CAPITOLO XIII.Prima di assistere all'importante abboccamento che sta per aver luogo fra Gian-Luigi e Mario Tiburzio, l'ordine cronologico degli avvenimenti vuole che vediamo ciò che succedesse in casa del pittore Vanardi in quel frattempo in cui avvenivano lescene ond'erano teatro l'abitazione e la fabbrica dei Benda.Dal quartiere in cui dimoravano i giovani amici, Mario Tiburzio era partito prima ancora dell'alba, Giovanni Selva erasi allontanato poco dopo per correre dove abbiam visto, e Romualdo un po' più tardi era uscito per le sue faccende: non rimanevano adunque che Vanardi e Maurilio, e Rosina la moglie del primo. Mentre la donna, con quell'alacrità da buona massaia che era una delle sue principali virtù, si dava intorno ad ordinare la casa, Vanardi che aveva litigato fin tardi nella notte colla curiosità della moglie e Maurilio che fino al mattino era stato raccontando i casi suoi a Giovanni, dormivano tuttavia, quando una scampanellata fece accorrere all'uscio del ripiano la Rosina impazientita che si venisse a disturbarla a quell'ora mattutina. Vedendosi innanzi una brutta vecchia in luridi panni che teneva per mano un fanciullo cencioso, la moglie del pittore credette le si venisse a domandar l'elemosina, e senza aspettare altro disse sollecita:— Andate, andate con Dio, buona donna, qui non si ha nulla da darvi.Ma la vecchia, facendosi innanzi a tenere il battente che Rosina voleva di presente richiudere, si affrettò a dire:— Noi non siamo mica ciò che Lei crede,madama. Siamo aspettati in questa casa, dove ci abbiamo a che fare.La Rosina spalancò tanto d'occhi.— Siete aspettati? Avete da che fare qui dentro? Oh bella! Che cosa mai ci avete da fare e chi siete?Quella brutta vecchia contrappose a quelle una sua richiesta:— Gli è ben qui che abita il signor Maurilio Nulla?— Sì, che gli è qui.— Suo marito forse?— No, non è mio marito, nè mio parente nemmanco di nessuna maniera, ma e' sta qui. Gli è con lui che avete qualche cosa da spartire?— È stato lui che ci ha detto di venire e che ci aspetta. Faccia un po' grazia di dirgliene: che c'è laGattonacolGognino, e vedrà.A Rosina l'aspetto di quei due ispirava poca fiducia.— Va bene: rispos'ella. Aspettate un momento che vado ad avvertirne Maurilio.E senza punto cerimonie chiuse l'uscio sul naso adunco dellaGattona.Maurilio dormiva gettatosi tutto vestito sul letto. Il freddo che lo aveva colto gli allividiva le guancie e le mani da fargliele sembrare mani e guancie di cadavere. Rosina, che pure aveva poca simpatia per l'aspetto tenebroso e l'umore cupamente taciturno di quel giovane, nel vedere profondo il segno d'un'intima sofferenza sui lineamenti di lui addormentato, sentì un senso di compassione.— Povero giovane! Esclamò ella. E' par morto addirittura.E ne toccò lievemente la fronte che trovò fredda come marmo; ma a quel tocco Maurilio si destò in sussulto.— Che cosa c'è? Domandò egli sorgendo a sedere. Ah! la è Lei Rosina....— C'è qui fuori una vecchia che dice che Lei l'aspetta e che si chiama laGattona.— LaGattona? Ripetè meravigliato Maurilio, il quale non ricordava punto in tal momento quel nome, nè l'avventura capitatagli la sera innanzi.— Ha seco un bardotto alto così, cui dà nome diGognino.— Ah sì, sì: esclamò allora Maurilio, a cui tornò la memoria di tutto; e saltò in piedi giù del letto.— Li ho dunque da introdurre? Disse Rosina.— Sì, faccia il piacere; ho veramente detto loro di venire.La vecchia e il fanciullo furono fatti entrare in quella stanza in cui la notte avevan tenuto consiglio i congiurati.— Eccoci qui, ad accettare la sua tanta carità: disse a Maurilio col suo accento melato da volgare baciapile laGattona, che intanto faceva girare tutto intorno i suoi occhi cisposi per esaminare ogni cosa di quella stanza. — Levati il berretto di capo, tu: soggiunse dando uno scapellotto al ragazzo che stava lì colla sua aria di malavoglia; e domanda al tuo benefattore se ha dormito bene.Gogninoper tutta risposta si nascose dimenando le spalle dietro le sottane della vecchia.— Animo, su, non fare lo scimunito: insisteva la nonna, volendolo trarre a forza di dietro a sè per farlo avanzare verso Maurilio; non mostrarti più male educato di quello che sei. Santa Madonna del Carmine! Se sapessemadama(e si rivolgeva a Rosina la quale assisteva curiosamente a quella scena), se sapesse le fatiche e i mali di stomaco che mi costa questo benedetto sbarazzino... senza contare i denari! Gli è un umorino che non ha il suo compagno, glie lo assicuro io... testardo come un mulo, e malizioso come il fistolo... Io faccio di tutto per ispirargli i sentimenti del timor di Dio e della buona creanza... Eh sì! Gli è come lavar la testa all'asino... Dunque (e riparlava al marmocchio a cui dava potenti strappate al braccio per tirarlo avanti) vuoi venir fuori sì o no a fare il tuo dovere col signore?...— Lasciatelo stare; interruppe Maurilio seccamente. Quando saremo soli ce la diremo di sicuro fra di noi. Prendete i vostri dieci soldi voi, e andatevene con Dio.La vecchia prese i denari che Maurilio gli porgeva e torcendo il collo da una parte, volgendo gli occhi in su, biascicò una litania di ringraziamenti.— Che il Signore e la Madonna e i Santi tutti del Paradiso la benedicano. Io vado difilato alCarminea pregare per Lei... o allaConsolatase le piace di meglio...— Pregate per voi o per chi altri vi aggrada. Io non cerco preghiere da nessuno.— Gesummaria! Disse fra sè laGattona. Padre Bonaventura ha ragione: è un eretico e miscredente.— Oh sante piaghe! Soggiunse ella poi ad alta voce: le preghiere non fanno mai male a nessuno. Però come la vuole. Lascio dunqueGogninopresso di Lei. E quando uscirai (disse al fanciullo levando l'indice per fargliene notar di meglio l'intimazione) vieni tosto a raggiungermi sulla porta delCarmine, e non baloccarti per istrada siccome è tuo uso, neh?MonsùeMadamali riverisco.Fece una profonda riverenza, che avrebbe contentato un maestro di ballo, ed uscì, accompagnata sino all'uscio dalla moglie del pittore.Questa non capiva bene l'atto di Maurilio, ed era ben lontana dall'approvarlo. Fare la carità, anche la buona Rosina trovava una bellissima cosa, ma quando se ne avesse i mezzi; e di Maurilio ella sapeva come, coll'esercizio del suo povero mestiere, guadagnasse tanto appena da bastare ai più stretti bisogni suoi. E poi che cosa voleva egli fare di questo bambino che si faceva condurre in casa? Forse mantenerlo? Oh sì ch'ella voleva quella giunta di carico alle gravezze famigliari! Accompagnando la vecchia, Rosina, che era la più curiosa delle donne, interrogò, e laGattona, che era la più ciarliera, contò tutto quello che era intravvenuto fra lei, suo nipote e Maurilio.— Gli è matto per davvero: conchiuse la moglie di Vanardi, tornando indietro dalla porta, dopo partita la vecchia. S'ei si mette in capo di insegnare a leggere e scrivere a tutti gli straccioni che non lo sanno, sì che mi sta fresco!Maurilio aveva preso il fanciullo per mano e se l'era condotto seco nella vicina stanza, dove ci aveva il suo letto. Rosina cedette alla tentazione della sua irrefrenabile curiosità; si accostò pianamente all'uscio, e messo l'occhio al buco della toppa, si diede ad ascoltare e guardare.Maurilio s'era seduto presso la finestra e teneva il fanciullo innanzi a sè, passandogli carezzevolmente una mano sugl'ispidi, scarmigliati capelli. L'espressione della sua faccia era quale Rosina non gli aveva mai vista. Una nuova affettuosità raggiava dai suoi lineamenti strani ed originali, una luce di tenerezza brillava ne' suoi occhi affondati. Pareva che la sua fisionomia avesse deposto il velo scuro che l'appannava per mostrare una espansività fino allora contenuta e dissimulata. Quella faccia irregolare in tal momento pareva quasi leggiadra.— Mi riconosci ancora? Domandava egli al ragazzo con voce diversa dall'usata ancor essa, e soave.— Sì: gli è Lei che mi ha pagato da cena ieri sera.— E ti ha egli fatto piacere che io ti abbia procurato una buona satolla?— Oh sì... Mi avviene così di rado..... Mi tocca sempre rosicchiare un pezzo di pan nero e non altro.— Dà retta, Luca, per qual ragione pare a te che io t'abbia fatto quel piacere?Il fanciullo levò i suoi occhioni larghi e sgranati in volto a Maurilio e li fissò fra interrogatori, fra stupiti in quelli di lui, che in quel punto, brillanti d'un sentimento d'ineffabile affetto, parevano anche alla Rosina i più belli occhi del mondo. Da quello sguardo Luca non sentiva nessuna soggezione, ma invece un'aggradevole sensazione inesplicabile: ei non era mai stato guardato di quella maniera; gli sembrava che una specie di calore gliene penetrasse nelle vene a riconfortarlo; la figura di solito diffidente e maliziosa del ragazzo si aprì ancor essa ad un'espressione più mite ed espansiva, quasi di fiducia; non rispose nulla il meschinello, ma come se volesse con un atto manifestare la nuova confidenza che nasceva in lui per quell'uomo tuttavia sconosciuto, ei si fece più presso a Maurilio e gli pose una mano sopra il ginocchio, tenendo sempre il suo sguardo affondato, per così dire, in quello di lui.Maurilio ripetè la sua domanda accarezzando al bambino con più tenerezza le chiome.— Ma... non saprei... per farmi piacere; rispose esitandoGognino.— Sì; perchè ho provato per te un sentimento d'interesse che mi ha spinto a farti del bene... Gli è quello appunto che si chiama voler bene; nella qual cosa vi sono varii gradi, a cominciare da un interessamento lieve e passeggero andando poi fino all'affetto profondo e che dura sempre. Capisci quello che voglio dire?— Capisco: disse lentamenteGognino; e ne' suoi occhi sempre fissi a quel modo in chi gli parlava, passavano davvero certi lampi d'intelligenza che erano come il risveglio dell'anima pensante. Capisco... A me fino adesso nessuno ha voluto bene.— E la nonna? Domandò Maurilio.Il piccino scosse melanconicamente il capo senza pronunziare parola.— Se tu te lo meriterai, te ne vorrò io del bene, e te ne vorrò sempre più, a seconda che corrisponderai alle mie cure ed ai miei desiderii. Quello stesso sentimento d'interesse che mi ha fatto darti da cena ieri sera che avevi fame mi ha indotto a prenderti qui meco per farti un bene ancora maggiore di quello che sia il saziarti di cibo. Il dar da mangiare, vedi, è un benefizio a questo che si chiama corpo, che è quel che si tocca e che si vede di noi; ma noi tutti abbiamo dentro una cosa che nè si vede, nè si tocca, ma che è la miglior parte di noi, che anzi è proprio ciò che fa noi stessi, ed è quella cosa che pensa e che vuole.Gogninoallargava sempre più gli occhi.— E questa cosa dentro c'è l'ho ancor io? Domandò egli con una serietà che dinotava l'effetto che facevano in lui le parole di Maurilio così nuove alle sue orecchie.— Sì certo: rispondeva Maurilio. Tutti quanti gli uomini l'hanno del pari, uguale se non nelle qualità, nella sostanza. Non hai tu mai sentito a parlare dell'anima?— Oh sì. La nonna mi conduce tutte le mattine in chiesa a sentir la messa di padre Bonaventura e dice che gli è per salvar l'anima; ma io non ho mai capito che cosa fosse.— Senti! Ti avviene egli mai di ricordare qualche cosa che ti è avvenuto nei giorni che sono passati? Oppure non ti avviene egli di desiderare alcune volte di essere in qualche luogo o di far qualche cosa e benchè tu sia, per esempio, in casa tua, non ti par egli di esser qua o colà coi tuoi compagni?— Oh sì! Esclamò il ragazzo nelle cui pupille correvano sempre più vivi i lampi dell'intelligenza. Certe volte, seduto sulla cenere del camino nella soffitta della nonna, mi piacerebbe essere sulla piazza a guizzare sulle sgusciarole cogli altri, e gli è proprio come se ce li vedessi; ed altre volte mi ricordo del bel verde che avevano la state gli alberi dei viali e vorrei correrci sotto.— Bene. Fa attenzione, Luca; in quei momenti tu non sei mica col tuo corpo nè sulla piazza nè tampoco sui viali che a questa stagione sono tutt'altro che verdi. Tu vedi quelle cose perchè lepensi. Gli è col pensiero che sei colà, mentre il corpo sta nella soffitta: ora il pensiero è la facoltà di quella parte interna di noi che si chiama l'anima, ed è il modo con cui la si manifesta. Se io, saziando ieri sera la tua fame, ho procacciato un bene al tuo corpo, facendoti venir qui ad imparare ciò che sto per insegnarti voglio procacciare un bene all'anima tua; e questo bene è assai più prezioso del primo, perchè anzi tutto è duraturo, mentre quello è passeggero, e poi perchè ogni miglioria dell'anima è quella in realtà che innalza l'uomo in raffronto ai suoi simili e in cospetto di Dio.— Ah! Esclamò il piccino, il quale si vedeva che cominciava a comprendere in nube, entrando la sua intelligenza in una sfera tutto novella, a cui non s'era ancora nemmanco affacciata.— Che razza di discorsi gli va facendo? pensava intanto la Rosina. E' mi pare sarebbe meglio ch'e' desse mano addirittura al catechismo.— Or dunque, continuava Maurilio, s'io ti vorrò bene e se ti farò del bene, non domando altro in compenso da te se non che tu pure abbia poi per me alcuna affezione. Tu dici che nessuno ancora ti ha amato. Povero bambino! Io pure passai una infanzia pari se non peggiore della tua; io più che ogni altro posso capire la tua disgrazia e compassionarla a dovere. Noi ci ameremo. Vien qui, dimmi tutto di te. Quanti anni hai?— La nonna dice che ne ho dieci; ma nessuno vuol crederlo e dicono tutti che all'aspetto ne mostro sette od otto.— Tu non hai conosciuta tua madre?Il piccino scosse gravemente la testa in segno negativo.— Poveretto! Esclamò Maurilio con voce in cui vibrava una profonda emozione. E ne hai tu qualche memoria, alcuna reliquia?Luca seguitò a scuoter la testa di quel modo.— Ci pensi tu qualche volta a tua madre?— Sì: rispose il ragazzo quasi esitando: quando la nonna me ne parla.— Almeno tu hai qualcheduno che l'ha conosciuta, che le appartenne e che può parlarti di lei!... Io no.... E che cosa te ne dice la nonna?— Dice che la è stata la sua sciagura e che la era una sgualdrina.Gli occhi di Maurilio balenarono di sdegno.— La disgraziata! Gridò egli. Oh non crederle, sai, Luca alla nonna; non crederle queste cose di tua madre. La donna che ci ha dato la vita è per noi sempre, dev'essere la più santa creatura dello universo. Fosse pur anco la più vile e colpevole, il sublime ufficio della maternità la nobilita innanzi ad ogni animo ammodo, per noi, a cui ella ha dato colla sostanza delle sue vene la esistenza, la rende mediatrice fra la nostra anima e Dio. Un santissimo vincolo è quello che lega e stringe la madre alla sua creatura. Nel nostro cuore palpita il cuore della madre, nell'anima di essa si appunta e vive, direi quasi, l'anima nostra. Nè questo vincolo si rompe pur colla morte!...Sollevò il capo e guardò innanzi a sè con occhio che brillava d'una fiamma pressochè sovrumana.— No, non si rompe! L'anima della madre è così congiunta, così intrecciata con quella del figlio, cotanto l'avvolge e la compenetra, che nemmanco la tomba non può separarnela del tutto. Ella — l'anima amorosa materna — ci segue, ci sta presso, ci veglia, e se non può materialmente farcisi scorgere, e se non può sfogare cogli amplessi terreni l'affetto, forse, e senza forse, è quella che ne ispira i nostri buoni pensieri, che ne infonde nei dolori calma e coraggio, che ci fa entrare nell'animo la dolcezza tante volte di un misterioso inesplicabil conforto.Prese il ragazzo alle braccia e traendolo a sè, lo abbracciò con più viva espansione d'affetto.— Senti, Luca, seguitava egli con voce sempre più soavemente commossa e dolcemente vibrante; non ti avvenne egli mai di vedere nelle visioni del tuo sonno una pietosa figura di donna che ti sorridesse? Nelle ombre della sera non hai mai visto disegnarsi innanzi a te, come in un chiarore nebbioso, una vaga, aerea immagine? Non hai tu maisentito qui nel tuo capo come un susurro di parole amorose, qui entro il tuo petto come il tepore di una mano che ti carezzasse il cuore?Il bambino continuava a guardare co' suoi occhi sbarrati quell'uomo che gli parlava sì nuove e per lui strane parole. Di certo egli non le capiva bene e intieramente; ma pur tuttavia dallo sguardo scintillante di Maurilio, dall'amplesso di lui, da quell'accento grave, tenero e commosso, sentiva penetrare entro sè un ignoto influsso che glie ne serpeva non senza gradevolezza nell'intimo, e suscitavagli non ancora provati sentimenti nell'animo. Chinò il capo tacitamente in segno affermativo, e il suo sguardo infantile e il suo viso patito e smunto erano tutto pensosi.— Ebbene, ripigliava con calore Maurilio, in quei momenti comunicava col tuo spirito rinchiuso in questa tua carne lo spirito di tua madre. Se l'esserci incontrati noi due ieri sera nel fango di quella ignobile strada dove tu piangevi, potrà esserti un giovamento nella vita, siccome io spero, tu ne dovrai ringraziare l'anima di tua madre. Essa fu che ti pose sui miei passi, come la ignota madre mia mi condusse un giorno dinanzi quel generoso che doveva destare alla vita la mia intelligenza: e forse in questo istante le due anime pietose delle madri nostre sono qui stesso che ci guardano, che ispirano in me l'affetto che mi detta queste parole, in te quella commozione che t'impallidisce le guancie.E l'occhio lucente di Maurilio si levava in alto, come a mirarvi i due spiriti delle morte donne che aleggiassero sopra di loro; e le pupille dilatate del fanciullo guardavano ancor esse fisse nello spazio incerte ed immote, quasi vedessero anche loro aperto innanzi a sè il mondo delle visioni ultraterrene.— Luca: soggiunse con inesprimibile efficacia nell'accento il nostro protagonista; io t'insegnerò per prima cosa quello che è uno dei principali tuoi doveri: rispettare ed amare la memoria di tua madre. T'insegnerò a pregare per lei, ed a pregar lei che t'assista. Le preghiere dei sopravvivi giovano ai morti, e le preghiere della madre morta placano la ferocità del destino pei figli, ottengono alla loro anima la forza e la virtù. Forse ti avranno insegnato a pregare i santi, perchè essi intercedano fra le nostre miserie e la grandezza di Dio; il migliore di siffatti intercessori è l'anima di nostra madre.In questo punto l'uscio si aprì vivamente ed entrò la Rosina, commossa, cogli occhi inumiditi da due lagrimette. Ella era madre, la sua natura era la più amorevole e pietosa; come avrebb'ella potuto ascoltare i discorsi di Maurilio senza commoversi?Ebbe rimorso della poca simpatia che aveva provato sino allora per quel giovane melanconico e taciturno; e sentì quasi l'obbligo di farne subita e manifesta ammenda. Senza curarsi punto di rivelare l'indiscrezione da lei commessa nell'ascoltare dietro l'uscio, Rosina irruppe nella stanza colla mano tesa verso Maurilio attonito a quella brusca interruzione.— Bravo! Esclamò essa. Bravissimo! Queste sono belle parole e questi sono bellissimi atti. La sua è una santa opera, e il buon Dio ne la ricompenserà di sicuro.Ed ecco che essa non aveva ancora finito di parlare quando sopravvenne un fatto che pareva volerla pienamente contraddire, chi volesse cercare negli avvenimenti immediati della vita terrena l'azione della giustizia divina.Una forte scampanellata data con mano robusta e che annunziava la maggior premura del mondo, fece accorrere Rosina all'uscio del quartiere. Vide affacciarsi un uomo a faccia sospetta e dietrogli nel pianerottolo quattro altri individui con faccia non meno sospetta di lui.— Che cosa cercano? Domandò Rosina con aria niente affatto incoraggiante, mettendosi fra i due battenti ad impedire il passo a chicchessia, e pronta a richiuder bruscamente l'uscio sul muso a chi si volesse avanzare.— Cerchiamo tante cose: rispose con un dubbio sogghigno l'uomo che veniva il primo; ma perchè le possiamo trovare, conviene che Ella ci lasci venir dentro.La moglie di Vanardi, che era la più coraggiosa donna del mondo, scosse fieramente la testa.— No signore. Non li lascierò entrare finchè non mi avranno detto chi cercano e che cosa vogliono.— Bene: rispose di nuovo quel medesimo che aveva parlato prima; abbiamo da parlare ai signori Bigonci e Nulla, e quello che vogliamo lo diremo loro.Ma la donna inesorabile:— Il signor Bigonci non c'è; il signor Nulla è occupato; mi dicano chi essi sono e allora.....— Oh quante ciancie! Esclamò quell'uomo impazientito. Ci lasci entrare in nome del Re! Io sono impiegato di Polizia, e questi sono carabinieri travestiti.La Rosina, che si aspettava tanto a siffatta risposta, quanto a vedersi cascare il fulmine tra' piedi, gettò un grido di meraviglia e si fece indietro di un passo spaventata.Poliziotto e carabinieri entrarono.Antonio Vanardi che si stirava tranquillamente le braccia, destatosi allor'allora dal sonno con cui aveva compensalo le ore perdute nella notte, vide ad un punto entrargli in camera la moglie esterrefatta dicendogli con voce tremante: — C'è la Polizia, ci sono i carabinieri.... Cercano di Maurilio e del cantante.... Vieni presto di là....Il buon pittore fece un sobbalzo nel letto e divenne più bianco delle sue lenzuola e più tremante di sua moglie.— La Polizia! Balbettò egli. Misericordia! Sono venuti per arrestarci.... Ah! lo sapevo che la doveva finire a questo modo.— O Santo Dio! Sclamava la Rosina, giungendo le mani. Che cosa avete dunque fatto?... Mi pareva bene che le vostre misteriose combriccole avevano qualche cosa di losco....— Zitto! Zitto!... Hanno dimandato anche di me?— No, finora.Vanardi mandò un respiro e si cacciò ben bene sotto le coltri.— Se ne domandano, di' loro che son malato, molto ammalato.... Io frattanto non mi muovo di qua.Il poliziotto e i carabinieri s'erano messi a frugare e rifrugare dappertutto, cominciando dalle robe di Medoro Bigonci che s'erano fatte rammostrare per prime; ma il baule del povero cantante era il più innocente che si potesse trovare, e non la menoma carta sospetta, nè il più piccolo libro proibito compensò i carabinieri della loro fatica. Passarono quindi alle cose che appartenevano agli altri giovani amici, ma la prudenza li aveva consigliati opportunamente a non custodire presso di sè nessun documento, nè oggetto qualsiasi pericoloso, e i carabinieri non poterono sequestrare che lettere indifferenti e manoscritti di tentativi ed abbozzi letterari.Vennero poscia allo stipo in cui Maurilio aveva riposte le poche sue robe.— La chiave di questa serratura? Domandò imperiosamente l'agente di Polizia.Maurilio assisteva a quell'avvenimento con una impressione d'allarme che non sapeva e non cercava nemmanco dissimulare. Il suo era chiaro e netto un contegno da colpevole; ed un birro qualunque, per poco fosse pratico del mestiere, lo avrebbe arrestato anche senza nessun ordine in proposito, solamente al vederne la faccia turbata e l'occhio smarrito. Innanzi a quella forza materiale rivestita dell'autorità della legge, cui gli rappresentavano gli agenti della Sicurezza Pubblica, la sua debolezza fisica si sentiva profondamente sgomenta. E poi, di botto s'era ridestata in lui l'idea del carcere quale lo aveva sofferto un tempo in compagnia de' più tristi mariuoli del mondo, di Stracciaferro e di Graffigna; ed egli rivedendosi in quell'infame purgatorio, sentina d'ogni scelleratezza, sentiva un profondo tremore scuotergli le più intime fibre. Che cosa non avrebbe dato, che non avrebbe fatto per salvarsi da quell'orrida prospettiva che gli si parava dinanzi? La personalità di questo infelice, come già ho cercato di far comprendere, componevasi quasi di due, l'una dall'altra grandemente distinta e così diversa che per poco non dico opposta. Dove si trattasse di contrasto di idee, di lotta morale, la forza intellettiva che era in lui destava e faceva adergersi una individualità risoluta, potente, ardimentosa nella volontà e nella parola: quando fossero in giuoco le forze brutali della materia, nell'uomo s'incontrassero, o nella natura, o nelle istituzioni sociali, la debolezza dei nervi e dei muscoli nel suo corpo fin dall'infanzia immiserito dalle privazioni, dai maltrattamenti, dalle sofferenze d'ogni sorta, non lasciava più essere in lui che una individualità timida, umile, pieghevole, conscia troppo della sua inferiorità e del suo nulla. Impressionabile qual era la sua natura sotto questo rispetto, siccome egli poteva da un subito sdegno attingere la fiamma fugace d'un impeto momentaneo di coraggio, così troppo miseramente s'abbandonava all'accasciamento, quasi direi, alla viltà del timore. In quest'istante era il timor solo che lo dominava. Se alcuno de' suoi amici fosse stato presente, avrebbe potuto col suo risoluto contegno infondere un poco di fermezza anche in lui: ma solo, in presenza delle faccie torve e delle parole minacciose degli agenti della forza pubblica, il povero e debole trovatello non aveva che soggezione, abbattimento e paura.Alla richiesta che il poliziotto fece della chiave dello stipo, Maurilio si riscosse e si accostò tremando.— L'ho io: balbettò egli colle labbra spallidite: quella roba è mia.— Tanto meglio! Disse con accento ancora più ruvido l'agente di polizia, il quale, come suole di siffatta gente, di tanto si faceva più grossolano e prepotente di quanto trovava maggiore innanzi a sè la cedevolezza. — Gli è giusto quello che vogliamo vedere: qui subito quella chiave.Il giovane glie la diede. Lo stipo fu aperto, i panni sciorinati, ogni cosa frugata, sequestrato lo scartafaccio in cui Maurilio soleva scrivere in pagine che nessuno aveva visto, nè secondo il suo concetto doveva veder mai, il più recondito dei suoi pensieri; scartafaccio su cui egli stesso aveva scritto la parolafarragine. Fra i varii oggetti cadde eziandio in mano al poliziotto l'involto in cui erano contenuti il rosario, il bottone da livrea e la lettera che erano stati trovati addosso all'infante abbandonato sulla strada.Maurilio, che aveva visto con immensa pena afferrato, brancicato e sequestrato il suo manoscritto dall'agente di polizia, e non aveva pur osato far motto, ora vedendo quell'involto per lui sacro nelle mani profane d'un carabiniere, ebbe il coraggio di prorompere supplicando:— Ah no, codesto! Non mi tolgano codesto, per carità!Siffatta supplicazione era acconcia ad accrescere ancora la voglia di vedere che cosa quell'involto contenesse; ma nello spiegar la carta, la mano grossolana del carabiniere lasciò cader per terra il bottone d'argento, il quale andò a rotolare tra i piedi diGognino, che era stato lì interito a mirare quella scena, senza quasi trarre nè anco il fiato. Il nipotedellaGattonaraccolse quell'oggetto luccicante, lo guardò e disse non senza meraviglia:— To' to', il bottone della nonna!Benchè turbatissimo fosse in quel momento Maurilio, le parole diGogninogli fecero una profonda impressione: fu d'un balzo presso al ragazzo, e prendendogli il bottone di mano, lo interrogò con voce soffocata per emozione:— Che dici tu? Che cosa vuoi tu significare? Come questa cosa potrebb'ella essere della tua nonna?— Io voglio dire, rispose il fanciullo, che la nonna ha un bottone tale e quale come questo, e che la lo tien prezioso per non so che memoria.Maurilio divenne infuocato in volto pel subito, tumultuoso precipitarsi del sangue commosso al cervello. Le orecchie gli tintinnirono, gli occhi ebbero dinanzi uno scintillio; mille idee gl'invasero confuse e disordinate la mente: il cuore sentì mancarsi il battito in uno spasimo di subita passione, gli parve che la mano del destino gli comparisse d'un tratto davanti ad aprirgli il mistero della sua vita.Le seguenti supposizioni ed induzioni si urtarono e s'intrecciarono nel suo capo: — Che un legame esista fra me e quell'orrida vecchia di vita infame!... Cielo! ch'ella fosse mia madre!... La subita compassione da me provata per questo bambino e il proposito fatto di venire in suo soccorso, altro non sono forse che l'effetto d'un vincolo di sangue onde siamo uniti... Quella sarebbe la mia famiglia?...Provò un sentimento d'orrore e di ripugnanza indicibile. Ad aumentarglielo si affacciò alla sua mente il pensiero della beltà aristocratica di madamigella Virginia, da lui segretamente adorata. Qual nuovo abisso si scavava egli mai fra lui e l'idolo del cuor suo! Oh meglio esser figliuolo di nessuno che il figlio d'una donna infame!...Tutto questo rovinìo di dolorosi pensieri era passato nel suo cervello colla rapidità del baleno, e gli aveva lasciato nell'anima l'ansietà d'una inquietudine insopportabile.— Vieni: diss'egli aGogninoprendendolo per mano; conducimi tosto dalla tua nonna. Bisogna ch'io le parli.— Piano! Gridò il poliziotto mettendoglisi dinanzi. Di qua, signor mio, non s'esce che per venire con noi, perchè Lei è in arresto.L'esaltazione di Maurilio cadde di botto. Vide innanzi a sè, come una voragine spalancata ad ingoiarlo, la carcere e la infamia del nome; si lasciò cader seduto, fattosi pallido come un cadavere, e desiderò realmente in quell'istante morire.Antonio Vanardi ne andò immune per quella volta colla sola paura; ma questa fu tale che in quel momento egli si promise di rinunziare affatto al poco fruttuoso mestiere di congiurato. Maurilio supplicò dal delegato di polizia che quegli oggetti che erano per lui un tesoro ed una reliquia non fossero presi cogli altri di cui i carabinieri avevan fatto bottino; e il delegato che giudicò a nulla importare per nessun verso quelle poche robe, acconsentì. Maurilio partendo consegnò l'involto alla Rosina, pregandola di custodirglielo.Dieci minuti dopo il nostro protagonista, condotto ancor egli al Palazzo Madama, come già era avvenuto a Benda e Selva, trovavasi innanzi alla faccia burbera, villana, prepotente e terribile a chicchessia del signor commissario Tofi.Gogninointanto, uscito di casa il pittore, s'era affrettato a recarsi alla chiesa delCarmine, dove la nonna aveva detto di aspettarlo.LaGattonasi stupì di veder giungere così presto il ragazzo, e questi raccontò quello che era avvenuto. Colle sue interrogazioni la vecchia spillò dal nipote ogni cosa e parola che là si fosse fatta o detta.— Che balordaggini, che eresie son queste onde ti vuole empire il capo! Esclamava la donna indegnata. Dire che non bisogna pregare i santi, ma pregare l'anima della madre! Ce n'è tanto da andare all'inferno diritto come un fuso. Vedi mo' se Padre Bonaventura non aveva ragione a giudicar male di codestui! E bisognerà ripetere esattamente al buon padre gesuita quanto hai visto ed udito. Lo hanno arrestato? Ben gli sta! Chi sa che orrori avrà commesso! Già quella gente lì, senza religione, sono capaci di tutto.Per ultimoGogninocontò l'affare del bottone, come un episodio senza nessuna importanza; ma non lo giudicò tale laGattona, che parve invece molto interessarsene.— Che? Davvero? Tu l'hai proprio visto bene?— Sì.— Ed è proprio uguale a quello che tengo io?— Precisamente.— Questa è strana! Un simile oggetto in suo potere, e quel nome di Maurilio... Oh bisogna che io glie ne parli subito subito a Padre Bonaventura.E recossi diffatti senza indugio in sacristia a far chiedere del frate, col quale ebbe un lungo e segretissimo colloquio, a cui noi non assisteremo per seguitare invece il povero Maurilio innanzi al Commissario, un debole passero negli artigli d'un girifalco.Il commissario Tofi era d'un umore feroce; aveva bisogno di qualche agnellino di suddito senz'autorità, da mettere sotto i suoi denti da lupo di poliziotto. I dialoghi che aveva avuti con Benda e con Selva l'avevano profondamente irritato. Benda aveva mostrato della dignità, Selva un'audacia d'indignazione che era tornata al bravo sor Commissario insopportabilmente temeraria. Le sue minaccie e le sue prepotenze si erano spuntate contro il fermo viso di due giovani che non avevano paura: egliera arrabbiato come un attore a cui è mancato il successo. Ah! se gli si fosse presentata l'occasione di ricattarsene! La sua buona sorte glie la menò innanzi, quest'occasione, colla povera figura impaurita del povero Maurilio.Pel signor Tofi tutta l'umanità si divideva in tre categorie: la prima quella che bisognava rispettare: i nobili, i preti, i militari e gli alti impiegati dello Stato; per costoro consentiva a piegare la sua rigida persona, li trattava collustrissimoe ringuainava innanzi a loro le sue villanie; l'ultima invece era quella della gente da nulla, dei maltrattabili e strapazzabili a talento, a cui poteva dare deltue delvoia seconda, chiamarli canaglia, e mettere i pugni sotto il naso; innanzi a costoro egli sfolgorava in tutta l'imponenza della sua terribilità, e faceva sulle curve cervici rombare il tuono delle sue minaccie di forca e di galera. Fra queste due classi tramezzava una terza, a suo senno, ibrida e spuria, che non aveva l'autorità della prima nè la umiltà e la malleabilità della terza, che non poteva imporre il rispetto e pur si ribellava ai sergozzoni morali e fisici dell'arbitrio poliziesco; la borghesia in una parola, cui il commissario Tofi odiava appunto con tutto l'animo, perchè non aveva da temerla, e non poteva vedersela così rassegnata come avrebbe voluto all'onore che il Governo le faceva di calpestarla, ed egli di svillaneggiarla all'occorrenza.In fondo, in fondo, la sua predilezione era per l'ultima di quelle tre classi — la plebe — verso cui pure egli si dava il gusto di una vera orgia di prepotenze. E questa era una appunto delle ragioni della sua preferenza. Un povero plebeo egli lo poteva fare arrestare, spaventare, maltrattare, tenere un po' di giorni a pane ed acqua nei fossi del Palazzo Madama, poi mandarlo con Dio, senza che alcuno si pensasse mai di muoverne il menomo richiamo; e il poveretto liberato veniva ancora a ringraziare il Commissario, che lo congedava fieramente accigliato con un'ultima benedizione di tremende minaccie. Oltre ciò, egli, il Commissario, usciva da quella classe, e nelle sue vene gli era il sangue plebeo che animava la sua popolana prepotenza; l'influsso della razza esercitava il suo effetto su ciò che potevano dirsi le sue affezioni. Dalla olimpica schiatta dei potenti e dei superiori non era stato che, durante la sua carriera, Tofi non ricevesse qualche ingiustizia e qualche sopruso; ei si curvava innanzi a tutto; la sua devozione monarchica e governativa non n'era punto sminuita, ma che non restasse nulla nulla in lui di amarezza, sarebbe stato un pretender troppo.Cogli straccioni poi la sua villania era piena di franchezza e di libertà, frammista qualche volta ad una famigliarità confidente, quasi affettuosa. Preferiva d'aver da fare con un ladro da trivio o con un assassino di strade che colla superbia pervicace d'un avvocato liberale. Un buon delitto, ben combinato, egli lo trovava interessante; le opinioni di chi avrebbe voluto essere governato diversamente, non le comprendeva e giudicava qualche cosa d'assurdo e di perfido.Appena gli fu condotto innanzi Maurilio, il Commissario stimò che questi era precisamente della razza degli umili, a cui monsignore il lupoen les croquantfa un insigne onore, e il suo animo irritato ne provò un intimo soddisfacimento. Tofi passeggiava secondo il solito in lungo e in largo per la stanza in cui l'abbiamo visto interrogare Francesco Benda; aveva sempre il suo cappellone piantato fin sugli occhi e le manaccie affondate nelle grosse tasche del suo lungo soprabito; le sue folte sopracciglia si toccavano e facevano una riga sola al di sopra delle sue pupille feroci, tanto era aggrottata la fronte; le linee della bocca parevano un arco teso per saettare la minaccia.Allo sdegno suscitato nel Commissario dalla risolutezza di Benda e di Selva, s'aggiungeva quello che gli cagionò la novella non essersi potuto trovare in nessun luogo quel tale Medoro Bigonci. Tofi aveva davvero bisogno di uno sfogo. Esaminò un istante la faccia turbata e i panni logori del giovane, e seppe che cosa pensare sul conto di lui. Lo trattò in conseguenza; e la fiera severità del Commissario si ripercoteva sulle faccie burbere dei carabinieri che accompagnavano Maurilio, sul muso sbarbato dello scrivano seduto al tavolino. L'arrestato non vedeva intorno a sè che espressioni di condanna, presagi per lui della peggior sorte. Tofi lo sottopose ad una vera tortura morale colle minaccie d'una prigionia perpetua e peggio; e l'animo del giovane, per quanto gli era successo quella mattina, era così sconvolto che avrebbe forse lasciato sfuggire il capitale segreto, quando per fortuna si venne a chiamare il Commissario da parte del conte Barranchi, il quale ordinava si recasse da lui senza il menomo indugio.Tofi comandò che Maurilio fosse rinchiuso in una delle carceri del medesimo Palazzo Madama e s'affrettò di ubbidire al cenno del capo supremo della Polizia.Maurilio fu tratto in una delle stanze sotterranee del castello; ma colà dentro udì suonare una voce amica, una mano benevola si porse verso di lui, ed egli si trovò fra le braccia di Giovanni Selva. La sua anima, subitamente riconfortata, al contatto di quell'indole coraggiosa e forte era salva da ogni pericolo di debolezza e di viltà.
Prima di assistere all'importante abboccamento che sta per aver luogo fra Gian-Luigi e Mario Tiburzio, l'ordine cronologico degli avvenimenti vuole che vediamo ciò che succedesse in casa del pittore Vanardi in quel frattempo in cui avvenivano lescene ond'erano teatro l'abitazione e la fabbrica dei Benda.
Dal quartiere in cui dimoravano i giovani amici, Mario Tiburzio era partito prima ancora dell'alba, Giovanni Selva erasi allontanato poco dopo per correre dove abbiam visto, e Romualdo un po' più tardi era uscito per le sue faccende: non rimanevano adunque che Vanardi e Maurilio, e Rosina la moglie del primo. Mentre la donna, con quell'alacrità da buona massaia che era una delle sue principali virtù, si dava intorno ad ordinare la casa, Vanardi che aveva litigato fin tardi nella notte colla curiosità della moglie e Maurilio che fino al mattino era stato raccontando i casi suoi a Giovanni, dormivano tuttavia, quando una scampanellata fece accorrere all'uscio del ripiano la Rosina impazientita che si venisse a disturbarla a quell'ora mattutina. Vedendosi innanzi una brutta vecchia in luridi panni che teneva per mano un fanciullo cencioso, la moglie del pittore credette le si venisse a domandar l'elemosina, e senza aspettare altro disse sollecita:
— Andate, andate con Dio, buona donna, qui non si ha nulla da darvi.
Ma la vecchia, facendosi innanzi a tenere il battente che Rosina voleva di presente richiudere, si affrettò a dire:
— Noi non siamo mica ciò che Lei crede,madama. Siamo aspettati in questa casa, dove ci abbiamo a che fare.
La Rosina spalancò tanto d'occhi.
— Siete aspettati? Avete da che fare qui dentro? Oh bella! Che cosa mai ci avete da fare e chi siete?
Quella brutta vecchia contrappose a quelle una sua richiesta:
— Gli è ben qui che abita il signor Maurilio Nulla?
— Sì, che gli è qui.
— Suo marito forse?
— No, non è mio marito, nè mio parente nemmanco di nessuna maniera, ma e' sta qui. Gli è con lui che avete qualche cosa da spartire?
— È stato lui che ci ha detto di venire e che ci aspetta. Faccia un po' grazia di dirgliene: che c'è laGattonacolGognino, e vedrà.
A Rosina l'aspetto di quei due ispirava poca fiducia.
— Va bene: rispos'ella. Aspettate un momento che vado ad avvertirne Maurilio.
E senza punto cerimonie chiuse l'uscio sul naso adunco dellaGattona.
Maurilio dormiva gettatosi tutto vestito sul letto. Il freddo che lo aveva colto gli allividiva le guancie e le mani da fargliele sembrare mani e guancie di cadavere. Rosina, che pure aveva poca simpatia per l'aspetto tenebroso e l'umore cupamente taciturno di quel giovane, nel vedere profondo il segno d'un'intima sofferenza sui lineamenti di lui addormentato, sentì un senso di compassione.
— Povero giovane! Esclamò ella. E' par morto addirittura.
E ne toccò lievemente la fronte che trovò fredda come marmo; ma a quel tocco Maurilio si destò in sussulto.
— Che cosa c'è? Domandò egli sorgendo a sedere. Ah! la è Lei Rosina....
— C'è qui fuori una vecchia che dice che Lei l'aspetta e che si chiama laGattona.
— LaGattona? Ripetè meravigliato Maurilio, il quale non ricordava punto in tal momento quel nome, nè l'avventura capitatagli la sera innanzi.
— Ha seco un bardotto alto così, cui dà nome diGognino.
— Ah sì, sì: esclamò allora Maurilio, a cui tornò la memoria di tutto; e saltò in piedi giù del letto.
— Li ho dunque da introdurre? Disse Rosina.
— Sì, faccia il piacere; ho veramente detto loro di venire.
La vecchia e il fanciullo furono fatti entrare in quella stanza in cui la notte avevan tenuto consiglio i congiurati.
— Eccoci qui, ad accettare la sua tanta carità: disse a Maurilio col suo accento melato da volgare baciapile laGattona, che intanto faceva girare tutto intorno i suoi occhi cisposi per esaminare ogni cosa di quella stanza. — Levati il berretto di capo, tu: soggiunse dando uno scapellotto al ragazzo che stava lì colla sua aria di malavoglia; e domanda al tuo benefattore se ha dormito bene.
Gogninoper tutta risposta si nascose dimenando le spalle dietro le sottane della vecchia.
— Animo, su, non fare lo scimunito: insisteva la nonna, volendolo trarre a forza di dietro a sè per farlo avanzare verso Maurilio; non mostrarti più male educato di quello che sei. Santa Madonna del Carmine! Se sapessemadama(e si rivolgeva a Rosina la quale assisteva curiosamente a quella scena), se sapesse le fatiche e i mali di stomaco che mi costa questo benedetto sbarazzino... senza contare i denari! Gli è un umorino che non ha il suo compagno, glie lo assicuro io... testardo come un mulo, e malizioso come il fistolo... Io faccio di tutto per ispirargli i sentimenti del timor di Dio e della buona creanza... Eh sì! Gli è come lavar la testa all'asino... Dunque (e riparlava al marmocchio a cui dava potenti strappate al braccio per tirarlo avanti) vuoi venir fuori sì o no a fare il tuo dovere col signore?...
— Lasciatelo stare; interruppe Maurilio seccamente. Quando saremo soli ce la diremo di sicuro fra di noi. Prendete i vostri dieci soldi voi, e andatevene con Dio.
La vecchia prese i denari che Maurilio gli porgeva e torcendo il collo da una parte, volgendo gli occhi in su, biascicò una litania di ringraziamenti.
— Che il Signore e la Madonna e i Santi tutti del Paradiso la benedicano. Io vado difilato alCarminea pregare per Lei... o allaConsolatase le piace di meglio...
— Pregate per voi o per chi altri vi aggrada. Io non cerco preghiere da nessuno.
— Gesummaria! Disse fra sè laGattona. Padre Bonaventura ha ragione: è un eretico e miscredente.
— Oh sante piaghe! Soggiunse ella poi ad alta voce: le preghiere non fanno mai male a nessuno. Però come la vuole. Lascio dunqueGogninopresso di Lei. E quando uscirai (disse al fanciullo levando l'indice per fargliene notar di meglio l'intimazione) vieni tosto a raggiungermi sulla porta delCarmine, e non baloccarti per istrada siccome è tuo uso, neh?MonsùeMadamali riverisco.
Fece una profonda riverenza, che avrebbe contentato un maestro di ballo, ed uscì, accompagnata sino all'uscio dalla moglie del pittore.
Questa non capiva bene l'atto di Maurilio, ed era ben lontana dall'approvarlo. Fare la carità, anche la buona Rosina trovava una bellissima cosa, ma quando se ne avesse i mezzi; e di Maurilio ella sapeva come, coll'esercizio del suo povero mestiere, guadagnasse tanto appena da bastare ai più stretti bisogni suoi. E poi che cosa voleva egli fare di questo bambino che si faceva condurre in casa? Forse mantenerlo? Oh sì ch'ella voleva quella giunta di carico alle gravezze famigliari! Accompagnando la vecchia, Rosina, che era la più curiosa delle donne, interrogò, e laGattona, che era la più ciarliera, contò tutto quello che era intravvenuto fra lei, suo nipote e Maurilio.
— Gli è matto per davvero: conchiuse la moglie di Vanardi, tornando indietro dalla porta, dopo partita la vecchia. S'ei si mette in capo di insegnare a leggere e scrivere a tutti gli straccioni che non lo sanno, sì che mi sta fresco!
Maurilio aveva preso il fanciullo per mano e se l'era condotto seco nella vicina stanza, dove ci aveva il suo letto. Rosina cedette alla tentazione della sua irrefrenabile curiosità; si accostò pianamente all'uscio, e messo l'occhio al buco della toppa, si diede ad ascoltare e guardare.
Maurilio s'era seduto presso la finestra e teneva il fanciullo innanzi a sè, passandogli carezzevolmente una mano sugl'ispidi, scarmigliati capelli. L'espressione della sua faccia era quale Rosina non gli aveva mai vista. Una nuova affettuosità raggiava dai suoi lineamenti strani ed originali, una luce di tenerezza brillava ne' suoi occhi affondati. Pareva che la sua fisionomia avesse deposto il velo scuro che l'appannava per mostrare una espansività fino allora contenuta e dissimulata. Quella faccia irregolare in tal momento pareva quasi leggiadra.
— Mi riconosci ancora? Domandava egli al ragazzo con voce diversa dall'usata ancor essa, e soave.
— Sì: gli è Lei che mi ha pagato da cena ieri sera.
— E ti ha egli fatto piacere che io ti abbia procurato una buona satolla?
— Oh sì... Mi avviene così di rado..... Mi tocca sempre rosicchiare un pezzo di pan nero e non altro.
— Dà retta, Luca, per qual ragione pare a te che io t'abbia fatto quel piacere?
Il fanciullo levò i suoi occhioni larghi e sgranati in volto a Maurilio e li fissò fra interrogatori, fra stupiti in quelli di lui, che in quel punto, brillanti d'un sentimento d'ineffabile affetto, parevano anche alla Rosina i più belli occhi del mondo. Da quello sguardo Luca non sentiva nessuna soggezione, ma invece un'aggradevole sensazione inesplicabile: ei non era mai stato guardato di quella maniera; gli sembrava che una specie di calore gliene penetrasse nelle vene a riconfortarlo; la figura di solito diffidente e maliziosa del ragazzo si aprì ancor essa ad un'espressione più mite ed espansiva, quasi di fiducia; non rispose nulla il meschinello, ma come se volesse con un atto manifestare la nuova confidenza che nasceva in lui per quell'uomo tuttavia sconosciuto, ei si fece più presso a Maurilio e gli pose una mano sopra il ginocchio, tenendo sempre il suo sguardo affondato, per così dire, in quello di lui.
Maurilio ripetè la sua domanda accarezzando al bambino con più tenerezza le chiome.
— Ma... non saprei... per farmi piacere; rispose esitandoGognino.
— Sì; perchè ho provato per te un sentimento d'interesse che mi ha spinto a farti del bene... Gli è quello appunto che si chiama voler bene; nella qual cosa vi sono varii gradi, a cominciare da un interessamento lieve e passeggero andando poi fino all'affetto profondo e che dura sempre. Capisci quello che voglio dire?
— Capisco: disse lentamenteGognino; e ne' suoi occhi sempre fissi a quel modo in chi gli parlava, passavano davvero certi lampi d'intelligenza che erano come il risveglio dell'anima pensante. Capisco... A me fino adesso nessuno ha voluto bene.
— E la nonna? Domandò Maurilio.
Il piccino scosse melanconicamente il capo senza pronunziare parola.
— Se tu te lo meriterai, te ne vorrò io del bene, e te ne vorrò sempre più, a seconda che corrisponderai alle mie cure ed ai miei desiderii. Quello stesso sentimento d'interesse che mi ha fatto darti da cena ieri sera che avevi fame mi ha indotto a prenderti qui meco per farti un bene ancora maggiore di quello che sia il saziarti di cibo. Il dar da mangiare, vedi, è un benefizio a questo che si chiama corpo, che è quel che si tocca e che si vede di noi; ma noi tutti abbiamo dentro una cosa che nè si vede, nè si tocca, ma che è la miglior parte di noi, che anzi è proprio ciò che fa noi stessi, ed è quella cosa che pensa e che vuole.
Gogninoallargava sempre più gli occhi.
— E questa cosa dentro c'è l'ho ancor io? Domandò egli con una serietà che dinotava l'effetto che facevano in lui le parole di Maurilio così nuove alle sue orecchie.
— Sì certo: rispondeva Maurilio. Tutti quanti gli uomini l'hanno del pari, uguale se non nelle qualità, nella sostanza. Non hai tu mai sentito a parlare dell'anima?
— Oh sì. La nonna mi conduce tutte le mattine in chiesa a sentir la messa di padre Bonaventura e dice che gli è per salvar l'anima; ma io non ho mai capito che cosa fosse.
— Senti! Ti avviene egli mai di ricordare qualche cosa che ti è avvenuto nei giorni che sono passati? Oppure non ti avviene egli di desiderare alcune volte di essere in qualche luogo o di far qualche cosa e benchè tu sia, per esempio, in casa tua, non ti par egli di esser qua o colà coi tuoi compagni?
— Oh sì! Esclamò il ragazzo nelle cui pupille correvano sempre più vivi i lampi dell'intelligenza. Certe volte, seduto sulla cenere del camino nella soffitta della nonna, mi piacerebbe essere sulla piazza a guizzare sulle sgusciarole cogli altri, e gli è proprio come se ce li vedessi; ed altre volte mi ricordo del bel verde che avevano la state gli alberi dei viali e vorrei correrci sotto.
— Bene. Fa attenzione, Luca; in quei momenti tu non sei mica col tuo corpo nè sulla piazza nè tampoco sui viali che a questa stagione sono tutt'altro che verdi. Tu vedi quelle cose perchè lepensi. Gli è col pensiero che sei colà, mentre il corpo sta nella soffitta: ora il pensiero è la facoltà di quella parte interna di noi che si chiama l'anima, ed è il modo con cui la si manifesta. Se io, saziando ieri sera la tua fame, ho procacciato un bene al tuo corpo, facendoti venir qui ad imparare ciò che sto per insegnarti voglio procacciare un bene all'anima tua; e questo bene è assai più prezioso del primo, perchè anzi tutto è duraturo, mentre quello è passeggero, e poi perchè ogni miglioria dell'anima è quella in realtà che innalza l'uomo in raffronto ai suoi simili e in cospetto di Dio.
— Ah! Esclamò il piccino, il quale si vedeva che cominciava a comprendere in nube, entrando la sua intelligenza in una sfera tutto novella, a cui non s'era ancora nemmanco affacciata.
— Che razza di discorsi gli va facendo? pensava intanto la Rosina. E' mi pare sarebbe meglio ch'e' desse mano addirittura al catechismo.
— Or dunque, continuava Maurilio, s'io ti vorrò bene e se ti farò del bene, non domando altro in compenso da te se non che tu pure abbia poi per me alcuna affezione. Tu dici che nessuno ancora ti ha amato. Povero bambino! Io pure passai una infanzia pari se non peggiore della tua; io più che ogni altro posso capire la tua disgrazia e compassionarla a dovere. Noi ci ameremo. Vien qui, dimmi tutto di te. Quanti anni hai?
— La nonna dice che ne ho dieci; ma nessuno vuol crederlo e dicono tutti che all'aspetto ne mostro sette od otto.
— Tu non hai conosciuta tua madre?
Il piccino scosse gravemente la testa in segno negativo.
— Poveretto! Esclamò Maurilio con voce in cui vibrava una profonda emozione. E ne hai tu qualche memoria, alcuna reliquia?
Luca seguitò a scuoter la testa di quel modo.
— Ci pensi tu qualche volta a tua madre?
— Sì: rispose il ragazzo quasi esitando: quando la nonna me ne parla.
— Almeno tu hai qualcheduno che l'ha conosciuta, che le appartenne e che può parlarti di lei!... Io no.... E che cosa te ne dice la nonna?
— Dice che la è stata la sua sciagura e che la era una sgualdrina.
Gli occhi di Maurilio balenarono di sdegno.
— La disgraziata! Gridò egli. Oh non crederle, sai, Luca alla nonna; non crederle queste cose di tua madre. La donna che ci ha dato la vita è per noi sempre, dev'essere la più santa creatura dello universo. Fosse pur anco la più vile e colpevole, il sublime ufficio della maternità la nobilita innanzi ad ogni animo ammodo, per noi, a cui ella ha dato colla sostanza delle sue vene la esistenza, la rende mediatrice fra la nostra anima e Dio. Un santissimo vincolo è quello che lega e stringe la madre alla sua creatura. Nel nostro cuore palpita il cuore della madre, nell'anima di essa si appunta e vive, direi quasi, l'anima nostra. Nè questo vincolo si rompe pur colla morte!...
Sollevò il capo e guardò innanzi a sè con occhio che brillava d'una fiamma pressochè sovrumana.
— No, non si rompe! L'anima della madre è così congiunta, così intrecciata con quella del figlio, cotanto l'avvolge e la compenetra, che nemmanco la tomba non può separarnela del tutto. Ella — l'anima amorosa materna — ci segue, ci sta presso, ci veglia, e se non può materialmente farcisi scorgere, e se non può sfogare cogli amplessi terreni l'affetto, forse, e senza forse, è quella che ne ispira i nostri buoni pensieri, che ne infonde nei dolori calma e coraggio, che ci fa entrare nell'animo la dolcezza tante volte di un misterioso inesplicabil conforto.
Prese il ragazzo alle braccia e traendolo a sè, lo abbracciò con più viva espansione d'affetto.
— Senti, Luca, seguitava egli con voce sempre più soavemente commossa e dolcemente vibrante; non ti avvenne egli mai di vedere nelle visioni del tuo sonno una pietosa figura di donna che ti sorridesse? Nelle ombre della sera non hai mai visto disegnarsi innanzi a te, come in un chiarore nebbioso, una vaga, aerea immagine? Non hai tu maisentito qui nel tuo capo come un susurro di parole amorose, qui entro il tuo petto come il tepore di una mano che ti carezzasse il cuore?
Il bambino continuava a guardare co' suoi occhi sbarrati quell'uomo che gli parlava sì nuove e per lui strane parole. Di certo egli non le capiva bene e intieramente; ma pur tuttavia dallo sguardo scintillante di Maurilio, dall'amplesso di lui, da quell'accento grave, tenero e commosso, sentiva penetrare entro sè un ignoto influsso che glie ne serpeva non senza gradevolezza nell'intimo, e suscitavagli non ancora provati sentimenti nell'animo. Chinò il capo tacitamente in segno affermativo, e il suo sguardo infantile e il suo viso patito e smunto erano tutto pensosi.
— Ebbene, ripigliava con calore Maurilio, in quei momenti comunicava col tuo spirito rinchiuso in questa tua carne lo spirito di tua madre. Se l'esserci incontrati noi due ieri sera nel fango di quella ignobile strada dove tu piangevi, potrà esserti un giovamento nella vita, siccome io spero, tu ne dovrai ringraziare l'anima di tua madre. Essa fu che ti pose sui miei passi, come la ignota madre mia mi condusse un giorno dinanzi quel generoso che doveva destare alla vita la mia intelligenza: e forse in questo istante le due anime pietose delle madri nostre sono qui stesso che ci guardano, che ispirano in me l'affetto che mi detta queste parole, in te quella commozione che t'impallidisce le guancie.
E l'occhio lucente di Maurilio si levava in alto, come a mirarvi i due spiriti delle morte donne che aleggiassero sopra di loro; e le pupille dilatate del fanciullo guardavano ancor esse fisse nello spazio incerte ed immote, quasi vedessero anche loro aperto innanzi a sè il mondo delle visioni ultraterrene.
— Luca: soggiunse con inesprimibile efficacia nell'accento il nostro protagonista; io t'insegnerò per prima cosa quello che è uno dei principali tuoi doveri: rispettare ed amare la memoria di tua madre. T'insegnerò a pregare per lei, ed a pregar lei che t'assista. Le preghiere dei sopravvivi giovano ai morti, e le preghiere della madre morta placano la ferocità del destino pei figli, ottengono alla loro anima la forza e la virtù. Forse ti avranno insegnato a pregare i santi, perchè essi intercedano fra le nostre miserie e la grandezza di Dio; il migliore di siffatti intercessori è l'anima di nostra madre.
In questo punto l'uscio si aprì vivamente ed entrò la Rosina, commossa, cogli occhi inumiditi da due lagrimette. Ella era madre, la sua natura era la più amorevole e pietosa; come avrebb'ella potuto ascoltare i discorsi di Maurilio senza commoversi?
Ebbe rimorso della poca simpatia che aveva provato sino allora per quel giovane melanconico e taciturno; e sentì quasi l'obbligo di farne subita e manifesta ammenda. Senza curarsi punto di rivelare l'indiscrezione da lei commessa nell'ascoltare dietro l'uscio, Rosina irruppe nella stanza colla mano tesa verso Maurilio attonito a quella brusca interruzione.
— Bravo! Esclamò essa. Bravissimo! Queste sono belle parole e questi sono bellissimi atti. La sua è una santa opera, e il buon Dio ne la ricompenserà di sicuro.
Ed ecco che essa non aveva ancora finito di parlare quando sopravvenne un fatto che pareva volerla pienamente contraddire, chi volesse cercare negli avvenimenti immediati della vita terrena l'azione della giustizia divina.
Una forte scampanellata data con mano robusta e che annunziava la maggior premura del mondo, fece accorrere Rosina all'uscio del quartiere. Vide affacciarsi un uomo a faccia sospetta e dietrogli nel pianerottolo quattro altri individui con faccia non meno sospetta di lui.
— Che cosa cercano? Domandò Rosina con aria niente affatto incoraggiante, mettendosi fra i due battenti ad impedire il passo a chicchessia, e pronta a richiuder bruscamente l'uscio sul muso a chi si volesse avanzare.
— Cerchiamo tante cose: rispose con un dubbio sogghigno l'uomo che veniva il primo; ma perchè le possiamo trovare, conviene che Ella ci lasci venir dentro.
La moglie di Vanardi, che era la più coraggiosa donna del mondo, scosse fieramente la testa.
— No signore. Non li lascierò entrare finchè non mi avranno detto chi cercano e che cosa vogliono.
— Bene: rispose di nuovo quel medesimo che aveva parlato prima; abbiamo da parlare ai signori Bigonci e Nulla, e quello che vogliamo lo diremo loro.
Ma la donna inesorabile:
— Il signor Bigonci non c'è; il signor Nulla è occupato; mi dicano chi essi sono e allora.....
— Oh quante ciancie! Esclamò quell'uomo impazientito. Ci lasci entrare in nome del Re! Io sono impiegato di Polizia, e questi sono carabinieri travestiti.
La Rosina, che si aspettava tanto a siffatta risposta, quanto a vedersi cascare il fulmine tra' piedi, gettò un grido di meraviglia e si fece indietro di un passo spaventata.
Poliziotto e carabinieri entrarono.
Antonio Vanardi che si stirava tranquillamente le braccia, destatosi allor'allora dal sonno con cui aveva compensalo le ore perdute nella notte, vide ad un punto entrargli in camera la moglie esterrefatta dicendogli con voce tremante: — C'è la Polizia, ci sono i carabinieri.... Cercano di Maurilio e del cantante.... Vieni presto di là....
Il buon pittore fece un sobbalzo nel letto e divenne più bianco delle sue lenzuola e più tremante di sua moglie.
— La Polizia! Balbettò egli. Misericordia! Sono venuti per arrestarci.... Ah! lo sapevo che la doveva finire a questo modo.
— O Santo Dio! Sclamava la Rosina, giungendo le mani. Che cosa avete dunque fatto?... Mi pareva bene che le vostre misteriose combriccole avevano qualche cosa di losco....
— Zitto! Zitto!... Hanno dimandato anche di me?
— No, finora.
Vanardi mandò un respiro e si cacciò ben bene sotto le coltri.
— Se ne domandano, di' loro che son malato, molto ammalato.... Io frattanto non mi muovo di qua.
Il poliziotto e i carabinieri s'erano messi a frugare e rifrugare dappertutto, cominciando dalle robe di Medoro Bigonci che s'erano fatte rammostrare per prime; ma il baule del povero cantante era il più innocente che si potesse trovare, e non la menoma carta sospetta, nè il più piccolo libro proibito compensò i carabinieri della loro fatica. Passarono quindi alle cose che appartenevano agli altri giovani amici, ma la prudenza li aveva consigliati opportunamente a non custodire presso di sè nessun documento, nè oggetto qualsiasi pericoloso, e i carabinieri non poterono sequestrare che lettere indifferenti e manoscritti di tentativi ed abbozzi letterari.
Vennero poscia allo stipo in cui Maurilio aveva riposte le poche sue robe.
— La chiave di questa serratura? Domandò imperiosamente l'agente di Polizia.
Maurilio assisteva a quell'avvenimento con una impressione d'allarme che non sapeva e non cercava nemmanco dissimulare. Il suo era chiaro e netto un contegno da colpevole; ed un birro qualunque, per poco fosse pratico del mestiere, lo avrebbe arrestato anche senza nessun ordine in proposito, solamente al vederne la faccia turbata e l'occhio smarrito. Innanzi a quella forza materiale rivestita dell'autorità della legge, cui gli rappresentavano gli agenti della Sicurezza Pubblica, la sua debolezza fisica si sentiva profondamente sgomenta. E poi, di botto s'era ridestata in lui l'idea del carcere quale lo aveva sofferto un tempo in compagnia de' più tristi mariuoli del mondo, di Stracciaferro e di Graffigna; ed egli rivedendosi in quell'infame purgatorio, sentina d'ogni scelleratezza, sentiva un profondo tremore scuotergli le più intime fibre. Che cosa non avrebbe dato, che non avrebbe fatto per salvarsi da quell'orrida prospettiva che gli si parava dinanzi? La personalità di questo infelice, come già ho cercato di far comprendere, componevasi quasi di due, l'una dall'altra grandemente distinta e così diversa che per poco non dico opposta. Dove si trattasse di contrasto di idee, di lotta morale, la forza intellettiva che era in lui destava e faceva adergersi una individualità risoluta, potente, ardimentosa nella volontà e nella parola: quando fossero in giuoco le forze brutali della materia, nell'uomo s'incontrassero, o nella natura, o nelle istituzioni sociali, la debolezza dei nervi e dei muscoli nel suo corpo fin dall'infanzia immiserito dalle privazioni, dai maltrattamenti, dalle sofferenze d'ogni sorta, non lasciava più essere in lui che una individualità timida, umile, pieghevole, conscia troppo della sua inferiorità e del suo nulla. Impressionabile qual era la sua natura sotto questo rispetto, siccome egli poteva da un subito sdegno attingere la fiamma fugace d'un impeto momentaneo di coraggio, così troppo miseramente s'abbandonava all'accasciamento, quasi direi, alla viltà del timore. In quest'istante era il timor solo che lo dominava. Se alcuno de' suoi amici fosse stato presente, avrebbe potuto col suo risoluto contegno infondere un poco di fermezza anche in lui: ma solo, in presenza delle faccie torve e delle parole minacciose degli agenti della forza pubblica, il povero e debole trovatello non aveva che soggezione, abbattimento e paura.
Alla richiesta che il poliziotto fece della chiave dello stipo, Maurilio si riscosse e si accostò tremando.
— L'ho io: balbettò egli colle labbra spallidite: quella roba è mia.
— Tanto meglio! Disse con accento ancora più ruvido l'agente di polizia, il quale, come suole di siffatta gente, di tanto si faceva più grossolano e prepotente di quanto trovava maggiore innanzi a sè la cedevolezza. — Gli è giusto quello che vogliamo vedere: qui subito quella chiave.
Il giovane glie la diede. Lo stipo fu aperto, i panni sciorinati, ogni cosa frugata, sequestrato lo scartafaccio in cui Maurilio soleva scrivere in pagine che nessuno aveva visto, nè secondo il suo concetto doveva veder mai, il più recondito dei suoi pensieri; scartafaccio su cui egli stesso aveva scritto la parolafarragine. Fra i varii oggetti cadde eziandio in mano al poliziotto l'involto in cui erano contenuti il rosario, il bottone da livrea e la lettera che erano stati trovati addosso all'infante abbandonato sulla strada.
Maurilio, che aveva visto con immensa pena afferrato, brancicato e sequestrato il suo manoscritto dall'agente di polizia, e non aveva pur osato far motto, ora vedendo quell'involto per lui sacro nelle mani profane d'un carabiniere, ebbe il coraggio di prorompere supplicando:
— Ah no, codesto! Non mi tolgano codesto, per carità!
Siffatta supplicazione era acconcia ad accrescere ancora la voglia di vedere che cosa quell'involto contenesse; ma nello spiegar la carta, la mano grossolana del carabiniere lasciò cader per terra il bottone d'argento, il quale andò a rotolare tra i piedi diGognino, che era stato lì interito a mirare quella scena, senza quasi trarre nè anco il fiato. Il nipotedellaGattonaraccolse quell'oggetto luccicante, lo guardò e disse non senza meraviglia:
— To' to', il bottone della nonna!
Benchè turbatissimo fosse in quel momento Maurilio, le parole diGogninogli fecero una profonda impressione: fu d'un balzo presso al ragazzo, e prendendogli il bottone di mano, lo interrogò con voce soffocata per emozione:
— Che dici tu? Che cosa vuoi tu significare? Come questa cosa potrebb'ella essere della tua nonna?
— Io voglio dire, rispose il fanciullo, che la nonna ha un bottone tale e quale come questo, e che la lo tien prezioso per non so che memoria.
Maurilio divenne infuocato in volto pel subito, tumultuoso precipitarsi del sangue commosso al cervello. Le orecchie gli tintinnirono, gli occhi ebbero dinanzi uno scintillio; mille idee gl'invasero confuse e disordinate la mente: il cuore sentì mancarsi il battito in uno spasimo di subita passione, gli parve che la mano del destino gli comparisse d'un tratto davanti ad aprirgli il mistero della sua vita.
Le seguenti supposizioni ed induzioni si urtarono e s'intrecciarono nel suo capo: — Che un legame esista fra me e quell'orrida vecchia di vita infame!... Cielo! ch'ella fosse mia madre!... La subita compassione da me provata per questo bambino e il proposito fatto di venire in suo soccorso, altro non sono forse che l'effetto d'un vincolo di sangue onde siamo uniti... Quella sarebbe la mia famiglia?...
Provò un sentimento d'orrore e di ripugnanza indicibile. Ad aumentarglielo si affacciò alla sua mente il pensiero della beltà aristocratica di madamigella Virginia, da lui segretamente adorata. Qual nuovo abisso si scavava egli mai fra lui e l'idolo del cuor suo! Oh meglio esser figliuolo di nessuno che il figlio d'una donna infame!...
Tutto questo rovinìo di dolorosi pensieri era passato nel suo cervello colla rapidità del baleno, e gli aveva lasciato nell'anima l'ansietà d'una inquietudine insopportabile.
— Vieni: diss'egli aGogninoprendendolo per mano; conducimi tosto dalla tua nonna. Bisogna ch'io le parli.
— Piano! Gridò il poliziotto mettendoglisi dinanzi. Di qua, signor mio, non s'esce che per venire con noi, perchè Lei è in arresto.
L'esaltazione di Maurilio cadde di botto. Vide innanzi a sè, come una voragine spalancata ad ingoiarlo, la carcere e la infamia del nome; si lasciò cader seduto, fattosi pallido come un cadavere, e desiderò realmente in quell'istante morire.
Antonio Vanardi ne andò immune per quella volta colla sola paura; ma questa fu tale che in quel momento egli si promise di rinunziare affatto al poco fruttuoso mestiere di congiurato. Maurilio supplicò dal delegato di polizia che quegli oggetti che erano per lui un tesoro ed una reliquia non fossero presi cogli altri di cui i carabinieri avevan fatto bottino; e il delegato che giudicò a nulla importare per nessun verso quelle poche robe, acconsentì. Maurilio partendo consegnò l'involto alla Rosina, pregandola di custodirglielo.
Dieci minuti dopo il nostro protagonista, condotto ancor egli al Palazzo Madama, come già era avvenuto a Benda e Selva, trovavasi innanzi alla faccia burbera, villana, prepotente e terribile a chicchessia del signor commissario Tofi.
Gogninointanto, uscito di casa il pittore, s'era affrettato a recarsi alla chiesa delCarmine, dove la nonna aveva detto di aspettarlo.
LaGattonasi stupì di veder giungere così presto il ragazzo, e questi raccontò quello che era avvenuto. Colle sue interrogazioni la vecchia spillò dal nipote ogni cosa e parola che là si fosse fatta o detta.
— Che balordaggini, che eresie son queste onde ti vuole empire il capo! Esclamava la donna indegnata. Dire che non bisogna pregare i santi, ma pregare l'anima della madre! Ce n'è tanto da andare all'inferno diritto come un fuso. Vedi mo' se Padre Bonaventura non aveva ragione a giudicar male di codestui! E bisognerà ripetere esattamente al buon padre gesuita quanto hai visto ed udito. Lo hanno arrestato? Ben gli sta! Chi sa che orrori avrà commesso! Già quella gente lì, senza religione, sono capaci di tutto.
Per ultimoGogninocontò l'affare del bottone, come un episodio senza nessuna importanza; ma non lo giudicò tale laGattona, che parve invece molto interessarsene.
— Che? Davvero? Tu l'hai proprio visto bene?
— Sì.
— Ed è proprio uguale a quello che tengo io?
— Precisamente.
— Questa è strana! Un simile oggetto in suo potere, e quel nome di Maurilio... Oh bisogna che io glie ne parli subito subito a Padre Bonaventura.
E recossi diffatti senza indugio in sacristia a far chiedere del frate, col quale ebbe un lungo e segretissimo colloquio, a cui noi non assisteremo per seguitare invece il povero Maurilio innanzi al Commissario, un debole passero negli artigli d'un girifalco.
Il commissario Tofi era d'un umore feroce; aveva bisogno di qualche agnellino di suddito senz'autorità, da mettere sotto i suoi denti da lupo di poliziotto. I dialoghi che aveva avuti con Benda e con Selva l'avevano profondamente irritato. Benda aveva mostrato della dignità, Selva un'audacia d'indignazione che era tornata al bravo sor Commissario insopportabilmente temeraria. Le sue minaccie e le sue prepotenze si erano spuntate contro il fermo viso di due giovani che non avevano paura: egliera arrabbiato come un attore a cui è mancato il successo. Ah! se gli si fosse presentata l'occasione di ricattarsene! La sua buona sorte glie la menò innanzi, quest'occasione, colla povera figura impaurita del povero Maurilio.
Pel signor Tofi tutta l'umanità si divideva in tre categorie: la prima quella che bisognava rispettare: i nobili, i preti, i militari e gli alti impiegati dello Stato; per costoro consentiva a piegare la sua rigida persona, li trattava collustrissimoe ringuainava innanzi a loro le sue villanie; l'ultima invece era quella della gente da nulla, dei maltrattabili e strapazzabili a talento, a cui poteva dare deltue delvoia seconda, chiamarli canaglia, e mettere i pugni sotto il naso; innanzi a costoro egli sfolgorava in tutta l'imponenza della sua terribilità, e faceva sulle curve cervici rombare il tuono delle sue minaccie di forca e di galera. Fra queste due classi tramezzava una terza, a suo senno, ibrida e spuria, che non aveva l'autorità della prima nè la umiltà e la malleabilità della terza, che non poteva imporre il rispetto e pur si ribellava ai sergozzoni morali e fisici dell'arbitrio poliziesco; la borghesia in una parola, cui il commissario Tofi odiava appunto con tutto l'animo, perchè non aveva da temerla, e non poteva vedersela così rassegnata come avrebbe voluto all'onore che il Governo le faceva di calpestarla, ed egli di svillaneggiarla all'occorrenza.
In fondo, in fondo, la sua predilezione era per l'ultima di quelle tre classi — la plebe — verso cui pure egli si dava il gusto di una vera orgia di prepotenze. E questa era una appunto delle ragioni della sua preferenza. Un povero plebeo egli lo poteva fare arrestare, spaventare, maltrattare, tenere un po' di giorni a pane ed acqua nei fossi del Palazzo Madama, poi mandarlo con Dio, senza che alcuno si pensasse mai di muoverne il menomo richiamo; e il poveretto liberato veniva ancora a ringraziare il Commissario, che lo congedava fieramente accigliato con un'ultima benedizione di tremende minaccie. Oltre ciò, egli, il Commissario, usciva da quella classe, e nelle sue vene gli era il sangue plebeo che animava la sua popolana prepotenza; l'influsso della razza esercitava il suo effetto su ciò che potevano dirsi le sue affezioni. Dalla olimpica schiatta dei potenti e dei superiori non era stato che, durante la sua carriera, Tofi non ricevesse qualche ingiustizia e qualche sopruso; ei si curvava innanzi a tutto; la sua devozione monarchica e governativa non n'era punto sminuita, ma che non restasse nulla nulla in lui di amarezza, sarebbe stato un pretender troppo.
Cogli straccioni poi la sua villania era piena di franchezza e di libertà, frammista qualche volta ad una famigliarità confidente, quasi affettuosa. Preferiva d'aver da fare con un ladro da trivio o con un assassino di strade che colla superbia pervicace d'un avvocato liberale. Un buon delitto, ben combinato, egli lo trovava interessante; le opinioni di chi avrebbe voluto essere governato diversamente, non le comprendeva e giudicava qualche cosa d'assurdo e di perfido.
Appena gli fu condotto innanzi Maurilio, il Commissario stimò che questi era precisamente della razza degli umili, a cui monsignore il lupoen les croquantfa un insigne onore, e il suo animo irritato ne provò un intimo soddisfacimento. Tofi passeggiava secondo il solito in lungo e in largo per la stanza in cui l'abbiamo visto interrogare Francesco Benda; aveva sempre il suo cappellone piantato fin sugli occhi e le manaccie affondate nelle grosse tasche del suo lungo soprabito; le sue folte sopracciglia si toccavano e facevano una riga sola al di sopra delle sue pupille feroci, tanto era aggrottata la fronte; le linee della bocca parevano un arco teso per saettare la minaccia.
Allo sdegno suscitato nel Commissario dalla risolutezza di Benda e di Selva, s'aggiungeva quello che gli cagionò la novella non essersi potuto trovare in nessun luogo quel tale Medoro Bigonci. Tofi aveva davvero bisogno di uno sfogo. Esaminò un istante la faccia turbata e i panni logori del giovane, e seppe che cosa pensare sul conto di lui. Lo trattò in conseguenza; e la fiera severità del Commissario si ripercoteva sulle faccie burbere dei carabinieri che accompagnavano Maurilio, sul muso sbarbato dello scrivano seduto al tavolino. L'arrestato non vedeva intorno a sè che espressioni di condanna, presagi per lui della peggior sorte. Tofi lo sottopose ad una vera tortura morale colle minaccie d'una prigionia perpetua e peggio; e l'animo del giovane, per quanto gli era successo quella mattina, era così sconvolto che avrebbe forse lasciato sfuggire il capitale segreto, quando per fortuna si venne a chiamare il Commissario da parte del conte Barranchi, il quale ordinava si recasse da lui senza il menomo indugio.
Tofi comandò che Maurilio fosse rinchiuso in una delle carceri del medesimo Palazzo Madama e s'affrettò di ubbidire al cenno del capo supremo della Polizia.
Maurilio fu tratto in una delle stanze sotterranee del castello; ma colà dentro udì suonare una voce amica, una mano benevola si porse verso di lui, ed egli si trovò fra le braccia di Giovanni Selva. La sua anima, subitamente riconfortata, al contatto di quell'indole coraggiosa e forte era salva da ogni pericolo di debolezza e di viltà.