CAPITOLO XII.Gian-Luigi, nel salire in carrozza, disse al cocchiere:— A casa, di galoppo.Cinque minuti dopo il legnetto entrava nel cortile della casa in cui abitava il dottor Quercia.Questi scese sollecito e levandosi in punta di piedi, a bassa voce disse al cocchiere che si chinava verso di lui per udirne gli ordini:— Andrai tosto ad avvertire i capisquadra dellacoccache si radunino stassera alle sette nella taverna di Pelone.Il cocchiere fece un cenno affermativo.— Poi verrai qui e starai pronto ad ogni evento tu e la carrozza.Detto questo corse su delle scale verso il suo quartiere. Quell'altra faccia sospetta che gli serviva da domestico gli venne incontro fino sull'uscio del pianerottolo.— Ho udito la carrozza: gli disse, appena Gian-Luigi fu entrato; ed ho pensato che era Lei che tornava. Abbiamo qualche cosa di nuovo?— Sì: rispose Gian-Luigi. Aspetta che ti do due lettere da portare.Si mise al suo tavolino a scrivere di fretta. Un bigliettino vergò sopra un elegante fogliolino di carta lisciata, il quale diceva in lingua francese:«Contessa. Due miei amici, due bravi giovani, gli avvocati Benda e Selva, furono arrestati per sospetti politici — affatto a torto, ve lo giuro. Bisogna che per mezzo del conte e di vostro padre mi aiutiate a farli rimettere in libertà. Fra due ore al più tardi sarò da voi a spiegarvi meglio la cosa, ma frattanto non perdete tempo e pregate il conte a parlare al generale Barranchi in favore de' miei protetti, e scrivete al barone La Cappa di volere interporre la sua valevole protezione presso il Governatore. Addio, vi bacio le mani e sono — quegli che vi ama alla follia — Luigi.»Sopra un pezzettino di carta qualunque scrisse:«Seguite colui che vi presenterà queste parole di mio pugno. — Seguitelo subito. — Preme — Q.»Diede i due scritti al domestico il quale con istrana famigliarità, di sopra la spalla del padrone, aveva letto tutto ciò che questi era venuto scrivendo.— Questo, disse Quercia accennando il bigliettino, lo porterai...E il domestico interrompendo con un insolente sogghigno:— Alla contessa Staffarda ci s'intende... Ma dica un po', sormedichino, che cosa è l'arresto di questi due di cui fa cenno? Sono essi deinostri?— No: riprese Gian-Luigi crollando impazientemente le spalle.— Be'... Io son di parere allora che la fa male Lei ad immischiarsene... La Polizia non bisogna toccarla, se non ci tocca... Lasci un po' che arresti chi vuole, quando la non ci viene a rompere le tasche a noi.Ilmedichinosi volse con tutta l'autorità e l'imponenza della sua supremazia.— Olà! Mi pare che tu ti picchi di farmela da mentore eh?... Non tollero di queste seccaggini, io... fai quello che ti dico senza rompermi le tasche, ne prendo un altro a tua vece.— Non parlo più: disse il domestico raumiliato. Mi pareva.... credevo bene.....— Ti pareva falso e credevi male..... Stai certo che tutto ciò ch'io faccio gli è pel bene dellacoccae non seccarmi altrimenti. Quest'altro fogliettino recherai in via porta..... nº..... piano terreno, uscio a dritta, appena nel vestibolo. Batterai nell'imposta sinistra due colpi, poi dopo un piccolo intervallo un altro, poi dopo altra pausa ancora tre; allora la porta ti si aprirà ed a chi ti verrà innanzi farai i segni dell'iniziazione massonica; quando ti avrà risposto, domanderai se esso è Medoro Bigonci..... Ricordati bene questo nome..... Alla risposta affermativa gli consegnerai quella carta, che ti farai restituire, ed appena sia pronto lo condurrai inCafarnao, passando non per la bettola ma per la bottega diBaciccia. Io sarò là ad aspettarvi.— InCafarnao! Esclamò il domestico stupito all'estremo. Proprio inCafarnao? Ripetè come se credesse di non aver capito.— Sì: disse asciuttamente Gian-Luigi.— Un estraneo?— Egli è tale di cui si può fidare completamente, e le cose che abbiamo da dire, sono di natura da non esser dette che nel più segreto nascondiglio del mondo. D'altronde, giunto nella retrobottega diBacicciagli benderai gli occhi e non gli leverai la benda finchè non sia penetrato fino nel mio gabinetto. Conducendolo fuori si farà lo stesso, così vedrà nulla di nulla. Ve l'ho già introdotto io altra volta di questa guisa ed ei non ha il menomo sentore della vera destinazione di quel nostro sotterraneo riparo.Mandò un sospiro quasi di rimpianto e mormorò fra i denti:— E se l'avesse, egli non ci metterebbe i piedi di certo. Hai capito? — Riprese parlando ad alta voce al domestico.— Farò come la vuole.— Benissimo. Vai e sollecita.Il domestico si partì; Gian-Luigi si cambiò frettolosamente di abiti da capo a piedi ed avviluppatosi in un ferraiuolo uscì ancor egli e si diresse verso un'estremità della città, da quella parte precisamente in cui erano i quartieri più antichi e poveri, e in essi la taverna di mastro Pelone[4].Eravi colà — ora non esiste più — un gran quadrato di case ammonticchiate l'una accosto all'altra in una massa compatta, traverso cui non passava nessuna via pubblica, ma si aprivano molti cortili e cortiletti la più parte umidi e sporchi, i quali, comunicando fra loro per anditi bassi e porte, formavano una specie di labirinto cui solo poteva percorrere senza smarrirsi chi ne avesse acquistato il filo colla pratica.La bettolaccia di Pelone si apriva in questo quadrilatero dalla parte che costeggiava la viuzza di cui ho parlato nell'aprirsi di questo racconto: nel lato precisamente opposto, il quale si trovava allo estremo lembo delle abitazioni e quindi metteva sopra i viali, quasi all'altezza medesima della taverna, vedevasi un muro che separava da un tratto di terreno incolto, corrente presso le case fra queste ed il viale, un cortiletto in fondo a cui biancheggiava una casetta d'un piano, ristorata di fresco, la quale colla sua lindura e pulitezza faceva strano contrasto alla miseria delle casipole che la circondavano.Quella casetta aveva una misteriosa storia cui raccontavano con mille varianti le comari del quartiere. Molti anni prima era di proprietà d'un vecchio misantropo che la fama diceva ricco assai e che viveva da povero, solo, senza servi, senza conoscenti, senz'attinenza nessuna di nessuna sorta. Le vecchie, che ricordavano averlo visto, dicevano che aveva la faccia d'un birbante: che pareva il delitto incarnato in un omiciattolo macilento, rugoso, sporco, scontroso e ributtante. Lo si accusava d'ogni più orribil fatto — e sopratutto di essere uno stregone. Dicevasi che la notte strani rumori si sentivano in quel locale, e che il diavolo ci doveva venire di sicuro a tener compagnia a quel solitario. La casa aveva il medesimo aspetto del padrone; le muraglie n'erano verdastre; i ragnateli pendevanodapertutto, il tetto pareva minacciare rovina; la grondaia cascava staccata da una parte: gli scalini per cui si saliva al peristilio dell'unico ripiano erano disfatti e le lastre di pietra vacillavano sotto il piè vacillante di quel vecchio che solo varcava quella soglia. Era una casa che da lustri e lustri si lasciava andare in rovina.Un giorno il vecchio misantropo non fu visto uscir più secondo che soleva tutte le mattine; le imposte delle finestre rimasero ermeticamente chiuse, e non fu udito più, nè visto colà dentro cenno di vita alcuno. Passarono e due e tre giorni di siffatta guisa, finchè la pubblica autorità, avvertita, penetrò di forza in quella casa, e trovò il vecchio appiccato per la gola ad un trave del soffitto. Non c'era traccia alcuna di violenza; nulla era derubato; si pensò che il vecchio medesimo, stanco di quella sua vita da orso, s'era ammazzato: si fece il suo bravo processo verbale e, dopo qualche giorno di chiacchere d'ogni fatta, la cosa fu posta in oblio. Il vecchio non lasciava eredi. Il fisco prese possesso di quella catapecchia, e la lasciò nello stato in cui si trovava, non sapendo che farne. Per molti anni essa rimase disabitata, e le comari del quartiere affermavano che la notte ci tornava lo spirito tormentato del vecchio omicida a farci chiasso. Finalmente quattro anni prima dell'epoca del nostro racconto, tutti i vicini stupirono nel vedere muratori e falegnami e poi tappezzieri all'opera a cambiare quelle luride muraglie in un'elegante dimora piena d'ogni ornamento e di ogni sontuosità che per comodo e per lo sfarzo della vita abbia saputo inventare la civiltà moderna.Il dottor Quercia aveva comperato quella casa e la faceva con grande spesa ridurre apetite-maisonper farne il nido de' suoi amori e delle sue avventure galanti.Gli è verso questa sua casetta che Gian-Luigi diresse i suoi passi. Giuntovi, aprì la porta del muro che metteva nel cortile e la richiuse dietro sè appena entrato. Alla destra, addossato al muro, eravi all'interno un casotto da portinaio, ma la porticina e la finestra chiuse compiutamente anche alla luce dinotavano che non ci stava nessuno. Gian-Luigi traversò il cortile camminando sulla neve caduta, che nessuno aveva spazzato, e salito i tre scalini, che egli aveva fatto mettere di marmo e riparare da una piccola tettoia di ferro e cristalli (di quelle che diconsimarquises) aprì la porta di legno ben lavorato con ornamenti di bronzo, ed entrò, chiudendo anche qui studiosamente l'uscio dietro sè non solo con doppia mandata del serrame, ma con un forte paletto di ferro, che fece scorrere dall'una all'altra imposta.Varcata la soglia eravi un breve andito a colonne che metteva in una sala piuttosto vasta, costrutta ed ornata secondo l'architettura ed il gusto dell'arte pompeiana. Il rumore dei passi era ammortato da uno spesso e ricco tappeto, e due bocche di calorifero alle due pareti laterali a chi entrasse mandavano un dolce tepore come di stufa per fiori. Senza deporre nè cappello nè ferraiuolo, Gian-Luigi traversò la sala ed entrò in una camera il cui uscio trovavasi precisamente in prospetto a quello d'entrata. Era un salotto ritirato, quieto, con tutte le delicature del lusso moderno, con diffusavi una luce semicrepuscolare che invitava l'anima al raccoglimento, i sensi all'abbandono, la voce a suonare sommesso. Sulle pareti era tesa una tappezzeria di seta gialla a fiorami d'ugual colore ma di tinta più scura; di seta gialla erano coperti il lettuccio da sedere, il sofà da starci due a discorrere, le seggiole a spalliera ricurva per accogliere comodamente la persona, le poltroncine, soffici tutti quanti, colle molle elastiche, ecapitonati. Il legno dei mobili, degli usci, la cassa de' fiori presso la finestra in cui profumavano l'aere viole mammole, resedà e vaniglia, le cornici dei due alti specchi che si appoggiavano a due mensole elegantissime erano bianchi coi fregi e gli orli dorati. Un piccolo lustro dorato, di elegante forma, pendeva a metà dalla vôlta bellamente dipinta d'ornamenti architettonici e di vedute di paesi fra quelli inquadrate. Un più elegante tappeto copriva il pavimento e nel camino, tutto rivestito di marmo finissimo, ricco di belle scolture, dietro alari e paracenere elegantissimi di bronzo dorato ardeva un bel fuoco che una mano attenta doveva avere da poco tempo rianimato.Gian-Luigi non si fermò neanche in questo salotto, aprì l'uscio che era alla sua destra e s'introdusse in una camera da letto che era tutto un'eleganza ed una gaiezza. Le tappezzerie, di seta altresì, erano di color celeste; di bianco e di celeste era incortinato il letto di legno di mogano, prezioso per egregio lavorio; dalla finestra per tendoline di seta rosea coperte di mussolina bianca si stacciava una luce a tinte soavi e calde che si rifletteva con effetto molto pittorico sugli orli dei mobili dorati; la vôlta formicolava di fiori e d'amorini sorridenti vagamente dipinti in ogni mossa; dal mezzo pendeva un canestrino indorato nel quale fioriva una di quelle strane piante erratiche a cui non è bisogno per germogliare e vivere la prosa della terra, ma che si alimentano poeticamente dell'aria, e in mezzo c'era luogo ad una lampada che dal cristallo opaco mandasse il suo lume travelato, non a rischiarare, ma ad assistere in quel tempio della voluttà ai dolci misteri della notte. Due specchiere alte da terra alla cimasa superiore della parete si facevan faccia dall'una all'altra parte della stanza, e il letto, posto in mezzo, era riflesso da ambedue all'infinito in una interminabile infilata.Il giovane, entrato, chiuse studiosamente dietro sè la porta, come se temesse che alcun occhio profano avesse da vedere ciò ch'egli stava per fare, e non la chiuse soltanto colla stanghetta a molla, madiede colla chiave due mandate al serrame, quasi per esser sicuro che nessuno potesse venire a sorprenderlo. La precauzione poteva in vero dirsi soverchia, poichè aveva egli già serrato e il portone da via, e la porta d'ingresso della casina, e ben sapeva che nessuno aveva chiavi da penetrar colà dentro contro sua voglia o ad insaputa; ma il segreto che si celava in quella camera così elegante da parer fatta per gli amori soltanto, era pure di sì gran rilievo che per abitudine da non trascurarsi mai, egli s'era imposto ogni fatta di maggiori cautele cui potesse suggerire la più diffidente prudenza.Gian-Luigi gettò uno sguardo sopra una mensola dove stava un gruppo di bronzo dorato in istilerococò, rappresentante con allusione mitologica varii amorini incatenatori del Tempo, il quale portava sulle sue spalle un orologio a pendolo.— Di già le dieci ore!.... Come passa il tempo! Decisivamente la giornata è troppo corta per le tante cose che m'impone questo lavoro di Gigante assalitor dell'Olimpo..... Ah delle volte sono stanco!....Vide in una delle specchiere, innanzi a cui si trovava, la sua faccia giovenile, impressa di tanta baldanza e risoluzione, e sorrise a sè stesso.— Eh via! Sono troppo innanzi nel cammino per fermarmi..... E lo potrei d'altronde?.... Sono preso fra i rocchetti d'una macchina ch'io guido bensì, ma di cui sono schiavo insieme. Il giorno ch'io mi arrestassi o volessi ritrarmene sarei inevitabilmente schiacciato.Le sue sopracciglia si aggrottarono un momento in fiera guisa.— Io che voleva esser libero! Soggiunse con molta amarezza. Io che voleva dominare..... e che voglio!Crollò le spalle e s'avviò senz'altro, con passo d'uomo che non ha esitanza di sorta, verso la specchiera che era in fondo alla camera. Si drizzò in punta di piedi, e trascelto in mezzo ai fiori scolpiti della cornice un bottoncino di rosa, cui nulla poteva far distinguere dai moltissimi altri che vi si ammassavano uniti ai fiori sbocciati, vi premette su lentamente col pollice inguantato, perchè l'azione della pelle non avesse da appannare la doratura. La specchiera girò adagio adagio sopra cardini invisibili, e lasciò scorgere un ambiente entro il muro in cui s'apriva nel suolo una scala a chiocciola che s'affondava tenebrosamente al di sotto.Gian-Luigi accese una lampada a cristallo chiuso che trovavasi in una nicchia entro la parete di quello stretto stanzino intermurale, poi fatto ritornare a posto la specchiera, e rimasto egli così in una oscurità profondissima, si diede a scendere rischiarandosi del raggio che mandava innanzi a sè la lampa da minatore.Discese per l'altezza di circa dieci metri e trovossi in un vano uguale a quello da cui dall'alto partiva la scaletta; fece cadere il raggio della lucerna sopra una porta di legno afforzata da lastre di ferro, nella quale presso il muro umidiccio, chiazzato di bianco qua e là per l'efflorescenza del nitro, aprivasi un bucherello in una lastra d'ottone fortemente, non che invitiata, incastrata nel legno. Era una di quelle serrature inglesi che si diconoa pompache impossibile lo aprirle ad ogni grimaldello, impossibile quasi il romperle e scassinarle. Gian-Luigi trasse dal taschino del panciotto un anello d'acciaio in cui erano infilate parecchie piccole chiavi, e trasceltane una, l'ebbe appena introdotta in quel bucherello della toppa che la porta si aprì chetamente senza fare il menomo rumore. Un corridoio s'internava sottoterra e lasciava luccicare nella densa nebbia delle sue tenebre tratto tratto alcune fiammelle di lampa rischiaratrice che parevano chiazze sanguigne nel fondo nero di quell'oscurità. Un'aria fredda, umidiccia, pesante percoteva nel volto chi entrasse e gli si aggravava sulle spalle come un mantello di gelo che lo vestisse. Un silenzio sepolcrale ammoniva chi camminasse per quell'ombre visibiliesser egli separato dal mondo dei viventi come se rinchiuso nella tomba. Qualche goccia di acqua infiltrata rompeva soltanto quella mutezza cascando tratto tratto con lieve rumore sul suolo. Gian-Luigi si avviluppò di meglio nel suo mantello e serrato anche qui alle sue spalle l'uscio pesante camminò innanzi di buon passo e coll'andatura di uomo pratico dei luoghi e della via.A seconda che avanzava, il terreno che saliva si faceva più asciutto, e l'aria più libera e più mossa. Giunse così dopo un centinaio di passi ad una rotonda tutto murata, di cui il pavimento era composto di lastre irregolari di pietra e nella quale dall'alto pioveva per parecchi forami un po' di luce diurna ed aria esteriore. In quella rotonda facevano capo due altre gallerie cieche, uguali a quella che Gian-Luigi aveva allor allora percorso venendo dalla sua casina; di questi altri due condotti sotterranei uno metteva alla taverna di Pelone, l'altro alla retrobottega di quelBacicciache abbiamo udito menzionare dalmedichino, il quale la faceva da ferravecchi e mercante di mobili usati. Questi tretunnelscorrevano sotto l'ammonticchiamento di quelle casaccie che ho detto, sino al centro di quell'isolato vasto e compatto dove quella rotonda trovavasi sotto un cortile interno il quale raramente o non mai veniva visitato da persona che non vi abitasse; e gli abitanti di quella miserrima casa erano la feccia morale e materiale della popolazione.Ma la rotonda di cui ho detto, non era mica la meta dei passi di Gian-Luigi. Essa non era che il vestibolo del luogo a cui era diretto. Un uscio forte e grosso come quell'altro che era a capo del corridoio sotterraneo, apriva i due suoi battenti sopra uno scalino che lo rialzava dall'umidità del suolo,su cui traverso i fori della vôlta era caduta e cadeva un po' di neve che veniva liquefacendosi tosto. Gian-Luigi trascelse un'altra di quelle chiavettine che aveva radunate a mazzo in quell'anello d'acciaio, cui l'abbiamo già visto trarre dal taschino del suo panciotto, ed aprì colla medesima guisa anche questo uscio.Al di là di esso continuavasi a salire per cinque altri gradini, che si seguivano in un andito ascendente, accuratamente murato, colla calce lisciata e scialbata. Più asciutto si faceva l'ambiente, un'aria più pura si respirava; piccole aperture a mo' di feritoie, aperte qua e colà con arte che le dissimulava, servivano da sfiatatoi e facevano penetrare un certo dubbio chiarore crepuscolare, come servivano a rinnovar l'aria.Gian-Luigi aveva già chiuso alle sue spalle anche quest'uscio della scala, quando, ravvisatosi, tornò ad aprirlo e lo lasciò rabbattuto. Poi salì i gradini; depose la lanterna sopra una panca che trovavasi in una specie d'anticamera in cui metteva la scaletta, e sospinse un uscio che trovò aperto innanzi a sè.Entrò in una vasta cameraccia, aerata ancor essa, come la gabbia della scala e l'anticamera, mercè que' certi sfiatatoi che ho detto, i quali non bastando a gran pezza ad illuminarla, era mestieri di una lampada, che pendeva dalla vôlta continuamente accesa a rischiarare l'infinita, confusa, enorme, varietà di oggetti d'ogni fatta che facevano ingombro colà dentro, non lasciando libero di quell'ampio stanzone che uno spazio di circa due metri in metà.Ogni cosa qualunque che possiate immaginare di quelle che servono all'uso dell'uomo, avreste potuto colà rinvenire: armi e vestiario, mobili ed utensili da lavoro, arnesi di cucina e suppellettili eleganti da salotto signorile, materassi e biancherie, quadri, bronzi e strumenti musicali, stoffe, tappeti, stipi, casse di ferro e stoviglie, oriuoli a pendolo e da tasca, gioiellerie, e cenci e cordami, perfino libri e quaderni di musica, perfino crocifissi e statue di Madonne di varia materia e lavoro, candelieri, vasi da chiesa, paramenta da altare e da sacerdote celebrante, argenteria da tavola, tabacchiere di preziosi metalli, decorazioni cavalleresche, bottiglie di vino, parrucche, barbe posticcie, pali di ferro, martelli, tanaglie, ascie, le più ignobili come le più sontuose cose del mondo. Se il signor Bancone, quel ricco banchiere che due notti innanzi era stato derubato, avesse mai potuto penetrare colà dentro, avrebbe riconosciuta la principale delle sue casse di ferro, nella forza e nel segreto congegno dei serrami della quale tanto confidava, rotta e sventrata giacente in un angolo.A ragione questo celato riparo l'avevano battezzato col nome diCafarnao. Ma aimè su molti di quegli oggetti — orrida vista! — c'erano macchie di sangue.....Gian-Luigi s'inoltrò fra quelpandemonioe venne presso ad una tavola che stava nello spazio lasciato vuoto in metà. Su quella, al di sopra di una delle gambe che la reggevano, vedevasi un anelluccio attaccato ad un tondello di ottone; ilmedichinoprese quest'anello e tirò su con forza un'asticina di ferro che entrava nella tavola, e la quale, per mezzo d'un filo metallico, metteva in moto nella bettola di Pelone un martello nascosto che batteva dei colpi contro l'interno della parete dietro il banco del taverniere medesimo. Diede tre strappate ad un piccolo intervallo l'una dall'altra, poi levatosi il cappello ed il ferraiuolo, fece per gettare l'uno e l'altro sopra un viluppo di materassi e di balle di lana che era alla sua destra. Ma là, sopra quell'ammasso di cui s'era fatto un comodo giaciglio, stava lungo e disteso un omiciattolo colla faccia sottile, col naso appuntato, il quale aveva aperto un occhio per guardare ilmedichino; un occhio vivo, irrequieto, malizioso, ironico ed impertinente.— Sei tu, Graffigna? Disse Gian-Luigi deponendo altrove il mantello ed il cappello. Che cosa fai tu costì?Graffigna tirò giù lentamente le gambe, l'una dopo l'altra, si drizzò in piedi, e rimanendo appoggiato allo stramazzo su cui poco prima giaceva, rispose colla sua voce esile da falsetto, che strideva come l'unghia d'un avaro sopra lastra di vetro:— Dormivo. Si lavora tutta la notte di santa ragione da quel bravo Graffigna che si è, e un po' di riposo lungo il giorno vi ristora un uomo come una scodella di brodo con dentrovi un mezzetto dibarbèra. Qui poi si può dormir tranquilli senza la paura della zampa del gatto. Pur tuttavia sono così avvezzo a non dormire che d'un occhio, che l'ho sentita venire, sormedichino.... ed ecco l'affare!— Va bene... Non voglio disturbarti... Sta pure sdraiato a tua posta.— La mi burla!... Conosciamo i nostri doveri verso i superiori, che diavolo!... La disciplina o che il boia m'impicchi... Non esco di lì, io... Ed a meno che Ella me ne dia espressamente l'ordine...— Sì, proruppe ilmedichinocon qualche impazienza. Sdraiati, ascolta soltanto due parole che ti ho da dire, e poi russa pure come quel maiale di Stracciaferro che allorchè dorme qui dentro fa tremar le vôlte.Graffigna allungò di nuovo chetamente il suo corpo mingherlino e disse con voce più sottile che mai:—Che scusi, ma non son io che sarei capace di mancare alle convenienze come quell'animalaccio di Stracciaferro. Io mi rimetto a giacere per obbedirla, e son tutto orecchie ad ascoltare le sue parole; e poi quando Ella mi avrà dato i suoi ordini, se la mi permetterà, avrò anch'io da spifferarle quattro ragioni in croce.— Quel che t'ho da dir io, è detto in due motti. Primo, cercherai i quattro supremi consiglieri dellacoccae loro comanderai a mio nome di trovarsi qui stassera alle sette. I capi-squadra sono avvisati di radunarsi nella bettola di Pelone.Graffigna si levò su a sedere sul suo giaciglio con atto di molto interesse.— Oh oh! Esclamò egli. Ci sono dunque grandi cose in aria?Gian-Luigi chinò in segno affermativo la testa.— Benone! Disse tutto lieto il galeotto mentre tornava a sdraiarsi.— In secondo luogo, continuava ilmedichino, ho grande interesse di sapere chi sia quel poliziotto che stamattina si recò a fare una perquisizione in casa Benda. Ho chiamato Pelone appunto per averne alcuno schiarimento, che mi penso egli potrà darcene. In difetto, quand'egli non sappia o non voglia parlare...— Eh eh! disse tranquillamente Graffigna: si potrebbe farlo cantare anche contro voglia.— No: interruppe vivamente Gian-Luigi; nessuna violenza... D'altronde Pelone ci è troppo necessario per disgustarlo... e troppo pericoloso per farcelo diventar nemico. Quand'egli taccia, fa di scoprir tu con ogni mezzo che ti parrà migliore, e quando tu lo abbia conosciuto...Ilmedichinoparve esitare.— Quando io lo abbia conosciuto? Ripetè Graffigna ficcando i suoi occhietti vivacissimi negli occhi di Gian-Luigi.— Farai di modo da sapere eziandio le sue abitudini, e dove si possa cogliere solo, allo scarto...— Ho capito..... È un impaccio?— È un impaccio.Quei due uomini, così diversi di sembianze e di natura e d'intimo valore, si guardarono un momento in silenzio e si compresero. Gian-Luigi sviò primo le sue brune pupille e si diede a passeggiare su e giù per quello spazio di pochi metri libero in mezzo alCafarnao.— Stia tranquillo sormedichino; fra un'ora mi metterò in campagna e spero poterle dire quanto prima che gli è un affar fatto.Ilmedichinonon rispose e seguitò a camminar con passo concitato e a capo chino. Dopo un poco si fermò presso la tavola, battè del piede sul pavimento con impazienza collerica e disse rabbiosamente:— Quell'eterno lumacone di bettolier dell'inferno non viene. E sì che ho tirato di forza!Riprese l'anelluccio della tavola e tornò a dare, ma con più violenza, tre strappate.— Prenda pazienza: disse con vocina sempre più esile Graffigna seguitando il giovane col suo sguardo ironico e scrutatore: ci sarà gente nell'osteria e non potrà aprire la porta segreta; e poi quel benedett'uomo è così lento e lungo in ogni sua mossa!.... Frattanto se la mi permette dirò io a Lei qualche cosa che non manca neppure d'interesse.— Parla! Disse vibratamente Gian-Luigi continuando a passeggiare in lungo e in largo.— Prima di tutto ho una commissione da farle, una commissione importantissima, mi disse chi me la diede.Ilmedichinosi fermò in faccia a Graffigna di colpo.— Chi?— Ester, la bella figliuola di quel brutto scellerato diMacobaro.Gian-Luigi crollò le spalle e si rimise a passeggiare.— Dove l'hai tu vista?— A casa sua. Sono andato ieri sera da quel sacco di tutte le malizie d'un vecchio ebreo per intenderci sulla compra di qualche masserizia fra tutta questa roba che ci ingombra maledettamente. Quell'avaraccio è indegno di appartenere alla cocca. Ha una indiscrezione di pretese che trarrebbe i calci dalle scarpe d'un santo; e non è mai quel cane da offrire pure una goccia dibrandaad un amico..... Basta; a grande stento mi avanzò qualche miserabile spicciolo che mi disse avrebbe portato in conto.....— E che tu ti sei affrettato di consumare in tanta acquarzente.—Cribbio!Come si fa? Con tante fatiche e con questa vitaccia che si mena, se non si tiene un po' su la macchina, vi casca l'asino di sotto..... Per farla breve, mentre quel vecchio schifoso, dopo mille storie, andò a prendere quei quattro miserabili soldi, Ester che era sempre stata immobile in un cantuccio, agucchiando certi panni al lume d'una lucernetta che pareva far la veglia ad un morto; Ester mi saltò innanzi con quella sua bella faccia d'alabastro, con quei suoi lucidi occhioni scuri, con quelle sue labbra rosse come il sangue che spiccia. «— Per l'anima vostra, mi susurrò all'orecchio con voce soffocata, in cui si sentiva che ella parlava da maledetto senno: date questo biglietto e il più sollecitamente possibile a Luigi: si tratta di vita o di morte.» E nel pormi in mano la cartolina ripiegata mi serrò con forza convulsa le dita fra le sue così esili e bianche, in quel momento gelate come il marmo. Si sentivano intanto trascinar le pianelle di quel vecchio esoso di suo padre, — come mai una sì bella creatura può essere nata da un mostro simile? — ed essa, lesta come uno scojattolo come un augellino, fu d'un salto seduta di bel nuovo al suo lavoro, che non pareva aver mosso pure la punta del dito mignolo; e guardandomi con un'espressione capace di rimescolar le budelle ad un vecchio peccatore, teneva l'indice della mano destra in croce sulle labbra a raccomandarmi il silenzio.Gian-Luigi tornò ad arrestarsi presso il galeotto.— E quel biglietto, l'hai tu costì?— Sì signore: rispose il mariuolo tirandolo fuori da una tasca e porgendolo.Ilmedichinolo prese con isgarbo impaziente: si recò sotto la lampada che pendeva dalla vôlta, e rottone quasi disdegnoso il suggello lesse queste parole:«In nome di Dio Eterno, bisogna che ci parliamo. Fa d'ingannare la sorveglianza sempre più sospettosa di mio padre, e vieni. Un tempo ne trovavi i modi e le ore. Il Signore ha — debbo dire benedetto o maledetto? — ha fatto fecondo il nostro amore. Sono madre. Mio padre mi ucciderà, se tu non mi salvi. Salvami, Luigi!»Questi spiegazzò la carta nella mano in un moto vivace di contrarietà stizzosa: poi tornò a rispianarla e lesse un'altra volta il biglietto. Stette un po' immobile con quel foglio innanzi agli occhi, sotto ai raggi della lucerna come riflettendo: quindi stracciò in minutissimi pezzi la carta e riprese ad andare su e giù, gettando qua e colà gli squarci che teneva in mano, del modo che fa del frumento il seminatore nel campo.Graffigna lo seguitava sempre con quel suo sguardo malizioso.— Cattive nuove, eh? Diss'egli dopo un poco. Gelosie, rampogne, pianti e supplicazioni, ci scommetto. Ah quelle benedette donne ce ne dànno dei fastidii da portare! E dire che quando si è giovani non se ne sa star senza! Eh! eh! Ho avuto ancor io i miei grilli al mio tempo e so da che parte spuntano i corni della luna..... ed anche gli altri corni. Testè, quando ho acceso il fuoco nella casina, avevo pensato di mettere quel bigliettino sulla mensola del salotto, perchè Lei, venendo, lo vedesse di subito e lo prendesse: ma poi mi sono detto: no, Graffigna, non conviene; ilmedichinopuò venir qui accompagnato da qualche donnetta, oppure qualche sottanino può venirci anco prima di lui ad aspettarvelo..... Eh eh! si sa che gagliardo d'un mariuolo Ella è in punto a codesto...Gian-Luigi che camminava sempre a capo chino e pareva non prestare la menoma attenzione al chiaccherio del suo compagno, ora, come infastidito d'un tratto da quella fluenza di parole, volse la faccia sdegnosa verso Graffigna, e gli disse imperiosamente:— Taci!— Non parlo più..... di tale argomento, perchè quanto al resto ho qualche cosa da dire di assai rilievo, e che la prego di ascoltare.Ilmedichinosedette presso la tavola e tamburellando colle dita sul piano di questa disse:— Allora parla, e fa presto.— Ilcolpoche si è fatto nella banca l'altra notte fu un belcolpo, non c'è che dire, ma io ne ho in vista tre altri ugualmente e forse ancora più belli.Graffigna tacque un istante come per aspettare una parola d'encomio o di curiosità o d'incoraggiamento a continuare, da parte delmedichino; ma questi, appoggiato il gomito destro e sorreggendo la sua fronte alla palma della mano, rimaneva immobile, fisso lo sguardo ardente sulla figura da faina del galeotto. Questi continuava:— Fra cotali trecolpic'è da scegliere quello che più torna: io son d'avviso che conviene prenderli in considerazione tutti tre, prepararli bene e col dovuto intervallo farli l'uno dopo dell'altro. Il primo sarebbe contro il marchese di Baldissero. Si potrebbe scegliere una notte in cui i padroni fossero al ballo, come avvenne la notte scorsa: parte dei domestici profitta di quest'occasione per andarsela a godere; rimangono in casa ordinariamente due vecchi e le cameriere, gente di cui si può aver ragione con poca difficoltà. Introdursi là dentro è facilissimo pel cortile che, mercè le scuderie, comunica con un altro a cui si può aver accesso. La disposizione delle stanze nel quartiere del marchese possiamo conoscerla a puntino per mezzo di una donna che fu abbastanza lungo tempo al servizio di quella famiglia, laGattona, ch'Ella avrà già udito a menzionare. Gli è vero che da venti e più anni laGattonaè uscita di là; ma la casa è pur rimasta tuttavia colle medesime disposizioni interne, e non c'è altro di mutato se non che nelle stanze dove stava ai tempi dellaGattonal'antico marchese, ora abita l'attuale; ed è in queste stanze che giace ilmorto. Nell'attuale stagione si sono esatti gli affitti e delle case della città e delle campagne; e quel birbone d'un milionario di marchese deve avere in cassa parecchie buone migliaia di lire.Graffigna fece di nuovo una pausa; Gian-Luigi non aprì bocca, nè si mosse, tenendo pur sempre gli occhi fissi sul suo interlocutore.— E uno! Esclamò Graffigna poichè ebbe atteso un momento. Passiamo al secondo. Questo si dovrebbe fare dal signor Benda.A questo nome Gian-Luigi si riscosse. Innanzi alla mente gli passò di botto leggera e graziosa l'immagine della giovane Maria.— Codesto poi no: interrupp'egli con vivacità; al signor Benda non ci si ha da pensare.— Perchè? Dimandò con accento mellifluo la voce squarrata di Graffigna. Quel bravo signore ha nei suoi scrigni qualche decina di mille lire.— Quella casa è ben custodita....— Peuh! Sclamò il galeotto alzando le spalle. Un tamburo maggiore per portinaio che con una succhiellatina bene aggiustata si fa azzittire per sempre; due cani che con un buon boccone si acchetano....— Alcuni degli operai dormono colà.— Sì, due capi-fabbrica. Be'! C'è modo di metterli anche loro alla ragione. Ma il fatto gli è che non si avrebbe bisogno di penetrare di soppiatto, la notte, per andare a portarne via colle scarpe difeltro il gruzzolo; gli è di pien giorno alla chiara luce dei sole, se ci fosse il sole, che secondo il mio progetto si avrebbe da compier l'impresa. Dico mio progetto, così per dire, ma non sono così superbo da non confessare che il progetto è di Lei, sormedichino, e ch'io non faccio altro che applicarlo a quel caso particolare.— Spiegati: disse Gian-Luigi sempre immobile in quel suo atteggio pensieroso.— Ecco la cosa! Si fomenta un bel dì o per le paghe o per le ore di lavoro, o per questo o per quell'altro — e ce ne sono mille di possibili pretesti — una buona sommossa degli operai....— Impossibile! Interruppe ilmedichino. Quegli operai amano moltissimo il loro principale che li tratta bene; sono stato poc'anzi stesso in caso di averne una irrefragabil prova.— Eh via! Lo amano, ma quando loro si sapesse persuadere che levandogli la pelle acquistano un tanto nel borsellino, glie la leverebbero subito. Conosco gli uomini, io! Vi saranno delle eccezioni? Santa pazienza, ce ne sieno pure; ma noi non è colle eccezioni che abbiamo da fare. Le idee che Ella ci ha dato l'ordine di spargere hanno attecchito anche colà. Gli è così naturale! Chi non ha nulla troverà sempre un'ingiustizia che altri possieda e non egli; e il povero si lascierà sempre assai facilmente persuadere che è suo diritto pigliare al ricco... Breve; Marcaccio le potrà dire che anche in quegli opifici, come nel più degli altri, si sono fatti degli aderenti... Un bel giorno adunque, sapendo metterci a dovere il fuoco sotto, li faremo bollire a nostro vantaggio. Nato un tumulto, gli amici dell'ordine e del padrone, che sono sempre i più timidi e pacifici, si spaventano e se la sgusciano; noi aggiungiamo buona parte dei nostri uomini alle file dei riottosi; mentre quegli altri strepitano nella fabbrica, i nostri — e mi faccio una festa di esserne ancor io del numero — si insinuano nella casa; la polizia è lontana, e prima che arrivino soldati e carabinieri a metter l'ordine l'operazione è compiuta, gli amici hanno sgattaiolato, si arrestano alcuni de' più sori e dei più innocenti degli operai — e il giuoco è fatto...— No: proruppe con forza Gian-Luigi; per ora non si ha da pensare a codesto.— Perchè? Tornò a domandare Graffigna col medesimo accento di prima.Ilmedichinoalzò la fronte dalla palma della mano, e saettando d'uno de' suoi sguardi più risoluti il mariuolo che gli stava dinanzi, disse con accento che non ammetteva più nè risposta, nè osservazione:— Perchè non voglio!Graffigna curvò il capo in segno di ubbidiente rassegnazione.— Passiamo al terzo — forse il migliore; riprese egli a dire dopo brevissima pausa. Qui trattasi d'uncolpocui da lungo tempo vengo pensando e studiandone il modo. Sarebbe quello di far ballare i tantigiallettiche ammuffiscono nelle casse di Nariccia.— Ah ah! Esclamò Gian-Luigi con un'espressione che era un incoraggiamento a continuare.— Sicuro! Qui l'affare è semplicissimo. Quel vecchio birbante di usuraio è solo con quella sua vecchia sgualdrina di serva. Le muraglie di quel suo alloggio sono sorde come il cuore del padrone, e non lasciano passar grido, nè rumore di sorta. Basta intromettersi colà dentro in tre o quattro, e il conto di ambedue que' squarquoi è bello ed aggiustato.Gian-Luigi abbassò la faccia e mormorò con accento di ripugnanza:— Ah sangue! Sempre sangue!....— Il difficile sta nel penetrare in quelle stanze, chiuse con tanto lusso di serrami da disgradarne qualunque prigione; ebbene quest'unica difficoltà spero che potremo superarla. Occorre un buon ferraio che dalle impronte di cera sappia trar fuori a dovere le chiavi che ci vanno. Queste impronte è tanto facile ottenerle che le ho già prese io medesimo andando sotto varii pretesti nell'antro di quel succiadenaro. Lacoccaoggidì manca pur troppo di un operaio così abile da far simili chiavi complicate, pulite in modo, che senza bisogno di ritocco facciano a prima prova l'ufficio loro. Avevamo quel povero Topaccio, ma la scellerata d'una giustizia ce l'ha spedito a dar calci all'aria.....Mandò un sospiro di profondo rimpianto.— Quella è stata una perdita!... Non l'abbiamo mai più potuto rimpiazzare a dovere, e gli è gran danno alla nostra associazione. Ora mi dice Marcaccio che quel suo amico Andrea, frequentatore ancor esso della bettola di Pelone, è l'uomo fatto apposta, che un più abile e destro di lui in tal mestiere non è da trovarsi in Torino, e che non ci sarebbe segreto di serratura che a lui non bastasse l'animo d'indovinare. Sinora gli è ancora irretito da qualche scrupolo di quella che chiamano onestà, ma le parole di Marcaccio cominciano a scuoterlo, e la miseria che gli monta sui talloni lo caccia verso di noi. Fra pochi giorni l'avremo nelle nostre file; egli fabbricherà bravamente le false chiavi che andranno chete chete come olio, ed ecco messo il becco all'oca.Quando Graffigna si fu taciuto, successe un silenzio di qualche minuto. Gian-Luigi pareva assorto in tutt'altri pensieri che quelli onde lo aveva intrattenuto il suo tristo compagno. Ad un tratto però, sollevò il capo che aveva tenuto basso sino allora e disse come parlando a se stesso:— Nariccia se lo merita. Spogliarlo, lui, non è che pretta giustizia.— Certo! Esclamò Graffigna.— La sua ricchezza è infame, infamemente acquistata.— Infamissima.— Mille volte è più scellerato di noi, egli che sgozza i poveri coll'usura ed assassina le famiglie colla miseria.— Eh! noi siamo angeli in paragone.— Di quante lagrime non è fatto il suo oro! Di quante brutture non è sporco!...— Noi lo purificheremo appropriandocelo... Eh! eh! ce ne sarà per delle migliaia e migliaia di marenghini.— La società tollera queste turpitudini e queste sconcie arpie; e non solo le tollera, ma le protegge!... Bene; è giustizia il punirle noi.....— Sicuro! Noi siamo gli esecutori di quest'altra giustizia senza sciocchezze di tribunali.Ilmedichinosaettò d'uno sguardo severo la faccia ironica di Graffigna.— Non hai tu più nulla da dirmi?— Nulla.— Allora dormi a tua posta e risparmiami le tue osservazioni.Il mariuolo si voltò dall'altra parte e parve in un attimo ingolfato nel sonno il più profondo.Gian-Luigi appoggiò tutti e due i gomiti alla tavola e nascose tra le mani la faccia. Pensava. Era egli stato fatto per quella parte che intanto sosteneva con tutto il suo impegno? La natura — non diceva la Provvidenza, perchè non credeva più in essa — aveva ella datogli quelle facoltà, quelle potenze che ei possedeva, per farne un tal uso? Come mai nessun'altra strada erasi dischiusa alla sua intelligente attività? Qui ricordava tutto il concatenamento dei casi che di grado in grado l'avevano menato a quel punto in cui si trovava; come la ricchezza agognata e i piaceri mondani a cui anelava gli sfuggissero innanzi con ironica schifiltà, a seconda ch'egli voleva con mezzi onesti arrivarli; come su loro avesse potuto mettere primamente le mani, quando era entrato nella via del delitto. Vedremo un giorno per quali circostanze fosse stata preparata ed affrettata la sua caduta; ma ora intanto, di pieno affondato nell'ambiente il più criminoso dell'elemento sociale più basso ed in rivolta permanente contro l'ordine vigente, contro la legge, contro la proprietà; ora egli si domandava se quell'appagamento cui godeva di parecchi suoi desiderii ed istinti bastava a soddisfargliene l'anima, se quella era la sorte ch'egli aveva nei sogni dell'adolescenza vagheggiato.Gli anni primi della sua vita gli sfilarono innanzi al pensiero, inquadrati nella scena del villaggio, e in essi principale la figura di Maurilio, che aveva ritrovato la sera innanzi. Maurilio era sempre povero, sempre ignoto, egli di cui Gian-Luigi riconosceva l'intelligenza superiore anco alla sua! Rimanendo onesto ancor esso adunque sarebbe a quel punto? Pure c'era in fondo all'animo di questo troppo traviato giovane alcuna cosa che lo ammoniva non essere impossibile per altra strada giungere di meglio a quel fastigio a cui anelava. E forse quest'altra strada l'ingegno potente di Maurilio glie l'avrebbe saputa additare. Se alla intelligenza straordinaria del suo compagno d'infanzia si unisse in un'opera comune la risolutezza, l'attività, la forza di lui, che cosa non potrebbe ottenersi da siffatta consociazione? La sera innanzi Gian-Luigi aveva detto a Maurilio che sarebbe recatosi da lui a parlargli di rilevantissime cose; ora determinò più fermamente di far ciò, appena avesse un momento di libero.Allora si ricordò che stava aspettando da più di un quarto d'ora Pelone, a cui aveva comunicato per mezzo della corda di ferro il cenno di accorrere; e con maggiore impazienza di prima tornò a dare tre più forti strappate all'anello della tavola.In quella il suo sguardo cadde sopra uno di quei pezzettini di carta ch'egli aveva gettato qua e là, lacerata la lettera di Ester. Per atto quasi irriflessivo, prese quel minuzzolo e lo accostò agli occhi. V'era scritta su una parola intiera, la parolamadre.Questa sola parola staccata, che il caso gli faceva comparire innanzi a quel modo, turbò il giovane più che non avesse fatto la lettura dell'intiero biglietto della povera Ester.— Madre? Diss'egli fra sè, e un tremito interno gli scuoteva le viscere. È la prima volta che ciò mi avviene; la prima volta che una donna mi dice: sono madre per te. Gli uomini si rallegrano di questo annunzio. Per me gli è un nuovo cumulo di fastidi. Oh che, avevo bisogno giusto adesso mi venisse sopra quest'altro imbroglio!.... Mi dice ch'io la salvi. Eh! che cosa ho da far mai, e in fin dei conti a me che cosa importa di lei e del suo bambino?Ma questa crudeltà d'indifferenza che il suo fiero egoismo gli suggeriva era troppa, perchè a lui medesimo non ripugnasse.— Ah suo padre, quel vecchio scellerato d'ebreo è capace dassenno d'ogni peggior eccesso per vendicare l'onta della sua figliuola, e siccome il vile non è feroce che coi deboli, ed io sono forte, gli è certo contro la infelice Ester ch'egli vorrà infierire.... Povera giovanetta! Ella m'ama pur tanto!...A un tratto una nuova idea gli balzò improvvisa in mezzo al cervello fra dolorosa e piacevole:E il bambino?... Ah! di quello posso bene esser sicuro che gli è mio sangue.... Che sarà di lui?Pensò che egli pure era nato probabilmente di quella guisa, che la sorte a lui toccata avrebbe avuto quell'essere che accennava volersi affacciare alla vita, che a quell'innocente avrebbe toccato eziandio aprirsi una strada in mezzo al mondo ostile e rassegnarsi od a giacere nell'oscura povertà od a conquistare col dolore e col travaglio del corpo, del cuore e dell'intelletto ogni menomo vantaggio sociale, assai probabilmente a precipitare, se maschio,nella strada del delitto, se femmina, in quella della vergogna.Una nuova, non anco provata tenerezza, di botto lo assalse al pensiero di quel bambino. I suoi occhi che raro o non mai brillavano per una espressione di dolcezza e di sensibilità, parvero inumidirsi e a mezza voce, come per farsi un promessa, come per impegnarsi innanzi a se medesimo, pronunziò le seguenti parole:— La salverò... Oh sì, la salverò, lei e suo figlio... e mio figlio!Chi può spiegare il misterioso procedere del nostro pensiero? Aveva egli appena pronunziato queste ultime parole «mio figlio» che la sua fantasia tolta di subito alle immagini che la occupavano in quell'istante, era gettata in una sfera tutto novella, in cui forse, e senza forse, non che soffermatasi, non era penetrata ancora mai. Pensò alle gioie paterne ed alle miti felicità della famiglia a lui isconosciute affatto e che in quel momento gli apparivano con tutta la loro soavità leggiadra. Si rivide innanzi la gioia serena di sposi novelli, la superba dolcezza di genitori bacianti il frutto delle loro viscere; gioia e dolcezza a cui appena aveva badato per lo addietro, cui aveva fors'anco disprezzato e deriso, che in quell'istante gli apparivano inaspettatamente — quali sono — le migliori cose del mondo.E perchè non cercherebbe colà il suo bene, egli pure? Si immaginò di colpo circondato dal caro ambiente d'una famiglia — sua — e in questo ambiente, luce e profumo la virtuosa modesta bellezza d'una donna affettuosa. Anzi questa vagheggiata beltà gli apparve personificata in forme reali, e vedute poc'anzi — non quelle della misera Ester da lui sedotta — ma quelle della graziosa Maria. Si compiacque un istante di questi pensieri e di queste immagini. Sorse in piedi e si pose di nuovo a passeggiar su e giù, le braccia incrociate al petto e il capo chino.Quella stanchezza della sua opera infame, quel fastidio de' fatti suoi, che vedemmo averlo assalito poc'anzi, lo presero più forte. Egli conosceva abbastanza la sua potenza per credere che dove avesse voluto sarebbe entrato vincitore nel cuore della fanciulla, era abbastanza pratico di codesto per esser certo senza fatuità che una prima favorevole impressione egli l'aveva già in Maria prodotta: sapeva d'altronde che dalla famiglia era quella giovane amata cotanto da non voler contrastare ad una passione che la dominasse sovrana, e che insoddisfatta la renderebbe infelice. Egli adoperandosi fruttuosamente — e di ciò era certo — per restituire a quegli afflitti e sgomentati genitori il figliuolo avrebbe acquistato da quelle anime generose tanta gratitudine quanta sarebbe stata a sufficienza per coadiuvare all'amore di Maria per lui affine di ottenerlo a sposo. Egli si scioglierebbe dall'infamia, si allontanerebbe; la famiglia Benda era ricca, e la dote data alla figliuola sarebbe stata tale da bastare a vivere agiatamente....Ma qui l'idea del denaro che s'intromise in quel romanzo morale cui la sua fantasia stava facendo, ne corruppe tutta la composizione, tolse lo spirito di Gian-Luigi a quel puro ambiente in cui era disavvezzo pur troppo e lo ricacciò nelle fangose peste dove soleva dibattersi. La cosa non gli apparve più che come un affare di guadagno, di cui da discutersi se più o meno il vantaggio. Una modesta agiatezza era quella che sarebbe bastata per lui? E dove ne andavano tutti i profondi e complicati disegni ch'egli aveva fatto per isconvolgere la società e vincere in quella guerra all'ordine costituito, la quale, da sorda, bassa e criminosa, doveva un giorno nel suo concetto scoppiare aperta e potente alla luce del sole per far lui primo e glorioso, e dominatore? Quelle acri ambizioni, quei feroci istinti insaziabili che lo tormentavano, oh come avrebbero taciuto di subito? E non sarebbe stato segno d'impotenza la rinuncia? No no; egli si ripeteva che era preso, da non potersene sceverare più, per le ruote dentate di quella macchina ch'egli stesso metteva in moto. Non c'era da illudersi con altre idee. Egli doveva in quella strada continuare per giungere alla meta o soccombere.— E quel birbante di Pelone non viene! Disse egli ad un tratto, ritornando collo spirito alle cose presenti ed al bisogno che aveva di parlare col bettoliere.In quella ecco un leggier fruscio sentirsi verso l'entrata e Gian-Luigi che si volse vide venir sollecita con un bel sorriso tutto amoroso Maddalena, la serva dell'osteria.Ma il sorriso della giovane si agghiacciò sulle sue labbra al vedere la fronte corrugata e l'aspetto corruccioso delmedichino.— Che cos'è codesto? Gridò egli con quell'accento che faceva tremare. Gli è mezz'ora che aspetto; e poi non ho chiamato te, ma ho chiamato Pelone.Maddalena, tutto mortificata, rispose coll'accento di chi si difende ingiustamente accusato:— C'era gente nell'osteria....— E perchè non è venuto Pelone?— Gli è dietro a trattare di certi suoi negozi coll'ebreoMacobaro.— Ah ah! Sclamò Gian-Luigi con istrana espressione: gli è costì quel vecchio strozzino? Affè che fra lui e Pelone fanno il paio.— L'oste sa che io ho e che mi merito tutta la tua fiducia: continuava la giovane moineggiando: e non ha pensato farti cosa disgradita mandando me in sua vece a vederti.Ed accostatasi presso presso a lui, gli pose sotto gli occhi la sua faccia volgare, ma fiorente di gioventù, e gli fece balenare innanzi il suo sguardo procace pieno di sensualità.Sulla bocca delmedichinopassò un'ombra di sorriso; e Maddalena, tornata nella sua naturale audacia, ne prese incoraggiamento a gettargli le braccia al collo e ad appiccicare le sue labbra carnose su quelle di lui, in un amplesso pieno di voluttuoso ardore.Ma egli si sciolse dalle braccia della donna e la respinse alquanto bruscamente da sè:— Stai ferma: le disse severamente. Ve' che c'è alcuno.Maddalena, volgendosi, vide nell'ombra d'un angolo dello stanzone luccicare la pupilla maliziosa di Graffigna che teneva un occhio aperto e l'altro chiuso.— To' Graffigna!— Non vi disturbate: disse costui col suo tono di affettata bonarietà beffarda: io dormo, amorini miei, e non vedo nulla.— Senti, Maddalena: proruppe Gian-Luigi senza badar punto a Graffigna ed alle sue parole; ciò di cui volevo interrogare Pelone, me lo puoi dire anche tu, e quello che con esso lui volevo combinare, possiamo aggiustarlo eziandio fra noi due. Varii agenti di Polizia frequentano la taverna, non è vero?— Sì.— Rispondimi sull'anima tua, rispondimi la verità per quanto hai di più caro, e se ci tieni all'amor mio.— Ci tengo come alla mia vita e non puoi dubitar punto nè della sincerità, nè della verità delle mie parole.— Qualcheduno di questi poliziotti travestiti mi ha visto nella bettola o poco o assai?— Giurerei di no. Quando ce n'entra qualcuno, siam lesti ad avvisartene e tu t'affretti a sparire. Ieri sera non aveva ancora messo il muso nella prima stanza quello che mi pare il più accorto ed il più autorevole di quei birboni, che io già ti avevo fatto avvertito...— Come si chiama questo tale?— Barnaba.Gian-Luigi si rivolse a Graffigna.— Dà retta tu, e tieni bene a mente questo nome.— Non dubiti: rispose quell'altro aprendo di nuovo un occhio solo. Me lo stampo qui nel comprendonio e non va via più.Ilmedichinocontinuava parlando a Maddalena:— In quel momento che attirato dal rumore della rissa di Marcaccio ho commesso l'imprudenza di venir fuori nella stanza comune, eravi forse colà uno di quei segugi del Commissario?— No: rispose la fante. Ti dico che appena spunta il grifo di uno di codestoro, non manco mai di porti in sull'avviso.— Ma li conosci tutti tu?— Certo che sì... Pelone, come tu glie ne hai ordinato, me li ha fatti conoscere dal primo all'ultimo.— Ed abbiamo proprio da fidarci che quel vecchio carcame di Pelone non abbia celato nulla?— Pelone non avrebbe nessun interesse a ingannarci; guadagna troppo ad esserti fedele, e ti teme troppo — te ed i tuoi — per pensar pure a tradirti. Del resto, ancorchè egli volesse tenermi nascosto qualche cosa di ciò, io ho abbastanza buon naso per iscoprire da me dove c'è del losco. Scommetto che se una nuova spia si presenta, fosse pure fra cinquanta, al primo acchito la riconosco per quello che è.— Va benissimo. Or dunque ascolta ciò che voglio da te e da Pelone. Troverete modo che io, nascosto dietro l'usciolo segreto, veda il muso, un per uno, di tutti quei poliziotti che ci favoriscono. Hai capito?— Sì, e nulla è di più facile. Pelone ha mille pretesti per radunarli nella camera dell'impiallacciatura; per esempio quello di denunziare qualche miserello di ladruncolo da due quattrini. Ciò giova a mantener la benda sugli occhi della Polizia. Tu, avvertito, sarai a tuo posto a guardare traverso i bucherelli.— Hai ragione. Avvisane adunque Pelone, e più sollecitamente ciò si faccia meglio sarà. Ora vattene pure alle tue bisogne, Maddalena, e di' aMacobaro, se gli è ancora costì, di venire da me che ho giusto piacere di parlargli.Ciò detto si avviò ad un usciolo che si trovava in prospetto a quello d'ingresso, e con un'altra di quelle chiavettine radunate a mazzo nell'anello d'acciaio, lo aprì.Ma la fante non era partita; essa guardava il giovane con occhi che parevano una fiamma viva; e quando egli stava per entrare in quello che era il suo gabinetto riposto, ella gli fu accosto colla sua petulanza sempre più procace, e gli disse col suo sorriso da cortigiana:— Mi mandi via così? Non hai più bisogno di me?Ilmedichinola guardò con una fredda fissità.— Accendimi il lume nel gabinetto, e vai a chiamarmiMacobaro.Maddalena in un momento ebbe accesa la lampada in quel riposto stanzino, Gian-Luigi era entrato e gettatosi a sedere sopra un seggiolone dinnanzi ad una scrivania ingombra di carte; aveva appoggiato al bracciuolo il gomito destro, sorreggeva alla palma della mano la sua fronte e pareva lontano col pensiero le mille miglia dalla donna che non si risolveva a partirsi.Passarono alcuni minuti di questa guisa, egli immobile nella poltrona, ella coprendolo di quel suo sguardo acceso, in cui l'ardenza del desiderio pareva congiungersi al dispetto; poscia Maddalena si accostò pianamente a lui, si appoggiò alla spalliera del seggiolone e curvandosi sopra il giovane susurrò con voce sommessa e quasi tremante:— Luigi!Egli alzò vivamente il capo ed aggrottò le sopracciglia.— Che è codesto? Vi dissi di partire, e voi?...Maddalena gli si abbandonò addosso con tutta la persona, abbracciandolo e baciandolo con passione.— Ah! Luigi, tu non mi vuoi più bene..... Ed io che te ne voglio tanto, tanto, e sempre di più!... Una volta non mi avresti trattata così.Gian-Luigi prese le braccia della giovane e togliendosele di sopra le spalle serrò i due polsi nella sua destra piccola, fina e bianca, ma forte come tenaglia: allontanò da sè la persona di Maddalena, senza sgarbo e senza violenza, ma con una certa bruschezza che dinotava un principio d'impazienza, e disse col suo tono da gran signore:— Olà! Vogliamo noi per caso introdurre delle novità? Oseresti far delle scene o tentar dei rimbrotti? Eh via! Maddalena, o non mi conosci ancora, od oblii chi sono.— E tu dimentichi che una donna come son io non si può rassegnare a tanta trascuranza, a tanta indifferenza... Ho bisogno di vederti io, ho bisogno d'esser tua, ho bisogno di te.Abbassò la voce, e le parole passarono fischiando fra i denti stretti cui le labbra contratte scoprivano sino alle gengive:— Sono gelosa!... Tremendamente gelosa!... Oh! le tue belle signore, come le odio! Esse vesti di velluto e di seta, ed ori e gioielli intorno nei saloni eleganti... E le ti piacciono per questo... Io, povera, poveramente vestita, in un'umile taverna, serva degli avventori e di che avventori!...Sulla faccia delmedichinosi dileguò quell'espressione d'impazienza che incominciava ad accostarsi alla collera; una specie d'interesse simpatico vi si sostituì; gli era sempre quella terribile questione dei ricchi e dei poveri che gli veniva dinanzi; era quell'ambizione e quell'invidia che lui tormentavano, le quali apparivano ancor esse nella passione di Maddalena; egli la guardò seriamente e quasi con pietà.— Lena, le disse, tu potresti avere e belle vesti ed ogni cosa che hanno le ricche, e potrei procurartene io stesso; ma tu sai che mi sei utile rimanendo in queste umili condizioni in cui ti ho trovata. Ho bisogno di un'anima fidata come sei tu...— E s'io ti sono utile, proruppe la donna, e se io sono pronta a dare anche il mio sangue per te, perchè mi ami tu meno di quelle tue schifiltose poppatole delle sale, che, dove sapessero il vero esser tuo, ti sprezzerebbero e si vergognerebbero di averti conosciuto?Una fiamma di rossore passò sulla faccia di Gian-Luigi.— Ah! se mi trovassi mai una volta muso a muso con una di quelle smorfiose! Sclamò Maddalena con represso furore, digrignando i suoi denti da jena. Che sì che mi piacerebbe disfarle quel mostaccio imbellettato.Ilmedichinosi alzò.— Oh basta: diss'egli severamente. Che diritto hai tu sopra di me? Che promesse ti ho io fatte di cui tu possa invocare il mantenimento?Maddalena liberò le sue mani dalla stretta di quella di Gian-Luigi e si contorse le braccia in atto di disperazione.— Sì, gli è vero! Esclamò essa con accento tronco e doloroso, che pareva interrotto dal singhiozzo. Sì, che cosa sono io? Un nulla, una povera stracciona a cui tu hai fatto un grande onore prendendola, di passata, per un passatempo, o meglio per incatenarla di più a te, affine di servirtene mediante un'elemosina di amore. È vero: io non ho chiesto nulla, e tu non mi hai nulla promesso. Con che fronte avrei io domandato? Ma la mia cieca devozione, ma il mio sconfinato abbandono, ma l'aver io tutto lasciato del mio passato, non meritano forse da te alcun riguardo?— Lo meritano e lo hanno: disse Gian-Luigi colla calma d'un superiore che si piace d'accondiscendere alle preghiere d'un subalterno; e passando carezzevolmente la mano sui capelli della giovane, soggiunse con alcuna tenerezza nell'accento: — Non ti ho io introdotta nei misteri della mia vita; non sei tu conscia di me come l'anima mia? Oh va che nessun'altra può competer teco a questo riguardo. Non cerco io da te altresì delle dolci ore d'oblìo?...— Ah! troppo poche e troppo di raro: interruppe sfacciatamente Maddalena.Ilmedichinosorrise e poi soggiunse fra severo e scherzevole:— Indiscreta!..... Ma nè il mio umore, nè i miei sensi sono fatti per essere incatenati a servitù di sorta.Si udì uno stropiccio di passi nello stanzone che precedeva il gabinetto.— Zitto! Disse Gian-Luigi, abbassando la voce: qui v'è gente che aspetto. Va, Maddalena, e di' aMacobaroche fra un'ora venga a parlarmi qui dove l'attenderò..... Te poi... te attenderò questa sera, dopo chiusa l'osteria, a mezzanotte.Maddalena mostrò i suoi bianchi denti in un sorriso di tutta gioia e sparì. Nello scuriccio dello stanzone dettoCafarnaosi avanzavano due uomini, di cui uno aveva gli occhi bendati. Erano il domestico di Gian-Luigi e Mario Tiburzio.
Gian-Luigi, nel salire in carrozza, disse al cocchiere:
— A casa, di galoppo.
Cinque minuti dopo il legnetto entrava nel cortile della casa in cui abitava il dottor Quercia.
Questi scese sollecito e levandosi in punta di piedi, a bassa voce disse al cocchiere che si chinava verso di lui per udirne gli ordini:
— Andrai tosto ad avvertire i capisquadra dellacoccache si radunino stassera alle sette nella taverna di Pelone.
Il cocchiere fece un cenno affermativo.
— Poi verrai qui e starai pronto ad ogni evento tu e la carrozza.
Detto questo corse su delle scale verso il suo quartiere. Quell'altra faccia sospetta che gli serviva da domestico gli venne incontro fino sull'uscio del pianerottolo.
— Ho udito la carrozza: gli disse, appena Gian-Luigi fu entrato; ed ho pensato che era Lei che tornava. Abbiamo qualche cosa di nuovo?
— Sì: rispose Gian-Luigi. Aspetta che ti do due lettere da portare.
Si mise al suo tavolino a scrivere di fretta. Un bigliettino vergò sopra un elegante fogliolino di carta lisciata, il quale diceva in lingua francese:
«Contessa. Due miei amici, due bravi giovani, gli avvocati Benda e Selva, furono arrestati per sospetti politici — affatto a torto, ve lo giuro. Bisogna che per mezzo del conte e di vostro padre mi aiutiate a farli rimettere in libertà. Fra due ore al più tardi sarò da voi a spiegarvi meglio la cosa, ma frattanto non perdete tempo e pregate il conte a parlare al generale Barranchi in favore de' miei protetti, e scrivete al barone La Cappa di volere interporre la sua valevole protezione presso il Governatore. Addio, vi bacio le mani e sono — quegli che vi ama alla follia — Luigi.»
Sopra un pezzettino di carta qualunque scrisse:
«Seguite colui che vi presenterà queste parole di mio pugno. — Seguitelo subito. — Preme — Q.»
Diede i due scritti al domestico il quale con istrana famigliarità, di sopra la spalla del padrone, aveva letto tutto ciò che questi era venuto scrivendo.
— Questo, disse Quercia accennando il bigliettino, lo porterai...
E il domestico interrompendo con un insolente sogghigno:
— Alla contessa Staffarda ci s'intende... Ma dica un po', sormedichino, che cosa è l'arresto di questi due di cui fa cenno? Sono essi deinostri?
— No: riprese Gian-Luigi crollando impazientemente le spalle.
— Be'... Io son di parere allora che la fa male Lei ad immischiarsene... La Polizia non bisogna toccarla, se non ci tocca... Lasci un po' che arresti chi vuole, quando la non ci viene a rompere le tasche a noi.
Ilmedichinosi volse con tutta l'autorità e l'imponenza della sua supremazia.
— Olà! Mi pare che tu ti picchi di farmela da mentore eh?... Non tollero di queste seccaggini, io... fai quello che ti dico senza rompermi le tasche, ne prendo un altro a tua vece.
— Non parlo più: disse il domestico raumiliato. Mi pareva.... credevo bene.....
— Ti pareva falso e credevi male..... Stai certo che tutto ciò ch'io faccio gli è pel bene dellacoccae non seccarmi altrimenti. Quest'altro fogliettino recherai in via porta..... nº..... piano terreno, uscio a dritta, appena nel vestibolo. Batterai nell'imposta sinistra due colpi, poi dopo un piccolo intervallo un altro, poi dopo altra pausa ancora tre; allora la porta ti si aprirà ed a chi ti verrà innanzi farai i segni dell'iniziazione massonica; quando ti avrà risposto, domanderai se esso è Medoro Bigonci..... Ricordati bene questo nome..... Alla risposta affermativa gli consegnerai quella carta, che ti farai restituire, ed appena sia pronto lo condurrai inCafarnao, passando non per la bettola ma per la bottega diBaciccia. Io sarò là ad aspettarvi.
— InCafarnao! Esclamò il domestico stupito all'estremo. Proprio inCafarnao? Ripetè come se credesse di non aver capito.
— Sì: disse asciuttamente Gian-Luigi.
— Un estraneo?
— Egli è tale di cui si può fidare completamente, e le cose che abbiamo da dire, sono di natura da non esser dette che nel più segreto nascondiglio del mondo. D'altronde, giunto nella retrobottega diBacicciagli benderai gli occhi e non gli leverai la benda finchè non sia penetrato fino nel mio gabinetto. Conducendolo fuori si farà lo stesso, così vedrà nulla di nulla. Ve l'ho già introdotto io altra volta di questa guisa ed ei non ha il menomo sentore della vera destinazione di quel nostro sotterraneo riparo.
Mandò un sospiro quasi di rimpianto e mormorò fra i denti:
— E se l'avesse, egli non ci metterebbe i piedi di certo. Hai capito? — Riprese parlando ad alta voce al domestico.
— Farò come la vuole.
— Benissimo. Vai e sollecita.
Il domestico si partì; Gian-Luigi si cambiò frettolosamente di abiti da capo a piedi ed avviluppatosi in un ferraiuolo uscì ancor egli e si diresse verso un'estremità della città, da quella parte precisamente in cui erano i quartieri più antichi e poveri, e in essi la taverna di mastro Pelone[4].
Eravi colà — ora non esiste più — un gran quadrato di case ammonticchiate l'una accosto all'altra in una massa compatta, traverso cui non passava nessuna via pubblica, ma si aprivano molti cortili e cortiletti la più parte umidi e sporchi, i quali, comunicando fra loro per anditi bassi e porte, formavano una specie di labirinto cui solo poteva percorrere senza smarrirsi chi ne avesse acquistato il filo colla pratica.
La bettolaccia di Pelone si apriva in questo quadrilatero dalla parte che costeggiava la viuzza di cui ho parlato nell'aprirsi di questo racconto: nel lato precisamente opposto, il quale si trovava allo estremo lembo delle abitazioni e quindi metteva sopra i viali, quasi all'altezza medesima della taverna, vedevasi un muro che separava da un tratto di terreno incolto, corrente presso le case fra queste ed il viale, un cortiletto in fondo a cui biancheggiava una casetta d'un piano, ristorata di fresco, la quale colla sua lindura e pulitezza faceva strano contrasto alla miseria delle casipole che la circondavano.
Quella casetta aveva una misteriosa storia cui raccontavano con mille varianti le comari del quartiere. Molti anni prima era di proprietà d'un vecchio misantropo che la fama diceva ricco assai e che viveva da povero, solo, senza servi, senza conoscenti, senz'attinenza nessuna di nessuna sorta. Le vecchie, che ricordavano averlo visto, dicevano che aveva la faccia d'un birbante: che pareva il delitto incarnato in un omiciattolo macilento, rugoso, sporco, scontroso e ributtante. Lo si accusava d'ogni più orribil fatto — e sopratutto di essere uno stregone. Dicevasi che la notte strani rumori si sentivano in quel locale, e che il diavolo ci doveva venire di sicuro a tener compagnia a quel solitario. La casa aveva il medesimo aspetto del padrone; le muraglie n'erano verdastre; i ragnateli pendevanodapertutto, il tetto pareva minacciare rovina; la grondaia cascava staccata da una parte: gli scalini per cui si saliva al peristilio dell'unico ripiano erano disfatti e le lastre di pietra vacillavano sotto il piè vacillante di quel vecchio che solo varcava quella soglia. Era una casa che da lustri e lustri si lasciava andare in rovina.
Un giorno il vecchio misantropo non fu visto uscir più secondo che soleva tutte le mattine; le imposte delle finestre rimasero ermeticamente chiuse, e non fu udito più, nè visto colà dentro cenno di vita alcuno. Passarono e due e tre giorni di siffatta guisa, finchè la pubblica autorità, avvertita, penetrò di forza in quella casa, e trovò il vecchio appiccato per la gola ad un trave del soffitto. Non c'era traccia alcuna di violenza; nulla era derubato; si pensò che il vecchio medesimo, stanco di quella sua vita da orso, s'era ammazzato: si fece il suo bravo processo verbale e, dopo qualche giorno di chiacchere d'ogni fatta, la cosa fu posta in oblio. Il vecchio non lasciava eredi. Il fisco prese possesso di quella catapecchia, e la lasciò nello stato in cui si trovava, non sapendo che farne. Per molti anni essa rimase disabitata, e le comari del quartiere affermavano che la notte ci tornava lo spirito tormentato del vecchio omicida a farci chiasso. Finalmente quattro anni prima dell'epoca del nostro racconto, tutti i vicini stupirono nel vedere muratori e falegnami e poi tappezzieri all'opera a cambiare quelle luride muraglie in un'elegante dimora piena d'ogni ornamento e di ogni sontuosità che per comodo e per lo sfarzo della vita abbia saputo inventare la civiltà moderna.
Il dottor Quercia aveva comperato quella casa e la faceva con grande spesa ridurre apetite-maisonper farne il nido de' suoi amori e delle sue avventure galanti.
Gli è verso questa sua casetta che Gian-Luigi diresse i suoi passi. Giuntovi, aprì la porta del muro che metteva nel cortile e la richiuse dietro sè appena entrato. Alla destra, addossato al muro, eravi all'interno un casotto da portinaio, ma la porticina e la finestra chiuse compiutamente anche alla luce dinotavano che non ci stava nessuno. Gian-Luigi traversò il cortile camminando sulla neve caduta, che nessuno aveva spazzato, e salito i tre scalini, che egli aveva fatto mettere di marmo e riparare da una piccola tettoia di ferro e cristalli (di quelle che diconsimarquises) aprì la porta di legno ben lavorato con ornamenti di bronzo, ed entrò, chiudendo anche qui studiosamente l'uscio dietro sè non solo con doppia mandata del serrame, ma con un forte paletto di ferro, che fece scorrere dall'una all'altra imposta.
Varcata la soglia eravi un breve andito a colonne che metteva in una sala piuttosto vasta, costrutta ed ornata secondo l'architettura ed il gusto dell'arte pompeiana. Il rumore dei passi era ammortato da uno spesso e ricco tappeto, e due bocche di calorifero alle due pareti laterali a chi entrasse mandavano un dolce tepore come di stufa per fiori. Senza deporre nè cappello nè ferraiuolo, Gian-Luigi traversò la sala ed entrò in una camera il cui uscio trovavasi precisamente in prospetto a quello d'entrata. Era un salotto ritirato, quieto, con tutte le delicature del lusso moderno, con diffusavi una luce semicrepuscolare che invitava l'anima al raccoglimento, i sensi all'abbandono, la voce a suonare sommesso. Sulle pareti era tesa una tappezzeria di seta gialla a fiorami d'ugual colore ma di tinta più scura; di seta gialla erano coperti il lettuccio da sedere, il sofà da starci due a discorrere, le seggiole a spalliera ricurva per accogliere comodamente la persona, le poltroncine, soffici tutti quanti, colle molle elastiche, ecapitonati. Il legno dei mobili, degli usci, la cassa de' fiori presso la finestra in cui profumavano l'aere viole mammole, resedà e vaniglia, le cornici dei due alti specchi che si appoggiavano a due mensole elegantissime erano bianchi coi fregi e gli orli dorati. Un piccolo lustro dorato, di elegante forma, pendeva a metà dalla vôlta bellamente dipinta d'ornamenti architettonici e di vedute di paesi fra quelli inquadrate. Un più elegante tappeto copriva il pavimento e nel camino, tutto rivestito di marmo finissimo, ricco di belle scolture, dietro alari e paracenere elegantissimi di bronzo dorato ardeva un bel fuoco che una mano attenta doveva avere da poco tempo rianimato.
Gian-Luigi non si fermò neanche in questo salotto, aprì l'uscio che era alla sua destra e s'introdusse in una camera da letto che era tutto un'eleganza ed una gaiezza. Le tappezzerie, di seta altresì, erano di color celeste; di bianco e di celeste era incortinato il letto di legno di mogano, prezioso per egregio lavorio; dalla finestra per tendoline di seta rosea coperte di mussolina bianca si stacciava una luce a tinte soavi e calde che si rifletteva con effetto molto pittorico sugli orli dei mobili dorati; la vôlta formicolava di fiori e d'amorini sorridenti vagamente dipinti in ogni mossa; dal mezzo pendeva un canestrino indorato nel quale fioriva una di quelle strane piante erratiche a cui non è bisogno per germogliare e vivere la prosa della terra, ma che si alimentano poeticamente dell'aria, e in mezzo c'era luogo ad una lampada che dal cristallo opaco mandasse il suo lume travelato, non a rischiarare, ma ad assistere in quel tempio della voluttà ai dolci misteri della notte. Due specchiere alte da terra alla cimasa superiore della parete si facevan faccia dall'una all'altra parte della stanza, e il letto, posto in mezzo, era riflesso da ambedue all'infinito in una interminabile infilata.
Il giovane, entrato, chiuse studiosamente dietro sè la porta, come se temesse che alcun occhio profano avesse da vedere ciò ch'egli stava per fare, e non la chiuse soltanto colla stanghetta a molla, madiede colla chiave due mandate al serrame, quasi per esser sicuro che nessuno potesse venire a sorprenderlo. La precauzione poteva in vero dirsi soverchia, poichè aveva egli già serrato e il portone da via, e la porta d'ingresso della casina, e ben sapeva che nessuno aveva chiavi da penetrar colà dentro contro sua voglia o ad insaputa; ma il segreto che si celava in quella camera così elegante da parer fatta per gli amori soltanto, era pure di sì gran rilievo che per abitudine da non trascurarsi mai, egli s'era imposto ogni fatta di maggiori cautele cui potesse suggerire la più diffidente prudenza.
Gian-Luigi gettò uno sguardo sopra una mensola dove stava un gruppo di bronzo dorato in istilerococò, rappresentante con allusione mitologica varii amorini incatenatori del Tempo, il quale portava sulle sue spalle un orologio a pendolo.
— Di già le dieci ore!.... Come passa il tempo! Decisivamente la giornata è troppo corta per le tante cose che m'impone questo lavoro di Gigante assalitor dell'Olimpo..... Ah delle volte sono stanco!....
Vide in una delle specchiere, innanzi a cui si trovava, la sua faccia giovenile, impressa di tanta baldanza e risoluzione, e sorrise a sè stesso.
— Eh via! Sono troppo innanzi nel cammino per fermarmi..... E lo potrei d'altronde?.... Sono preso fra i rocchetti d'una macchina ch'io guido bensì, ma di cui sono schiavo insieme. Il giorno ch'io mi arrestassi o volessi ritrarmene sarei inevitabilmente schiacciato.
Le sue sopracciglia si aggrottarono un momento in fiera guisa.
— Io che voleva esser libero! Soggiunse con molta amarezza. Io che voleva dominare..... e che voglio!
Crollò le spalle e s'avviò senz'altro, con passo d'uomo che non ha esitanza di sorta, verso la specchiera che era in fondo alla camera. Si drizzò in punta di piedi, e trascelto in mezzo ai fiori scolpiti della cornice un bottoncino di rosa, cui nulla poteva far distinguere dai moltissimi altri che vi si ammassavano uniti ai fiori sbocciati, vi premette su lentamente col pollice inguantato, perchè l'azione della pelle non avesse da appannare la doratura. La specchiera girò adagio adagio sopra cardini invisibili, e lasciò scorgere un ambiente entro il muro in cui s'apriva nel suolo una scala a chiocciola che s'affondava tenebrosamente al di sotto.
Gian-Luigi accese una lampada a cristallo chiuso che trovavasi in una nicchia entro la parete di quello stretto stanzino intermurale, poi fatto ritornare a posto la specchiera, e rimasto egli così in una oscurità profondissima, si diede a scendere rischiarandosi del raggio che mandava innanzi a sè la lampa da minatore.
Discese per l'altezza di circa dieci metri e trovossi in un vano uguale a quello da cui dall'alto partiva la scaletta; fece cadere il raggio della lucerna sopra una porta di legno afforzata da lastre di ferro, nella quale presso il muro umidiccio, chiazzato di bianco qua e là per l'efflorescenza del nitro, aprivasi un bucherello in una lastra d'ottone fortemente, non che invitiata, incastrata nel legno. Era una di quelle serrature inglesi che si diconoa pompache impossibile lo aprirle ad ogni grimaldello, impossibile quasi il romperle e scassinarle. Gian-Luigi trasse dal taschino del panciotto un anello d'acciaio in cui erano infilate parecchie piccole chiavi, e trasceltane una, l'ebbe appena introdotta in quel bucherello della toppa che la porta si aprì chetamente senza fare il menomo rumore. Un corridoio s'internava sottoterra e lasciava luccicare nella densa nebbia delle sue tenebre tratto tratto alcune fiammelle di lampa rischiaratrice che parevano chiazze sanguigne nel fondo nero di quell'oscurità. Un'aria fredda, umidiccia, pesante percoteva nel volto chi entrasse e gli si aggravava sulle spalle come un mantello di gelo che lo vestisse. Un silenzio sepolcrale ammoniva chi camminasse per quell'ombre visibiliesser egli separato dal mondo dei viventi come se rinchiuso nella tomba. Qualche goccia di acqua infiltrata rompeva soltanto quella mutezza cascando tratto tratto con lieve rumore sul suolo. Gian-Luigi si avviluppò di meglio nel suo mantello e serrato anche qui alle sue spalle l'uscio pesante camminò innanzi di buon passo e coll'andatura di uomo pratico dei luoghi e della via.
A seconda che avanzava, il terreno che saliva si faceva più asciutto, e l'aria più libera e più mossa. Giunse così dopo un centinaio di passi ad una rotonda tutto murata, di cui il pavimento era composto di lastre irregolari di pietra e nella quale dall'alto pioveva per parecchi forami un po' di luce diurna ed aria esteriore. In quella rotonda facevano capo due altre gallerie cieche, uguali a quella che Gian-Luigi aveva allor allora percorso venendo dalla sua casina; di questi altri due condotti sotterranei uno metteva alla taverna di Pelone, l'altro alla retrobottega di quelBacicciache abbiamo udito menzionare dalmedichino, il quale la faceva da ferravecchi e mercante di mobili usati. Questi tretunnelscorrevano sotto l'ammonticchiamento di quelle casaccie che ho detto, sino al centro di quell'isolato vasto e compatto dove quella rotonda trovavasi sotto un cortile interno il quale raramente o non mai veniva visitato da persona che non vi abitasse; e gli abitanti di quella miserrima casa erano la feccia morale e materiale della popolazione.
Ma la rotonda di cui ho detto, non era mica la meta dei passi di Gian-Luigi. Essa non era che il vestibolo del luogo a cui era diretto. Un uscio forte e grosso come quell'altro che era a capo del corridoio sotterraneo, apriva i due suoi battenti sopra uno scalino che lo rialzava dall'umidità del suolo,su cui traverso i fori della vôlta era caduta e cadeva un po' di neve che veniva liquefacendosi tosto. Gian-Luigi trascelse un'altra di quelle chiavettine che aveva radunate a mazzo in quell'anello d'acciaio, cui l'abbiamo già visto trarre dal taschino del suo panciotto, ed aprì colla medesima guisa anche questo uscio.
Al di là di esso continuavasi a salire per cinque altri gradini, che si seguivano in un andito ascendente, accuratamente murato, colla calce lisciata e scialbata. Più asciutto si faceva l'ambiente, un'aria più pura si respirava; piccole aperture a mo' di feritoie, aperte qua e colà con arte che le dissimulava, servivano da sfiatatoi e facevano penetrare un certo dubbio chiarore crepuscolare, come servivano a rinnovar l'aria.
Gian-Luigi aveva già chiuso alle sue spalle anche quest'uscio della scala, quando, ravvisatosi, tornò ad aprirlo e lo lasciò rabbattuto. Poi salì i gradini; depose la lanterna sopra una panca che trovavasi in una specie d'anticamera in cui metteva la scaletta, e sospinse un uscio che trovò aperto innanzi a sè.
Entrò in una vasta cameraccia, aerata ancor essa, come la gabbia della scala e l'anticamera, mercè que' certi sfiatatoi che ho detto, i quali non bastando a gran pezza ad illuminarla, era mestieri di una lampada, che pendeva dalla vôlta continuamente accesa a rischiarare l'infinita, confusa, enorme, varietà di oggetti d'ogni fatta che facevano ingombro colà dentro, non lasciando libero di quell'ampio stanzone che uno spazio di circa due metri in metà.
Ogni cosa qualunque che possiate immaginare di quelle che servono all'uso dell'uomo, avreste potuto colà rinvenire: armi e vestiario, mobili ed utensili da lavoro, arnesi di cucina e suppellettili eleganti da salotto signorile, materassi e biancherie, quadri, bronzi e strumenti musicali, stoffe, tappeti, stipi, casse di ferro e stoviglie, oriuoli a pendolo e da tasca, gioiellerie, e cenci e cordami, perfino libri e quaderni di musica, perfino crocifissi e statue di Madonne di varia materia e lavoro, candelieri, vasi da chiesa, paramenta da altare e da sacerdote celebrante, argenteria da tavola, tabacchiere di preziosi metalli, decorazioni cavalleresche, bottiglie di vino, parrucche, barbe posticcie, pali di ferro, martelli, tanaglie, ascie, le più ignobili come le più sontuose cose del mondo. Se il signor Bancone, quel ricco banchiere che due notti innanzi era stato derubato, avesse mai potuto penetrare colà dentro, avrebbe riconosciuta la principale delle sue casse di ferro, nella forza e nel segreto congegno dei serrami della quale tanto confidava, rotta e sventrata giacente in un angolo.
A ragione questo celato riparo l'avevano battezzato col nome diCafarnao. Ma aimè su molti di quegli oggetti — orrida vista! — c'erano macchie di sangue.....
Gian-Luigi s'inoltrò fra quelpandemonioe venne presso ad una tavola che stava nello spazio lasciato vuoto in metà. Su quella, al di sopra di una delle gambe che la reggevano, vedevasi un anelluccio attaccato ad un tondello di ottone; ilmedichinoprese quest'anello e tirò su con forza un'asticina di ferro che entrava nella tavola, e la quale, per mezzo d'un filo metallico, metteva in moto nella bettola di Pelone un martello nascosto che batteva dei colpi contro l'interno della parete dietro il banco del taverniere medesimo. Diede tre strappate ad un piccolo intervallo l'una dall'altra, poi levatosi il cappello ed il ferraiuolo, fece per gettare l'uno e l'altro sopra un viluppo di materassi e di balle di lana che era alla sua destra. Ma là, sopra quell'ammasso di cui s'era fatto un comodo giaciglio, stava lungo e disteso un omiciattolo colla faccia sottile, col naso appuntato, il quale aveva aperto un occhio per guardare ilmedichino; un occhio vivo, irrequieto, malizioso, ironico ed impertinente.
— Sei tu, Graffigna? Disse Gian-Luigi deponendo altrove il mantello ed il cappello. Che cosa fai tu costì?
Graffigna tirò giù lentamente le gambe, l'una dopo l'altra, si drizzò in piedi, e rimanendo appoggiato allo stramazzo su cui poco prima giaceva, rispose colla sua voce esile da falsetto, che strideva come l'unghia d'un avaro sopra lastra di vetro:
— Dormivo. Si lavora tutta la notte di santa ragione da quel bravo Graffigna che si è, e un po' di riposo lungo il giorno vi ristora un uomo come una scodella di brodo con dentrovi un mezzetto dibarbèra. Qui poi si può dormir tranquilli senza la paura della zampa del gatto. Pur tuttavia sono così avvezzo a non dormire che d'un occhio, che l'ho sentita venire, sormedichino.... ed ecco l'affare!
— Va bene... Non voglio disturbarti... Sta pure sdraiato a tua posta.
— La mi burla!... Conosciamo i nostri doveri verso i superiori, che diavolo!... La disciplina o che il boia m'impicchi... Non esco di lì, io... Ed a meno che Ella me ne dia espressamente l'ordine...
— Sì, proruppe ilmedichinocon qualche impazienza. Sdraiati, ascolta soltanto due parole che ti ho da dire, e poi russa pure come quel maiale di Stracciaferro che allorchè dorme qui dentro fa tremar le vôlte.
Graffigna allungò di nuovo chetamente il suo corpo mingherlino e disse con voce più sottile che mai:
—Che scusi, ma non son io che sarei capace di mancare alle convenienze come quell'animalaccio di Stracciaferro. Io mi rimetto a giacere per obbedirla, e son tutto orecchie ad ascoltare le sue parole; e poi quando Ella mi avrà dato i suoi ordini, se la mi permetterà, avrò anch'io da spifferarle quattro ragioni in croce.
— Quel che t'ho da dir io, è detto in due motti. Primo, cercherai i quattro supremi consiglieri dellacoccae loro comanderai a mio nome di trovarsi qui stassera alle sette. I capi-squadra sono avvisati di radunarsi nella bettola di Pelone.
Graffigna si levò su a sedere sul suo giaciglio con atto di molto interesse.
— Oh oh! Esclamò egli. Ci sono dunque grandi cose in aria?
Gian-Luigi chinò in segno affermativo la testa.
— Benone! Disse tutto lieto il galeotto mentre tornava a sdraiarsi.
— In secondo luogo, continuava ilmedichino, ho grande interesse di sapere chi sia quel poliziotto che stamattina si recò a fare una perquisizione in casa Benda. Ho chiamato Pelone appunto per averne alcuno schiarimento, che mi penso egli potrà darcene. In difetto, quand'egli non sappia o non voglia parlare...
— Eh eh! disse tranquillamente Graffigna: si potrebbe farlo cantare anche contro voglia.
— No: interruppe vivamente Gian-Luigi; nessuna violenza... D'altronde Pelone ci è troppo necessario per disgustarlo... e troppo pericoloso per farcelo diventar nemico. Quand'egli taccia, fa di scoprir tu con ogni mezzo che ti parrà migliore, e quando tu lo abbia conosciuto...
Ilmedichinoparve esitare.
— Quando io lo abbia conosciuto? Ripetè Graffigna ficcando i suoi occhietti vivacissimi negli occhi di Gian-Luigi.
— Farai di modo da sapere eziandio le sue abitudini, e dove si possa cogliere solo, allo scarto...
— Ho capito..... È un impaccio?
— È un impaccio.
Quei due uomini, così diversi di sembianze e di natura e d'intimo valore, si guardarono un momento in silenzio e si compresero. Gian-Luigi sviò primo le sue brune pupille e si diede a passeggiare su e giù per quello spazio di pochi metri libero in mezzo alCafarnao.
— Stia tranquillo sormedichino; fra un'ora mi metterò in campagna e spero poterle dire quanto prima che gli è un affar fatto.
Ilmedichinonon rispose e seguitò a camminar con passo concitato e a capo chino. Dopo un poco si fermò presso la tavola, battè del piede sul pavimento con impazienza collerica e disse rabbiosamente:
— Quell'eterno lumacone di bettolier dell'inferno non viene. E sì che ho tirato di forza!
Riprese l'anelluccio della tavola e tornò a dare, ma con più violenza, tre strappate.
— Prenda pazienza: disse con vocina sempre più esile Graffigna seguitando il giovane col suo sguardo ironico e scrutatore: ci sarà gente nell'osteria e non potrà aprire la porta segreta; e poi quel benedett'uomo è così lento e lungo in ogni sua mossa!.... Frattanto se la mi permette dirò io a Lei qualche cosa che non manca neppure d'interesse.
— Parla! Disse vibratamente Gian-Luigi continuando a passeggiare in lungo e in largo.
— Prima di tutto ho una commissione da farle, una commissione importantissima, mi disse chi me la diede.
Ilmedichinosi fermò in faccia a Graffigna di colpo.
— Chi?
— Ester, la bella figliuola di quel brutto scellerato diMacobaro.
Gian-Luigi crollò le spalle e si rimise a passeggiare.
— Dove l'hai tu vista?
— A casa sua. Sono andato ieri sera da quel sacco di tutte le malizie d'un vecchio ebreo per intenderci sulla compra di qualche masserizia fra tutta questa roba che ci ingombra maledettamente. Quell'avaraccio è indegno di appartenere alla cocca. Ha una indiscrezione di pretese che trarrebbe i calci dalle scarpe d'un santo; e non è mai quel cane da offrire pure una goccia dibrandaad un amico..... Basta; a grande stento mi avanzò qualche miserabile spicciolo che mi disse avrebbe portato in conto.....
— E che tu ti sei affrettato di consumare in tanta acquarzente.
—Cribbio!Come si fa? Con tante fatiche e con questa vitaccia che si mena, se non si tiene un po' su la macchina, vi casca l'asino di sotto..... Per farla breve, mentre quel vecchio schifoso, dopo mille storie, andò a prendere quei quattro miserabili soldi, Ester che era sempre stata immobile in un cantuccio, agucchiando certi panni al lume d'una lucernetta che pareva far la veglia ad un morto; Ester mi saltò innanzi con quella sua bella faccia d'alabastro, con quei suoi lucidi occhioni scuri, con quelle sue labbra rosse come il sangue che spiccia. «— Per l'anima vostra, mi susurrò all'orecchio con voce soffocata, in cui si sentiva che ella parlava da maledetto senno: date questo biglietto e il più sollecitamente possibile a Luigi: si tratta di vita o di morte.» E nel pormi in mano la cartolina ripiegata mi serrò con forza convulsa le dita fra le sue così esili e bianche, in quel momento gelate come il marmo. Si sentivano intanto trascinar le pianelle di quel vecchio esoso di suo padre, — come mai una sì bella creatura può essere nata da un mostro simile? — ed essa, lesta come uno scojattolo come un augellino, fu d'un salto seduta di bel nuovo al suo lavoro, che non pareva aver mosso pure la punta del dito mignolo; e guardandomi con un'espressione capace di rimescolar le budelle ad un vecchio peccatore, teneva l'indice della mano destra in croce sulle labbra a raccomandarmi il silenzio.
Gian-Luigi tornò ad arrestarsi presso il galeotto.
— E quel biglietto, l'hai tu costì?
— Sì signore: rispose il mariuolo tirandolo fuori da una tasca e porgendolo.
Ilmedichinolo prese con isgarbo impaziente: si recò sotto la lampada che pendeva dalla vôlta, e rottone quasi disdegnoso il suggello lesse queste parole:
«In nome di Dio Eterno, bisogna che ci parliamo. Fa d'ingannare la sorveglianza sempre più sospettosa di mio padre, e vieni. Un tempo ne trovavi i modi e le ore. Il Signore ha — debbo dire benedetto o maledetto? — ha fatto fecondo il nostro amore. Sono madre. Mio padre mi ucciderà, se tu non mi salvi. Salvami, Luigi!»
Questi spiegazzò la carta nella mano in un moto vivace di contrarietà stizzosa: poi tornò a rispianarla e lesse un'altra volta il biglietto. Stette un po' immobile con quel foglio innanzi agli occhi, sotto ai raggi della lucerna come riflettendo: quindi stracciò in minutissimi pezzi la carta e riprese ad andare su e giù, gettando qua e colà gli squarci che teneva in mano, del modo che fa del frumento il seminatore nel campo.
Graffigna lo seguitava sempre con quel suo sguardo malizioso.
— Cattive nuove, eh? Diss'egli dopo un poco. Gelosie, rampogne, pianti e supplicazioni, ci scommetto. Ah quelle benedette donne ce ne dànno dei fastidii da portare! E dire che quando si è giovani non se ne sa star senza! Eh! eh! Ho avuto ancor io i miei grilli al mio tempo e so da che parte spuntano i corni della luna..... ed anche gli altri corni. Testè, quando ho acceso il fuoco nella casina, avevo pensato di mettere quel bigliettino sulla mensola del salotto, perchè Lei, venendo, lo vedesse di subito e lo prendesse: ma poi mi sono detto: no, Graffigna, non conviene; ilmedichinopuò venir qui accompagnato da qualche donnetta, oppure qualche sottanino può venirci anco prima di lui ad aspettarvelo..... Eh eh! si sa che gagliardo d'un mariuolo Ella è in punto a codesto...
Gian-Luigi che camminava sempre a capo chino e pareva non prestare la menoma attenzione al chiaccherio del suo compagno, ora, come infastidito d'un tratto da quella fluenza di parole, volse la faccia sdegnosa verso Graffigna, e gli disse imperiosamente:
— Taci!
— Non parlo più..... di tale argomento, perchè quanto al resto ho qualche cosa da dire di assai rilievo, e che la prego di ascoltare.
Ilmedichinosedette presso la tavola e tamburellando colle dita sul piano di questa disse:
— Allora parla, e fa presto.
— Ilcolpoche si è fatto nella banca l'altra notte fu un belcolpo, non c'è che dire, ma io ne ho in vista tre altri ugualmente e forse ancora più belli.
Graffigna tacque un istante come per aspettare una parola d'encomio o di curiosità o d'incoraggiamento a continuare, da parte delmedichino; ma questi, appoggiato il gomito destro e sorreggendo la sua fronte alla palma della mano, rimaneva immobile, fisso lo sguardo ardente sulla figura da faina del galeotto. Questi continuava:
— Fra cotali trecolpic'è da scegliere quello che più torna: io son d'avviso che conviene prenderli in considerazione tutti tre, prepararli bene e col dovuto intervallo farli l'uno dopo dell'altro. Il primo sarebbe contro il marchese di Baldissero. Si potrebbe scegliere una notte in cui i padroni fossero al ballo, come avvenne la notte scorsa: parte dei domestici profitta di quest'occasione per andarsela a godere; rimangono in casa ordinariamente due vecchi e le cameriere, gente di cui si può aver ragione con poca difficoltà. Introdursi là dentro è facilissimo pel cortile che, mercè le scuderie, comunica con un altro a cui si può aver accesso. La disposizione delle stanze nel quartiere del marchese possiamo conoscerla a puntino per mezzo di una donna che fu abbastanza lungo tempo al servizio di quella famiglia, laGattona, ch'Ella avrà già udito a menzionare. Gli è vero che da venti e più anni laGattonaè uscita di là; ma la casa è pur rimasta tuttavia colle medesime disposizioni interne, e non c'è altro di mutato se non che nelle stanze dove stava ai tempi dellaGattonal'antico marchese, ora abita l'attuale; ed è in queste stanze che giace ilmorto. Nell'attuale stagione si sono esatti gli affitti e delle case della città e delle campagne; e quel birbone d'un milionario di marchese deve avere in cassa parecchie buone migliaia di lire.
Graffigna fece di nuovo una pausa; Gian-Luigi non aprì bocca, nè si mosse, tenendo pur sempre gli occhi fissi sul suo interlocutore.
— E uno! Esclamò Graffigna poichè ebbe atteso un momento. Passiamo al secondo. Questo si dovrebbe fare dal signor Benda.
A questo nome Gian-Luigi si riscosse. Innanzi alla mente gli passò di botto leggera e graziosa l'immagine della giovane Maria.
— Codesto poi no: interrupp'egli con vivacità; al signor Benda non ci si ha da pensare.
— Perchè? Dimandò con accento mellifluo la voce squarrata di Graffigna. Quel bravo signore ha nei suoi scrigni qualche decina di mille lire.
— Quella casa è ben custodita....
— Peuh! Sclamò il galeotto alzando le spalle. Un tamburo maggiore per portinaio che con una succhiellatina bene aggiustata si fa azzittire per sempre; due cani che con un buon boccone si acchetano....
— Alcuni degli operai dormono colà.
— Sì, due capi-fabbrica. Be'! C'è modo di metterli anche loro alla ragione. Ma il fatto gli è che non si avrebbe bisogno di penetrare di soppiatto, la notte, per andare a portarne via colle scarpe difeltro il gruzzolo; gli è di pien giorno alla chiara luce dei sole, se ci fosse il sole, che secondo il mio progetto si avrebbe da compier l'impresa. Dico mio progetto, così per dire, ma non sono così superbo da non confessare che il progetto è di Lei, sormedichino, e ch'io non faccio altro che applicarlo a quel caso particolare.
— Spiegati: disse Gian-Luigi sempre immobile in quel suo atteggio pensieroso.
— Ecco la cosa! Si fomenta un bel dì o per le paghe o per le ore di lavoro, o per questo o per quell'altro — e ce ne sono mille di possibili pretesti — una buona sommossa degli operai....
— Impossibile! Interruppe ilmedichino. Quegli operai amano moltissimo il loro principale che li tratta bene; sono stato poc'anzi stesso in caso di averne una irrefragabil prova.
— Eh via! Lo amano, ma quando loro si sapesse persuadere che levandogli la pelle acquistano un tanto nel borsellino, glie la leverebbero subito. Conosco gli uomini, io! Vi saranno delle eccezioni? Santa pazienza, ce ne sieno pure; ma noi non è colle eccezioni che abbiamo da fare. Le idee che Ella ci ha dato l'ordine di spargere hanno attecchito anche colà. Gli è così naturale! Chi non ha nulla troverà sempre un'ingiustizia che altri possieda e non egli; e il povero si lascierà sempre assai facilmente persuadere che è suo diritto pigliare al ricco... Breve; Marcaccio le potrà dire che anche in quegli opifici, come nel più degli altri, si sono fatti degli aderenti... Un bel giorno adunque, sapendo metterci a dovere il fuoco sotto, li faremo bollire a nostro vantaggio. Nato un tumulto, gli amici dell'ordine e del padrone, che sono sempre i più timidi e pacifici, si spaventano e se la sgusciano; noi aggiungiamo buona parte dei nostri uomini alle file dei riottosi; mentre quegli altri strepitano nella fabbrica, i nostri — e mi faccio una festa di esserne ancor io del numero — si insinuano nella casa; la polizia è lontana, e prima che arrivino soldati e carabinieri a metter l'ordine l'operazione è compiuta, gli amici hanno sgattaiolato, si arrestano alcuni de' più sori e dei più innocenti degli operai — e il giuoco è fatto...
— No: proruppe con forza Gian-Luigi; per ora non si ha da pensare a codesto.
— Perchè? Tornò a domandare Graffigna col medesimo accento di prima.
Ilmedichinoalzò la fronte dalla palma della mano, e saettando d'uno de' suoi sguardi più risoluti il mariuolo che gli stava dinanzi, disse con accento che non ammetteva più nè risposta, nè osservazione:
— Perchè non voglio!
Graffigna curvò il capo in segno di ubbidiente rassegnazione.
— Passiamo al terzo — forse il migliore; riprese egli a dire dopo brevissima pausa. Qui trattasi d'uncolpocui da lungo tempo vengo pensando e studiandone il modo. Sarebbe quello di far ballare i tantigiallettiche ammuffiscono nelle casse di Nariccia.
— Ah ah! Esclamò Gian-Luigi con un'espressione che era un incoraggiamento a continuare.
— Sicuro! Qui l'affare è semplicissimo. Quel vecchio birbante di usuraio è solo con quella sua vecchia sgualdrina di serva. Le muraglie di quel suo alloggio sono sorde come il cuore del padrone, e non lasciano passar grido, nè rumore di sorta. Basta intromettersi colà dentro in tre o quattro, e il conto di ambedue que' squarquoi è bello ed aggiustato.
Gian-Luigi abbassò la faccia e mormorò con accento di ripugnanza:
— Ah sangue! Sempre sangue!....
— Il difficile sta nel penetrare in quelle stanze, chiuse con tanto lusso di serrami da disgradarne qualunque prigione; ebbene quest'unica difficoltà spero che potremo superarla. Occorre un buon ferraio che dalle impronte di cera sappia trar fuori a dovere le chiavi che ci vanno. Queste impronte è tanto facile ottenerle che le ho già prese io medesimo andando sotto varii pretesti nell'antro di quel succiadenaro. Lacoccaoggidì manca pur troppo di un operaio così abile da far simili chiavi complicate, pulite in modo, che senza bisogno di ritocco facciano a prima prova l'ufficio loro. Avevamo quel povero Topaccio, ma la scellerata d'una giustizia ce l'ha spedito a dar calci all'aria.....
Mandò un sospiro di profondo rimpianto.
— Quella è stata una perdita!... Non l'abbiamo mai più potuto rimpiazzare a dovere, e gli è gran danno alla nostra associazione. Ora mi dice Marcaccio che quel suo amico Andrea, frequentatore ancor esso della bettola di Pelone, è l'uomo fatto apposta, che un più abile e destro di lui in tal mestiere non è da trovarsi in Torino, e che non ci sarebbe segreto di serratura che a lui non bastasse l'animo d'indovinare. Sinora gli è ancora irretito da qualche scrupolo di quella che chiamano onestà, ma le parole di Marcaccio cominciano a scuoterlo, e la miseria che gli monta sui talloni lo caccia verso di noi. Fra pochi giorni l'avremo nelle nostre file; egli fabbricherà bravamente le false chiavi che andranno chete chete come olio, ed ecco messo il becco all'oca.
Quando Graffigna si fu taciuto, successe un silenzio di qualche minuto. Gian-Luigi pareva assorto in tutt'altri pensieri che quelli onde lo aveva intrattenuto il suo tristo compagno. Ad un tratto però, sollevò il capo che aveva tenuto basso sino allora e disse come parlando a se stesso:
— Nariccia se lo merita. Spogliarlo, lui, non è che pretta giustizia.
— Certo! Esclamò Graffigna.
— La sua ricchezza è infame, infamemente acquistata.
— Infamissima.
— Mille volte è più scellerato di noi, egli che sgozza i poveri coll'usura ed assassina le famiglie colla miseria.
— Eh! noi siamo angeli in paragone.
— Di quante lagrime non è fatto il suo oro! Di quante brutture non è sporco!...
— Noi lo purificheremo appropriandocelo... Eh! eh! ce ne sarà per delle migliaia e migliaia di marenghini.
— La società tollera queste turpitudini e queste sconcie arpie; e non solo le tollera, ma le protegge!... Bene; è giustizia il punirle noi.....
— Sicuro! Noi siamo gli esecutori di quest'altra giustizia senza sciocchezze di tribunali.
Ilmedichinosaettò d'uno sguardo severo la faccia ironica di Graffigna.
— Non hai tu più nulla da dirmi?
— Nulla.
— Allora dormi a tua posta e risparmiami le tue osservazioni.
Il mariuolo si voltò dall'altra parte e parve in un attimo ingolfato nel sonno il più profondo.
Gian-Luigi appoggiò tutti e due i gomiti alla tavola e nascose tra le mani la faccia. Pensava. Era egli stato fatto per quella parte che intanto sosteneva con tutto il suo impegno? La natura — non diceva la Provvidenza, perchè non credeva più in essa — aveva ella datogli quelle facoltà, quelle potenze che ei possedeva, per farne un tal uso? Come mai nessun'altra strada erasi dischiusa alla sua intelligente attività? Qui ricordava tutto il concatenamento dei casi che di grado in grado l'avevano menato a quel punto in cui si trovava; come la ricchezza agognata e i piaceri mondani a cui anelava gli sfuggissero innanzi con ironica schifiltà, a seconda ch'egli voleva con mezzi onesti arrivarli; come su loro avesse potuto mettere primamente le mani, quando era entrato nella via del delitto. Vedremo un giorno per quali circostanze fosse stata preparata ed affrettata la sua caduta; ma ora intanto, di pieno affondato nell'ambiente il più criminoso dell'elemento sociale più basso ed in rivolta permanente contro l'ordine vigente, contro la legge, contro la proprietà; ora egli si domandava se quell'appagamento cui godeva di parecchi suoi desiderii ed istinti bastava a soddisfargliene l'anima, se quella era la sorte ch'egli aveva nei sogni dell'adolescenza vagheggiato.
Gli anni primi della sua vita gli sfilarono innanzi al pensiero, inquadrati nella scena del villaggio, e in essi principale la figura di Maurilio, che aveva ritrovato la sera innanzi. Maurilio era sempre povero, sempre ignoto, egli di cui Gian-Luigi riconosceva l'intelligenza superiore anco alla sua! Rimanendo onesto ancor esso adunque sarebbe a quel punto? Pure c'era in fondo all'animo di questo troppo traviato giovane alcuna cosa che lo ammoniva non essere impossibile per altra strada giungere di meglio a quel fastigio a cui anelava. E forse quest'altra strada l'ingegno potente di Maurilio glie l'avrebbe saputa additare. Se alla intelligenza straordinaria del suo compagno d'infanzia si unisse in un'opera comune la risolutezza, l'attività, la forza di lui, che cosa non potrebbe ottenersi da siffatta consociazione? La sera innanzi Gian-Luigi aveva detto a Maurilio che sarebbe recatosi da lui a parlargli di rilevantissime cose; ora determinò più fermamente di far ciò, appena avesse un momento di libero.
Allora si ricordò che stava aspettando da più di un quarto d'ora Pelone, a cui aveva comunicato per mezzo della corda di ferro il cenno di accorrere; e con maggiore impazienza di prima tornò a dare tre più forti strappate all'anello della tavola.
In quella il suo sguardo cadde sopra uno di quei pezzettini di carta ch'egli aveva gettato qua e là, lacerata la lettera di Ester. Per atto quasi irriflessivo, prese quel minuzzolo e lo accostò agli occhi. V'era scritta su una parola intiera, la parolamadre.
Questa sola parola staccata, che il caso gli faceva comparire innanzi a quel modo, turbò il giovane più che non avesse fatto la lettura dell'intiero biglietto della povera Ester.
— Madre? Diss'egli fra sè, e un tremito interno gli scuoteva le viscere. È la prima volta che ciò mi avviene; la prima volta che una donna mi dice: sono madre per te. Gli uomini si rallegrano di questo annunzio. Per me gli è un nuovo cumulo di fastidi. Oh che, avevo bisogno giusto adesso mi venisse sopra quest'altro imbroglio!.... Mi dice ch'io la salvi. Eh! che cosa ho da far mai, e in fin dei conti a me che cosa importa di lei e del suo bambino?
Ma questa crudeltà d'indifferenza che il suo fiero egoismo gli suggeriva era troppa, perchè a lui medesimo non ripugnasse.
— Ah suo padre, quel vecchio scellerato d'ebreo è capace dassenno d'ogni peggior eccesso per vendicare l'onta della sua figliuola, e siccome il vile non è feroce che coi deboli, ed io sono forte, gli è certo contro la infelice Ester ch'egli vorrà infierire.... Povera giovanetta! Ella m'ama pur tanto!...
A un tratto una nuova idea gli balzò improvvisa in mezzo al cervello fra dolorosa e piacevole:
E il bambino?... Ah! di quello posso bene esser sicuro che gli è mio sangue.... Che sarà di lui?
Pensò che egli pure era nato probabilmente di quella guisa, che la sorte a lui toccata avrebbe avuto quell'essere che accennava volersi affacciare alla vita, che a quell'innocente avrebbe toccato eziandio aprirsi una strada in mezzo al mondo ostile e rassegnarsi od a giacere nell'oscura povertà od a conquistare col dolore e col travaglio del corpo, del cuore e dell'intelletto ogni menomo vantaggio sociale, assai probabilmente a precipitare, se maschio,nella strada del delitto, se femmina, in quella della vergogna.
Una nuova, non anco provata tenerezza, di botto lo assalse al pensiero di quel bambino. I suoi occhi che raro o non mai brillavano per una espressione di dolcezza e di sensibilità, parvero inumidirsi e a mezza voce, come per farsi un promessa, come per impegnarsi innanzi a se medesimo, pronunziò le seguenti parole:
— La salverò... Oh sì, la salverò, lei e suo figlio... e mio figlio!
Chi può spiegare il misterioso procedere del nostro pensiero? Aveva egli appena pronunziato queste ultime parole «mio figlio» che la sua fantasia tolta di subito alle immagini che la occupavano in quell'istante, era gettata in una sfera tutto novella, in cui forse, e senza forse, non che soffermatasi, non era penetrata ancora mai. Pensò alle gioie paterne ed alle miti felicità della famiglia a lui isconosciute affatto e che in quel momento gli apparivano con tutta la loro soavità leggiadra. Si rivide innanzi la gioia serena di sposi novelli, la superba dolcezza di genitori bacianti il frutto delle loro viscere; gioia e dolcezza a cui appena aveva badato per lo addietro, cui aveva fors'anco disprezzato e deriso, che in quell'istante gli apparivano inaspettatamente — quali sono — le migliori cose del mondo.
E perchè non cercherebbe colà il suo bene, egli pure? Si immaginò di colpo circondato dal caro ambiente d'una famiglia — sua — e in questo ambiente, luce e profumo la virtuosa modesta bellezza d'una donna affettuosa. Anzi questa vagheggiata beltà gli apparve personificata in forme reali, e vedute poc'anzi — non quelle della misera Ester da lui sedotta — ma quelle della graziosa Maria. Si compiacque un istante di questi pensieri e di queste immagini. Sorse in piedi e si pose di nuovo a passeggiar su e giù, le braccia incrociate al petto e il capo chino.
Quella stanchezza della sua opera infame, quel fastidio de' fatti suoi, che vedemmo averlo assalito poc'anzi, lo presero più forte. Egli conosceva abbastanza la sua potenza per credere che dove avesse voluto sarebbe entrato vincitore nel cuore della fanciulla, era abbastanza pratico di codesto per esser certo senza fatuità che una prima favorevole impressione egli l'aveva già in Maria prodotta: sapeva d'altronde che dalla famiglia era quella giovane amata cotanto da non voler contrastare ad una passione che la dominasse sovrana, e che insoddisfatta la renderebbe infelice. Egli adoperandosi fruttuosamente — e di ciò era certo — per restituire a quegli afflitti e sgomentati genitori il figliuolo avrebbe acquistato da quelle anime generose tanta gratitudine quanta sarebbe stata a sufficienza per coadiuvare all'amore di Maria per lui affine di ottenerlo a sposo. Egli si scioglierebbe dall'infamia, si allontanerebbe; la famiglia Benda era ricca, e la dote data alla figliuola sarebbe stata tale da bastare a vivere agiatamente....
Ma qui l'idea del denaro che s'intromise in quel romanzo morale cui la sua fantasia stava facendo, ne corruppe tutta la composizione, tolse lo spirito di Gian-Luigi a quel puro ambiente in cui era disavvezzo pur troppo e lo ricacciò nelle fangose peste dove soleva dibattersi. La cosa non gli apparve più che come un affare di guadagno, di cui da discutersi se più o meno il vantaggio. Una modesta agiatezza era quella che sarebbe bastata per lui? E dove ne andavano tutti i profondi e complicati disegni ch'egli aveva fatto per isconvolgere la società e vincere in quella guerra all'ordine costituito, la quale, da sorda, bassa e criminosa, doveva un giorno nel suo concetto scoppiare aperta e potente alla luce del sole per far lui primo e glorioso, e dominatore? Quelle acri ambizioni, quei feroci istinti insaziabili che lo tormentavano, oh come avrebbero taciuto di subito? E non sarebbe stato segno d'impotenza la rinuncia? No no; egli si ripeteva che era preso, da non potersene sceverare più, per le ruote dentate di quella macchina ch'egli stesso metteva in moto. Non c'era da illudersi con altre idee. Egli doveva in quella strada continuare per giungere alla meta o soccombere.
— E quel birbante di Pelone non viene! Disse egli ad un tratto, ritornando collo spirito alle cose presenti ed al bisogno che aveva di parlare col bettoliere.
In quella ecco un leggier fruscio sentirsi verso l'entrata e Gian-Luigi che si volse vide venir sollecita con un bel sorriso tutto amoroso Maddalena, la serva dell'osteria.
Ma il sorriso della giovane si agghiacciò sulle sue labbra al vedere la fronte corrugata e l'aspetto corruccioso delmedichino.
— Che cos'è codesto? Gridò egli con quell'accento che faceva tremare. Gli è mezz'ora che aspetto; e poi non ho chiamato te, ma ho chiamato Pelone.
Maddalena, tutto mortificata, rispose coll'accento di chi si difende ingiustamente accusato:
— C'era gente nell'osteria....
— E perchè non è venuto Pelone?
— Gli è dietro a trattare di certi suoi negozi coll'ebreoMacobaro.
— Ah ah! Sclamò Gian-Luigi con istrana espressione: gli è costì quel vecchio strozzino? Affè che fra lui e Pelone fanno il paio.
— L'oste sa che io ho e che mi merito tutta la tua fiducia: continuava la giovane moineggiando: e non ha pensato farti cosa disgradita mandando me in sua vece a vederti.
Ed accostatasi presso presso a lui, gli pose sotto gli occhi la sua faccia volgare, ma fiorente di gioventù, e gli fece balenare innanzi il suo sguardo procace pieno di sensualità.
Sulla bocca delmedichinopassò un'ombra di sorriso; e Maddalena, tornata nella sua naturale audacia, ne prese incoraggiamento a gettargli le braccia al collo e ad appiccicare le sue labbra carnose su quelle di lui, in un amplesso pieno di voluttuoso ardore.
Ma egli si sciolse dalle braccia della donna e la respinse alquanto bruscamente da sè:
— Stai ferma: le disse severamente. Ve' che c'è alcuno.
Maddalena, volgendosi, vide nell'ombra d'un angolo dello stanzone luccicare la pupilla maliziosa di Graffigna che teneva un occhio aperto e l'altro chiuso.
— To' Graffigna!
— Non vi disturbate: disse costui col suo tono di affettata bonarietà beffarda: io dormo, amorini miei, e non vedo nulla.
— Senti, Maddalena: proruppe Gian-Luigi senza badar punto a Graffigna ed alle sue parole; ciò di cui volevo interrogare Pelone, me lo puoi dire anche tu, e quello che con esso lui volevo combinare, possiamo aggiustarlo eziandio fra noi due. Varii agenti di Polizia frequentano la taverna, non è vero?
— Sì.
— Rispondimi sull'anima tua, rispondimi la verità per quanto hai di più caro, e se ci tieni all'amor mio.
— Ci tengo come alla mia vita e non puoi dubitar punto nè della sincerità, nè della verità delle mie parole.
— Qualcheduno di questi poliziotti travestiti mi ha visto nella bettola o poco o assai?
— Giurerei di no. Quando ce n'entra qualcuno, siam lesti ad avvisartene e tu t'affretti a sparire. Ieri sera non aveva ancora messo il muso nella prima stanza quello che mi pare il più accorto ed il più autorevole di quei birboni, che io già ti avevo fatto avvertito...
— Come si chiama questo tale?
— Barnaba.
Gian-Luigi si rivolse a Graffigna.
— Dà retta tu, e tieni bene a mente questo nome.
— Non dubiti: rispose quell'altro aprendo di nuovo un occhio solo. Me lo stampo qui nel comprendonio e non va via più.
Ilmedichinocontinuava parlando a Maddalena:
— In quel momento che attirato dal rumore della rissa di Marcaccio ho commesso l'imprudenza di venir fuori nella stanza comune, eravi forse colà uno di quei segugi del Commissario?
— No: rispose la fante. Ti dico che appena spunta il grifo di uno di codestoro, non manco mai di porti in sull'avviso.
— Ma li conosci tutti tu?
— Certo che sì... Pelone, come tu glie ne hai ordinato, me li ha fatti conoscere dal primo all'ultimo.
— Ed abbiamo proprio da fidarci che quel vecchio carcame di Pelone non abbia celato nulla?
— Pelone non avrebbe nessun interesse a ingannarci; guadagna troppo ad esserti fedele, e ti teme troppo — te ed i tuoi — per pensar pure a tradirti. Del resto, ancorchè egli volesse tenermi nascosto qualche cosa di ciò, io ho abbastanza buon naso per iscoprire da me dove c'è del losco. Scommetto che se una nuova spia si presenta, fosse pure fra cinquanta, al primo acchito la riconosco per quello che è.
— Va benissimo. Or dunque ascolta ciò che voglio da te e da Pelone. Troverete modo che io, nascosto dietro l'usciolo segreto, veda il muso, un per uno, di tutti quei poliziotti che ci favoriscono. Hai capito?
— Sì, e nulla è di più facile. Pelone ha mille pretesti per radunarli nella camera dell'impiallacciatura; per esempio quello di denunziare qualche miserello di ladruncolo da due quattrini. Ciò giova a mantener la benda sugli occhi della Polizia. Tu, avvertito, sarai a tuo posto a guardare traverso i bucherelli.
— Hai ragione. Avvisane adunque Pelone, e più sollecitamente ciò si faccia meglio sarà. Ora vattene pure alle tue bisogne, Maddalena, e di' aMacobaro, se gli è ancora costì, di venire da me che ho giusto piacere di parlargli.
Ciò detto si avviò ad un usciolo che si trovava in prospetto a quello d'ingresso, e con un'altra di quelle chiavettine radunate a mazzo nell'anello d'acciaio, lo aprì.
Ma la fante non era partita; essa guardava il giovane con occhi che parevano una fiamma viva; e quando egli stava per entrare in quello che era il suo gabinetto riposto, ella gli fu accosto colla sua petulanza sempre più procace, e gli disse col suo sorriso da cortigiana:
— Mi mandi via così? Non hai più bisogno di me?
Ilmedichinola guardò con una fredda fissità.
— Accendimi il lume nel gabinetto, e vai a chiamarmiMacobaro.
Maddalena in un momento ebbe accesa la lampada in quel riposto stanzino, Gian-Luigi era entrato e gettatosi a sedere sopra un seggiolone dinnanzi ad una scrivania ingombra di carte; aveva appoggiato al bracciuolo il gomito destro, sorreggeva alla palma della mano la sua fronte e pareva lontano col pensiero le mille miglia dalla donna che non si risolveva a partirsi.
Passarono alcuni minuti di questa guisa, egli immobile nella poltrona, ella coprendolo di quel suo sguardo acceso, in cui l'ardenza del desiderio pareva congiungersi al dispetto; poscia Maddalena si accostò pianamente a lui, si appoggiò alla spalliera del seggiolone e curvandosi sopra il giovane susurrò con voce sommessa e quasi tremante:
— Luigi!
Egli alzò vivamente il capo ed aggrottò le sopracciglia.
— Che è codesto? Vi dissi di partire, e voi?...
Maddalena gli si abbandonò addosso con tutta la persona, abbracciandolo e baciandolo con passione.
— Ah! Luigi, tu non mi vuoi più bene..... Ed io che te ne voglio tanto, tanto, e sempre di più!... Una volta non mi avresti trattata così.
Gian-Luigi prese le braccia della giovane e togliendosele di sopra le spalle serrò i due polsi nella sua destra piccola, fina e bianca, ma forte come tenaglia: allontanò da sè la persona di Maddalena, senza sgarbo e senza violenza, ma con una certa bruschezza che dinotava un principio d'impazienza, e disse col suo tono da gran signore:
— Olà! Vogliamo noi per caso introdurre delle novità? Oseresti far delle scene o tentar dei rimbrotti? Eh via! Maddalena, o non mi conosci ancora, od oblii chi sono.
— E tu dimentichi che una donna come son io non si può rassegnare a tanta trascuranza, a tanta indifferenza... Ho bisogno di vederti io, ho bisogno d'esser tua, ho bisogno di te.
Abbassò la voce, e le parole passarono fischiando fra i denti stretti cui le labbra contratte scoprivano sino alle gengive:
— Sono gelosa!... Tremendamente gelosa!... Oh! le tue belle signore, come le odio! Esse vesti di velluto e di seta, ed ori e gioielli intorno nei saloni eleganti... E le ti piacciono per questo... Io, povera, poveramente vestita, in un'umile taverna, serva degli avventori e di che avventori!...
Sulla faccia delmedichinosi dileguò quell'espressione d'impazienza che incominciava ad accostarsi alla collera; una specie d'interesse simpatico vi si sostituì; gli era sempre quella terribile questione dei ricchi e dei poveri che gli veniva dinanzi; era quell'ambizione e quell'invidia che lui tormentavano, le quali apparivano ancor esse nella passione di Maddalena; egli la guardò seriamente e quasi con pietà.
— Lena, le disse, tu potresti avere e belle vesti ed ogni cosa che hanno le ricche, e potrei procurartene io stesso; ma tu sai che mi sei utile rimanendo in queste umili condizioni in cui ti ho trovata. Ho bisogno di un'anima fidata come sei tu...
— E s'io ti sono utile, proruppe la donna, e se io sono pronta a dare anche il mio sangue per te, perchè mi ami tu meno di quelle tue schifiltose poppatole delle sale, che, dove sapessero il vero esser tuo, ti sprezzerebbero e si vergognerebbero di averti conosciuto?
Una fiamma di rossore passò sulla faccia di Gian-Luigi.
— Ah! se mi trovassi mai una volta muso a muso con una di quelle smorfiose! Sclamò Maddalena con represso furore, digrignando i suoi denti da jena. Che sì che mi piacerebbe disfarle quel mostaccio imbellettato.
Ilmedichinosi alzò.
— Oh basta: diss'egli severamente. Che diritto hai tu sopra di me? Che promesse ti ho io fatte di cui tu possa invocare il mantenimento?
Maddalena liberò le sue mani dalla stretta di quella di Gian-Luigi e si contorse le braccia in atto di disperazione.
— Sì, gli è vero! Esclamò essa con accento tronco e doloroso, che pareva interrotto dal singhiozzo. Sì, che cosa sono io? Un nulla, una povera stracciona a cui tu hai fatto un grande onore prendendola, di passata, per un passatempo, o meglio per incatenarla di più a te, affine di servirtene mediante un'elemosina di amore. È vero: io non ho chiesto nulla, e tu non mi hai nulla promesso. Con che fronte avrei io domandato? Ma la mia cieca devozione, ma il mio sconfinato abbandono, ma l'aver io tutto lasciato del mio passato, non meritano forse da te alcun riguardo?
— Lo meritano e lo hanno: disse Gian-Luigi colla calma d'un superiore che si piace d'accondiscendere alle preghiere d'un subalterno; e passando carezzevolmente la mano sui capelli della giovane, soggiunse con alcuna tenerezza nell'accento: — Non ti ho io introdotta nei misteri della mia vita; non sei tu conscia di me come l'anima mia? Oh va che nessun'altra può competer teco a questo riguardo. Non cerco io da te altresì delle dolci ore d'oblìo?...
— Ah! troppo poche e troppo di raro: interruppe sfacciatamente Maddalena.
Ilmedichinosorrise e poi soggiunse fra severo e scherzevole:
— Indiscreta!..... Ma nè il mio umore, nè i miei sensi sono fatti per essere incatenati a servitù di sorta.
Si udì uno stropiccio di passi nello stanzone che precedeva il gabinetto.
— Zitto! Disse Gian-Luigi, abbassando la voce: qui v'è gente che aspetto. Va, Maddalena, e di' aMacobaroche fra un'ora venga a parlarmi qui dove l'attenderò..... Te poi... te attenderò questa sera, dopo chiusa l'osteria, a mezzanotte.
Maddalena mostrò i suoi bianchi denti in un sorriso di tutta gioia e sparì. Nello scuriccio dello stanzone dettoCafarnaosi avanzavano due uomini, di cui uno aveva gli occhi bendati. Erano il domestico di Gian-Luigi e Mario Tiburzio.