CAPITOLO XVII.Ettore di Baldissero, figliuolo del marchese, era tornato a casa sua disgustato, mortificato, corrucciato dell'arresto di Benda, mercè cui non aveva potuto aver luogo il duello tra essi indetto. Indignati del pari n'erano i padrini del marchesino.— Se sapessi a cui attribuire questomauvais tour, sclamava Ettore scalpitando con rabbia la neve nella camminata a piedi che col conte San-Luca e coll'altro suo compagno dovette fare per restituirsi in città, affè che gli vorrei mostrare il modo di regolarsi!...— Certo e' ti fu reso con ciò un cattivo servizio: disse San-Luca; e se fosse tuo padre che avesse avuto questa infelice idea....— Non è mio padre: interruppe seccamente il marchesino.— Eh! chi sa? I padri, quando si tratta di salvare da un pericolo che li minaccia i loro figliuoli, hanno la smania di non arrestarsi innanzi a nessun'altra considerazione.... Tu poi in qualità di primogenito, hai per tuo padre una esistenza ancor più preziosa....Ettore proruppe ancora più secco di prima:— Ti dico che non è mio padre, il quale possanemmanco pensare soltanto cosa che non sia secondo i più rigorosi dettami delle più strette obbligazioni d'onore. Tu San-Luca dovresti conoscerlo abbastanza per non farle neppure queste supposizioni ch'io a mia volta poi non posso e non voglio ascoltare.San-Luca parve comprendere che aveva torto e chinò il capo senza aggiunger parola.— Sai tu chi sia il colpevole? Soggiunse il marchesino ad un tratto, come illuminato da una subita idea. Gli è piuttosto tuo zio il Generale.— Barranchi? Esclamò San-Luca levando vivamente la testa. Certo che sì. L'hai indovinata appuntino di sicuro. Gli è il suo genere. «Arrestatemi quell'uomo» è il suo motto d'ordine universale.— Egli mi sentirà! Che modo gli è questo di venirmisi ad attraversare nelle mie contese d'onore? L'avesse fatto arrestare dopo il duello, non ci avrei nulla da ridire. Intanto bisogna ad ogni modo che egli mi restituisca il mio avversario per lasciarmi dar esito alla mia faccenda. Adesso adesso corro da lui e non lo lascio in pace più finchè non me l'abbia posto in libertà.Il nipote del Generale fece un atto d'incredulità.— Uhm! Diss'egli. Mio zio non è così facile ad abbandonare la preda....— Tu mi ci aiuterai: soggiunse Ettore con vivacità. Sei il suo beniamino tu, sarai il suo erede; ti fa delle ramanzine e ti paga i debiti; gli tieni luogo di figliuolo.San-Luca continuò a scuoter la testa.— Si, mi vuol molto bene; ma quanto all'indursi a fare qualche cosa che non gli piaccia solamente pei miei belli occhi, è un altro paio di maniche. S'egli ha fisso il chiodo di voler fare ammuffire quell'avvocatino in cittadella, non saranno nè i tuoi rimproveri, nè le mie ragioni che ne lo smuoveranno.... Ci vorranno argomenti di maggior peso.... Sai chi potrebbe ottenere questo risultamento? Tuo padre.— Mio padre? Ripetè il marchesino con una certa esitazione. Ah tu credi?....— Oltre l'autorità che dànno al marchese il suo grado, i suoi titoli e i suoi meriti, presso mio zio avrà molto effetto quella deferenza ch'esso ha per lui. Se tuo padre si reca egli stesso dal Generale a pregarlo di liberare il signor Benda, è quasi certo che ci riuscirà. Fa a modo mio, parlane col marchese, ed invoca il suo intervento.Ettore parve accogliere questo consiglio con mediocrissima soddisfazione.— Desidererei non immischiare in codeste cose mio padre: diss'egli. Proverò dapprima di agire io stesso direttamente presso tuo zio; e se poi non ne otterrò nulla, allora manderò da lui mio padre.Con questi discorsi erano giunti nella città, e ciascuno dei giovani si diresse alla propria casa alfine di cambiarsi abiti e calzamenta immollati dalla neve.Il marchesino di Baldissero entrando nelle stanze a lui destinate nell'antico, grandioso palazzo avito della sua famiglia, trovò il cameriere specialmente addetto alla sua persona, il quale lo aspettava nella camera che precedeva quella da letto.— S. E., disse il domestico inchinandosi, ha mandato a vedere se Ella era in casa.Ettore fece un legger moto di contrarietà.— È molto tempo? Domandò egli.— Sarà mezz'ora.— E mandò detto qualche cosa?— Nulla. Michele (era il cameriere del marchese) non fece altro che domandare d'ordine di S. E. se V. S. era in casa. Udito che no, se ne partì senza soggiunger parola.— Sta bene. Portatemi biancherie, abiti e calzature da cambiarmi.Entrò nella sua camera preoccupato, coll'aspetto d'uomo scontento di sè e delle cose sue, pieno di malavoglia e incerto di quello che debba o non debba fare. Si domandava se aveva da recarsi presso suo padre a dirgliene come fosse tornato, ad udire se alcuna cosa volesse da lui. Ben gli diceva una intima voce che questo era il dover suo: ma a compirlo sentiva una ripugnanza poco meno che invincibile. Dopo lo scandalo avvenuto la sera innanzi all'Accademia filarmonica e da lui promosso, Ettore non aveva più visto suo padre, di cui conosceva troppo l'indole e i pensamenti, per non essere sicuro di averne la maggior disapprovazione e per non temerne quei severi rimbrotti che tanto erano più efficaci quanto erano più parchi sulle labbra sdegnose del vecchio gentiluomo. Ora poi a quel timore si aggiungeva una specie di vergogna che aveva di dovergli narrare la strana maniera con cui si era conchiuso l'intimato duello, per la quale maniera, benchè egli non ci avesse colpa, sembravagli tuttavia che una qualche offesa ne risultasse a quella suscettiva delicatezza dell'onore che era quasi una seconda religione per suo padre, e che in verità era carissima a lui pure, comechè per tanti rispetti diverso dal padre suo. E poi era egli ben vero che nell'arresto di Benda, Ettore non ci avesse nessuna colpa? Si ricordava come il suo amico San-Luca, lui presente e non dissenziente, avesse raccontato al conte Barranchi la scena intravvenuta, e raccontatala non in modo affatto imparziale. Non era suo debito allora imporre all'amico di non dir nulla al comandante della Polizia, di contestare la verità della cosa come veniva esposta, di protestare al Generale dei Carabinieri che nulla era successo per cui egli avesse diritto di immischiarvi comecchessia la sua autorità? E se il padre gli avesse domandato se così avesse fatto, che cosa avrebbe dovuto rispondere Ettore, il quale, per quanto fosse lontano dalla vera nobiltà d'animo disuo padre, non era pur tuttavia così oblioso della sua dignità e del suo sangue da mentire sfacciatamente?Cominciò per abbigliarsi, rimandando al poi ogni decisione.— Non c'è stato nulla di nuovo in casa? Domandò egli al domestico che lo vestiva, come per isviare la mente da quelli che la occupavano ad altri pensieri.— Nulla: rispose il servo: eccetto che la contessina di Castelletto è uscita colla sua governante e con Giacomo saranno venti minuti e non è ancora tornata.— Oh oh! Esclamò il giovane con qualche interesse: che passeggiata mattiniera!... e per questo tempo!Il cameriere prese un'aria umilmente insinuante e piena di zelo, e soggiunse a mezza voce:— Se sor marchesino lo desidera, io farò di sapergli dire dove la contessina siasi recata.Ettore non rispose, e il domestico interpretò quel silenzio per un assentimento. Il moderno servitorame è di regola generale un parassita che sfrutta e svolge i difetti e le triste passioni dei ricchi. Quel servo aveva indovinato — e qual segreto si può egli nascondere all'occhio del proprio cameriere? — come il suo padroncino non fosse niente affatto indifferente alla bellezza della sua cugina, madamigella Virginia, la quale teneva verso di Ettore un contegno che nella sua gentile famigliarità era tale pur tuttavia da non incoraggiare in lui nessuna speranza.Per un momento il pensiero del marchesino, obliando ogni altra cura, corse in traccia della leggiadra giovane. Che Francesco Benda amasse Virginia, Ettore aveva facilmente scoperto. Vi è un istinto nell'animo di ciascheduno che gli fa indovinare per quanto si celi, il suo rivale in amore; e Francesco amava troppo appassionatamente per saperlo con arte nascondere. Codesto amore di un borghese per sua cugina, il superbo primogenito di Baldissero aveva naturalmente trovato una impertinenza degna di qualche buona lezione ch'egli stesso si prometteva e si augurava di dare a quell'avvocatuzzo alla prima occasione; e l'accorto lettore ha già indovinalo che tale era stata la prima e principalissima cagione del suo villano diportarsi verso Francesco nella festa da ballo. Ma ciò ch'egli ignorava si era con qual disposizione d'animo Virginia accogliesse il sentimento del giovane borghese, sentimento cui certo ella non aveva mancato di scorgere. Ch'ella potesse corrispondere a cotale affetto, Ettore credeva non fosse nemmanco da pensarsi, come non era supponibile che una fanciulla di sì nobile prosapia si abbandonasse alla vergogna d'un fallo disonorevole. Ella sapeva, ella doveva ben sapere che fra lei e quell'uomo da nulla vi era una distanza ed una barriera assolutamente insuperabili; egli stimava sua cugina di tanto da crederla incapace di pur pensare ad un eccesso di degradazione, come sarebbe quello di diventar moglie d'un non nobile — che per lui era poco meno che sinonimo d'ignobile. E dunque?... Ma ciò non ostante la sua gelosia gli aveva fatto giudicare che in quella gentilezza con cui Virginia accoglieva il modesto, timido, rispettoso omaggio di Francesco, c'era qualche cosa di più che non nella cortesia abituale ond'ella soleva trattare con tutti; c'era un non so che di nascosto, d'indefinibile, quasi una tinta di simpatia; e di questo suo sospetto il marchesino aveva una rabbia che s'accresceva ancora, appunto perchè doveva dissimularla, e perchè non avrebbe voluto a nessun costo che uomo al mondo ne avesse sentore.In questo istante in cui il domestico stava abbigliandolo, Ettore si rammentò appunto dello sguardo di rimprovero che la sera innanzi Virginia gli aveva slanciato, quando egli aveva provocata quella scena scandalosa; sguardo che diceva più di molte parole; e ricordò eziandio le poche, asciutte parole ch'essa gli aveva rivolte quando l'aveva accostata di poi.— Ettore, gli aveva essa detto, hai tu perduto il senno? Ora ti prego di lasciarmi, il meglio che tu abbia da fare è lo startene lontano.Ed aveva tanto pregato la zia che ne aveva ottenuto di esserne tosto ricondotta a casa.Il marchesino pensava come la cugina lo avrebbe accolto nel primo loro rivedersi; e tanto più grave riuscivagli l'affrontarne la presenza, ora che il duello dal suo oltraggio reso necessario non aveva potuto aver luogo e il suo avversario per la piega presa dagli avvenimenti compariva sempre meglio nella simpatica figura di vittima — e di vittima coraggiosa.— Le donne, diceva fra sè il giovane contrariato, hanno un così dilicato sentire in queste faccende!.... Certe volte un sentire strano e quasi matto..... Che cosa dirà ella, che apprezzamento sarà il suo, di tutto codesto?Ma qui gli tornò in mente che aveva da affrontare un altro giudizio ancora più difficile e più momentoso di quello della fanciulla: il giudizio di suo padre.Era vestito di tutto punto e il domestico gli aveva domandato se doveva porgergli il pastrano e il cappello.— Sì: rispose asciuttamente il padrone.Quando fu pronto per uscire e' si disse:— Meglio ch'io vada subito da mio padre. Una volta scoppiato il fulmine la paura è passata; ed egli poi in realtà saprà darmi quel buon consiglio che mi ci vuole ed aiutarmi presso Barranchi.S'avviò con passo risoluto, attraversò la camera che precedeva, passò per quella in cui accoglieva gli amici a discorrere e fumare, percorse una speciedi galleria che metteva nella gran sala, ed entrato in questa si diresse verso il quartiere che tradizionalmente era sempre occupato dal capo della famiglia.Ma se nei primi passi la sua andatura era stata risoluta, in seguito era essa venuta rallentandosi a seconda che egli avvicinavasi all'appartamento di suo padre; fu esitando che attraversò la gran sala, fu con mano peritosa che aprì l'uscio di questa sala che metteva nell'andito per cui si accedeva al gabinetto di lavoro del marchese, fu in punta di piedi che si avanzò nell'andito per fermarsi innanzi all'uscio serrato dello studio di suo padre. Due volte alzò la mano per porla sulla maniglia della serratura, e due volte la lasciò ricadere. Finalmente scosse le spalle, come impazientito di se medesimo e si disse rampognante:— Sono un ragazzo..... Andrò prima da Barranchi, e parlerò dopo, se farà bisogno, con mio padre.E si allontanò da quell'uscio più lesto di quel che ci fosse venuto.Da poco tempo il marchesino erasi dipartito dal palazzo, quando vi rientrava madamigella Virginia. L'agitazione dell'animo nella pietosa fanciulla non era punto scemata, ma invece accresciutasi dopo il colloquio avuto con Maria nel misero abituro di Paolina. Appena giunta nella sua camera, Virginia aveva mandate a domandare novelle del cugino Ettore. Il domestico che aveva accompagnata la ragazza nella sua gita ebbe col cameriere del marchesino una interessantissima conferenza, nella quale il servo di Ettore apprese dove fosse andata madamigella, chi colà avesse incontrato, che cosa vi si fosse detto e fatto, e lo staffiere mandato da Virginia seppe che il signor Ettore era venuto a casa con aspetto molto cupo e quasi contraffatto, che aveva mostrato un certo turbamento nell'udire come suo padre avesse mandato cercando di lui, che, cambiatosi gli abiti bagnati e i calzari inzaccherati, come se fosse stato a girare per istrade di campagna, egli era uscito di nuovo, dopo aver mostrato di voler andare dal padre e fuggito poi dalle stanze di lui, come uomo a cui non regga il cuore d'entrarvi.Queste informazioni fedelmente riportate a Virginia ne accrebbero l'inquietudine; anzi questa convertirono in una dolorosa certezza di sventura toccata a Francesco. Se il duello aveva avuto luogo, come essa non aveva ragione alcuna di dubitare che non fosse, l'essere tornato Ettore sano e salvo, non era egli indizio manifesto che l'avversario di lui era soggiaciuto? Se alcun dubbio poteva conservarsi a tal riguardo, non lo toglievano essi per l'affatto i contegni del marchesino di cui tanto s'era stupito ed affermava essersi sgomentato il cameriere del giovane?Virginia volle essere compiutamente chiarita della verità, ed al medesimo domestico il quale esponevale quanto aveva appreso dal cameriere del marchesino impose si recasse sollecitamente, senza il menomo ritardo, alla casa dei Benda con una letterina ch'ella scrisse in tutta fretta per Maria domandandole informazione delle cose avvenute.Il domestico giunse alla fabbrica quando, non che cessata, non era neanco diminuita nella povera famiglia di Francesco la profonda emozione per l'arresto del giovane e per la fatta perquisizione. Maria, rispondendo all'affettuoso biglietto di Virginia, narrò tutto l'avvenuto e caldamente la pregò a volere adoperarsi ancor essa in favore di suo fratello. Virginia non istette a pensarci dell'altro, ma con quella lettera in mano corse nel gabinetto dello zio, il marchese di Baldissero padre.Precediamo la nobile ragazza nello studio del signor marchese.Era un ambiente di pochi metri quadrati; in faccia all'uscio per cui s'entrava era l'unica finestra per cui veniva illuminato: una finestra alta e larga innanzi a cui cascavano cortine di seta damascata di color tanè, e tende candidissime di rensa finissima. Presso alla finestra stava una larga scrivania sul cui piano molte carte in disordine. Tutto intorno alla parete correvano eleganti scancìe di legno d'ebano scolpito e intarsiato negli spigoli d'avorio e madreperla, chiuse da invetrate, traverso i cui tersi cristalli si vedevano schierati sui varii piani i libri adorni di legatura d'una severa eleganza. Le scancìe erano interrotte là, dove a mezzo della parete si apriva l'ampio camino adorno di mensola e di stipiti di marmo nero d'un classico disegno architettonico. Sopra il camino attraeva l'attenzione una gran croce di legno d'ebano, su cui tendeva le braccia un Cristo d'avorio, oggetto artistico di molto valore. Al di sotto di questo gran crocifisso pendevano due cornici ovali di ebano ancor esse, entro cui i busti dipinti a olio d'un uomo e di una donna colle foggie di pettinatura e di abiti della fine del secolo scorso. Erano i ritratti del padre e della madre del marchese. A dare a quella stanza un aspetto maggiore di severità, di raccoglimento, di solenne mestizia, concorreva la tappezzeria di cuoio cordovano di color tanè, fissata alla parete nelle due estremità superiore ed inferiore da una filza di borchie d'acciaio ossidato. Di legno d'ebano intarsiato, come le scancìe, nelle spalliere, erano le poltrone e le seggiole. Un grande stipo di legno uguale ed ugualmente lavorato s'innalzava innanzi al camino. Una lampada di bronzo calava dal soffitto a metà della stanza, e un soffice tappeto a lana lunga e di colore scuro copriva il pavimento.Il marchese stava seduto innanzi al camino, in una mossa che avreste detta afflitta, sostenendo il gomito destro al bracciuolo del seggiolone e la fronte alla palma della mano. Il suo occhio guardava il fuoco che gli ardeva dinanzi fra gli alaridi bronzo artisticamente lavorati, e pareva seguitare con interesse i varii guizzi della fiamma; in realtà esso seguitava le diverse immagini che passavano nella sua fantasia in una dolorosa meditazione.Era un uomo di circa cinquant'anni, sui lineamenti del quale scorgevasi la vita non essere passata per esso senza lotte, senza emozioni e senza travagli, e l'esperienza del mondo non essere via trascorsa come acqua corrente su pietra, senza aver lasciato in quell'anima la amara dottrina delle cose terrene e la più amara conoscenza degli uomini e delle loro passioni. Una ragguardevole fisionomia la sua, nella quale i resti d'una rara avvenenza virile preparavano la imponente bellezza d'una nobile vecchiaia. Aveva il profilo caratteristico d'un cammeo romano e la guardatura speciale dell'uomo avvezzo al comando. L'espressione precipua del suo volto, con cui sempre e naturalmente si armonizzavano i suoi contegni, le mosse del suo corpo così come la voce e la sostanza delle parole, era l'espressione d'una dignità ognora presente a sè stessa. Si sarebbe potuto dire ch'egli aveva preso fin dalla sua giovinezza a sostenere una parte — la parte dell'uomo superiore agli altri uomini, ed agli avvenimenti ed alla fortuna — ma che questa parte non la sosteneva pel pubblico, ed innanzi a lui, per lasciar la maschera, quando faccia a faccia con sè solo, sì invece la aveva assunta e voleva sostenerla per sè e innanzi a sè, di guisa da sopravvegliar continuo sopra ogni sua cosa, affine di non mancarci mai, e quindi agire, volere, pensare sempre in modo coerente alla nobiltà di quel personaggio. Era un orgoglio accompagnato dal sentimento incessante d'un incessante dovere; non era una superbia cagionata da impertinente concetto di sè e disprezzo d'altrui. Era l'incarnazione di quel bellissimo motto francese:noblesse oblige.Gli abiti onde vestiva erano mirabilmente assortiti alla severità di quel gabinetto ed alla gravità della sua figura. Un soprabito nero abbottonato alla militare sul petto avvolgeva la sua alta e ben complessa persona: pantaloni neri cascavano sui suoi piedi veramente aristocratici per piccolezza e per forma: un'alta cravatta bianca sosteneva il suo mento, non colpevole mai d'una barba da radere.Quella mattina, in cui per la prima volta noi facciamo la personale conoscenza del marchese, era egli assorto, come già dissi, in una meditazione, che pareva dolorosa. La sera innanzi aveva appreso la condotta di suo figlio verso quel giovane borghese, cui egli stesso onorava d'un amichevole saluto, e di ciò era egli stato dolentissimo, come di cosa affatto indegna d'un vero gentiluomo e del nome del loro casato. Non aveva però voluto far parola nessuna intorno a questo argomento con suo figlio, perchè ben supponeva che un duello sarebbe intravvenuto, e credeva maggior convenienza lo aspettare a rivolgere i dovuti rimproveri al figliuolo dopo l'esito dello scontro. Era nelle sue idee che egli dovesse non darsi per inteso di nulla fino a cose compiute, perchè sapendo del duello, lo avrebbe dovuto impedire, e il concetto ch'egli aveva dell'onore lo distoglieva assolutamente dallo stornare comecchessiasi il figliuolo dal battersi.Ma si ha bello essere tutto invasato da queste false idee di suscettività d'onore che non permettono all'ingiusto oltraggiatore di riparare all'oltraggio, e gli comandano invece di andare ad ammazzare l'uomo oltraggiato; quando si è padre non può essere con indifferenza che si passa la notte, finita la quale si sa che il proprio figliuolo si esporrà a pericolo di morte; non può essere con calma che si attendono le notizie dello scontro dal quale il proprio figlio può essere trasportato indietro cadavere. Questo basti per farci sapere quale fosse stata la notte, qual fosse attualmente la condizione dell'anima del marchese. Fra lui e il suo primogenito non correva attinenza di molto affetto, non quella fiducia e quell'abbandono che procura fra due anime compagne e degne l'una dell'altra, tanto stretto vincolo di sangue; la severa dignità del padre impacciava l'indiscreta tracotanza del figliuolo, e le sregolatezze di condotta come le impertinenze di modi in quest'ultimo, offendevano il dilicatissimo sentimento del dovere che governava l'animo del marchese. Ma ciò nulla meno spenta non era nel padre quella potente affezione che fa dell'esistenza dei figli l'esistenza dei genitori; e il suo spirito aristocratico, per quanto elevato, non andava esente da quel pregiudizio nobiliare trasmesso nel sangue traverso tante generazioni, che dava un pregio maggiore alla vita del primogenito che non a quella degli altri figliuoli. In realtà al suo cuore erano più cari i due altri suoi nati che si preparavano alle spalline da ufficiale nell'Accademia militare, e specialmente il secondogenito nel quale pareva al padre, ed era in fatto, che maggiormente rivivessero le qualità del suo animo e del suo spirito, come più esattamente si riproducevano le sembianze del viso; ma tuttavia — tanta è la potenza dei pregiudizi, anche nelle anime elette! — se il marchese fosse stato posto nel dolorosissimo caso di dover sacrificare la vita d'un suo figlio ed a lui fosse stata la scelta del capo da immolarsi, ne avrebbe avuto infranto il cuore, ma avrebbe salvato il primogenito a costo del sangue degli altri due.Oltre ciò una ragione speciale affatto gli faceva più penosa, più paurosa l'idea del duello che doveva compiersi, che stava per aver luogo, che forse già era avvenuto; e questa ragione era una tristissima memoria d'un orribile dramma successo nella sua vita, egli attore principale. Molti e molti anni erano passati dopo quell'avvenimento: ma il ricordo erane fresco ancora nell'anima del marchese, come con raccapriccio parevagli che fresco ancora stesse sulla sua spada, perfino sulle sue mani ilsangue ch'egli — uomo di anima benigna e di pietoso cuore — fatalmente aveva dovuto versare.Ma di codesto tremendo segreto della sua vita, di cui la gente conosceva appena un'ombra, e la famiglia, val quanto dire la moglie sua, i figli e la nipote non avevano il menomo sentore: di questo segreto apprenderemo forse alcuna cosa, ascoltando il soliloquio con cui il padre del marchesino manifesta le intime sensazioni che gli si avvicendano nell'anima.Tutta notte quell'incessante pensiero aveva travagliato l'animo del marchese: al mattino, affrettatosi, come vedemmo, a mandare a chiedere di suo figlio, dalla assenza di lui così mattiniera, aveva arguito la certezza che in quel punto medesimo avveniva il duello.Nell'atteggiamento che ho detto, il capo sostenuto colla mano, egli così pensava:— In questo istante che sarà di lui? Ho io ancora il figliuolo mio primogenito? Oh! se dovessi vedermelo a recare in casa esanime e sanguinoso, morto senza più vedermi, morto senza l'ultimo mio amplesso, morto senza la mia benedizione.... Ed egli non ha cercato punto punto di vedermi, nè ier sera, nè questa mattina! Forse il suo cuore non glie ne ha fatto un bisogno: forse non ha sentito il dovere nè il desiderio di udire ancora la mia voce, di chiedere almeno al mio affetto un addio ed un perdono.... e per tante cose ha egli bisogno di perdono, pur troppo!... Oh forse temette le mie rampogne e ch'io potessi impedirgli di battersi; no, non glie ne avrei mosso di rimproveri a quel momento solenne, non avrei tentato in niun modo di trattenerlo, e s'egli codesto ha temuto, è nuovo segno che non conosce per nulla suo padre. Non gli avrei fatto che una raccomandazione sola: «Guardati dall'uccidere il tuo avversario, se puoi salvare senza la sua morte, la tua vita! La memoria d'un uomo ucciso di nostra mano, sia pur anche in duello, si incastra tremendamente nel nostro pensiero e non si diparte più e nulla val più a cancellarla, e per quanto sia onesta la vostra vita, vi fa provare la puntura sciagurata del rimorso.»Si passò la mano sulla fronte e mandò un profondo sospiro.— Questo, io lo so per prova, continuò egli; siffatto tormento, negl'intimi penetrali della coscienza, fu ed è il mio.... Quando son solo, ed anco talvolta in mezzo al rumor gaio delle feste, fra i più gravi discorsi delle cose più importanti, nelle domestiche riunioni, io vedo drizzarmisi innanzi il fantasma sanguinante di quel povero Maurilio Valpetrosa; lo rivedo guardarmi cogli occhi sbarrati come mi guardò in quel terribil momento in cui lo sostenni colla mia spada che gli attraversava il corpo; lo rivedo agitare convulsamente le labbra macchiate di schiuma sanguigna, come per mandare un grido, una parola, e non poterlo, e cadere lungo e disteso come cadavere. Egli aveva una madre che lo attendeva, una madre cui era unico amore e conforto; aveva una sposa..... e quale!..... a me così strettamente per sangue congiunta!... che stava per renderlo padre... E sposa e madre dovettero vederselo recare morente...Si tacque un istante e si serrò con ambedue le mani la faccia, cresciuta l'angoscia dall'orrido pensiero che gli sopravvenne.— E se Dio per punirmi riserbasse a me quella vista, e mio figlio, oggi, fra pochi minuti, mi fosse portato innanzi a quel modo, esanime, per morirmi nelle braccia?Raccapricciò, come scosso da un brivido di febbre violenta.— Punirmi! E perchè vorrebbe Iddio punirmi? Non mi dettarono quella mia condotta le più sacre leggi dell'onore? Non me la dettò la stessa autorità paterna? E se pur sempre vi ha colpa nello spargere il sangue umano, le circostanze che a ciò mi spinsero non devono esse avermelo fatto perdonare? Padre Bonaventura ben me ne affermò colla sua autorità di sacerdote; ma s'io me ne confessassi a don Venanzio, direbb'egli eziandio il medesimo? E fra questi due, quale il più degno ed autorevole intermediario fra il peccatore e Dio?Sollevò lo sguardo al Cristo d'avorio appeso alla croce d'ebano.— Sono io stato colpevole, o Dio? E se sì, non mi hai tu ancora perdonato?.... Ad ogni modo, deh! non volermi colpire nei figliuoli miei!....I suoi occhi scorsero sul ritratto del padre che stava presso la croce. Era una imponente e leggiadra figura d'uomo anche quella, ma in cui l'orgoglio aveva qualche cosa di aggressivo, e la fierezza aveva una tinta di crudele. A quelle sembianze dipinte rassomigliavano di più le fattezze del marchesino nipote che non quelle del marchese, figliuolo al personaggio ritratto. Il marchese si levò da sedere e ponendo il suo volto presso a quello dipinto di suo padre, i cui occhi, pur dalla tela luccichiavano d'una indomabile superbia, soggiunse:— E voi, padre mio, chè non trovate un modo da parlare alla coscienza di vostro figlio? Da lungo tempo voi siete passato in quella regione, dove si deve scorgere il vero; colà come ravvisate voi l'opera mia?.... l'opera nostra, poichè voi mi avete chiamato, mi avete spinto a compirla. Conservate voi ancora gli stessi odii, le stesse opinioni? Se adesso una simile avventura si presentasse alla vostra famiglia, e voi poteste consigliarmi, da quel mondo ove siete, mi dareste lo stesso comando?... E l'anima della mia vittima, l'avete voi incontrata in quel regno delle ombre?.... E se sì, qual contegno potè essere il vostro?Pose i due gomiti sulla mensola di marmo del camino e nascose il volto tra le mani, assorbito in un inesprimibile tumulto di pensieri e di sentimenti.Venne a riscoterlo una mano che bruscamente, vibratamente, quasi sarebbesi detto con premura affannosa, batteva all'uscio del gabinetto.Il marchese fece un soprassalto, e le sue guancie impallidirono.— Ah! pensò egli: qui è la trista novella che batte alla porta.Fermò il viso, si volse verso l'uscio, prendendo la mossa dignitosa d'un uomo di coraggio superiore che è preparato a tutto, e disse con voce che non tremava punto punto:— Avanti.L'uscio si aprì di scatto ed entrò Virginia colla lettera di Maria in mano.La bella giovane era dilettissima a suo zio. Rimasta orfana, egli l'aveva amata d'un affetto più che di padre; aveva trovato per lei nella sua natura severa, riserbata e un po' asciutta da gentiluomo delle tenerezze di madre amorosa, onde Virginia aveva preso nei rapporti con esso una più espansiva e domestica affettuosità ch'ella non avesse con altri, e sopratutto colla superba sicumèra della zia, una famigliarità gentile di tratti cui nessun altro osava ed avrebbe osato mai avere col signor marchese.Questi nel vedersi entrare in quel momento la nipote nello studiolo, rasserenò d'un lieve sorriso la faccia, e sentì di botto tranquillarglisi l'anima. Credeva impossibile che una sventura potesse prendere per messaggiera quella bella ed adorabile persona.— Ah sei tu, Virginia, figliuola mia? Le disse con molto affetto tendendole la mano. Sii la benvenuta nel recarmi il tuo saluto mattinale.Per la mano che Virginia pose in quella da lui tesa, lo zio trasse a sè la fanciulla e le diede un tenero bacio sulla bella fronte. Ma vide allora il turbamento delle sembianze della donzella, e tutto il suo primitivo timore lo riassalì.— Tu hai qualche cosa? Diss'egli nascondendo pur tuttavia lo spasimo dell'ansietà ond'era travaglialo. Parla senza ambagi, qualunque avvenimento esso sia che tu abbia ad apprendermi.— Sì zio: rispose la fanciulla: sono venuta da Lei a bella posta perchè sapesse tutto e provvedesse a tutto.Il marchese sedette sul suo seggiolone, mantenendo sempre ferma la dignità del suo contegno, e fe' cenno alla nipote sedesse anch'ella in prospetto; poi appoggiato il mento alla sua destra, sostenendo colla mano sinistra il gomito, guardando verso la fiamma stette, impassibile in apparenza, ad ascoltare.Virginia trasse una lunga aspirazione come per prender fiato, e in vero il cuor palpitante le agitava il respiro; poi narrò per disteso tutto ciò che ella sapeva avvenuto fra il cugino Ettore e l'avvocato Benda, dall'oltraggio della sera innanzi all'arresto di quest'ultimo certificato dalla lettera di Maria.Il calore posto da Virginia nella sua narrazione, e quello soprattutto della perorazione finale con cui supplicava il marchese a voler far restituire alla famiglia il giovane arrestato, erano tali da essere notati dallo zio, e diffatti ne fu esso colpito, ma non ebbe campo la sua mente a soffermarsi su di ciò per la quantità e la natura de' nuovi pensieri che le cose udite fecero nascere in lui.Di quante maniere avess'egli saputo immaginare in cui avrebbe potuto aver termine la contesa di suo figlio col giovane borghese, questa che gli si narrava, non era mai nè anco apparsa al suo pensiero; e se non fosse stato della lettera della sorella di Francesco, certo non vi avrebbe creduto così di piano. Non dubitò neppure che in questo fatto avesse alcuna colpa il figliuol suo, poichè, conoscendo pur troppo tutti i difetti di lui, sapeva pur tuttavia che non mancava in esso il valore; ma ciò nullameno provò una grandissima dispiacenza di codesto avvenimento. Senza manco parlare suonò vivamente un campanello, di cui pendeva il cordone presso il camino.— Mio figlio è rientrato? Domandò al domestico che si affacciò per ricevere gli ordini.— Signor sì: rispose il servo. È tornato adesso adesso.— Ditegli che venga qui, da me, tosto.Il domestico si partì dopo un inchino.— E tu vanne, soggiunse il marchese alla nipote, voglio parlare con Ettore da solo a solo.Virginia si alzò e camminò verso l'uscio; ma quando fu sulla soglia, quando già aveva aperto il battente, si fermò e rivoltasi verso lo zio, disse con accento di tutta grazia e di supplicazione amorevole:— Ella renderà quel giovane alla sua povera famiglia, non è vero?Il marchese fece un segno di condiscendenza col capo e parve in sull'atto di voler muovere qualche parola; ma in quella s'affacciò all'uscio medesimo in cui stava Virginia la figura orgogliosa, in questo momento un po' turbatella, del giovane Ettore. La fanciulla sgusciò via lesta; e padre e figlio rimasero soli.
Ettore di Baldissero, figliuolo del marchese, era tornato a casa sua disgustato, mortificato, corrucciato dell'arresto di Benda, mercè cui non aveva potuto aver luogo il duello tra essi indetto. Indignati del pari n'erano i padrini del marchesino.
— Se sapessi a cui attribuire questomauvais tour, sclamava Ettore scalpitando con rabbia la neve nella camminata a piedi che col conte San-Luca e coll'altro suo compagno dovette fare per restituirsi in città, affè che gli vorrei mostrare il modo di regolarsi!...
— Certo e' ti fu reso con ciò un cattivo servizio: disse San-Luca; e se fosse tuo padre che avesse avuto questa infelice idea....
— Non è mio padre: interruppe seccamente il marchesino.
— Eh! chi sa? I padri, quando si tratta di salvare da un pericolo che li minaccia i loro figliuoli, hanno la smania di non arrestarsi innanzi a nessun'altra considerazione.... Tu poi in qualità di primogenito, hai per tuo padre una esistenza ancor più preziosa....
Ettore proruppe ancora più secco di prima:
— Ti dico che non è mio padre, il quale possanemmanco pensare soltanto cosa che non sia secondo i più rigorosi dettami delle più strette obbligazioni d'onore. Tu San-Luca dovresti conoscerlo abbastanza per non farle neppure queste supposizioni ch'io a mia volta poi non posso e non voglio ascoltare.
San-Luca parve comprendere che aveva torto e chinò il capo senza aggiunger parola.
— Sai tu chi sia il colpevole? Soggiunse il marchesino ad un tratto, come illuminato da una subita idea. Gli è piuttosto tuo zio il Generale.
— Barranchi? Esclamò San-Luca levando vivamente la testa. Certo che sì. L'hai indovinata appuntino di sicuro. Gli è il suo genere. «Arrestatemi quell'uomo» è il suo motto d'ordine universale.
— Egli mi sentirà! Che modo gli è questo di venirmisi ad attraversare nelle mie contese d'onore? L'avesse fatto arrestare dopo il duello, non ci avrei nulla da ridire. Intanto bisogna ad ogni modo che egli mi restituisca il mio avversario per lasciarmi dar esito alla mia faccenda. Adesso adesso corro da lui e non lo lascio in pace più finchè non me l'abbia posto in libertà.
Il nipote del Generale fece un atto d'incredulità.
— Uhm! Diss'egli. Mio zio non è così facile ad abbandonare la preda....
— Tu mi ci aiuterai: soggiunse Ettore con vivacità. Sei il suo beniamino tu, sarai il suo erede; ti fa delle ramanzine e ti paga i debiti; gli tieni luogo di figliuolo.
San-Luca continuò a scuoter la testa.
— Si, mi vuol molto bene; ma quanto all'indursi a fare qualche cosa che non gli piaccia solamente pei miei belli occhi, è un altro paio di maniche. S'egli ha fisso il chiodo di voler fare ammuffire quell'avvocatino in cittadella, non saranno nè i tuoi rimproveri, nè le mie ragioni che ne lo smuoveranno.... Ci vorranno argomenti di maggior peso.... Sai chi potrebbe ottenere questo risultamento? Tuo padre.
— Mio padre? Ripetè il marchesino con una certa esitazione. Ah tu credi?....
— Oltre l'autorità che dànno al marchese il suo grado, i suoi titoli e i suoi meriti, presso mio zio avrà molto effetto quella deferenza ch'esso ha per lui. Se tuo padre si reca egli stesso dal Generale a pregarlo di liberare il signor Benda, è quasi certo che ci riuscirà. Fa a modo mio, parlane col marchese, ed invoca il suo intervento.
Ettore parve accogliere questo consiglio con mediocrissima soddisfazione.
— Desidererei non immischiare in codeste cose mio padre: diss'egli. Proverò dapprima di agire io stesso direttamente presso tuo zio; e se poi non ne otterrò nulla, allora manderò da lui mio padre.
Con questi discorsi erano giunti nella città, e ciascuno dei giovani si diresse alla propria casa alfine di cambiarsi abiti e calzamenta immollati dalla neve.
Il marchesino di Baldissero entrando nelle stanze a lui destinate nell'antico, grandioso palazzo avito della sua famiglia, trovò il cameriere specialmente addetto alla sua persona, il quale lo aspettava nella camera che precedeva quella da letto.
— S. E., disse il domestico inchinandosi, ha mandato a vedere se Ella era in casa.
Ettore fece un legger moto di contrarietà.
— È molto tempo? Domandò egli.
— Sarà mezz'ora.
— E mandò detto qualche cosa?
— Nulla. Michele (era il cameriere del marchese) non fece altro che domandare d'ordine di S. E. se V. S. era in casa. Udito che no, se ne partì senza soggiunger parola.
— Sta bene. Portatemi biancherie, abiti e calzature da cambiarmi.
Entrò nella sua camera preoccupato, coll'aspetto d'uomo scontento di sè e delle cose sue, pieno di malavoglia e incerto di quello che debba o non debba fare. Si domandava se aveva da recarsi presso suo padre a dirgliene come fosse tornato, ad udire se alcuna cosa volesse da lui. Ben gli diceva una intima voce che questo era il dover suo: ma a compirlo sentiva una ripugnanza poco meno che invincibile. Dopo lo scandalo avvenuto la sera innanzi all'Accademia filarmonica e da lui promosso, Ettore non aveva più visto suo padre, di cui conosceva troppo l'indole e i pensamenti, per non essere sicuro di averne la maggior disapprovazione e per non temerne quei severi rimbrotti che tanto erano più efficaci quanto erano più parchi sulle labbra sdegnose del vecchio gentiluomo. Ora poi a quel timore si aggiungeva una specie di vergogna che aveva di dovergli narrare la strana maniera con cui si era conchiuso l'intimato duello, per la quale maniera, benchè egli non ci avesse colpa, sembravagli tuttavia che una qualche offesa ne risultasse a quella suscettiva delicatezza dell'onore che era quasi una seconda religione per suo padre, e che in verità era carissima a lui pure, comechè per tanti rispetti diverso dal padre suo. E poi era egli ben vero che nell'arresto di Benda, Ettore non ci avesse nessuna colpa? Si ricordava come il suo amico San-Luca, lui presente e non dissenziente, avesse raccontato al conte Barranchi la scena intravvenuta, e raccontatala non in modo affatto imparziale. Non era suo debito allora imporre all'amico di non dir nulla al comandante della Polizia, di contestare la verità della cosa come veniva esposta, di protestare al Generale dei Carabinieri che nulla era successo per cui egli avesse diritto di immischiarvi comecchessia la sua autorità? E se il padre gli avesse domandato se così avesse fatto, che cosa avrebbe dovuto rispondere Ettore, il quale, per quanto fosse lontano dalla vera nobiltà d'animo disuo padre, non era pur tuttavia così oblioso della sua dignità e del suo sangue da mentire sfacciatamente?
Cominciò per abbigliarsi, rimandando al poi ogni decisione.
— Non c'è stato nulla di nuovo in casa? Domandò egli al domestico che lo vestiva, come per isviare la mente da quelli che la occupavano ad altri pensieri.
— Nulla: rispose il servo: eccetto che la contessina di Castelletto è uscita colla sua governante e con Giacomo saranno venti minuti e non è ancora tornata.
— Oh oh! Esclamò il giovane con qualche interesse: che passeggiata mattiniera!... e per questo tempo!
Il cameriere prese un'aria umilmente insinuante e piena di zelo, e soggiunse a mezza voce:
— Se sor marchesino lo desidera, io farò di sapergli dire dove la contessina siasi recata.
Ettore non rispose, e il domestico interpretò quel silenzio per un assentimento. Il moderno servitorame è di regola generale un parassita che sfrutta e svolge i difetti e le triste passioni dei ricchi. Quel servo aveva indovinato — e qual segreto si può egli nascondere all'occhio del proprio cameriere? — come il suo padroncino non fosse niente affatto indifferente alla bellezza della sua cugina, madamigella Virginia, la quale teneva verso di Ettore un contegno che nella sua gentile famigliarità era tale pur tuttavia da non incoraggiare in lui nessuna speranza.
Per un momento il pensiero del marchesino, obliando ogni altra cura, corse in traccia della leggiadra giovane. Che Francesco Benda amasse Virginia, Ettore aveva facilmente scoperto. Vi è un istinto nell'animo di ciascheduno che gli fa indovinare per quanto si celi, il suo rivale in amore; e Francesco amava troppo appassionatamente per saperlo con arte nascondere. Codesto amore di un borghese per sua cugina, il superbo primogenito di Baldissero aveva naturalmente trovato una impertinenza degna di qualche buona lezione ch'egli stesso si prometteva e si augurava di dare a quell'avvocatuzzo alla prima occasione; e l'accorto lettore ha già indovinalo che tale era stata la prima e principalissima cagione del suo villano diportarsi verso Francesco nella festa da ballo. Ma ciò ch'egli ignorava si era con qual disposizione d'animo Virginia accogliesse il sentimento del giovane borghese, sentimento cui certo ella non aveva mancato di scorgere. Ch'ella potesse corrispondere a cotale affetto, Ettore credeva non fosse nemmanco da pensarsi, come non era supponibile che una fanciulla di sì nobile prosapia si abbandonasse alla vergogna d'un fallo disonorevole. Ella sapeva, ella doveva ben sapere che fra lei e quell'uomo da nulla vi era una distanza ed una barriera assolutamente insuperabili; egli stimava sua cugina di tanto da crederla incapace di pur pensare ad un eccesso di degradazione, come sarebbe quello di diventar moglie d'un non nobile — che per lui era poco meno che sinonimo d'ignobile. E dunque?... Ma ciò non ostante la sua gelosia gli aveva fatto giudicare che in quella gentilezza con cui Virginia accoglieva il modesto, timido, rispettoso omaggio di Francesco, c'era qualche cosa di più che non nella cortesia abituale ond'ella soleva trattare con tutti; c'era un non so che di nascosto, d'indefinibile, quasi una tinta di simpatia; e di questo suo sospetto il marchesino aveva una rabbia che s'accresceva ancora, appunto perchè doveva dissimularla, e perchè non avrebbe voluto a nessun costo che uomo al mondo ne avesse sentore.
In questo istante in cui il domestico stava abbigliandolo, Ettore si rammentò appunto dello sguardo di rimprovero che la sera innanzi Virginia gli aveva slanciato, quando egli aveva provocata quella scena scandalosa; sguardo che diceva più di molte parole; e ricordò eziandio le poche, asciutte parole ch'essa gli aveva rivolte quando l'aveva accostata di poi.
— Ettore, gli aveva essa detto, hai tu perduto il senno? Ora ti prego di lasciarmi, il meglio che tu abbia da fare è lo startene lontano.
Ed aveva tanto pregato la zia che ne aveva ottenuto di esserne tosto ricondotta a casa.
Il marchesino pensava come la cugina lo avrebbe accolto nel primo loro rivedersi; e tanto più grave riuscivagli l'affrontarne la presenza, ora che il duello dal suo oltraggio reso necessario non aveva potuto aver luogo e il suo avversario per la piega presa dagli avvenimenti compariva sempre meglio nella simpatica figura di vittima — e di vittima coraggiosa.
— Le donne, diceva fra sè il giovane contrariato, hanno un così dilicato sentire in queste faccende!.... Certe volte un sentire strano e quasi matto..... Che cosa dirà ella, che apprezzamento sarà il suo, di tutto codesto?
Ma qui gli tornò in mente che aveva da affrontare un altro giudizio ancora più difficile e più momentoso di quello della fanciulla: il giudizio di suo padre.
Era vestito di tutto punto e il domestico gli aveva domandato se doveva porgergli il pastrano e il cappello.
— Sì: rispose asciuttamente il padrone.
Quando fu pronto per uscire e' si disse:
— Meglio ch'io vada subito da mio padre. Una volta scoppiato il fulmine la paura è passata; ed egli poi in realtà saprà darmi quel buon consiglio che mi ci vuole ed aiutarmi presso Barranchi.
S'avviò con passo risoluto, attraversò la camera che precedeva, passò per quella in cui accoglieva gli amici a discorrere e fumare, percorse una speciedi galleria che metteva nella gran sala, ed entrato in questa si diresse verso il quartiere che tradizionalmente era sempre occupato dal capo della famiglia.
Ma se nei primi passi la sua andatura era stata risoluta, in seguito era essa venuta rallentandosi a seconda che egli avvicinavasi all'appartamento di suo padre; fu esitando che attraversò la gran sala, fu con mano peritosa che aprì l'uscio di questa sala che metteva nell'andito per cui si accedeva al gabinetto di lavoro del marchese, fu in punta di piedi che si avanzò nell'andito per fermarsi innanzi all'uscio serrato dello studio di suo padre. Due volte alzò la mano per porla sulla maniglia della serratura, e due volte la lasciò ricadere. Finalmente scosse le spalle, come impazientito di se medesimo e si disse rampognante:
— Sono un ragazzo..... Andrò prima da Barranchi, e parlerò dopo, se farà bisogno, con mio padre.
E si allontanò da quell'uscio più lesto di quel che ci fosse venuto.
Da poco tempo il marchesino erasi dipartito dal palazzo, quando vi rientrava madamigella Virginia. L'agitazione dell'animo nella pietosa fanciulla non era punto scemata, ma invece accresciutasi dopo il colloquio avuto con Maria nel misero abituro di Paolina. Appena giunta nella sua camera, Virginia aveva mandate a domandare novelle del cugino Ettore. Il domestico che aveva accompagnata la ragazza nella sua gita ebbe col cameriere del marchesino una interessantissima conferenza, nella quale il servo di Ettore apprese dove fosse andata madamigella, chi colà avesse incontrato, che cosa vi si fosse detto e fatto, e lo staffiere mandato da Virginia seppe che il signor Ettore era venuto a casa con aspetto molto cupo e quasi contraffatto, che aveva mostrato un certo turbamento nell'udire come suo padre avesse mandato cercando di lui, che, cambiatosi gli abiti bagnati e i calzari inzaccherati, come se fosse stato a girare per istrade di campagna, egli era uscito di nuovo, dopo aver mostrato di voler andare dal padre e fuggito poi dalle stanze di lui, come uomo a cui non regga il cuore d'entrarvi.
Queste informazioni fedelmente riportate a Virginia ne accrebbero l'inquietudine; anzi questa convertirono in una dolorosa certezza di sventura toccata a Francesco. Se il duello aveva avuto luogo, come essa non aveva ragione alcuna di dubitare che non fosse, l'essere tornato Ettore sano e salvo, non era egli indizio manifesto che l'avversario di lui era soggiaciuto? Se alcun dubbio poteva conservarsi a tal riguardo, non lo toglievano essi per l'affatto i contegni del marchesino di cui tanto s'era stupito ed affermava essersi sgomentato il cameriere del giovane?
Virginia volle essere compiutamente chiarita della verità, ed al medesimo domestico il quale esponevale quanto aveva appreso dal cameriere del marchesino impose si recasse sollecitamente, senza il menomo ritardo, alla casa dei Benda con una letterina ch'ella scrisse in tutta fretta per Maria domandandole informazione delle cose avvenute.
Il domestico giunse alla fabbrica quando, non che cessata, non era neanco diminuita nella povera famiglia di Francesco la profonda emozione per l'arresto del giovane e per la fatta perquisizione. Maria, rispondendo all'affettuoso biglietto di Virginia, narrò tutto l'avvenuto e caldamente la pregò a volere adoperarsi ancor essa in favore di suo fratello. Virginia non istette a pensarci dell'altro, ma con quella lettera in mano corse nel gabinetto dello zio, il marchese di Baldissero padre.
Precediamo la nobile ragazza nello studio del signor marchese.
Era un ambiente di pochi metri quadrati; in faccia all'uscio per cui s'entrava era l'unica finestra per cui veniva illuminato: una finestra alta e larga innanzi a cui cascavano cortine di seta damascata di color tanè, e tende candidissime di rensa finissima. Presso alla finestra stava una larga scrivania sul cui piano molte carte in disordine. Tutto intorno alla parete correvano eleganti scancìe di legno d'ebano scolpito e intarsiato negli spigoli d'avorio e madreperla, chiuse da invetrate, traverso i cui tersi cristalli si vedevano schierati sui varii piani i libri adorni di legatura d'una severa eleganza. Le scancìe erano interrotte là, dove a mezzo della parete si apriva l'ampio camino adorno di mensola e di stipiti di marmo nero d'un classico disegno architettonico. Sopra il camino attraeva l'attenzione una gran croce di legno d'ebano, su cui tendeva le braccia un Cristo d'avorio, oggetto artistico di molto valore. Al di sotto di questo gran crocifisso pendevano due cornici ovali di ebano ancor esse, entro cui i busti dipinti a olio d'un uomo e di una donna colle foggie di pettinatura e di abiti della fine del secolo scorso. Erano i ritratti del padre e della madre del marchese. A dare a quella stanza un aspetto maggiore di severità, di raccoglimento, di solenne mestizia, concorreva la tappezzeria di cuoio cordovano di color tanè, fissata alla parete nelle due estremità superiore ed inferiore da una filza di borchie d'acciaio ossidato. Di legno d'ebano intarsiato, come le scancìe, nelle spalliere, erano le poltrone e le seggiole. Un grande stipo di legno uguale ed ugualmente lavorato s'innalzava innanzi al camino. Una lampada di bronzo calava dal soffitto a metà della stanza, e un soffice tappeto a lana lunga e di colore scuro copriva il pavimento.
Il marchese stava seduto innanzi al camino, in una mossa che avreste detta afflitta, sostenendo il gomito destro al bracciuolo del seggiolone e la fronte alla palma della mano. Il suo occhio guardava il fuoco che gli ardeva dinanzi fra gli alaridi bronzo artisticamente lavorati, e pareva seguitare con interesse i varii guizzi della fiamma; in realtà esso seguitava le diverse immagini che passavano nella sua fantasia in una dolorosa meditazione.
Era un uomo di circa cinquant'anni, sui lineamenti del quale scorgevasi la vita non essere passata per esso senza lotte, senza emozioni e senza travagli, e l'esperienza del mondo non essere via trascorsa come acqua corrente su pietra, senza aver lasciato in quell'anima la amara dottrina delle cose terrene e la più amara conoscenza degli uomini e delle loro passioni. Una ragguardevole fisionomia la sua, nella quale i resti d'una rara avvenenza virile preparavano la imponente bellezza d'una nobile vecchiaia. Aveva il profilo caratteristico d'un cammeo romano e la guardatura speciale dell'uomo avvezzo al comando. L'espressione precipua del suo volto, con cui sempre e naturalmente si armonizzavano i suoi contegni, le mosse del suo corpo così come la voce e la sostanza delle parole, era l'espressione d'una dignità ognora presente a sè stessa. Si sarebbe potuto dire ch'egli aveva preso fin dalla sua giovinezza a sostenere una parte — la parte dell'uomo superiore agli altri uomini, ed agli avvenimenti ed alla fortuna — ma che questa parte non la sosteneva pel pubblico, ed innanzi a lui, per lasciar la maschera, quando faccia a faccia con sè solo, sì invece la aveva assunta e voleva sostenerla per sè e innanzi a sè, di guisa da sopravvegliar continuo sopra ogni sua cosa, affine di non mancarci mai, e quindi agire, volere, pensare sempre in modo coerente alla nobiltà di quel personaggio. Era un orgoglio accompagnato dal sentimento incessante d'un incessante dovere; non era una superbia cagionata da impertinente concetto di sè e disprezzo d'altrui. Era l'incarnazione di quel bellissimo motto francese:noblesse oblige.
Gli abiti onde vestiva erano mirabilmente assortiti alla severità di quel gabinetto ed alla gravità della sua figura. Un soprabito nero abbottonato alla militare sul petto avvolgeva la sua alta e ben complessa persona: pantaloni neri cascavano sui suoi piedi veramente aristocratici per piccolezza e per forma: un'alta cravatta bianca sosteneva il suo mento, non colpevole mai d'una barba da radere.
Quella mattina, in cui per la prima volta noi facciamo la personale conoscenza del marchese, era egli assorto, come già dissi, in una meditazione, che pareva dolorosa. La sera innanzi aveva appreso la condotta di suo figlio verso quel giovane borghese, cui egli stesso onorava d'un amichevole saluto, e di ciò era egli stato dolentissimo, come di cosa affatto indegna d'un vero gentiluomo e del nome del loro casato. Non aveva però voluto far parola nessuna intorno a questo argomento con suo figlio, perchè ben supponeva che un duello sarebbe intravvenuto, e credeva maggior convenienza lo aspettare a rivolgere i dovuti rimproveri al figliuolo dopo l'esito dello scontro. Era nelle sue idee che egli dovesse non darsi per inteso di nulla fino a cose compiute, perchè sapendo del duello, lo avrebbe dovuto impedire, e il concetto ch'egli aveva dell'onore lo distoglieva assolutamente dallo stornare comecchessiasi il figliuolo dal battersi.
Ma si ha bello essere tutto invasato da queste false idee di suscettività d'onore che non permettono all'ingiusto oltraggiatore di riparare all'oltraggio, e gli comandano invece di andare ad ammazzare l'uomo oltraggiato; quando si è padre non può essere con indifferenza che si passa la notte, finita la quale si sa che il proprio figliuolo si esporrà a pericolo di morte; non può essere con calma che si attendono le notizie dello scontro dal quale il proprio figlio può essere trasportato indietro cadavere. Questo basti per farci sapere quale fosse stata la notte, qual fosse attualmente la condizione dell'anima del marchese. Fra lui e il suo primogenito non correva attinenza di molto affetto, non quella fiducia e quell'abbandono che procura fra due anime compagne e degne l'una dell'altra, tanto stretto vincolo di sangue; la severa dignità del padre impacciava l'indiscreta tracotanza del figliuolo, e le sregolatezze di condotta come le impertinenze di modi in quest'ultimo, offendevano il dilicatissimo sentimento del dovere che governava l'animo del marchese. Ma ciò nulla meno spenta non era nel padre quella potente affezione che fa dell'esistenza dei figli l'esistenza dei genitori; e il suo spirito aristocratico, per quanto elevato, non andava esente da quel pregiudizio nobiliare trasmesso nel sangue traverso tante generazioni, che dava un pregio maggiore alla vita del primogenito che non a quella degli altri figliuoli. In realtà al suo cuore erano più cari i due altri suoi nati che si preparavano alle spalline da ufficiale nell'Accademia militare, e specialmente il secondogenito nel quale pareva al padre, ed era in fatto, che maggiormente rivivessero le qualità del suo animo e del suo spirito, come più esattamente si riproducevano le sembianze del viso; ma tuttavia — tanta è la potenza dei pregiudizi, anche nelle anime elette! — se il marchese fosse stato posto nel dolorosissimo caso di dover sacrificare la vita d'un suo figlio ed a lui fosse stata la scelta del capo da immolarsi, ne avrebbe avuto infranto il cuore, ma avrebbe salvato il primogenito a costo del sangue degli altri due.
Oltre ciò una ragione speciale affatto gli faceva più penosa, più paurosa l'idea del duello che doveva compiersi, che stava per aver luogo, che forse già era avvenuto; e questa ragione era una tristissima memoria d'un orribile dramma successo nella sua vita, egli attore principale. Molti e molti anni erano passati dopo quell'avvenimento: ma il ricordo erane fresco ancora nell'anima del marchese, come con raccapriccio parevagli che fresco ancora stesse sulla sua spada, perfino sulle sue mani ilsangue ch'egli — uomo di anima benigna e di pietoso cuore — fatalmente aveva dovuto versare.
Ma di codesto tremendo segreto della sua vita, di cui la gente conosceva appena un'ombra, e la famiglia, val quanto dire la moglie sua, i figli e la nipote non avevano il menomo sentore: di questo segreto apprenderemo forse alcuna cosa, ascoltando il soliloquio con cui il padre del marchesino manifesta le intime sensazioni che gli si avvicendano nell'anima.
Tutta notte quell'incessante pensiero aveva travagliato l'animo del marchese: al mattino, affrettatosi, come vedemmo, a mandare a chiedere di suo figlio, dalla assenza di lui così mattiniera, aveva arguito la certezza che in quel punto medesimo avveniva il duello.
Nell'atteggiamento che ho detto, il capo sostenuto colla mano, egli così pensava:
— In questo istante che sarà di lui? Ho io ancora il figliuolo mio primogenito? Oh! se dovessi vedermelo a recare in casa esanime e sanguinoso, morto senza più vedermi, morto senza l'ultimo mio amplesso, morto senza la mia benedizione.... Ed egli non ha cercato punto punto di vedermi, nè ier sera, nè questa mattina! Forse il suo cuore non glie ne ha fatto un bisogno: forse non ha sentito il dovere nè il desiderio di udire ancora la mia voce, di chiedere almeno al mio affetto un addio ed un perdono.... e per tante cose ha egli bisogno di perdono, pur troppo!... Oh forse temette le mie rampogne e ch'io potessi impedirgli di battersi; no, non glie ne avrei mosso di rimproveri a quel momento solenne, non avrei tentato in niun modo di trattenerlo, e s'egli codesto ha temuto, è nuovo segno che non conosce per nulla suo padre. Non gli avrei fatto che una raccomandazione sola: «Guardati dall'uccidere il tuo avversario, se puoi salvare senza la sua morte, la tua vita! La memoria d'un uomo ucciso di nostra mano, sia pur anche in duello, si incastra tremendamente nel nostro pensiero e non si diparte più e nulla val più a cancellarla, e per quanto sia onesta la vostra vita, vi fa provare la puntura sciagurata del rimorso.»
Si passò la mano sulla fronte e mandò un profondo sospiro.
— Questo, io lo so per prova, continuò egli; siffatto tormento, negl'intimi penetrali della coscienza, fu ed è il mio.... Quando son solo, ed anco talvolta in mezzo al rumor gaio delle feste, fra i più gravi discorsi delle cose più importanti, nelle domestiche riunioni, io vedo drizzarmisi innanzi il fantasma sanguinante di quel povero Maurilio Valpetrosa; lo rivedo guardarmi cogli occhi sbarrati come mi guardò in quel terribil momento in cui lo sostenni colla mia spada che gli attraversava il corpo; lo rivedo agitare convulsamente le labbra macchiate di schiuma sanguigna, come per mandare un grido, una parola, e non poterlo, e cadere lungo e disteso come cadavere. Egli aveva una madre che lo attendeva, una madre cui era unico amore e conforto; aveva una sposa..... e quale!..... a me così strettamente per sangue congiunta!... che stava per renderlo padre... E sposa e madre dovettero vederselo recare morente...
Si tacque un istante e si serrò con ambedue le mani la faccia, cresciuta l'angoscia dall'orrido pensiero che gli sopravvenne.
— E se Dio per punirmi riserbasse a me quella vista, e mio figlio, oggi, fra pochi minuti, mi fosse portato innanzi a quel modo, esanime, per morirmi nelle braccia?
Raccapricciò, come scosso da un brivido di febbre violenta.
— Punirmi! E perchè vorrebbe Iddio punirmi? Non mi dettarono quella mia condotta le più sacre leggi dell'onore? Non me la dettò la stessa autorità paterna? E se pur sempre vi ha colpa nello spargere il sangue umano, le circostanze che a ciò mi spinsero non devono esse avermelo fatto perdonare? Padre Bonaventura ben me ne affermò colla sua autorità di sacerdote; ma s'io me ne confessassi a don Venanzio, direbb'egli eziandio il medesimo? E fra questi due, quale il più degno ed autorevole intermediario fra il peccatore e Dio?
Sollevò lo sguardo al Cristo d'avorio appeso alla croce d'ebano.
— Sono io stato colpevole, o Dio? E se sì, non mi hai tu ancora perdonato?.... Ad ogni modo, deh! non volermi colpire nei figliuoli miei!....
I suoi occhi scorsero sul ritratto del padre che stava presso la croce. Era una imponente e leggiadra figura d'uomo anche quella, ma in cui l'orgoglio aveva qualche cosa di aggressivo, e la fierezza aveva una tinta di crudele. A quelle sembianze dipinte rassomigliavano di più le fattezze del marchesino nipote che non quelle del marchese, figliuolo al personaggio ritratto. Il marchese si levò da sedere e ponendo il suo volto presso a quello dipinto di suo padre, i cui occhi, pur dalla tela luccichiavano d'una indomabile superbia, soggiunse:
— E voi, padre mio, chè non trovate un modo da parlare alla coscienza di vostro figlio? Da lungo tempo voi siete passato in quella regione, dove si deve scorgere il vero; colà come ravvisate voi l'opera mia?.... l'opera nostra, poichè voi mi avete chiamato, mi avete spinto a compirla. Conservate voi ancora gli stessi odii, le stesse opinioni? Se adesso una simile avventura si presentasse alla vostra famiglia, e voi poteste consigliarmi, da quel mondo ove siete, mi dareste lo stesso comando?... E l'anima della mia vittima, l'avete voi incontrata in quel regno delle ombre?.... E se sì, qual contegno potè essere il vostro?
Pose i due gomiti sulla mensola di marmo del camino e nascose il volto tra le mani, assorbito in un inesprimibile tumulto di pensieri e di sentimenti.Venne a riscoterlo una mano che bruscamente, vibratamente, quasi sarebbesi detto con premura affannosa, batteva all'uscio del gabinetto.
Il marchese fece un soprassalto, e le sue guancie impallidirono.
— Ah! pensò egli: qui è la trista novella che batte alla porta.
Fermò il viso, si volse verso l'uscio, prendendo la mossa dignitosa d'un uomo di coraggio superiore che è preparato a tutto, e disse con voce che non tremava punto punto:
— Avanti.
L'uscio si aprì di scatto ed entrò Virginia colla lettera di Maria in mano.
La bella giovane era dilettissima a suo zio. Rimasta orfana, egli l'aveva amata d'un affetto più che di padre; aveva trovato per lei nella sua natura severa, riserbata e un po' asciutta da gentiluomo delle tenerezze di madre amorosa, onde Virginia aveva preso nei rapporti con esso una più espansiva e domestica affettuosità ch'ella non avesse con altri, e sopratutto colla superba sicumèra della zia, una famigliarità gentile di tratti cui nessun altro osava ed avrebbe osato mai avere col signor marchese.
Questi nel vedersi entrare in quel momento la nipote nello studiolo, rasserenò d'un lieve sorriso la faccia, e sentì di botto tranquillarglisi l'anima. Credeva impossibile che una sventura potesse prendere per messaggiera quella bella ed adorabile persona.
— Ah sei tu, Virginia, figliuola mia? Le disse con molto affetto tendendole la mano. Sii la benvenuta nel recarmi il tuo saluto mattinale.
Per la mano che Virginia pose in quella da lui tesa, lo zio trasse a sè la fanciulla e le diede un tenero bacio sulla bella fronte. Ma vide allora il turbamento delle sembianze della donzella, e tutto il suo primitivo timore lo riassalì.
— Tu hai qualche cosa? Diss'egli nascondendo pur tuttavia lo spasimo dell'ansietà ond'era travaglialo. Parla senza ambagi, qualunque avvenimento esso sia che tu abbia ad apprendermi.
— Sì zio: rispose la fanciulla: sono venuta da Lei a bella posta perchè sapesse tutto e provvedesse a tutto.
Il marchese sedette sul suo seggiolone, mantenendo sempre ferma la dignità del suo contegno, e fe' cenno alla nipote sedesse anch'ella in prospetto; poi appoggiato il mento alla sua destra, sostenendo colla mano sinistra il gomito, guardando verso la fiamma stette, impassibile in apparenza, ad ascoltare.
Virginia trasse una lunga aspirazione come per prender fiato, e in vero il cuor palpitante le agitava il respiro; poi narrò per disteso tutto ciò che ella sapeva avvenuto fra il cugino Ettore e l'avvocato Benda, dall'oltraggio della sera innanzi all'arresto di quest'ultimo certificato dalla lettera di Maria.
Il calore posto da Virginia nella sua narrazione, e quello soprattutto della perorazione finale con cui supplicava il marchese a voler far restituire alla famiglia il giovane arrestato, erano tali da essere notati dallo zio, e diffatti ne fu esso colpito, ma non ebbe campo la sua mente a soffermarsi su di ciò per la quantità e la natura de' nuovi pensieri che le cose udite fecero nascere in lui.
Di quante maniere avess'egli saputo immaginare in cui avrebbe potuto aver termine la contesa di suo figlio col giovane borghese, questa che gli si narrava, non era mai nè anco apparsa al suo pensiero; e se non fosse stato della lettera della sorella di Francesco, certo non vi avrebbe creduto così di piano. Non dubitò neppure che in questo fatto avesse alcuna colpa il figliuol suo, poichè, conoscendo pur troppo tutti i difetti di lui, sapeva pur tuttavia che non mancava in esso il valore; ma ciò nullameno provò una grandissima dispiacenza di codesto avvenimento. Senza manco parlare suonò vivamente un campanello, di cui pendeva il cordone presso il camino.
— Mio figlio è rientrato? Domandò al domestico che si affacciò per ricevere gli ordini.
— Signor sì: rispose il servo. È tornato adesso adesso.
— Ditegli che venga qui, da me, tosto.
Il domestico si partì dopo un inchino.
— E tu vanne, soggiunse il marchese alla nipote, voglio parlare con Ettore da solo a solo.
Virginia si alzò e camminò verso l'uscio; ma quando fu sulla soglia, quando già aveva aperto il battente, si fermò e rivoltasi verso lo zio, disse con accento di tutta grazia e di supplicazione amorevole:
— Ella renderà quel giovane alla sua povera famiglia, non è vero?
Il marchese fece un segno di condiscendenza col capo e parve in sull'atto di voler muovere qualche parola; ma in quella s'affacciò all'uscio medesimo in cui stava Virginia la figura orgogliosa, in questo momento un po' turbatella, del giovane Ettore. La fanciulla sgusciò via lesta; e padre e figlio rimasero soli.