nelle perpetuatrici pagine dei grandi effigiatori e assimilatori del vero; quale ella informò di sè, per virtù de' proprî naturali effetti, i cuori e le menti de' sovrani atteggiatori del pensiero nell'adolescente e pur già virile parola italiana. Ma sempre, avvertasi bene, con relazione, anche questa parte del mio Studio, a ciò che chiamerei la personalità fiorentina della donna; per circoscrivere col linguaggio de' giuristi un tema, che potrebbe svolgersi in àmbito ben altramente ampio di principî e di applicazioni.
***
In quel giovine mondo, del cui risvegliarsi con entusiasmo alla vita è simbolo, ormai tradizionale, l'affrancamento dalle più o meno millenarie paure della distruzione delle cose, molte e svariate cause concorsero a far potenti e benefici gl'influssi della femminile bellezza; ma non altrove forse così singolarmente quelli influssi operarono,nè con effetti sì alti, come in questa città e in quel tempo, in cui agli angeli di Cimabue (non più linee bizantine ma umane figure) succedevano quasi immediatamente i profili eloquenti, le passionate espressioni, del suo discepolo Giotto; e l'eco dell'artificiata poesia di quei graziosi bizantini della parola che poi infine furono i Provenzali, si era appena ripercosso nelle colline di Fiesole e di Maiano, sede non disacconcia a «pastorette» e a «tenzoni», che già, dal cuore della vecchia Firenze, una voce vera di uomo, e quale uomo!, disperdeva fra concetti di schietto e profondo sentimento quella musichetta di seconda e terza mano, e «cominciatore del dolce stil nuovo», un giovine degli Alighieri, scriveva «a dettatura d'Amore», e «secondo le interne spirazioni di lui, andava significando» non vuoti suoni ma cose: «amoroso canto», a cui dava note potenti Casella.[118]Se gentile atomo della terrena polvere» è stata chiamata Firenze da un grande innamorato di lei,[119]a nessuna parte forse di Firenze si addice meglio tal nome, che a quel breve tratto fra le case dei Portinari nel Corso e la vecchia Badia, nel quale si svolse la soave storia d'amore, che ebbe idillio ed elegia nellaVita Nuovae poema in uno de' più grandi concepimenti d'ingegno mortale. E noi vorremmo, cotesto piccol nido di cose grandi, poterlo ripopolare delle gentili figure di quelle «sessanta fra le più belle donne della città», che il giovine poeta ci narra[120]avere enumerate e disposte «in una epistola sotto forma di serventese»; della cui perdita mal ci compensano il Serventese delle belle donne del 1335, scritto da Antonio Pucci nel suo ruvido stile (salvo il cominciamento, ch'è assai garbato,
Leggiadro sermintese, pien d'amore,cercando va', per la città del fiore,tutte le donne più degne d'onore,in tal maniera),
Leggiadro sermintese, pien d'amore,cercando va', per la città del fiore,tutte le donne più degne d'onore,in tal maniera),
Leggiadro sermintese, pien d'amore,
cercando va', per la città del fiore,
tutte le donne più degne d'onore,
in tal maniera),
e un posterior frammento consimile che si volle attribuire al Boccaccio.[121]Ma quell'omaggio che alla bellezza delle sue concittadine rendeva Dante; non il macro e doloroso meditatore della Commedia divina, sibbene Dante giovine e innamorato, a cui non ancora la morte aveva tolto la donna sua, nè l'esilio la patria; quell'omaggio trovadorico, del quale null'altro, e da lui stesso, conosciamo, se non che sessanta erano le belle, e come «componendolo, maravigliosamente addivenne, che in alcuno altro numero non sofferse il nome della sua donna stare, se non in sul nono», mistico numero; andò disperso nel fragore battagliero delle parti. Così al cozzo delle spade, alle grida di «Arme, arme! Ammazza, ammazza!», si sgominarono i balli di donne e di cavalieri, festeggianti pel calendimaggio il rinnovamento della primavera o per il San Giovanni la maggior solennità cittadina; si dispersero le brigate allegoriche, vestite di robe bianche «con uno Signore detto dell'Amore», che tenevan pubblicamente corte bandita, imitando con larghezza popolana le feudali magnificenze.[122]Il poeta che ventenne si era deliziato nei sogni d'amore, immaginando sè con gli amici e poeti Guido Cavalcanti e Lapo Gianni e le loro donne, naviganti in un mare tranquillo entro un vascello incantato;[123]respinto prima dalla morte dell'amata sua nelle aspre realtà della vita, ebbe poi a sostenere il peso delle pubbliche sventure, de' civili disinganni, e di suoi proprî traviamenti ed errori. Per tal modo,
le dolci rime d'amor, ch'ei soleacercar ne' suoi pensieri,[124]
le dolci rime d'amor, ch'ei soleacercar ne' suoi pensieri,[124]
le dolci rime d'amor, ch'ei solea
cercar ne' suoi pensieri,[124]
cedetter luogo, nell'anima ravveduta e percossa, allo sdegno che purifica, al dolore che ispira, alla meditazione che gli obietti esteriori trasforma, quelli che per degnità ne son suscettivi, in mere idealità. La dominante scolasticaaccrebbe (e ilConvivione fa espressa testimonianza) impulso ed estensione al procedimento di quell'austero intelletto verso l'ideale: cosicchè non solamente la donna che
si era partita dalla sua veduta,divenne spirital bellezza grande,[125]
si era partita dalla sua veduta,divenne spirital bellezza grande,[125]
si era partita dalla sua veduta,
divenne spirital bellezza grande,[125]
sibbene tutta la realtà della vita, tutta, come dicevano, la vita attiva, scomparve agli occhi suoi contemplanti, e le si sovrappose, infinito e sovrumano, e solo esso vero, l'ideale. Ma gli occhi di Beatrice anche in quella regione sconfinata, raggiano sempre,
dal primo giorno ch'ei vide il suo viso.in questa vita, insino a quella vista;[126]
dal primo giorno ch'ei vide il suo viso.in questa vita, insino a quella vista;[126]
dal primo giorno ch'ei vide il suo viso.
in questa vita, insino a quella vista;[126]
gli occhi amorosi, che per le feste primaverili nella casa del padre, ai banchetti nuziali, passando per le vie, nella chiesa pregando a Maria (non faccio che ricordarvi le realtà dellaVita Nuova;[127]e nessun altro libro nè ha di più spiritualmente adombrate), si sono volti verso il Poeta: anzi, se lo sguardo di lei donna lo confondeva e lo «sconfiggeva»,[128]sono ora gli occhi di lei «salita a spirto e cresciuta di bellezza e di virtù»[129]che lo attraggono, per virtù miracolosa, di cielo in cielo alla visione suprema dell'Ente:
Beatrice in suso, ed io in lei, guardava.[130]
Beatrice in suso, ed io in lei, guardava.[130]
Beatrice in suso, ed io in lei, guardava.[130]
E nessuna lode, fra le adulazioni tante di che è stata (fin che è usato rispettarla) caricata la donna, nessuna fu mai lode più alta di questa.
Di Beatrice, quanto indubitabile la realtà, suggellata in quel verso potente[131]
guardami ben; ben son, ben son Beatrice,
guardami ben; ben son, ben son Beatrice,
guardami ben; ben son, ben son Beatrice,
altrettanto è poco o punto contornata storicamente la figura, non dico nel Poema, dov'ella è spirito e simboloma nella stessaVita Nuova, dov'ella è donna che ispira affetti e che muore. Può anzi dirsi che la Beatrice dellaVita Nuova, sebbene donna vivente, è in sì alto grado angelicata, che i lineamenti femminili si perdono in quell'aureola ond'è circonfusa la
cosa venutadi cielo in terra a miracol mostrare:[132]
cosa venutadi cielo in terra a miracol mostrare:[132]
cosa venuta
di cielo in terra a miracol mostrare:[132]
e piuttosto nel Poema, dove la creatura celeste è discesa «dal suo beato scanno, per soccorrere quei che l'amò tanto»,[133]spesso assume aspetti e atteggiamenti di vita reale ed umana, sia che[134]non senza lacrime parli a Virgilio del pericolo di Dante; sia che a questo rimproveri le mondane infedeltà, e lo umilii fino a rompere in pianto; sia che lo affidi pei mistici lavacri a Matelda; sia che sorrida de' suoi smarrimenti di creatura impotente a sostenere il fascio del divino che opprime i deboli sensi; sia che, perfino, maliziosamente
ridendo, paia quella che tossìoal primo fallo scritto di Ginevra.
ridendo, paia quella che tossìoal primo fallo scritto di Ginevra.
ridendo, paia quella che tossìo
al primo fallo scritto di Ginevra.
NellaVita Nuovahanno cercato a che punto della narrazione Beatrice, da Portinari, diventi de' Bardi, poichè, si è detto, «il matrimonio di lei con un altro uomo doveva muovere gagliardamente l'anima del giovine e innamorato poeta.»[135]Io non lo credo: e che l'amore di Dante, «la reverenza che s'indonnava di tutto lui pur per B e per ICE»,[136]sia stato amor di poeta medievale per la donna del pensiero, e non altro, lo stimo asserto da poter sostenere il cimento anche de' luoghi più appassionati di quella psicologica confessione.[137]Del resto, è argomentazione molto probabile quella su tal proposito stata fatta,[138]che Beatrice andasse sposa a messer Simone de' Bardi in giovanissima età: e volentieri questo parentado di Portinari, alcuni de' quali Ghibellini, con Bardi famiglia guelfade' Grandi, io lo porrei com'uno di quelli che la pace del cardinale Latino, nel 1280, conciliò tra famiglie delle due parti. Similmente, che quello fra Donati e Alighieri, pel quale Dante, sposando la Gemma di messer Manetto, s'imparentò col grande agitatore di parte guelfa messer Corso, sia stato principalmente un parentado di «vicini», nel senso storico di «quasi consorti» che tal parola ci deve da que' tempi richiamare alla mente, è cosa non certa per documenti,[139]ma troppo più probabile del tanto che sul matrimonio di Dante e, povera donna, sulla sua moglie, hanno o ricamato o stillato biografi ed eruditi, dal romanzo del Boccaccio alle bizzarrie presuntuose di critici odierni. Tanto più, che il terribile messer Corso, in maneggiar parentadi di sua casa con mire di parte, fu tale da disgradarne la peggio intrigante femmina, aggiuntovi poi l'audacia e la violenza che per lui principalmente attirarono alla sua famiglia il triste soprannome di Malefa' mi: o si trattasse di strappare al chiostro la sorella bellissima; o a sè medesimo, non più giovine, dare la terza moglie, dopo una Cerchi della cittadinanza guelfa e una Ubertini del contadiname feudale ghibellino, in una figliuola del ghibellino venturiero Uguccione della Faggiuola. Corse voce, intorno a quella prima sua moglie, la Cerchi, che morisse per veleno dal marito stesso propinatole: doppiamente orrendo a pensarsi, se cupidigia di nozze partigiane trascinava quel sinistro uomo a moltiplicarle.[140]E a tutto ciò riflettendo, quanto più cara e pietosa addiviene, là dentro a quelle infauste case de' Malefa' mi, la soavissima figura di Nella! la vedova virtuosa dello scapestrato Forese Donati, compagno a Dante nel breve periodo giovanile, che questi pur ebbe, di vita mondana;[141]«la Nella mia», dice Forese nel Purgatorio,[142]«che piange e prega per me, soletta in bene operare fraquella gente selvaggia dov'io l'ho lasciata». Ad amare di simile affetto la madre de' suoi molti figliuoli, ad amarla in patria, ad amarla esule, io penso che il culto ideale per Beatrice non dovesse a Dante fare impedimento veruno; non più che a Guido Cavalcanti, marito di Bice degli Uberti, la servitù amorosa per monna Vanna. Nè credo, come alcuni interpreti dellaVita Nuovahan voluto,[143]che la «donna gentile» vicina di casa dell'Alighieri, e che «da una fenestra riguardava molto pietosamente» al dolor suo nella morte della Portinari, fosse appunto la Donati, che di quel tempo gli era forse già moglie.[144]In quella donna gentile altri volle ravvisare la Matelda del Paradiso terrestre: alla quale, meglio che il serto della contessa famosa, meglio che le bende di non so qual monacella alemanna, furon creduti addirsi — poichè ragioni all'accennata identificazione non mancherebbero[145]— lo schietto vestire, il dimestico e natural contegno, di semplice donna fiorentina: le cui più graziose imagini, di donna che coglie fiori, di donna che muove il picciol passo a ballare, di vergine che gli occhi onesti avvalla, ritornano, certamente dai giovanili ricordi, dinanzi all'apparizione di lei, nella fantasia del Poeta.[146]
***
Ma nulla pur troppo di fiorentino potevano i giovanili ricordi ispirare all'altro de' grandi idealizzatori della donna in quel secolo, al Petrarca, a cui dalle maledette fazioni fu conteso in Firenze il nascere e l'educarsi alla vita, come a Dante l'invecchiarvi e il morire. Nè sappiamo se con preparazione e condizioni diverse di vita, la tempera dell'animo suo e dell'ingegno sarebbe stata altra da quella che fu, e sulla quale la realtà de' fatti operò tanto poco,e con tanta poca coerenza d'impressioni, quanto invece fu molteplice e indefesso il lavorio interno dello spirito e l'accentramento nel proprio sè delle percezioni e de' sentimenti a queste congiunti. Checchè potesse esser di ciò, nel Petrarca, quale lo abbiamo, non solamente Laura è donna non fiorentina, ma ell'è la donna semplicemente; e quel che il Poeta le appone è tutto attinto da sè medesimo, dal suo sentimento squisitissimo e alcun poco morboso, pel quale il Petrarca bene è stato detto[147]precorrere in parte ed anticipare i grandi poeti moderni dell'affetto e del dolore universale e infinito.
Se non che una donna fiorentina, Eletta Canigiani, fu pure sua madre; la quale datolo alla luce in terra d'esilio, da Arezzo infante di sette mesi lo portò seco all'Incisa, e poi con lui ed un altro minor fìglioletto segui il marito in Provenza, e morì, che il giovinetto Francesco aveva appena quindici anni, ella non più che trentotto. E trentotto esametri latini il giovinetto consacrò alla memoria materna: nè chi conosce, quale poi si svolse, quella natura isterica d'umanista, si meraviglia di tale aritmetica metrica applicata all'amor filiale. «Porgimi ascolto, o madre mia santa, se virtù premiata in cielo non isdegna altri onori. Anima eletta di nome e di fatto, cittadina del paradiso e quaggiù eternamente memorabile per onestà e alta pietà, dignità d'animo, e castità nel tuo bel corpo da' primi anni continuata sino alla morte, tutti debbono venerarti, io piangerti sempre, chè lasci me e il fratel mio giovinetti nel bivio fra il bene e il male, in mezzo al turbine delle cose mondane: ma teco viene e ti accompagna nel sepolcro la fortuna e la speranza della derelitta casa ed ogni nostro conforto, e a me par d'essere sotto il tuo medesimo sasso». E le promette più lunghe lodi e maggiori, dopo aver pianto sul suo feretro e dilacrime aver bagnate le fredde membra; e che il nome della madre vivrà ne' suoi versi, insieme col nome di lui, augurando, se questo è destinato a perire, che quello di lei sopravviva. Ma tutto questo dolore in latino, misurato in trentotto versi,[148]io dico schietto non valere menomamente, nè[149]quell'ansiosa figura di madre, sebbene appena sbozzata, che è in uno de' suoi tanti sonetti per Laura,
Ne mai pietosa madre al caro figlio....diè con tanti sospir, con tal sospetto,in dubbio stato, si fedel consiglio....;
Ne mai pietosa madre al caro figlio....diè con tanti sospir, con tal sospetto,in dubbio stato, si fedel consiglio....;
Ne mai pietosa madre al caro figlio....
diè con tanti sospir, con tal sospetto,
in dubbio stato, si fedel consiglio....;
e molto meno quell'affettuoso e virile concetto nell'immortale Canzone agl'Italiani, pel quale amor di patria e di famiglia sono fatti com'una cosa sola:
Non è questo il terren ch'i' toccai pria,ove nudrito fui sì dolcemente?non è questa la patria, in ch'io mi fido,madre benigna e pia,che cuopre l'uno e l'altro mio parente?
Non è questo il terren ch'i' toccai pria,ove nudrito fui sì dolcemente?non è questa la patria, in ch'io mi fido,madre benigna e pia,che cuopre l'uno e l'altro mio parente?
Non è questo il terren ch'i' toccai pria,
ove nudrito fui sì dolcemente?
non è questa la patria, in ch'io mi fido,
madre benigna e pia,
che cuopre l'uno e l'altro mio parente?
Di aver dati al Petrarca «i cari parenti e l'idioma», il Cantore dei Sepolcri ha esaltata, con versi degni,[150]Firenze: ma che l'idioma appreso sulle sponde dell'Arno rimanesse, nonostante la proscrizione paterna, nonostante l'irrequieto pellegrinare di paese in paese, su «quel dolce di Calliope labbro» ond'ebbe veste pudica l'amore; vi rimanesse potente ad esprimere i più delicati sentimenti, mercè una mirabil signoria delle più fine e riposte proprietà e, direi quasi, fragranze del parlare toscano; quanto merito non ne dovesti aver tu, oscura esule fiorentina, che in quella sua precoce adolescenza, fra una pagina e l'altra di Cicerone e di Livio, in mezzo al gaio intertenersi nell'amorosa lingua de' trovatori, fra le sonorità dell'eloquio cortigiano della Babilonia avignonese, riportasti intermessamente all'orecchio del figliuol tuo learmonie gentili del linguaggio nativo! Che se di tal benefizio, di questa quasi seconda maternità, il laureato capitolino, il conversante coi classici e gli eroi antichi, il dispregiatore di questo anche per sua opera divino volgare, non si accòrse mai dover esserti grato, è vecchia istoria delle madri, che esse non chiedano compenso del loro amore, che esse cerchino il sacrificio, e in quello appagate adagino la bianca testa veneranda, come sul guanciale del loro riposo.
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La Provenza fu terra ospitale a molti di quei proscritti fiorentini; e uno di essi, Azzo Arrighetti, fu colà il progenitore di una stirpe più tardi famosa, Riquetti de Mirabeau. Paese gentile la Provenza, di clima come il nostro benigno, agevole ai traffici italiani, e, durante poi cotesto secolo, paese papale. Ma le donne nostre che, come la Eletta Canigiani, colà o balestrava l'esilio od altra ventura portava, le mogli de' mercatanti de' notai degli artefici fiorentini, come si saranno assuefatte, e quali saranno esse parse, a quella società feudale, tanto da' nostri reggimenti a popolo diversa? nel paese de' baroni e de' trovatori, de' tornei e della gaia scienza, fra la nobiltà dalle grandi tradizioni cavalleresche, accanto alle dame che anc'oggi piace immaginare atteggiate a formular gravemente i loro giudicati nelle Corti d'Amore, applicando a' casi controversi quello o questo, de' trentuno articoli che ne compongono il codice?[151]Le schive concittadine della buona Gualdrada, che la tradizione esaltava d'essersi pubblicamente ricusata al bacio imperiale di Ottone IV, che cosa avranno esse detto o pensato, assistendo in Avignone a quella festa, che meritò un Sonetto del Petrarca, dovel'altera la castissima Laura porse al bacio del giovane principe, che fu poi Carlo IV, la fronte e quegli occhi, che il Poeta dovè contentarsi d'aver cantati?[152]od anche solamente leggendo in una novella delDecameron,[153]che Pietro d'Aragona, il cavalleresco re de' Vespri, alla giovine fiorentina che in Palermo s'innamora di lui, confortatala invece a savie nozze borghesi, in queste intervenuto di persona, dinanzi ai genitori e allo sposo, «presole con amendue le mani il capo, le bacia la fronte»? Che avranno, di queste baciature imperiali e reali, le nostre care donne pensato? Risponde per loro, e proprio da Avignone, un Fiorentino di due secoli appresso, che da Virgilio ritraeva la poesia dell'Api e da Sofocle e da Euripide la tragedia, il quale agli amici di Firenze annunziava, pieno delle memorie di madonna Laura, che in quel gaio paese «gli erano leciti i baci come costì gli sguardi»; «baci», aggiunge, «senza lo scoppio», de' quali egli stava imparando, insieme col parlar francese, il segreto:[154]«baci», aveva già prima detto il Pulci[155]«alla franciosa», che «ogni volta rimanea la rosa».
La letteratura fiorentina del Trecento ebbe uno scrittore (che fu pure, notisi, per alcun tempo in Provenza), il quale sentì quella semplicità o, come poteva sembrare, rozzezza della nostra donna, della donna del Comune democratico, appetto alla donna gentilesca e addestrata della società feudale, e si argomentò di venirle in soccorso. La utopia (chè altro nome non le si addice) di messer Francesco da Barberino prese forma in due de' più singolari libri di quella letteratura, iDocumenti d'AmoreeCostume e Reggimento di donna, in forma sentenziosa e di stampo addirittura gnomico: di che è bensì da avvertire, che non in lunga e formata opera, come queste, ma in componimenti lirici, e più specialmente canzoni, comequelle di Bindo Bonichi, il Trecento porge altri notabili esempi.
IlCostume e Reggimento di Donna,[156]specialmente, è un completo galateo femminile, dove, per ciascun grado e condizione sociale, da fanciulla a vedova, da madre di famiglia a romita, da regina, contessa, duchessa, principessa, a borghese, monaca, ancella, balia, fruttaiuola, e persino barbiera, non omesse le treccole e le accattone, si danno ammaestramenti alla donna, e se ne forma un modello ideale, al quale ahimè quante poche rispondenze avrà dovuto trovare, anche dopo la diffusione de' suoi libri, quel buono messer Francesco, fra le allegre gentildonne e le graziose fanciulle e le saccenti comari che per le case e per le piazze di Firenze gli si movevano attorno! E notisi che i doveri femminili della vita regale[157]comprendono ben cinquantaquattro capi, senza contare una dozzina di «cautele» preliminari, e le speciali prescrizioni concernenti i casi di reggenza: complesso di leggi, regole, norme, ammaestramenti, insegnamenti, ammonimenti, consigli, che bastava esso solo a fare strabiliare, salmisìa, non che le donnette spicciole, ma anche le gentildonne, della nostra libera e sciorinata cittadinanza. Il recente storico della Repubblica, signor Perrens, ha certamente esagerato nell'aggravare di volgarità la vita quotidiana dell'antica donna fiorentina, contessendo, con francese vivacità, d'episodietti dai nostri novellieri una serie d'imagini e di fattispecie,[158]che pare uno spoglio, o piuttosto, un inventario, dai romanzi d'Emilio Zola. Tuttavia ci è forza dubitare assai, per modo di esempio, che molte delle leggitrici delReggimento e Costumedi messer Francesco abbiano saputo osservare i precetti co' quali egli si confida regolar l'atteggiamento che la fanciulla dovrà prendere nel ricevere l'anello di sposa:[159]stare con«gli occhi chinati, fermi li membri» (e fin qui pazienza), ma inoltre «sembrar paurosa»; e in questo era lecito a molte non riuscire abbastanza bene. Così alla dimanda fattale del consenso, «aspettare l'una o le due»; e la terza volta, «faccia soave e piana sua risposta»: manco male con l'avvertenza, che e la paura e l'aspettare e la vocina sottile possano essere un po' meno, se la sposa non è delle più giovinette. E sempre dai precetti nuziali:[160]mangiar poco al banchetto; ma perchè lo stomaco non soffra, aver preso innanzi qualche cosa in camera sua: così pure, essersi lavata le mani, per non intorbidar troppo l'acqua al bacino della mensa; e giova ricordare, come di que' tempi la forchetta è, nelle ricerche erudite, un arnese di molto controversa esistenza, e, per gentili e nobilissime che fossero, il cibo solido lo portavano alla bocca le mani. Tutti poi i precetti del Barberino sono corredati di esemplificazioni o novellette, spesso graziose assai, ma quasi tutte di personaggi stranieri, di Provenza, di Normandia, d'Inghilterra, di Castiglia, e cavalieri, conti baroni, re di corona; e spesso alla esemplificazione è premessa qualche sentenza o concetto di trovatore. L'intero trattato è altresì dominato per lungo e per largo da un esercito di figure femminili allegoriche (come nelRomanzo della Rosa), in persona di questa e quella virtù (taluna anche con la sua «cameriera»[161]o col «fante»), Onestà, Pazienza, Castità, Speranza, Cautela, Cortesia, Religione, e poi Voluttà, Penitenza, Eterna luce, ed altre, subordinate tutte a Madonna che è la Sapienza; la cui conversazione con lo scrittore dà come il filo a tutto il libro; ed è cosparso largamente da descrizioni e moralità, il cui colorito mena tinte calde e risentite, e lo stile, a motti e come a sprazzi, in endecasillabi ballettanti i più sulla quarta e la settima, non ha forse riscontro in altraopera dell'antica nostra poesia, e quasi arieggia le moderne riproduzioni a freddo dell'oro e azzurro medievale.
Non vi dispiacerà, io credo, gustarne alcun poco. Una casa principesca in giorno di nozze:[162]
Suonan le trombe e li stormenti tutti;canti soavi e sollazzi dattorno.Frondi con fiori, tappeti e zendalisparti per terra,e grandi drappi di seta alle mura,argento ed oro, e le mense fornite,letti coverti e le camere allegre.Cucine pien' di varie imbandigioni;donzelli accorti a servire, ed ancorapiù damigelle giovani tra loro,armeggiando pe' chiostri e per le vie.Fermi balconi e le loggie coverte,cavalier molti e valorosa gente,donne e donzelle di grande beltate.. . . . . . . . . . . . . . . .Vengono i vini e confetti abondanti;là son le frutte in diverse maniere.Cantan gli augelli in gabbia, e per li tetti. . . . . . . . . . . . . . . .Giardini aperti, e spandesi l'odore. . . . . . . . . . . . . . . .Bei cucciolini spagnuoi con le donne,più pappagalli per le mense vanno,falcon, girfalchi, sparvieri ed astori. . . . . . . . . . . . . . . .Li palafren corredati alle porte,le porte aperte, e partite le sale,come conviene alla gente venuta. . . . . . . . . . . . . . . .Surgon fontane di fonti novelle;spargon là dove conviene, e son belle.. . . . . . . . . . . . . . . .Le molte donne allocate a sederenovellan tutte d'amore e di gioia. . . . . . . . . . . . . . . .Ride dal sol la primavera in campi;non è pareti che tengan la vista.. . . . . . . . . . . . . . . .
Suonan le trombe e li stormenti tutti;canti soavi e sollazzi dattorno.Frondi con fiori, tappeti e zendalisparti per terra,e grandi drappi di seta alle mura,argento ed oro, e le mense fornite,letti coverti e le camere allegre.Cucine pien' di varie imbandigioni;donzelli accorti a servire, ed ancorapiù damigelle giovani tra loro,armeggiando pe' chiostri e per le vie.Fermi balconi e le loggie coverte,cavalier molti e valorosa gente,donne e donzelle di grande beltate.. . . . . . . . . . . . . . . .Vengono i vini e confetti abondanti;là son le frutte in diverse maniere.Cantan gli augelli in gabbia, e per li tetti. . . . . . . . . . . . . . . .Giardini aperti, e spandesi l'odore. . . . . . . . . . . . . . . .Bei cucciolini spagnuoi con le donne,più pappagalli per le mense vanno,falcon, girfalchi, sparvieri ed astori. . . . . . . . . . . . . . . .Li palafren corredati alle porte,le porte aperte, e partite le sale,come conviene alla gente venuta. . . . . . . . . . . . . . . .Surgon fontane di fonti novelle;spargon là dove conviene, e son belle.. . . . . . . . . . . . . . . .Le molte donne allocate a sederenovellan tutte d'amore e di gioia. . . . . . . . . . . . . . . .Ride dal sol la primavera in campi;non è pareti che tengan la vista.. . . . . . . . . . . . . . . .
Suonan le trombe e li stormenti tutti;
canti soavi e sollazzi dattorno.
Frondi con fiori, tappeti e zendali
sparti per terra,
e grandi drappi di seta alle mura,
argento ed oro, e le mense fornite,
letti coverti e le camere allegre.
Cucine pien' di varie imbandigioni;
donzelli accorti a servire, ed ancora
più damigelle giovani tra loro,
armeggiando pe' chiostri e per le vie.
Fermi balconi e le loggie coverte,
cavalier molti e valorosa gente,
donne e donzelle di grande beltate.
. . . . . . . . . . . . . . . .
Vengono i vini e confetti abondanti;
là son le frutte in diverse maniere.
Cantan gli augelli in gabbia, e per li tetti
. . . . . . . . . . . . . . . .
Giardini aperti, e spandesi l'odore
. . . . . . . . . . . . . . . .
Bei cucciolini spagnuoi con le donne,
più pappagalli per le mense vanno,
falcon, girfalchi, sparvieri ed astori
. . . . . . . . . . . . . . . .
Li palafren corredati alle porte,
le porte aperte, e partite le sale,
come conviene alla gente venuta
. . . . . . . . . . . . . . . .
Surgon fontane di fonti novelle;
spargon là dove conviene, e son belle.
. . . . . . . . . . . . . . . .
Le molte donne allocate a sedere
novellan tutte d'amore e di gioia
. . . . . . . . . . . . . . . .
Ride dal sol la primavera in campi;
non è pareti che tengan la vista.
. . . . . . . . . . . . . . . .
E questo distico di mirabile effetto nel descrivere il cessar d'una festa notturna con l'alba:[163]
Suona la sveglia, l'aurora apparisce,bassa il romore, e la gente s'addorme.
Suona la sveglia, l'aurora apparisce,bassa il romore, e la gente s'addorme.
Suona la sveglia, l'aurora apparisce,
bassa il romore, e la gente s'addorme.
Quanto, e di che, debba la donna pregare Iddio:[164]
... è meglio assaiorar fervente e poco,che molte orazïoni,de le quai poche si movon dal cuore.Dio non va cercandopur romper di ginocchia,ma ben save' che va cercando i cuori.Egli è scritto che breve orazioneè quella che il ciel passa:folle è chi dunque in pur cianciar si allassa.Ma qui ti guarda sempre, che s'intendedell'orazione fervente e ordinata,con la dimanda licita e onesta:chè sono alquante, che pregan ch'Idiomantenga loro il color nel visaggio,e che le dia a star bella tra l'altre,e che mantenga biondi i lor capelli,o che dia lor la bella fregiatura.Onde per questo non v'affaticate,c'allora il provocate contro a voi.
... è meglio assaiorar fervente e poco,che molte orazïoni,de le quai poche si movon dal cuore.Dio non va cercandopur romper di ginocchia,ma ben save' che va cercando i cuori.Egli è scritto che breve orazioneè quella che il ciel passa:folle è chi dunque in pur cianciar si allassa.Ma qui ti guarda sempre, che s'intendedell'orazione fervente e ordinata,con la dimanda licita e onesta:chè sono alquante, che pregan ch'Idiomantenga loro il color nel visaggio,e che le dia a star bella tra l'altre,e che mantenga biondi i lor capelli,o che dia lor la bella fregiatura.Onde per questo non v'affaticate,c'allora il provocate contro a voi.
... è meglio assai
orar fervente e poco,
che molte orazïoni,
de le quai poche si movon dal cuore.
Dio non va cercando
pur romper di ginocchia,
ma ben save' che va cercando i cuori.
Egli è scritto che breve orazione
è quella che il ciel passa:
folle è chi dunque in pur cianciar si allassa.
Ma qui ti guarda sempre, che s'intende
dell'orazione fervente e ordinata,
con la dimanda licita e onesta:
chè sono alquante, che pregan ch'Idio
mantenga loro il color nel visaggio,
e che le dia a star bella tra l'altre,
e che mantenga biondi i lor capelli,
o che dia lor la bella fregiatura.
Onde per questo non v'affaticate,
c'allora il provocate contro a voi.
Distrazioni amorose:[165]
Va una donna a filare a finestra:passa uno amante, ed ella si volge;le man rattiene il filato ingrossa,e muta l'esser ch'ella à 'ncominciato.Così ancor chi a finestra cucespesse fïate si cuce la mano,quand'ella crede sua veste cucire.
Va una donna a filare a finestra:passa uno amante, ed ella si volge;le man rattiene il filato ingrossa,e muta l'esser ch'ella à 'ncominciato.
Va una donna a filare a finestra:
passa uno amante, ed ella si volge;
le man rattiene il filato ingrossa,
e muta l'esser ch'ella à 'ncominciato.
Così ancor chi a finestra cucespesse fïate si cuce la mano,quand'ella crede sua veste cucire.
Così ancor chi a finestra cuce
spesse fïate si cuce la mano,
quand'ella crede sua veste cucire.
Parsimonia negli ornamenti:[166]
E se ghirlanda porta,lodo che sia pure unagioliva e piccoletta;chè, come voi savete,grossa cosa è tenutaportar fastella in luogo di ghirlande.E quanto ell'è più bella,tanto minor la porti;però che non ghirlanda,ma piacer, fa piacere;nè fa l'ornato donna,ma donna fa parer lo suo ornato.
E se ghirlanda porta,lodo che sia pure unagioliva e piccoletta;chè, come voi savete,grossa cosa è tenutaportar fastella in luogo di ghirlande.E quanto ell'è più bella,tanto minor la porti;però che non ghirlanda,ma piacer, fa piacere;nè fa l'ornato donna,ma donna fa parer lo suo ornato.
E se ghirlanda porta,
lodo che sia pure una
gioliva e piccoletta;
chè, come voi savete,
grossa cosa è tenuta
portar fastella in luogo di ghirlande.
E quanto ell'è più bella,
tanto minor la porti;
però che non ghirlanda,
ma piacer, fa piacere;
nè fa l'ornato donna,
ma donna fa parer lo suo ornato.
Capriccetti (che oggi chiameremmo romantici) delle ragazze:[167]
Ora vi vengo a un vizioche regna spessamentein queste donzellette,lo qual vorria, s'io potessi, sturbare.E' ne son molte, che quando per vezzi,e tal fïata per una sciocchezza,ch'àn voglia di vederecom'elle sono amate da lor gente;e talora per alcuno disdegnod'alcuna parolettach'odon, ch'a lor non piace;e tal fïata perch'altri le lascipoi fare a lor senno;tale s'infìnge che le duole il fianco,e tale lo dente,e tale la testa,e tal dice mattezze,. . . . . . . . . . . . . . . .E tal comincian questo,non credendo durar gran tempo in questo;ma poi ch'àn cominciatovan pure innanzi,temendo ch'altri non dicesse poi:«Vedi che s'infingea».
Ora vi vengo a un vizioche regna spessamentein queste donzellette,lo qual vorria, s'io potessi, sturbare.E' ne son molte, che quando per vezzi,e tal fïata per una sciocchezza,ch'àn voglia di vederecom'elle sono amate da lor gente;e talora per alcuno disdegnod'alcuna parolettach'odon, ch'a lor non piace;e tal fïata perch'altri le lascipoi fare a lor senno;tale s'infìnge che le duole il fianco,e tale lo dente,e tale la testa,e tal dice mattezze,. . . . . . . . . . . . . . . .E tal comincian questo,non credendo durar gran tempo in questo;ma poi ch'àn cominciatovan pure innanzi,temendo ch'altri non dicesse poi:«Vedi che s'infingea».
Ora vi vengo a un vizio
che regna spessamente
in queste donzellette,
lo qual vorria, s'io potessi, sturbare.
E' ne son molte, che quando per vezzi,
e tal fïata per una sciocchezza,
ch'àn voglia di vedere
com'elle sono amate da lor gente;
e talora per alcuno disdegno
d'alcuna paroletta
ch'odon, ch'a lor non piace;
e tal fïata perch'altri le lasci
poi fare a lor senno;
tale s'infìnge che le duole il fianco,
e tale lo dente,
e tale la testa,
e tal dice mattezze,
. . . . . . . . . . . . . . . .
E tal comincian questo,
non credendo durar gran tempo in questo;
ma poi ch'àn cominciato
van pure innanzi,
temendo ch'altri non dicesse poi:
«Vedi che s'infingea».
Altrove[168]si propone un punto, intorno al quale lo scrittore «ha trovate molte varie usanze, e di molte openioni», circa i saluti e gl'inchini della novella sposa, cavandosene col consigliarla che ella
dimandi della sua terra l'usanzae del paese dov'ell'è menata,e quella servi com' può temperata.
dimandi della sua terra l'usanzae del paese dov'ell'è menata,e quella servi com' può temperata.
dimandi della sua terra l'usanza
e del paese dov'ell'è menata,
e quella servi com' può temperata.
E basti ormai per conchiudere che chi in libro siffatto (nè guari diversa intonazione ha l'altro dello scrittor medesimo, iDocumenti d'Amore) non voglia vedere il deliberato proposito, da me sopra indicato, d'ingentilire i costumi popolani con una teorica, poeticamente ideata, di signoril vivere e cortigiano,[169]dovrebbe spiegarci come mai un Fiorentino, e dimorante in Firenze, e vissuto quando gl'influssi poetici provenzali e siculi erano oramai trapassati, come potesse, naturalmente e senza un preconcetto disegno, provenzaleggiare e franceseggiare con tanta e sì passionata intensità, «mescolando» (dic'egli in un luogo,[170]ma troppe volte è piuttosto un sovrapporre o addossare) «il volgare toscano ad alcuni volgari consonanti con esso», e fissare in un tipo così ricisamente foggiato sopra realtà, per lo meno, non immediate la donna che l'etica amorosa del tempo soleva comporre (e ne abbiamo graziose testimonianze) con elementi svariatissimi, ove si mescolavano «la galanteria provenzale e cavalleresca, la sensualità pagana, la prosaicità borghese, l'austerità e ruvidezza ascetica, elementi del Rinascimento che contrastano insieme, e sono sul divenire qualche cosa che non vorrebb'essere nessuno di essi».[171]
***
Nè di tali mescolanze, chi sottilmente indagasse, mancherebber forse riscontri nelle realtà della vita d'allora: ma di siffatte realtà troppi documenti, per la loro natura essenzialmente intima, fu inevitabile che di que' secoli andassero perduti. Dirò tuttavia che almeno uno, e assai grazioso, ne possediamo in un carteggio coniugale, di poche e brevi lettere, scritte da una Fiorentina della secondametà del Trecento, Dora Del Bene, al marito mentr'egli era Vicario pel Comune in Val di Nievole.[172]Ella scrive di campagna, e lo informa delle faccende villerecce, degl'interessi domestici, della salute delle figliuole: i figliuoli sono col padre, avvezzandosi così per tempo, o ne' traffici o nel governo, i giovinetti a imparare la vita operosa in servigio sì della famiglia e sì del Comune, e a conoscere il mondo, in tante parti del quale portavano poi il nome fiorentino e d'Italia. Ora in codesto carteggio, la reverenza affettuosa al marito, che nelle soprascritte è chiamato «savio e discreto uomo, carissimo uomo, reverendissimo uomo», e perfino «venerabile», è accompagnata da certi urbani motti, i quali provano come alle donne fiorentine non isgradisse mostrarsi verso i loro mariti, secondochè ad esse raccomandava un anonimo espositore di Ovidio,[173]«non villane femine, che nulla altra cosa sappiano fare se non lana carminare», ma savie e cortesi, e «mostrare il suo bene e li suoi sollazzi e sue cortesie, tali che il suo marito non possa altra femina trovare, che tanto gli possa piacere o fare suo talento». Scrive la Dora: e premetto che nessuno certamente può chiedere a quelle austere e robuste nature le espansioni fremebonde della nostra età malaticcia. Scrive ella dunque: «Istiamo tutti bene, lodato Idio: ma meglio ci parrebbe istare se fussimo teco. Addio; t'accomando la Dora tua. Salute mille». E altrove: «Tu mi scrivi che non puo' dormire la notte, per pensieri che hai dell'Antonia....»; cioè della figliuola che pensavano a maritare. «Ma l'Antonia non è quella che ti toglie el sonno. Ma quando non potrò più, assalirotti che non te n'avvedrai, e non verrò se non solo per garrire». Scherzi, come si sente, simulanti gelosia; e di quella gelosia che il solito espositor d'Ovidio dice venire «da buono amore,«quando la donna ama il suo diritto signore», e la distingue da un'altra gelosia ch'egli dice venir da «follia». Questo medesimo linguaggio ritroviamo nei rimatori e nostri e provenzali, e in una frase di Dante «il folle amore», una delle molte, che i commentatori non riconoscono, da lui non trovate, ma appropriatesi del comune parlare e sentire del tempo suo.[174]Quelle lettere della Del Bene sono talvolta datate così: «Fatta dì XVIII d'aprile all'Avemaria.... Fatta addì VIII di maggio. Dopo vespro sotto la loggia.... Fatta addì XIX maggio dopo l'avemaria nella loggia;» con ricordo amorevole, al marito e padre, dell'«ora che volge il disio», e del luogo che raccoglieva sulla sera la famiglia a geniale riposo dalle giornaliere fatiche, che infine si conchiudeva con la preghiera. L'ultima poi di esse lettere, quella della gelosia, è sottoscritta: «la Dora tua nimica»; ossia col linguaggio, nè più nè meno, de' rimatori verso le loro signore e tiranne. Questa figura di donna vera non mi sembra scomparire poi troppo, e sia pure men compassata e meno irreprensibile, appetto alle donne modello effigiate da messer Francesco da Barberino.
***
Una sola condizione di vita femminile ebbe in Firenze, non cortigiani, ma popolani precetti: la vita coniugale; consacrati in quelliAvvertimenti di maritaggio, de' quali, in prosa o in verso d'ottava rima, ci rimane più d'un testo; formulati in dodici o quattordici regole, con le quali la madre accompagna la figliuola all'altare. Anche i teologi casisti aggravarono di cautele la vita matrimoniale, mettendo in volgare anche ciò che era meglio rimanesse latino.[175]Io qui, volgendomi a quelle altre più gentili e,ripeto, veramente popolane scritture, riferirò da una di esse il preambolo e il commiato materni:[176]
«Carissima mia figliuola, Molto ti prego, e ancora comando, che tu non ti turbi perchè io t'abbi maritata, e convengati partire da me; acciocchè non si adiri il tuo novello sposo al quale io t'ho sposata. Bella mia figliuola, s'e' fosse lecito di starti meco infino alla mia fine, non ti partiresti da me, tanta dolcezza d'amore ti congiunge meco. Ma la ragione il concede, e l'onore nostro il vuole, e la tua condizione e il tempo lo richiede, che tu sii oggimai accompagnata, acciò che il tuo padre e io e i parenti nostri ricevino allegrezza di te e de' tuoi figliuoli, i quali, alla speranza di Dio, avrai. Ora ti traggo dal mio seno; ora escirai della signoria del tuo padre e andra' ne al tuo marito e signore, onde non solamente gli sarai compagna ma serva e ubbidiente. E sopra tutto, acciò che tu sappi come te gli converrà esser serva e ubbidiente, intendi i miei ammonimenti, e ricevili in luogo di comandamento; imperocchè, se bene gli manterrai, in amore e grazia del tuo marito e di tutte le altre genti verrai».
Questo il preambolo. E queste altre poche parole, che paiono sfiorar lievi lievi con tocco d'ala il velo nuziale della vergine, sono il commiato: «Allora la gentil madre e savia donna benedisse e segnò la benigna figliuola e mansueta pulzella, e raccomandolla a Dio, e pregolla teneramente che sempre osservasse i suoi comandamenti, e che sopra tutto avesse cara l'anima sua».
***
Cotesti avvertimenti erano legislazione che veniva dal cuore e dalle realtà della vita; non come quella del Barberino, dal paese d'utopia.
Francesco da Barberino moriva in tarda età nel 1348. Ma la pestilenza che portò via, con tanti altri, anche il precettor cortigiano delle donne fiorentine, doveva ispirare, ben altramente ascoltato, un altro e ben più potente ingegno. Quel furore di godimento che inebriò, come Matteo Villani ci attesta,[177]i sopravvissuti alla strage e al terrore, ebbe il suo interprete in Giovanni Boccaccio: nella cui arte il lussureggiar dei colori, la morbidezza ridondante delle linee, la vistosità degli atteggiamenti, e pur troppo anche la depressione del senso morale, accusano origine siffatta. Poca o nessuna idealità può rinvenirsi nelle sue donne, in quanto idealità significhi attinenza, più o meno visibile, che la figura ha con un tipo vagheggiato dall'artista; ma efficace mirabilmente e profonda è nel borghese fiorentino la rappresentazione drammatica del reale.[178]Non parlo delle sue immaginarie raccontatrici, che Santa Maria Novella non vide mai certamente incontrarsi sotto le sue volte sublimi, a profanare con propositi da brigate la santità dell'infinito, e nessuna delle nostre colline ospitò in ozio vile coi giovani vagheggianti, mentre giù al piano la gente moriva: coteste donne, quelle Pampinee, quelle Elise, quelle Fiammette, non dissomigliano guari, e taluna ha comune anche il nome, alle figure dei suoi giovanili romanzi in prosa od in verso: ninfe o donne, e talvolta un che di tramezzato dell'una e dell'altra, ma sempre, anche quando donne vere come nel romanzo dellaFiammetta, figure tirate fuor dell'orbita reale e storica delle cose, in posa, più o men classica, di dolore o d'amore, di sconforto o di gelosia, non mai però sollevate sino a quella regione dove vivono immortali le creature del pensiero, da Beatrice alla promessa sposa di Renzo, da Laura a Margherita, da Erminia e Fiordiligi a Tecla Wallenstein ad Ermengarda. Le figure femminili che il Boccaccioha propriamente dato all'arte sono le figure operanti nei brevi drammi di quel libro che a buon dritto, in contrapposto al dantesco, è stato chiamato l'Umana Commedia: delle quali forse una sola, che il Petrarca distinse come «di gran lunga dissomigliante alle altre», contiene una idealità preconcetta, ed è quella virtuosissima Griselda, la plebea degnata di nozze e poi sottoposta a prova dal signor feudale; mito di storia e di moralità, come altri ha giustamente rilevato,[179]e onorata di popolarità, nella tradizione e nell'arte. Ma le più vivaci sono senza dubbio quelle che messer Giovanni ritrasse dal vero del costume fiorentino: gentildonne e borghesi, della città e del contado, allegre o maliziose ed anche talvolta nobili figure, che egli o foggiava secondo i viventi modelli o evocava da tombe da non molti anni dischiuse. In queste figure di sul vero, non trasformate da nessun procedimento ideale, non alterate di proporzioni per nessuna simpatia affettiva, si sente che il Medio Evo, l'età mistica e contemplante, l'età dei grandi concepimenti interiori nel seno fortemente travagliato, sta per morire: la realtà mondana trionfa, e offre l'ignudo corpo alle vesti eleganti e sinuose che l'umanismo prepara per adornarla, ed anche per travestirla.
***
Ma noi, quando vogliam rivivere l'età de' padri nostri lontane, torniamo, non che volentieri, ma naturalmente e come ricondotti inconsapevoli, al Medio Evo: e le paganità del Rinascimento, che incontriamo per via, potranno sodisfare curiosità acri, lusingare istinti vivaci, avvivare genialità fantastiche di erudita incubazione; bensì il cuore nostro riman chiuso, e insodisfatto il sentimento che cispinge a ricongiungere il presente col passato. Una pagina di Dante, anche torturato dai grammatici o abbuiato dagli allegoristi, risponderà sempre a più dimande del nostro spirito, acqueterà più intimamente il cuor nostro, che non possano mai laMandragorao laCalandragalvanizzate co' più squisiti artifizi sulle scene moderne. Di che molte sono le cagioni; e principalissima, che dove troviamo maggiori rispondenze ai sentimenti nostri migliori, ivi l'animo più volentieri si acqueta. Ma io credo altresì, perchè tutta la civiltà della quale siam figli ci ha assuefatti a cercare nelle opere d'arte effigiatrici della vita, cercare e proseguire secondo i concetti spiritualmente umani del Cristianesimo, la idealità femminile, che il Rinascimento (le cui benemerenze grandi non ci debbono far dimenticare i suoi torti e mancamenti) o disconobbe, o non valse a conservare in quelle altezze dove l'avea portata, per tacer d'altri, il grande sintetizzatore poetico del pensiero medievale.
La nostra letteratura ebbe per base un Poema, che da una donna primigeniamente ispirato, tre donne ha, moventi l'azione, le quali dall'alto de' cieli la preparano in terra, da svolgersi pe' regni eterni e ne' cieli far capo: Maria misericordiosa, Lucia veggente, Beatrice lode vera di Dio come specchio e dichiarazione delle opere sue e de' misteri.[180]Se l'uomo, soccombente ai travagli della vita, può, per le vie ardue della contemplazione, incamminarsi a salvezza, sono le «tre donne benedette» che «curano di lui nella corte del cielo»:[181]se Virgilio, dai sacri «luminosi» penetrali della sapienza, si muove in aiuto di quel pericolante, è «Beatrice che lo fa andare»:[182]del nome e delle virtù di Maria tutto il Purgatorio è, per segni visibili o suoni o visioni soprannaturali, improntato:[183]sulla vetta del sacro monte, sede della umanasmarrita felicità, egli sogna in Lia e in Rachele le armonie della vita operativa con la contemplativa;[184]e già prima, sognando sè trasportato dall'imperiale aquila, è stato da Lucia di sulla valle fiorita trasferito alla soglia del Purgatorio:[185]nel Paradiso Terrestre è da Matelda iniziato alla misteriosa trasfigurazione degli ordinamenti politici e religiosi della società; da Matelda guidato verso Beatrice; da Matelda, mercè le mistiche abluzioni in Lete e in Eunoè, da Matelda figura di gentile umanità che ai poeti parla «donnescamente», dispogliato dell'uomo antico, e rinnovellato e fatto abile all'ascensione pei cieli:[186]son gli occhi di Beatrice sua, che di questa ascensione gl'infondon virtù:[187]e infine per entro alla rosa de' Beati,[188]le tre donne salvatrici e liberatrici dell'uomo tengon seggio di gloria nella luminosa rappresentanza della cristiana umanità; e a' piedi di Maria divina sta Eva la creatura bellissima, fra il peccato e la redenzione comprenditrici e consumatrici della storia universa. Tanta parte, e siffatta, ha la donna nel fondamental concetto del Poema dantesco! E di su tale libro alzando la mano stanca il Poeta, ben poteva, alla figliuola di Folco che dalle soglie dell'eternità gli accennava aspettante, ripetere con l'esultanza del voto disciolto le estreme parole dellaVita Nuova[189]arcanamente promettitrici: «Io ho detto di te quello che mai non fu detto d'alcuna».