CAPITOLO XVIII.

CAPITOLO XVIII.Ettore aveva udite le ultime parole dette da Virginia al marchese; mentre la fanciulla gli scivolò daccanto nel partirsi, egli la saettò d'uno sguardo che era tutt'insieme un'indagine osservatrice, una interrogazione ed uno sfogo di sdegno. Tornato a casa dopo il suo colloquio col Generale dei carabinieri, il marchesino aveva appreso dal suo cameriere dove la cugina si fosse recata nella sua gita mattiniera, chi avesse colà incontrato e i discorsi che erano passati fra Virginia e Maria, secondo che lo staffiere aveva esattamente riferito; epperò udendole parole dalla cugina pronunciate non ebbe il menomo dubbio che le riguardassero il suo avversario e rivale.In verità non era senza qualche apprensione che il giovane, ubbedendo sollecito alla chiamata paterna, presentavasi nel gabinetto del marchese. A dispetto della sua leggerezza orgogliosa e della irriverente petulanza del suo carattere, egli provava alcun impaccio a comparire innanzi alla conosciuta severità di suo padre, dopo tal fatto in cui sentiva istintivamente di non aver egli la più bella parte.Stette egli un poco sulla soglia, e padre e figlio si guardarono un istante in silenzio. Gli occhi di Ettore si chinarono innanzi a quelli del marchese. In quello sguardo erasi compreso con meravigliosa sintesi tutto ciò che si sarebbe detto a parole, tutto ciò che era negli animi loro: di qua un'amara scontentezza, di là una pervicacia inflessibile, ravvolta nelle forme d'una subordinazione, da cui era escluso l'affetto.Fu il figliuolo che ruppe primo il silenzio.— Di che giovane parlò ella Virginia? Posso io domandarle, padre mio, chi si tratta di restituire alla propria famiglia?Il marchese accennò al figlio la seggiola che aveva innanzi a sè, e da cui s'era alzata poc'anzi la nipote.— Venite innanzi, Ettore, diss'egli, e sedete. Vi permetto giustamente la domanda che mi fate, perchè ha riguardo appunto a ciò di cui debbo parlarvi, e per cui vi ho fatto venire.Ettore si avanzò lentamente, pose una mano sulla spalliera della seggiola che gli aveva additata suo padre, e in quell'attitudine disse con disinvoltura, prima di sedersi:— Ah! L'ho dunque indovinata. Ella vuol parlarmi dello stranissimo incidente che mi capita. Sta bene; al momento che il suo cameriere venne a recarmi l'imbasciata, io stavo appunto per mandare da Lei a chiedere se mi avesse voluto favorire dieci minuti di colloquio.Chi non l'avesse saputo, non avrebbe indovinato mai che padre e figlio erano que' due, al vederne i contegni, all'udirne l'accento delle parole. Il giovane sedette, prese l'atteggiamento d'un uomo sicuro d'ogni sua cosa, e continuò a dire:— Mi permette Ella che parli io per primo?Il marchese fece un cenno di consentimento, e disse asciuttamente:— Parlate.Ettore in poche parole espose a modo suo i fatti che noi conosciamo; poscia soggiunse:— Sono corso dal generale Barranchi (e ne torno adess'adesso) per ottenerne che il signor Benda fosse posto sollecitamente in libertà. Barranchi da principio si mostrò assai disposto a contentarmi, e già era sul punto di dar gli ordini opportuni, quando ravvisatosi, mi disse che v'era una circostanza, cui non aveva di subito ricordata, e la quale impediva si ottemperasse alla mia richiesta. Questa stessa mattina, per tempo, diceva egli, il commissario Tofi erasi recato da lui a prevenirlo essere necessario procedere all'arresto di quel cotale e di parecchi altri per cagione di certe mene politiche ond'eran rei; che quindi essendo il Benda sotto la grave accusa d'un delitto di Stato, egli non poteva prendersi l'arbitrio di mandarnelo sciolto così senz'altro. Io insistetti con tutto il calore di cui sono capace. Mi restituisse almanco per ventiquattr'ore il mio avversario, e poi ne facesse quel che più gli talentava: dovermi assolutamente siffatta riparazione pel torto che mi aveva fatto, chè da gentiluomo e da buon amico, quale egli ha sempre voluto essere con noi, non avrebbe dovuto fare intravvenire la sua polizia fin dopo che fosse statavidéefra di noi la contesa d'onore ed avrebbe dovuto ignorare assolutamente che avesse luogo il nostro duello. Gli ricordai il tempo della sua gioventù: che cosa non avrebbe fatto e detto quando era luogotenente nelle Guardie d'onore, se alcuno fosse venuto a levargliene così dinanzi l'uomo con cui doveva battersi? Che non direbbe e non farebbe anche adesso, se mai potesse trovarsi in una simile occasione? Se un disappunto uguale fosse accaduto al suo nipote San Luca, non si adoprerebbe ancor egli a far sì che in alcun modo non patisse pure un appannamento la lucentezza dell'onor suo? Insomma, perorai tanto che il conte mezzo scosso venne in questo temperamento: di mandar subito a chiamare il Commissario e di consultare con esso lui intorno a codesto; se appena appena, senza pericolo della sicurezza pubblica, dello Stato, e che so io, si potesse accondiscendere al mio desiderio, allora io non avrei preso commiato senza udire spiccato l'ordine di rilascio del Benda. Il Commissario venne sollecito[6]; e venne portando seco un fascio di libri e di carte, cui disse testè sequestrati nelle perquisizioni fatte in casa di Benda e di non so bene quali amici suoi. Da codeste carte e da codesti libri, affermò apparire più chiara che mai e più grave che non si credesse la colpa di quei signori; non potersi pensare assolutamente a nulla di simile a ciò che accennava il generale; si compiacesse quest'ultimo di gettare soltanto gli occhi sui titoli dei volumi e su alcune pagine d'un manoscritto che gli additava, e vedrebbe tosto di quale importanza fossero quegli arresti ch'egli si vantava d'aver consigliati. Il Generale guardò quei libri, fece scorrere gli occhi su quelle pagine, e vidi la sua fronte corrugarsi e i suoi baffi fremere d'indignazione.«— Corpo d'una bomba! Esclamò colla sua voce tonante. Se mai vi fu gente degna d'esser mandataa Fenestrelle, si è quest'essa. Io mi felicito assai d'aver avuta la buona idea di dar l'ordine che fossero arrestati. Abbia pazienza, marchese, soggiunse volgendosi a me, io vorrei di gran cuore poterla contentare; ma i diritti di S. M. innanzi ad ogni cosa; noi teniamo alcuni birbanti rei di crimenlese, e non possiamo lasciarli andar più neppure per un momento. Trasmetterò tosto tosto questi documenti e i rapporti che li accompagnano al Governatore, e chiederò senza ritardo un'udienza a S. M. per renderla informata di tutto.Tentai tuttavia insistere, ma per quanto dicessi tutto fu nulla. Allora tornai a casa avendo in animo di pregar Lei, la cui parola è più autorevole, di voler interporsi affine di ottenermi soddisfatto quello che mi pare legittimo mio desiderio.»Il marchese aveva ascoltato suo figlio, sempre nel medesimo atteggiamento, silenzioso ed immobile, ed alle sembianze mal si sarebbe potuto scorgere quale impressione fosse la sua; quando Ettore ebbe finito, il padre si tacque ancora per un po', quasi riflettendo seco stesso sulle cose udite, poscia, levando lentamente il viso e fissando sul volto del giovane uno sguardo severo, imponente e dignitosamente corrucciato, egli disse:— Ettore, molte cose vostre mi dispiacquero e mi tornarono indegne di voi e del nome che avete l'onore di portare; quest'ultima più di tutte mi spiace e la trovo indegnissima del vostro titolo, del vostro casato.Il figliuolo fece un trasalto sulla sua seggiola, le guance gli arrossarono, si morse le labbra, e facendo forza per contenersi, proruppe tuttavia con voce resa balzellante dall'emozione:— Le sue parole sono severe, padre mio, e mi pare che posso dire troppo severe. Ho il diritto di domandarle come mi può colpire di così tristo giudizio, ch'io ho la coscienza di non aver meritato.Il padre lo guardò più severo di prima. Innanzi a quella grave fisionomia non ci sarebbe stato individualità, per quanto audace, che non si fosse sentita alcuna soggezione, come d'inferiore appetto ad un dappiù.— La vostra coscienza v'inganna: diss'egli con voce lenta, contenuta, ma piena d'autorità e di forza. Pensate bene ai fatti vostri; voi, ieri sera, avete mancato inescusabilmente a quel debito d'urbanità, a quelle nobili maniere che per noi — per noi: ripetè battendo sulla parola — sono una legge nelle attinenze verso chicchessia...Ettore interruppe vivamente, come uomo in cui la passione trabocca:— Ecchè? Ella vuol darmi sì brutto carico per un po' di lezione data alla tracotanza d'un borghesuccio...Il marchese guardò suo figlio aggrottando la fronte ed alzò una mano ad imporgli silenzio.— Voi vi permettete d'interrompermi: diss'egli con fiera freddezza.Il giovane si tacque.— La tracotanza, continuava il padre, non fu per nulla da parte altrui. E voi dovreste sapere che ad un Baldissero si spetta dar lezioni di gentilezza come di generosità, di tratti squisiti come di valore; che abbandonarsi a certi atti plebei gli è un discendere noi stessi al grado della bassa gentuccia che li usa; che codesti atti in uomo della nostra sfera imprimono una macchia più a chi li adopera che a colui contro il quale sono adoperati. Ciò voi dimenticaste, e questa dimenticanza merita la condanna che vi ho espresso.Ettore masticava i suoi baffetti in una contrarietà profonda e vivace, cui si sforzava a contenere perchè non prorompesse in isdegno. Suo padre essendosi taciuto, credette di poter a sua volta parlare senza incorrere in altra censura.— Ella non conosce le nuove temerità di questa nuova borghesia che vien su colla ricchezza, aiutata colla stupidità dell'uguaglianza civile accordatale dall'improvvido codice, parodia delle leggi francesi. Ella giudica le cose colla norma del tempo della sua giovinezza, dopo avvenuta la ristaurazione, quando leggi e costumi concedevano efficacemente alla nobiltà quel posto che le compete. Ma ora non è più così. Le leggi, per deplorevole errore della Monarchia, ci vengono spogliando di quei diritti che i nostri nemici chiamano privilegi e che sono necessarii a costituire una vera ed efficace aristocrazia, senza la quale, Ella sa meglio di me non potervi essere mai un sodo e conveniente organamento della società. I costumi seguitano pur troppo lo esempio delle leggi, e gl'interessi contrarii delle classi inferiori, contenuti un tempo, ora trovando in quelle infauste leggi un appoggio, spingono al di là e fanno a soverchiarci se noi, tutti d'accordo e con ogni mezzo, non siamo pronti e risoluti al riparo. Que' riguardi che si avevano un tempo e che si devono avere alla nobiltà, ora diminuiscono nel popolo con sempre crescente proporzione. È molto scemato quel senso di rispetto che in presenza di un nostro pari faceva chinare le teste del volgo. I borghesi, col mezzo degli studi dell'Università, si vedono aperta la carriera delle alte cariche, quasi come noi: con troppo scandaloso eccesso, noi vediamo della gente da nulla oggidì, la cui plebea natura mal riesce larvata da un titolo recente, nei primi posti della magistratura e dell'amministrazione. Non c'è che l'esercito e la diplomazia che rimangano immuni ancora da questa vergogna. Mercè le industrie, delle quali il Governo ha la stoltezza di proteggere e favorire lo sviluppo, i plebei arrivano alla ricchezza, cui le disposizioni legislative non assicurano più bastantemente in possesso all'aristocrazia: e da ciò pigliano audaci pretese di farla alla pari, di stare a tu per tu con noi. Guai alla nobiltà se essa risolutamente, violentemente non rigetta col suo contegno in quel basso loco che le spetta laclasse inferiore e impertinente dei borghesi! Bisogna camminarle addosso e schiacciarla, prima che ci soprammonti. Ecco le mie idee! Questo signor Benda, ricco figliuolo d'un fabbricante, conta fra' primi di quelli che si chiamano liberali, val quanto dire dei più impertinenti e de' maggiori nostri nemici. Percotendolo col mio guanto sulla guancia io ho schiaffeggiato quella sciagurataccia di moderna invenzione rivoluzionaria che chiamasi democrazia.— Non si tratta di schiaffeggiarla questa democrazia: rispose colla medesima severità il marchese: si tratta di vincerla e di renderla impotente; epperò occorre che l'aristocrazia in ciascuno dei suoi membri — se fosse possibile — nei principali almanco, sia superiore in tutto e per tutto, passi innanzi per ogni modo, virtù, talenti, operosità, benemerenza di qualunque sorta, ai campioni delle nuove popolaresche pretese. Iddio ci ha fatta la grazia di metterci nelle prime file dell'umanità, sui gradini superiori della scala sociale; noi dobbiamo coi nostri atti renderci e mostrarci degni di tanto favore. Noi dobbiamo per nostro onore e per nostro dovere mantenerci in quell'alto grado in cui ci volle la Provvidenza; ma per ciò equivalenti ed acconci bisogna pur che ne sieno i mezzi. Abbiamo nel passato la regola della nostra condotta nel presente e nell'avvenire. Come si formò ella l'aristocrazia moderna nello scombuiamento prodotto dal rovinìo dell'antica società? Emersero fra le predestinate razze invaditrici quelli che avevano più forza e più valore individuale, la cui personalità meglio spiccata e robusta aveva intorno a sè maggior potenza d'influsso e quindi autorità meno contestata d'impero. Allora erano tempi e circostanze, in cui dominava quasi sola e doveva dominare la forza: gli è con questa che s'imposero ai popoli per diritto di conquista le aristocrazie d'Europa. La potenza del pensiero, allora menoma, era tutta raccolta e rappresentata nel clero cristiano; e l'aristocrazia da poco convertita ebbe la saviezza di fare bentosto alleanza col clero medesimo e prevalersi per ciò anche dell'autorità morale e intellettiva. Nel nostro tempo le condizioni sono mutate. La forza materiale del braccio e del valore non tiene più il primo posto nella schiera degli elementi di dominio; vi sono successe due altre forze: quella della ricchezza e quella dell'ingegno e della dottrina, la quale, nemmanco, non è più esclusiva dote del clero. Bisogna che l'aristocrazia, per conservare il suo primato s'impadronisca dell'una e dell'altra e ne usi a beneficio dell'intiera associazione. Quanto alla ricchezza, lamento al pari di voi quelle disposizioni legislative che conducendo al frazionamento obbligatorio delle grandi proprietà ed allo svincolo di esse, ne tolgono la sicura, continuata e irrevocabile possessione nelle nostre famiglie; ma Carlo Alberto si è arrestato a mezzo dell'opera e non gli è bastato il cuore di segnare il decadimento compiuto della nobiltà. Conservando i maggioraschi, egli ci ha lasciato un mezzo di riparare in parte al danno delle innovazioni introdotte nel diritto di successione; al resto occorre che ripari la nostra prudente attività, la quale, prendendo esempio dalla savia nobiltà inglese, domandi ai perfezionamenti dell'agricoltura, ai miglioramenti delle proprietà un aumento di rendite.Ettore non potè tanto contenersi che una smorfia ironicamente significativa non manifestasse quanto poco fosse a suo genio codesto mezzo di rivalsa.Il marchese padre si accorse del sentimento nato nel giovane, e interrompendo lo svolgersi del suo primo discorso, gli disse con vivacità:— Avesse l'aristocrazia del nostro paese, al pari di quella dell'Inghilterra, prescelto codesta via e codesti mezzi allo accorrere sui gradini del trono, alle pericolose carezze della monarchia, per abbassarsi agli uffici di cortigiani! Oggi noi, non per cagione del regio favore, ma per necessità delle cose, per libero consentimento universale, saremmo a capo senza contrasto, senza minaccie, senza odii, di tutta la popolazione, come rappresentanti naturali e necessari d'ogni vitalità del paese.Il figliuolo chinò il capo come chi non vuole discutere, ma che non è persuaso.Ripigliando il suo dir primitivo, il marchese continuava:— Quanto all'intelligenza, al pensiero, alla dottrina, pur troppo molti dei nostri (e, duolmi dirlo, voi stesso Ettore, siete fra quelli) molti pur troppo si lasciano passare innanzi i borghesi; e non è coll'arroganza, non è colla ragione dei duelli che si possa conservar più una supremazia di cui non siasi capaci. La scienza tiene e terrà sempre più il campo, e chi la possederà sarà il padrone della terra.— Perdoni, padre mio, disse Ettore con accento in cui non mancava il rispetto, ma apparivano il fastidio di siffatta discussione e il suo pieno dissentire dalle idee manifestate dal padre. Noi ci siamo ingolfati in troppa metafisica di considerazioni. Confesso che in codesto io non ci valgo niente. Ho sempre creduto che appunto la Provvidenza mi avesse fatto nascere in questo alto grado per esentarmi dai bassi lavori e dagli studi cui è condannata la borghesia. Pensare a migliorare l'agricoltura, a far progredire la scienza, è opera che si confà alle classi inferiori. Me Dio ha posto, senza tanti discorsi, al di sopra degli altri; e quel grado, pur ch'io sappia mantenermelo colla spada, come con essa lo acquistarono gli antichissimi miei maggiori! Ecco la filosofia civile che mi suggerisce il mio buon senso, e non ne cerco altra. Ma scendendo da cotanta generalità al mio caso particolare, le dico appunto che la suscettività impostami dal mio grado esigeva che ad una parola impertinente di quel da nulla io rispondessi come ho risposto. Capisco che con questa maledetta invasione di pretese uguagliatrici,io del mio atto, quantunque contro uno così da meno di me, debbo esser pronto a dargliene ragione colle armi: e non ho esitato menomamente ad accordargli codest'onore, e credo far tutto ciò che mi detta il più scrupoloso sentimento di delicatezza adoperandomi perch'egli sia sollecitamente posto in condizione da ricevere da me quella soddisfazione di che mi ha mandato a richiedere.— Ed oramai codesto non basta: disse col suo più autorevol tono di voce il marchese.— Come! Esclamò Ettore con un sussulto.— Non basta: continuò collo stesso accento il padre. Voi aveste torto nella contesa che faceste nascere con quel giovane.....— Sa Ella al giusto come si passarono le cose per potermi dar torto?— Lo so..... e da Virginia medesima.— Ah Virginia.....Ettore voleva soggiungere della parzialità che sospettava in sua cugina a favore del giovane borghese, ma si tacque, contentandosi di atteggiare le labbra superbe ad un sorriso ironico.— Questo contrattempo della Polizia concorre sventuratamente ad accrescere il vostro torto: seguitava il padre. Per ripararlo, io otterrò la sollecita liberazione di quel giovane, e voi andrete primo a tendergli la mano.Ettore sorse in piedi come spinto da una molla.— Oh codesto, prorupp'egli, io non farò mai. Gli manderò a dire che mi rimetto a sua disposizione per un altro convegno; ed ecco tutto. Non posso far di più che accordargli l'onore di battermi.— Batterti! Esclamò una donna a faccia orgogliosa, che era entrata in quel punto e s'avanzava con mossa superba. Ti vuoi battere con quel borghese di ieri sera. L'ho capita.Mon Dieu!è egli possibile che t'entrino in testa siffatte idee? Un Baldissero si batte con un suo eguale, ma non con un plebeo.Era la marchesa, la donna la più infatuata della sua nobiltà che potesse esser mai; era un rinforzo che arrivava al figliuolo per la sua resistenza alle generose idee del padre.Se il marchese nella sua gioventù aveva nel matrimonio vagheggiato il bene d'una compagna amorevole, degna, capace e desiosa d'essere una confidente, una confortatrice, un consiglio: che del marito facesse suoi travagli e piaceri, propositi e speranze; la signora marchesa eragli stata compiutamente una delusione. Era essa la vanità personificata. Nulla arrivava a toccarle l'anima che l'omaggio reso ai quarti del suo blasone; al suo cervello essa non lasciava giungere che il profumo delle adulazioni; il suo cuore non palpitava che per le emozioni dell'orgoglio. A farla consentire con premurosa voglia alle nozze col marchese, non era stata la fama di valore di costui, la bella sua presenza, che ne faceva uno dei più eleganti cavalieri del suo tempo, l'ingegno e la leggiadria delle maniere, era stata soltanto la purezza nobiliare del suo stemma portato dai suoi maggiori alle crociate. Quindi non gli aveva ella recato nella vita comune nè vero amore, nè l'abbandono fiducioso onde si assembra e si fa quasi una sola l'esistenza di due vite, ma soltanto un esagerato concetto della dignità e della grandezza aristocratica del nome. Quante volte il bisogno d'affetto, cui pure possedeva potente l'animo del marchese, non gli fu amaramente propulsato dall'aridità di quel cuore di donna! Come spesso l'animo del gentiluomo si sentì ferito e dolorò nel trovarsi ad ogni occasione daccanto il freddo contatto d'un'anima che non capiva ragione d'affetto, che non aveva per nessuna guisa quello che Dante chiama intelletto d'amore? Aveva egli sperato, l'anima compagna e temprata al medesimo sentire, in cui quindi potesse effondersi, trovarla poi nel figliuolo; e fu invano anche questo. Nel figliuolo primogenito si ritrovava esatta la riproduzione dell'asciutta, fredda, vanitosa, arrogante anima materna. La famiglia del marchese era spoglia di ciò che ne fa la maggiore dolcezza e il pregio invidiabile; egli stava sopra di essa come un capo riconosciuto ma non amato, come un superiore innanzi a cui si cede, ma sotto il rispetto pel quale c'è l'indifferenza. Se non fosse stato della amorevole e riconoscente Virginia, il marchese non avrebbe saputo più che cosa fosse la tenerezza di un affetto. In questa solitudine del cuore le triste memorie del passato, di cui abbiamo avuto già un cenno, lo angustiavano con segreto, incomunicato e tanto più fiero tormento.E il falso giudizio del mondo lo invidiava come uno dei più felici della terra: lui ricco, lui nobilissimo, lui dei primi dello Stato, lui padre di prospera prole!— Madre mia: rispose Ettore alle parole pronunziate dalla marchesa entrando; avrei forse potuto esimermi con ragione dall'onorare di tanto quel cotale, ma un Baldissero quando si tratta di battersi non la guarda più così pel sottile, ed ora che ho accettato la partita, non è più il caso di discutere su questo punto. Avvenne inoltre tal fatto per cui mi trovo posto nella più strana e spiacevol condizione che potessi immaginare.....E narrò in breve alla madre dell'arresto di Francesco.—Mais c'est très-bien!Esclamò la marchesa con piena soddisfazione. Ecco le cose perfettamente aggiustate! Barranchi si è regolato proprio da quell'uomo di senno che è; gli scrivo un bigliettino per dirgli bravo e per raccomandargli che tenga un po' più a lungo al fresco quel cervellino bruciato.Il marchese si alzò e col viso accigliato, colla voce ferma che dinota la volontà più risoluta, disse alla moglie:— Voi non farete nulla di tutto ciò; ed io in questomomento stesso vado ad adoperarmi per far riporre quel giovane in libertà.La marchesa fece un atto di profondo stupore.— Voi farete codesto?— Sì: rispose asciuttamente il marchese.Mentre la moglie pareva voler formolare alcuna obiezione, si battè leggermente alla porta, e il marchese avendo detto s'entrasse, comparve Michele il domestico, che venne ad annunziare come il signor Giacomo Benda chiedesse di parlarne con S. E.— Gli è il padre di quel giovane; disse vivamente la marchesa. Che viene egli a fare? Pensate voi di riceverlo?Il marchese non rispose che con un chinar del capo, e rivolto al cameriere ordinò s'introducesse il signor Benda.— Lasciatemi: soggiunse alla moglie ed al figliuolo quando il domestico fu uscito. Conviene che io lo riceva da solo.La marchesa incominciò qualche osservazione contro il partito di ricevere quel cotale; ma il marito la interruppe bruscamente:— Gli è a me che spetta decidere ciò che si debba o non si debba fare: diss'egli con forza. Prego tutti a ricordarlo.La marchesa e il figliuolo si partirono di là senza altro; un momento dopo il padre dell'oltraggiato si trovava in presenza del padre dell'oltraggiatore.Giacomo Benda l'industriale era stato allevato in un'epoca in cui il rispetto alla nobiltà e la persuasione della naturale e legittima superiorità di essa erano sentimenti comuni alla borghesia, massime a quella così detta piccola, a cui apparteneva per nascita egli stesso, la quale appena erasi levata da poco, mercè il lavoro ed il risparmio, fuori del gran serbatoio della plebe. Di credersi uguale ad un titolato non gli era mai passato in mente, e per quanto fosse venuta aumentandosi la sua ricchezza, mai non aveva sognato che ciò lo raccostasse alla schiera de' Semidei per cui fin da giovinetto aveva visto serbate, e credeva giusto che fossero, le grandezze e le distinzioni sociali. Di prepotenze il suo carattere ardito, fermo e leale non era acconcio a sopportarne da nessuno; ma era ben lungi dal creder tali quei privilegi, che erano concessi alla nobiltà e ch'ella stessa si arrogava così risolutamente, per cui, in competenza con un plebeo, il nobile dovesse sempre passare innanzi. In fondo egli aveva l'animo d'un libero cittadino, ma nei tratti della vita aveva le abitudini d'un vassallo. In qualità di commerciante egli aveva dovuto e doveva essere a contatto con varia gente dei varii ceti ed aveva trovato nei clienti più nobili, in generale, più generosa facilità degli altri nell'accondiscendere ai prezzi, la qual cosa era fatta, com'è facile ad intendere, per accrescere in lui quella deferenza che già nutriva per la classe privilegiata. Di questa da lungo tempo aveva imparato a stimare fra i più degni di riverenza il marchese di Baldissero e in occasione ordinaria sarebbe stato coi più umili — non però servili — contrassegni di sommesso ossequio che il padre di Francesco si sarebbe presentato innanzi a lui. Ora però, a farnelo avanzare con più eretta fronte in cospetto del polente titolato, a dargli un contegno di più libera risoluzione, da cui non era tuttavia escluso il rispetto, concorrevano lo sdegno, il timore, la passione che gli avevano suscitato nell'animo l'arresto del figliuolo, la perquisizione fatta in casa sua, la notizia dell'oltraggio inflitto a Francesco dal marchesino e la susseguente sfida a duello.Nel primo momento, dopo la partenza dell'agente di polizia, delle guardie e dei carabinieri che conducevano arrestato Giovanni Selva, la mente confusa non aveva saputo suggerire nissun partito da abbracciarsi per venire in soccorso di Francesco nè anche al padre di quest'esso. Quell'angustiata famiglia erasi raccomandata alla protezione del dottor Quercia che le era apparso in tale occasione rivestito d'una certa autorevolezza, e che aveva manifestato di potere sovvenirli; ed aveva per allora in codesto solo un barlume di speranza. Ma quando Virginia ebbe mandata pel valletto la sua lettera a Maria, e questa, per subita ispirazione, determinò rispondendole invocare la protezione di lei; fu tal fatto narrato dalla figliuola a Giacomo quasi una rivelazione di quello che gli tornava di fare: ricorrere cioè al marchese di Baldissero. Sor Giacomo non dubitava punto che l'arresto di suo figlio non fosse opera di questo illustre e potente personaggio; e che unica ragione avesse a darsene alla scena avvenuta la sera innanzi al ballo, la quale gli era poi stata raccontata. Al suo dolore si aggiunse quindi una indignazione più che legittima; e tutta la sua ordinaria reverenza per l'aristocrazia non impedì che trovasse quello un sopruso bello e buono da farne i più alti e calorosi richiami. Si decise recarsi dal marchese efarsene sentire; ma la moglie, a cui comunicò questo partito e che l'approvò molto ed anzi lo spinse ad effettuarlo sollecitamente, cominciò per ammorzare alquanto colle sue osservazioni e preghiere le fiamme dello sdegno nell'animo di Giacomo: «pensasse, diss'ella, che si trattava di riaver presto e salvo il figliuolo, e che tutto il resto era nulla, ch'egli aveva da parlare ad un potente il quale teneva in mano la sorte di Francesco; guai ad irritarlo! Sapeva bene come sono i grandi della terra, che la verità non la vogliono sentire e che si lascian vincere, più che da ogni altra cosa, dalla umiltà delle supplicazioni. Il recriminare, l'inveire sarebbe stato inutile a rimediare a ciò che era avvenuto, ed avrebbe invece compromesso il presente. Esser sempre vera la favola del vaso di terra e di quello di ferro; il primo aversi da guardar ben bene dall'urtar nel secondo, altrimenti ne andrebbe senza fallo in frantumi ad ogni volta.»Giacomo trovò questi ammonimenti della moglie dettati dal buon senso e promise conformarsi ad essi.— E oltre il resto, soggiunse la signora Teresa, ricordati di parlare anche di quell'orribile cosa che è la sfida..... Gesummaria! che nulla di simile abbia più ad aver luogo! Il marchese può impedirlo, e tu l'hai da pregare per le sante piaghe.....— Sì, sì, sta tranquilla; rispose il marito. Gli parlerò anche di codesto, e non avremo più ragione veruna di stare in transito.La moglie lo fece vestire cogli abiti da rispetto; e lo accompagnò fin sotto l'atrio, fino a che fu salito nella carrozza, seguitando a consigliarlo e sollecitarlo, quantunque egli non ne avesse bisogno il meno del mondo.Quando adunque Giacomo venne introdotto in presenza del marchese, la sua anima, era occupata e turbata da parecchi sentimenti che si oppugnavano: la indignazione che, quanto più egli pensava al fatto successo, tanto più trovava giusto motivo di crescere; la persuasione della necessità in cui si trovava di non fare inalberare l'orgoglio del marchese, ma di commuoverlo; la soggezione naturale in lui, che si credeva in una condizione subalterna, di dover presentarsi, e come richiamante, innanzi ad uno dei primi personaggi dello Stato. Pur tuttavia, entrò, come dissi, con una certa risolutezza nel gabinetto, predominandolo in quel punto la coscienza dell'aver ragione e il risentimento del torto sofferto; ma nel trovarsi in cospetto a quella imponente figura d'uomo, avvezzo a vedersi dinanzi umili cervici, il quale dritto presso il camino, rispondeva con un lieve cenno di capo protettore e cortesemente incoraggiante agli inchini di lui, Giacomo sentì pigliare il sopravvento tutta la sua primitiva soggezione.— Signor marchese, cominciò egli con voce che non era affatto sicura e rivelava la profonda emozione. Eccellenza..... io vengo..... mi perdoni se vengo a disturbarla..... Ella mi vede tutto commosso..... E ne capirà la ragione, e indovinerà fors'anche il motivo della mia venuta, quando le avrò detto ch'io sono il padre di quel giovane che ieri sera con suo figlio..... di quel povero giovane che fu arrestato questa mattina.Il marchese fece un nuovo cenno pieno di cortesia e rispose con voce affatto benigna:— Lo so; come conosco gli avvenimenti che pur troppo successero.Giacomo, incoraggiato da quell'accento come dall'espressione di fisionomia del marchese, fece vivamente un passo verso di lui.— Ah signor marchese, che le dirò io adunque di più?... Ella è padre... Ella deve conoscere le angustie di un cuore di padre... Io non ho che quello di maschi... Ah per carità mi salvi, mi renda mio figlio!E siccome in quell'istante la sua commozione fu tale che superò ogni altro riguardo, il povero padre strinse le mani in atto supplichevole, e due lagrime gli vennero agli occhi.Quelle poche parole, quell'atto, quelle lagrime fecero sull'animo generoso del marchese maggior effetto di qualunque più eloquente discorso. Chiunque poteva scorgere a prima veduta che quell'uomo d'aspetto robusto e di forme piene di forza, non doveva avere molta facilità a quell'espressione di debolezza che è il pianto, come la sua voce rude non aveva pratica all'accento della supplicazione; ed ora sentire quest'ultimo su quelle labbra inavvezze, vedere le lagrime colare su quel volto abbronzato d'uomo che ha praticato fin da giovane colla fatica, che ha combattuta e vinta la fortuna, era la prova più spiccata e solenne del profondo dolore, dell'ineffabile passione che lo opprimeva.Il marchese fece un passo verso il fabbricante, gli tese con atto cordiale la mano, e serrando amichevolmente quella che il borghese pose con timidità nella sua, disse con vera espansione e con interessamento:— Si rassicuri signor Benda. Sì, due padri sono assai presso a comprendersi anche senza tante parole. E le dirò tosto che in questo stesso momento in cui Ella mi venne annunziata io era sulle mosse per recarmi dal Comandante generale della Polizia a parlare in favore di suo figlio.Giacomo rasserenò la sua faccia, e i suoi occhi brillarono d'una luce di speranza, che era quasi la gioia d'una certezza. Strinse con emozione la mano aristocratica, che stava ancora congiunta alla sua tozza e grossolana di plebeo, ed esclamò con espressione di riconoscenza infinita:— Oh mi basta e non occorr'altro.... Sia Ella benedetta, sig. marchese.... Eccellenza voglio dire... Posso senza più correre a tranquillare quella povera anima di madre — mia moglie — che sta là nell'angoscia che io le lascio pensare.... La buona donna ama quel ragazzo cento mila volte più che la pupilla de' suoi occhi..... Vado a dirle: sta lieta che domani, che oggi stesso Francesco ci sarà restituito.— Piano: disse il marchese con un leggero sorriso levando la sua destra da quella dell'industriale. Non bisogna credere che il mio potere sia perfettamente uguale alla mia buona volontà. Ci porrò tutto il mio impegno, glielo prometto; ma potrebbe anche darsi che non riuscissi così bene come Ella ed io desideriamo....— O che? Interruppe bruscamente Giacomo. La mi canzona? Quando quegli stesso che ha fatto eseguire l'arresto....Il marchese si dirizzò della persona in tutta l'imponenza della sua alta statura, e prendendo una mossa più dignitosa e solenne, disse con accento più imperioso che non avesse ancora usato:— Crederebbe Ella che io abbia avuto alcuna ingerenza in codesto?Il padre di Francesco capì che aveva detto ciò che non conveniva e commesso uno sproposito.— No, s'affrettò a soggiungere, non voglio dir ciò: ma in fatti gli è per riguardo a S. E. che....— Niente affatto: interruppe di nuovo e con più asciuttezza il marchese. Fu creduto che suo figlio avesse mancato alla riverenza dovuta a S. M. in un luogo che questa onorava della sua presenza.Giacomo ebbe un subitaneo impeto d'impazienza cui non valse a frenare.— E perchè fu creduto codesto di mio figlio, mentre non si credette del suo, il quale infliggeva al mio Francesco tale insulto cui un uomo non può tollerare a niun modo?Ma appena pronunziate siffatte parole, il padre di Francesco ne capì tutta la gravità, e temette essere andato fuor di strada ed aver compromesso l'esito del suo ricorso al marchese.— Ah! mi perdoni: s'affrettò egli a soggiungere. Io sono così commosso.... Ella lo vede.... Non so bene quel che mi dica..... Si compiaccia figurarsi un momento in che stato si trova l'anima mia..... Ero così tranquillo, così felice colla mia famiglia, ieri soltanto!... Ancora questa mattina io mi sono alzato senza il menomo presentimento del guaio che già m'era piombato addosso e di quello che minacciava. Noi ci amiamo di tutto cuore; siam fatti così; padre e madre e figli siamo sempre vissuti insieme l'uno accosto all'altro; gli è come se le nostre esistenze fossero intrecciate in una.... Dia retta! Le dirò questo per esempio. M'è venuta un giorno la falsa idea di mettere la mia figliuola.... (ho anche una figliuola).... in collegio. Mi pareva che poichè ero ricco dovessi farle dare una educazione, come si suol dire, più brillante in qualche istituto di primissimo ordine. Scelsi addirittura quello del Sacro cuore.... e fu colà che mia figlia fece colla signorina di Castelletto una conoscenza che la nobile damigella volle gentilmente rinnovata questa mattina..... Ebbi torto: il buon senso di mia moglie vi si era opposto, ma io aveva persistito. Ebbi torto per due ragioni: prima perchè quel collegio frequentato dalle zitelle delle più nobili famiglie non era luogo adatto alla figliuola d'un fabbricante; poi, perchè avevo pensato che noi in casa si potrebbe avvezzarci alla mancanza di quel caro folletto d'una ragazza. Breve! Dopo alcuni mesi mia moglie non poteva più resistere, ed io meno di lei; ed andammo a levar la nostra Maria dal collegio per riaverla di nuovo con noi, sotto i nostri occhi, sempre.... Perdoni se io abuso della sua bontà... Gli è per dirle come ci sia impossibile viver separati dai nostri figli, come sia troppo, veramente troppo per noi il vederceli tolti. Ora che cosa ci avviene? Ad un tratto apprendo che mio figlio, il quale non fo per dire, ma è pure urbano ed educato quant'altri mai, venne pubblicamente svillaneggiato ieri sera nell'iniquo modo ch'Ella sa... Scusi: non vorrei dir nulla che offendesse il signor marchesino suo figlio; voglio anche ammettere che un qualche torto sia da parte del mio Francesco; ma per carità di Dio, Eccellenza, si metta nei panni di un giovane oltraggiato a quel modo, di me povero padre e non troverà forse eccessive le mie parole...Il marchese dignitoso sempre, fece un atto colla mano che pareva dire:— È giusto; continuate pure.E il padre di Francesco, in cui l'èmpito dei sentimenti aveva superato oramai ogni barriera di soggezione, continuò con maggior calore:— Che gli sia venuta al mio Francesco l'idea di domandare una riparazione, chi l'oserà biasimare? Se la legge, se il Governo, se i tribunali o che so io ce la dessero questa riparazione, allora si avrebbe torto a ricorrere ad altri mezzi. Ma sì: quale di noi borghesi potrebbe ottener fatto un processo al figliuolo d'un'Eccellenza? La cosa si metterebbe in tacere, e addosso al povero borghese cascherebbero ancora le sprezzanti risate del bel mondo... Ah! io non voglio mica lamentarmi nè far la critica al nostro buon Governo; Dio mi guardi! Ricordo soltanto le cose come sono per iscusare un po' la temerità che ebbe mio figlio di sfidare a duello il suo... Il duello, un'assurdità che non può entrare nella mia testa grossa. Se a me fosse capitata una cosa simile, quando ero giovane, ed anche adesso che non son più giovane, giurabacco! non avrei ricordato altro in quel momento se non che la Provvidenza mi ha dato a capo di queste braccia robuste certe mani che non sono di pan cotto per farmi rispettare da chicchessia..... Ma io sono ancora un rozzo uomo del popolo, e certamente avrei torto marcio eziandio. Mio figlio è più incivilito..... Basta; crede Ella un bel gusto quello d'un padre a cui viene annunziato che il figliuolo dopo aver ricevuto il più fiero insulto, corre pericolo di essere ammazzato in paga dall'insultatore, che certo è più destro nelle armi di lui?.... Non è tutto. Ecco che questo povero giovane oltraggiato vien preso dagli sgherri e tratto in prigione come un malfattore, violato il suo domicilio e manomesse le cose sue; mentre il suo competitore, quegli che ha veramente il torto (perdoni, voglio dire che ha una parte di torto anche lui), se ne rimane tuttavia tranquillo come se di nulla fosse..... Domando io se questo è giusto!.... Io mi sono detto che ciò non potrebbe piacere nè anco a V. E., e che per ottenere rimediato un torto così grande, non avrei dovuto far di meglio che ricorrere a Lei medesima. Ella mi ha già detto che nostro figlio ci sarebbe restituito; Ella mi ha accolto con una bontà che mi ha dato ansa a sfogare fin troppo — e glie ne domando ancora perdono — tutto ciò che mi bolliva qua dentro; una bontà che mi dà ansa a chiedere e sperare da Lei ancora qualche cosa di più.Il padre del marchesino aveva ascoltato con una benignità veramente incoraggiatrice. A queste ultime parole di Giacomo non espresse una domanda, ma diresse al suo interlocutore uno sguardo che era un punto d'interrogazione.Benda rispose sollecito:— Ella nel suo retto senso di giustizia, non può negare che al mio figliuolo spetti una riparazione.Il marchese fece francamente un segno affermativo colla testa.— Ma questa riparazione avrebbe da essere quella barbara d'un duello?... Ah no! Gli è come padre... no, gli è a nome di qualche cosa di più sacro ancora, per la povera anima d'una madre che morrebbe della morte di suo figlio, ch'io la prego a fare che un duello non abbia luogo.— Si tranquilli: disse il marchese con quella sua parola grave e l'atto solenne. Lo impedirò.— Ma una riparazione?...— L'avrà tuttavia, e tale che nulla gli lascierà a desiderare. L'avrà da mio figlio, l'avrà da me stesso, glie lo prometto.Giacomo, in un impeto di riconoscenza, prese la mano del marchese e glie la baciò:— Signor marchese, Ella avrà le benedizioni di un padre e d'una madre che le saranno riconoscenti sino alla morte... Noi siam nulla appetto a Lei; ma se mai per caso potessimo in alcun modo servirla, Ella non avrà sempre mai che a farci un cenno, e la famiglia Benda si metterà nel fuoco per Lei.Il marchese liberò adagio la sua mano e disse con un nobile sorriso:— Loro signori non mi dovranno riconoscenza nessuna. Io non farò altro che ciò di cui sono in debito.Partito Giacomo, il marchese si affrettò a recarsi dal generale Barranchi.Questi lo ricevette meglio di quello che si riceve un superiore: lo ricevette come si usa fare ad un uomo dal quale si può sperare qualche vantaggio e temer qualche danno. Si disse troppo onorato che il marchese avesse voluto recarsi da lui; lo avesse mandato a chiamare, ed egli, il generale, sarebbesi affrettato ad accorrere a sentire gli ordini di S. E.; si protestò disposto a far tutto quello che stesse in lui per contentare i desiderii del marchese, per obbedirne ogni menomo cenno.Ma quando il padre di Ettore gli ebbe manifestato lo scopo della sua venuta, il generale con mille espressioni di rincrescimento gli fece la medesima risposta che aveva finito per fare al figliuolo: trattarsi d'un affar di Stato, essersi posto la mano sopra un vero nido di rivoluzionari, essere state sequestrate delle carte che manifestavano i rei propositi di tutta quella gente, il Benda trovarsi in tutto ciò fortemente compromesso, non dipender più dalla sua autorità l'assecondare il desiderio del marchese, ed ancora che dipendesse, non lo potrebbe far tuttavia, ed il marchese medesimo, chiaritosi del come stessero le cose, lo avrebbe condannato se avesse interrotto il corso alla giustizia del Re.— Certo che sì: rispose con calma il marchese. Quando fossero in giuoco gl'interessi ch'Ella dice, io mi guarderei bene dall'insistere, ma la pregherei a non tacciarmi d'indiscreto, se le domando di vedere queste carte compromettenti e i rapporti degli agenti di polizia che certificano la colpevolezza di questi giovani. A dirla qui fra noi, la nostra polizia,... quella subalterna (aggiunse di fretta con un sorriso, per non ferire le suscettività del generale) è un po' ombrosa e non delle più oculate. Ella sa quante volte già ha in codesto ecceduto per isbaglio, per zelo fuor di posto, e S. M. ne fu assai malcontenta.Il generale dei carabinieri fece irti i suoi baffi in una smorfia e si agitò sulla sua seggiola in una specie di malessere. Le parole del marchese gli ricordavano i rimproveri del Re, e l'ammonimento datogliene ancora il giorno innanzi.— Ad evitare ogni inconveniente ed ogni maggior dispiacere per tutti, soggiunse il marchese dando alla sua voce tutto il tono d'autorità onde pel grado, pel sangue, pel reale favore poteva giovarsi, io desidero appunto vedere quei documenti affine di farmi un esatto concetto della cosa e sapermi regolare in conseguenza.— Io glie li sottoporrei senza ritardo: rispose con premura Barranchi: se fossero ancora in mio potere; ma la cosa era troppo grave perchè io tardassi ad informarne chi di dovere, e mandai tutto al Governatore.Il marchese si alzò sollecito senza attendere altro.— Andrò adunque dal Governatore.Il generale lo accompagnò fino all'uscio dell'anticamera con ogni contrassegno di riverenza; e il padre di Ettore si affrettò a recarsi dal Governatore, dove, alla fine del capitolo XVI, l'abbiamo visto arrivare mentre nel gabinetto di questa superiore autorità si trovava ancora il barone La Cappa.

Ettore aveva udite le ultime parole dette da Virginia al marchese; mentre la fanciulla gli scivolò daccanto nel partirsi, egli la saettò d'uno sguardo che era tutt'insieme un'indagine osservatrice, una interrogazione ed uno sfogo di sdegno. Tornato a casa dopo il suo colloquio col Generale dei carabinieri, il marchesino aveva appreso dal suo cameriere dove la cugina si fosse recata nella sua gita mattiniera, chi avesse colà incontrato e i discorsi che erano passati fra Virginia e Maria, secondo che lo staffiere aveva esattamente riferito; epperò udendole parole dalla cugina pronunciate non ebbe il menomo dubbio che le riguardassero il suo avversario e rivale.

In verità non era senza qualche apprensione che il giovane, ubbedendo sollecito alla chiamata paterna, presentavasi nel gabinetto del marchese. A dispetto della sua leggerezza orgogliosa e della irriverente petulanza del suo carattere, egli provava alcun impaccio a comparire innanzi alla conosciuta severità di suo padre, dopo tal fatto in cui sentiva istintivamente di non aver egli la più bella parte.

Stette egli un poco sulla soglia, e padre e figlio si guardarono un istante in silenzio. Gli occhi di Ettore si chinarono innanzi a quelli del marchese. In quello sguardo erasi compreso con meravigliosa sintesi tutto ciò che si sarebbe detto a parole, tutto ciò che era negli animi loro: di qua un'amara scontentezza, di là una pervicacia inflessibile, ravvolta nelle forme d'una subordinazione, da cui era escluso l'affetto.

Fu il figliuolo che ruppe primo il silenzio.

— Di che giovane parlò ella Virginia? Posso io domandarle, padre mio, chi si tratta di restituire alla propria famiglia?

Il marchese accennò al figlio la seggiola che aveva innanzi a sè, e da cui s'era alzata poc'anzi la nipote.

— Venite innanzi, Ettore, diss'egli, e sedete. Vi permetto giustamente la domanda che mi fate, perchè ha riguardo appunto a ciò di cui debbo parlarvi, e per cui vi ho fatto venire.

Ettore si avanzò lentamente, pose una mano sulla spalliera della seggiola che gli aveva additata suo padre, e in quell'attitudine disse con disinvoltura, prima di sedersi:

— Ah! L'ho dunque indovinata. Ella vuol parlarmi dello stranissimo incidente che mi capita. Sta bene; al momento che il suo cameriere venne a recarmi l'imbasciata, io stavo appunto per mandare da Lei a chiedere se mi avesse voluto favorire dieci minuti di colloquio.

Chi non l'avesse saputo, non avrebbe indovinato mai che padre e figlio erano que' due, al vederne i contegni, all'udirne l'accento delle parole. Il giovane sedette, prese l'atteggiamento d'un uomo sicuro d'ogni sua cosa, e continuò a dire:

— Mi permette Ella che parli io per primo?

Il marchese fece un cenno di consentimento, e disse asciuttamente:

— Parlate.

Ettore in poche parole espose a modo suo i fatti che noi conosciamo; poscia soggiunse:

— Sono corso dal generale Barranchi (e ne torno adess'adesso) per ottenerne che il signor Benda fosse posto sollecitamente in libertà. Barranchi da principio si mostrò assai disposto a contentarmi, e già era sul punto di dar gli ordini opportuni, quando ravvisatosi, mi disse che v'era una circostanza, cui non aveva di subito ricordata, e la quale impediva si ottemperasse alla mia richiesta. Questa stessa mattina, per tempo, diceva egli, il commissario Tofi erasi recato da lui a prevenirlo essere necessario procedere all'arresto di quel cotale e di parecchi altri per cagione di certe mene politiche ond'eran rei; che quindi essendo il Benda sotto la grave accusa d'un delitto di Stato, egli non poteva prendersi l'arbitrio di mandarnelo sciolto così senz'altro. Io insistetti con tutto il calore di cui sono capace. Mi restituisse almanco per ventiquattr'ore il mio avversario, e poi ne facesse quel che più gli talentava: dovermi assolutamente siffatta riparazione pel torto che mi aveva fatto, chè da gentiluomo e da buon amico, quale egli ha sempre voluto essere con noi, non avrebbe dovuto fare intravvenire la sua polizia fin dopo che fosse statavidéefra di noi la contesa d'onore ed avrebbe dovuto ignorare assolutamente che avesse luogo il nostro duello. Gli ricordai il tempo della sua gioventù: che cosa non avrebbe fatto e detto quando era luogotenente nelle Guardie d'onore, se alcuno fosse venuto a levargliene così dinanzi l'uomo con cui doveva battersi? Che non direbbe e non farebbe anche adesso, se mai potesse trovarsi in una simile occasione? Se un disappunto uguale fosse accaduto al suo nipote San Luca, non si adoprerebbe ancor egli a far sì che in alcun modo non patisse pure un appannamento la lucentezza dell'onor suo? Insomma, perorai tanto che il conte mezzo scosso venne in questo temperamento: di mandar subito a chiamare il Commissario e di consultare con esso lui intorno a codesto; se appena appena, senza pericolo della sicurezza pubblica, dello Stato, e che so io, si potesse accondiscendere al mio desiderio, allora io non avrei preso commiato senza udire spiccato l'ordine di rilascio del Benda. Il Commissario venne sollecito[6]; e venne portando seco un fascio di libri e di carte, cui disse testè sequestrati nelle perquisizioni fatte in casa di Benda e di non so bene quali amici suoi. Da codeste carte e da codesti libri, affermò apparire più chiara che mai e più grave che non si credesse la colpa di quei signori; non potersi pensare assolutamente a nulla di simile a ciò che accennava il generale; si compiacesse quest'ultimo di gettare soltanto gli occhi sui titoli dei volumi e su alcune pagine d'un manoscritto che gli additava, e vedrebbe tosto di quale importanza fossero quegli arresti ch'egli si vantava d'aver consigliati. Il Generale guardò quei libri, fece scorrere gli occhi su quelle pagine, e vidi la sua fronte corrugarsi e i suoi baffi fremere d'indignazione.

«— Corpo d'una bomba! Esclamò colla sua voce tonante. Se mai vi fu gente degna d'esser mandataa Fenestrelle, si è quest'essa. Io mi felicito assai d'aver avuta la buona idea di dar l'ordine che fossero arrestati. Abbia pazienza, marchese, soggiunse volgendosi a me, io vorrei di gran cuore poterla contentare; ma i diritti di S. M. innanzi ad ogni cosa; noi teniamo alcuni birbanti rei di crimenlese, e non possiamo lasciarli andar più neppure per un momento. Trasmetterò tosto tosto questi documenti e i rapporti che li accompagnano al Governatore, e chiederò senza ritardo un'udienza a S. M. per renderla informata di tutto.

Tentai tuttavia insistere, ma per quanto dicessi tutto fu nulla. Allora tornai a casa avendo in animo di pregar Lei, la cui parola è più autorevole, di voler interporsi affine di ottenermi soddisfatto quello che mi pare legittimo mio desiderio.»

Il marchese aveva ascoltato suo figlio, sempre nel medesimo atteggiamento, silenzioso ed immobile, ed alle sembianze mal si sarebbe potuto scorgere quale impressione fosse la sua; quando Ettore ebbe finito, il padre si tacque ancora per un po', quasi riflettendo seco stesso sulle cose udite, poscia, levando lentamente il viso e fissando sul volto del giovane uno sguardo severo, imponente e dignitosamente corrucciato, egli disse:

— Ettore, molte cose vostre mi dispiacquero e mi tornarono indegne di voi e del nome che avete l'onore di portare; quest'ultima più di tutte mi spiace e la trovo indegnissima del vostro titolo, del vostro casato.

Il figliuolo fece un trasalto sulla sua seggiola, le guance gli arrossarono, si morse le labbra, e facendo forza per contenersi, proruppe tuttavia con voce resa balzellante dall'emozione:

— Le sue parole sono severe, padre mio, e mi pare che posso dire troppo severe. Ho il diritto di domandarle come mi può colpire di così tristo giudizio, ch'io ho la coscienza di non aver meritato.

Il padre lo guardò più severo di prima. Innanzi a quella grave fisionomia non ci sarebbe stato individualità, per quanto audace, che non si fosse sentita alcuna soggezione, come d'inferiore appetto ad un dappiù.

— La vostra coscienza v'inganna: diss'egli con voce lenta, contenuta, ma piena d'autorità e di forza. Pensate bene ai fatti vostri; voi, ieri sera, avete mancato inescusabilmente a quel debito d'urbanità, a quelle nobili maniere che per noi — per noi: ripetè battendo sulla parola — sono una legge nelle attinenze verso chicchessia...

Ettore interruppe vivamente, come uomo in cui la passione trabocca:

— Ecchè? Ella vuol darmi sì brutto carico per un po' di lezione data alla tracotanza d'un borghesuccio...

Il marchese guardò suo figlio aggrottando la fronte ed alzò una mano ad imporgli silenzio.

— Voi vi permettete d'interrompermi: diss'egli con fiera freddezza.

Il giovane si tacque.

— La tracotanza, continuava il padre, non fu per nulla da parte altrui. E voi dovreste sapere che ad un Baldissero si spetta dar lezioni di gentilezza come di generosità, di tratti squisiti come di valore; che abbandonarsi a certi atti plebei gli è un discendere noi stessi al grado della bassa gentuccia che li usa; che codesti atti in uomo della nostra sfera imprimono una macchia più a chi li adopera che a colui contro il quale sono adoperati. Ciò voi dimenticaste, e questa dimenticanza merita la condanna che vi ho espresso.

Ettore masticava i suoi baffetti in una contrarietà profonda e vivace, cui si sforzava a contenere perchè non prorompesse in isdegno. Suo padre essendosi taciuto, credette di poter a sua volta parlare senza incorrere in altra censura.

— Ella non conosce le nuove temerità di questa nuova borghesia che vien su colla ricchezza, aiutata colla stupidità dell'uguaglianza civile accordatale dall'improvvido codice, parodia delle leggi francesi. Ella giudica le cose colla norma del tempo della sua giovinezza, dopo avvenuta la ristaurazione, quando leggi e costumi concedevano efficacemente alla nobiltà quel posto che le compete. Ma ora non è più così. Le leggi, per deplorevole errore della Monarchia, ci vengono spogliando di quei diritti che i nostri nemici chiamano privilegi e che sono necessarii a costituire una vera ed efficace aristocrazia, senza la quale, Ella sa meglio di me non potervi essere mai un sodo e conveniente organamento della società. I costumi seguitano pur troppo lo esempio delle leggi, e gl'interessi contrarii delle classi inferiori, contenuti un tempo, ora trovando in quelle infauste leggi un appoggio, spingono al di là e fanno a soverchiarci se noi, tutti d'accordo e con ogni mezzo, non siamo pronti e risoluti al riparo. Que' riguardi che si avevano un tempo e che si devono avere alla nobiltà, ora diminuiscono nel popolo con sempre crescente proporzione. È molto scemato quel senso di rispetto che in presenza di un nostro pari faceva chinare le teste del volgo. I borghesi, col mezzo degli studi dell'Università, si vedono aperta la carriera delle alte cariche, quasi come noi: con troppo scandaloso eccesso, noi vediamo della gente da nulla oggidì, la cui plebea natura mal riesce larvata da un titolo recente, nei primi posti della magistratura e dell'amministrazione. Non c'è che l'esercito e la diplomazia che rimangano immuni ancora da questa vergogna. Mercè le industrie, delle quali il Governo ha la stoltezza di proteggere e favorire lo sviluppo, i plebei arrivano alla ricchezza, cui le disposizioni legislative non assicurano più bastantemente in possesso all'aristocrazia: e da ciò pigliano audaci pretese di farla alla pari, di stare a tu per tu con noi. Guai alla nobiltà se essa risolutamente, violentemente non rigetta col suo contegno in quel basso loco che le spetta laclasse inferiore e impertinente dei borghesi! Bisogna camminarle addosso e schiacciarla, prima che ci soprammonti. Ecco le mie idee! Questo signor Benda, ricco figliuolo d'un fabbricante, conta fra' primi di quelli che si chiamano liberali, val quanto dire dei più impertinenti e de' maggiori nostri nemici. Percotendolo col mio guanto sulla guancia io ho schiaffeggiato quella sciagurataccia di moderna invenzione rivoluzionaria che chiamasi democrazia.

— Non si tratta di schiaffeggiarla questa democrazia: rispose colla medesima severità il marchese: si tratta di vincerla e di renderla impotente; epperò occorre che l'aristocrazia in ciascuno dei suoi membri — se fosse possibile — nei principali almanco, sia superiore in tutto e per tutto, passi innanzi per ogni modo, virtù, talenti, operosità, benemerenza di qualunque sorta, ai campioni delle nuove popolaresche pretese. Iddio ci ha fatta la grazia di metterci nelle prime file dell'umanità, sui gradini superiori della scala sociale; noi dobbiamo coi nostri atti renderci e mostrarci degni di tanto favore. Noi dobbiamo per nostro onore e per nostro dovere mantenerci in quell'alto grado in cui ci volle la Provvidenza; ma per ciò equivalenti ed acconci bisogna pur che ne sieno i mezzi. Abbiamo nel passato la regola della nostra condotta nel presente e nell'avvenire. Come si formò ella l'aristocrazia moderna nello scombuiamento prodotto dal rovinìo dell'antica società? Emersero fra le predestinate razze invaditrici quelli che avevano più forza e più valore individuale, la cui personalità meglio spiccata e robusta aveva intorno a sè maggior potenza d'influsso e quindi autorità meno contestata d'impero. Allora erano tempi e circostanze, in cui dominava quasi sola e doveva dominare la forza: gli è con questa che s'imposero ai popoli per diritto di conquista le aristocrazie d'Europa. La potenza del pensiero, allora menoma, era tutta raccolta e rappresentata nel clero cristiano; e l'aristocrazia da poco convertita ebbe la saviezza di fare bentosto alleanza col clero medesimo e prevalersi per ciò anche dell'autorità morale e intellettiva. Nel nostro tempo le condizioni sono mutate. La forza materiale del braccio e del valore non tiene più il primo posto nella schiera degli elementi di dominio; vi sono successe due altre forze: quella della ricchezza e quella dell'ingegno e della dottrina, la quale, nemmanco, non è più esclusiva dote del clero. Bisogna che l'aristocrazia, per conservare il suo primato s'impadronisca dell'una e dell'altra e ne usi a beneficio dell'intiera associazione. Quanto alla ricchezza, lamento al pari di voi quelle disposizioni legislative che conducendo al frazionamento obbligatorio delle grandi proprietà ed allo svincolo di esse, ne tolgono la sicura, continuata e irrevocabile possessione nelle nostre famiglie; ma Carlo Alberto si è arrestato a mezzo dell'opera e non gli è bastato il cuore di segnare il decadimento compiuto della nobiltà. Conservando i maggioraschi, egli ci ha lasciato un mezzo di riparare in parte al danno delle innovazioni introdotte nel diritto di successione; al resto occorre che ripari la nostra prudente attività, la quale, prendendo esempio dalla savia nobiltà inglese, domandi ai perfezionamenti dell'agricoltura, ai miglioramenti delle proprietà un aumento di rendite.

Ettore non potè tanto contenersi che una smorfia ironicamente significativa non manifestasse quanto poco fosse a suo genio codesto mezzo di rivalsa.

Il marchese padre si accorse del sentimento nato nel giovane, e interrompendo lo svolgersi del suo primo discorso, gli disse con vivacità:

— Avesse l'aristocrazia del nostro paese, al pari di quella dell'Inghilterra, prescelto codesta via e codesti mezzi allo accorrere sui gradini del trono, alle pericolose carezze della monarchia, per abbassarsi agli uffici di cortigiani! Oggi noi, non per cagione del regio favore, ma per necessità delle cose, per libero consentimento universale, saremmo a capo senza contrasto, senza minaccie, senza odii, di tutta la popolazione, come rappresentanti naturali e necessari d'ogni vitalità del paese.

Il figliuolo chinò il capo come chi non vuole discutere, ma che non è persuaso.

Ripigliando il suo dir primitivo, il marchese continuava:

— Quanto all'intelligenza, al pensiero, alla dottrina, pur troppo molti dei nostri (e, duolmi dirlo, voi stesso Ettore, siete fra quelli) molti pur troppo si lasciano passare innanzi i borghesi; e non è coll'arroganza, non è colla ragione dei duelli che si possa conservar più una supremazia di cui non siasi capaci. La scienza tiene e terrà sempre più il campo, e chi la possederà sarà il padrone della terra.

— Perdoni, padre mio, disse Ettore con accento in cui non mancava il rispetto, ma apparivano il fastidio di siffatta discussione e il suo pieno dissentire dalle idee manifestate dal padre. Noi ci siamo ingolfati in troppa metafisica di considerazioni. Confesso che in codesto io non ci valgo niente. Ho sempre creduto che appunto la Provvidenza mi avesse fatto nascere in questo alto grado per esentarmi dai bassi lavori e dagli studi cui è condannata la borghesia. Pensare a migliorare l'agricoltura, a far progredire la scienza, è opera che si confà alle classi inferiori. Me Dio ha posto, senza tanti discorsi, al di sopra degli altri; e quel grado, pur ch'io sappia mantenermelo colla spada, come con essa lo acquistarono gli antichissimi miei maggiori! Ecco la filosofia civile che mi suggerisce il mio buon senso, e non ne cerco altra. Ma scendendo da cotanta generalità al mio caso particolare, le dico appunto che la suscettività impostami dal mio grado esigeva che ad una parola impertinente di quel da nulla io rispondessi come ho risposto. Capisco che con questa maledetta invasione di pretese uguagliatrici,io del mio atto, quantunque contro uno così da meno di me, debbo esser pronto a dargliene ragione colle armi: e non ho esitato menomamente ad accordargli codest'onore, e credo far tutto ciò che mi detta il più scrupoloso sentimento di delicatezza adoperandomi perch'egli sia sollecitamente posto in condizione da ricevere da me quella soddisfazione di che mi ha mandato a richiedere.

— Ed oramai codesto non basta: disse col suo più autorevol tono di voce il marchese.

— Come! Esclamò Ettore con un sussulto.

— Non basta: continuò collo stesso accento il padre. Voi aveste torto nella contesa che faceste nascere con quel giovane.....

— Sa Ella al giusto come si passarono le cose per potermi dar torto?

— Lo so..... e da Virginia medesima.

— Ah Virginia.....

Ettore voleva soggiungere della parzialità che sospettava in sua cugina a favore del giovane borghese, ma si tacque, contentandosi di atteggiare le labbra superbe ad un sorriso ironico.

— Questo contrattempo della Polizia concorre sventuratamente ad accrescere il vostro torto: seguitava il padre. Per ripararlo, io otterrò la sollecita liberazione di quel giovane, e voi andrete primo a tendergli la mano.

Ettore sorse in piedi come spinto da una molla.

— Oh codesto, prorupp'egli, io non farò mai. Gli manderò a dire che mi rimetto a sua disposizione per un altro convegno; ed ecco tutto. Non posso far di più che accordargli l'onore di battermi.

— Batterti! Esclamò una donna a faccia orgogliosa, che era entrata in quel punto e s'avanzava con mossa superba. Ti vuoi battere con quel borghese di ieri sera. L'ho capita.Mon Dieu!è egli possibile che t'entrino in testa siffatte idee? Un Baldissero si batte con un suo eguale, ma non con un plebeo.

Era la marchesa, la donna la più infatuata della sua nobiltà che potesse esser mai; era un rinforzo che arrivava al figliuolo per la sua resistenza alle generose idee del padre.

Se il marchese nella sua gioventù aveva nel matrimonio vagheggiato il bene d'una compagna amorevole, degna, capace e desiosa d'essere una confidente, una confortatrice, un consiglio: che del marito facesse suoi travagli e piaceri, propositi e speranze; la signora marchesa eragli stata compiutamente una delusione. Era essa la vanità personificata. Nulla arrivava a toccarle l'anima che l'omaggio reso ai quarti del suo blasone; al suo cervello essa non lasciava giungere che il profumo delle adulazioni; il suo cuore non palpitava che per le emozioni dell'orgoglio. A farla consentire con premurosa voglia alle nozze col marchese, non era stata la fama di valore di costui, la bella sua presenza, che ne faceva uno dei più eleganti cavalieri del suo tempo, l'ingegno e la leggiadria delle maniere, era stata soltanto la purezza nobiliare del suo stemma portato dai suoi maggiori alle crociate. Quindi non gli aveva ella recato nella vita comune nè vero amore, nè l'abbandono fiducioso onde si assembra e si fa quasi una sola l'esistenza di due vite, ma soltanto un esagerato concetto della dignità e della grandezza aristocratica del nome. Quante volte il bisogno d'affetto, cui pure possedeva potente l'animo del marchese, non gli fu amaramente propulsato dall'aridità di quel cuore di donna! Come spesso l'animo del gentiluomo si sentì ferito e dolorò nel trovarsi ad ogni occasione daccanto il freddo contatto d'un'anima che non capiva ragione d'affetto, che non aveva per nessuna guisa quello che Dante chiama intelletto d'amore? Aveva egli sperato, l'anima compagna e temprata al medesimo sentire, in cui quindi potesse effondersi, trovarla poi nel figliuolo; e fu invano anche questo. Nel figliuolo primogenito si ritrovava esatta la riproduzione dell'asciutta, fredda, vanitosa, arrogante anima materna. La famiglia del marchese era spoglia di ciò che ne fa la maggiore dolcezza e il pregio invidiabile; egli stava sopra di essa come un capo riconosciuto ma non amato, come un superiore innanzi a cui si cede, ma sotto il rispetto pel quale c'è l'indifferenza. Se non fosse stato della amorevole e riconoscente Virginia, il marchese non avrebbe saputo più che cosa fosse la tenerezza di un affetto. In questa solitudine del cuore le triste memorie del passato, di cui abbiamo avuto già un cenno, lo angustiavano con segreto, incomunicato e tanto più fiero tormento.

E il falso giudizio del mondo lo invidiava come uno dei più felici della terra: lui ricco, lui nobilissimo, lui dei primi dello Stato, lui padre di prospera prole!

— Madre mia: rispose Ettore alle parole pronunziate dalla marchesa entrando; avrei forse potuto esimermi con ragione dall'onorare di tanto quel cotale, ma un Baldissero quando si tratta di battersi non la guarda più così pel sottile, ed ora che ho accettato la partita, non è più il caso di discutere su questo punto. Avvenne inoltre tal fatto per cui mi trovo posto nella più strana e spiacevol condizione che potessi immaginare.....

E narrò in breve alla madre dell'arresto di Francesco.

—Mais c'est très-bien!Esclamò la marchesa con piena soddisfazione. Ecco le cose perfettamente aggiustate! Barranchi si è regolato proprio da quell'uomo di senno che è; gli scrivo un bigliettino per dirgli bravo e per raccomandargli che tenga un po' più a lungo al fresco quel cervellino bruciato.

Il marchese si alzò e col viso accigliato, colla voce ferma che dinota la volontà più risoluta, disse alla moglie:

— Voi non farete nulla di tutto ciò; ed io in questomomento stesso vado ad adoperarmi per far riporre quel giovane in libertà.

La marchesa fece un atto di profondo stupore.

— Voi farete codesto?

— Sì: rispose asciuttamente il marchese.

Mentre la moglie pareva voler formolare alcuna obiezione, si battè leggermente alla porta, e il marchese avendo detto s'entrasse, comparve Michele il domestico, che venne ad annunziare come il signor Giacomo Benda chiedesse di parlarne con S. E.

— Gli è il padre di quel giovane; disse vivamente la marchesa. Che viene egli a fare? Pensate voi di riceverlo?

Il marchese non rispose che con un chinar del capo, e rivolto al cameriere ordinò s'introducesse il signor Benda.

— Lasciatemi: soggiunse alla moglie ed al figliuolo quando il domestico fu uscito. Conviene che io lo riceva da solo.

La marchesa incominciò qualche osservazione contro il partito di ricevere quel cotale; ma il marito la interruppe bruscamente:

— Gli è a me che spetta decidere ciò che si debba o non si debba fare: diss'egli con forza. Prego tutti a ricordarlo.

La marchesa e il figliuolo si partirono di là senza altro; un momento dopo il padre dell'oltraggiato si trovava in presenza del padre dell'oltraggiatore.

Giacomo Benda l'industriale era stato allevato in un'epoca in cui il rispetto alla nobiltà e la persuasione della naturale e legittima superiorità di essa erano sentimenti comuni alla borghesia, massime a quella così detta piccola, a cui apparteneva per nascita egli stesso, la quale appena erasi levata da poco, mercè il lavoro ed il risparmio, fuori del gran serbatoio della plebe. Di credersi uguale ad un titolato non gli era mai passato in mente, e per quanto fosse venuta aumentandosi la sua ricchezza, mai non aveva sognato che ciò lo raccostasse alla schiera de' Semidei per cui fin da giovinetto aveva visto serbate, e credeva giusto che fossero, le grandezze e le distinzioni sociali. Di prepotenze il suo carattere ardito, fermo e leale non era acconcio a sopportarne da nessuno; ma era ben lungi dal creder tali quei privilegi, che erano concessi alla nobiltà e ch'ella stessa si arrogava così risolutamente, per cui, in competenza con un plebeo, il nobile dovesse sempre passare innanzi. In fondo egli aveva l'animo d'un libero cittadino, ma nei tratti della vita aveva le abitudini d'un vassallo. In qualità di commerciante egli aveva dovuto e doveva essere a contatto con varia gente dei varii ceti ed aveva trovato nei clienti più nobili, in generale, più generosa facilità degli altri nell'accondiscendere ai prezzi, la qual cosa era fatta, com'è facile ad intendere, per accrescere in lui quella deferenza che già nutriva per la classe privilegiata. Di questa da lungo tempo aveva imparato a stimare fra i più degni di riverenza il marchese di Baldissero e in occasione ordinaria sarebbe stato coi più umili — non però servili — contrassegni di sommesso ossequio che il padre di Francesco si sarebbe presentato innanzi a lui. Ora però, a farnelo avanzare con più eretta fronte in cospetto del polente titolato, a dargli un contegno di più libera risoluzione, da cui non era tuttavia escluso il rispetto, concorrevano lo sdegno, il timore, la passione che gli avevano suscitato nell'animo l'arresto del figliuolo, la perquisizione fatta in casa sua, la notizia dell'oltraggio inflitto a Francesco dal marchesino e la susseguente sfida a duello.

Nel primo momento, dopo la partenza dell'agente di polizia, delle guardie e dei carabinieri che conducevano arrestato Giovanni Selva, la mente confusa non aveva saputo suggerire nissun partito da abbracciarsi per venire in soccorso di Francesco nè anche al padre di quest'esso. Quell'angustiata famiglia erasi raccomandata alla protezione del dottor Quercia che le era apparso in tale occasione rivestito d'una certa autorevolezza, e che aveva manifestato di potere sovvenirli; ed aveva per allora in codesto solo un barlume di speranza. Ma quando Virginia ebbe mandata pel valletto la sua lettera a Maria, e questa, per subita ispirazione, determinò rispondendole invocare la protezione di lei; fu tal fatto narrato dalla figliuola a Giacomo quasi una rivelazione di quello che gli tornava di fare: ricorrere cioè al marchese di Baldissero. Sor Giacomo non dubitava punto che l'arresto di suo figlio non fosse opera di questo illustre e potente personaggio; e che unica ragione avesse a darsene alla scena avvenuta la sera innanzi al ballo, la quale gli era poi stata raccontata. Al suo dolore si aggiunse quindi una indignazione più che legittima; e tutta la sua ordinaria reverenza per l'aristocrazia non impedì che trovasse quello un sopruso bello e buono da farne i più alti e calorosi richiami. Si decise recarsi dal marchese efarsene sentire; ma la moglie, a cui comunicò questo partito e che l'approvò molto ed anzi lo spinse ad effettuarlo sollecitamente, cominciò per ammorzare alquanto colle sue osservazioni e preghiere le fiamme dello sdegno nell'animo di Giacomo: «pensasse, diss'ella, che si trattava di riaver presto e salvo il figliuolo, e che tutto il resto era nulla, ch'egli aveva da parlare ad un potente il quale teneva in mano la sorte di Francesco; guai ad irritarlo! Sapeva bene come sono i grandi della terra, che la verità non la vogliono sentire e che si lascian vincere, più che da ogni altra cosa, dalla umiltà delle supplicazioni. Il recriminare, l'inveire sarebbe stato inutile a rimediare a ciò che era avvenuto, ed avrebbe invece compromesso il presente. Esser sempre vera la favola del vaso di terra e di quello di ferro; il primo aversi da guardar ben bene dall'urtar nel secondo, altrimenti ne andrebbe senza fallo in frantumi ad ogni volta.»

Giacomo trovò questi ammonimenti della moglie dettati dal buon senso e promise conformarsi ad essi.

— E oltre il resto, soggiunse la signora Teresa, ricordati di parlare anche di quell'orribile cosa che è la sfida..... Gesummaria! che nulla di simile abbia più ad aver luogo! Il marchese può impedirlo, e tu l'hai da pregare per le sante piaghe.....

— Sì, sì, sta tranquilla; rispose il marito. Gli parlerò anche di codesto, e non avremo più ragione veruna di stare in transito.

La moglie lo fece vestire cogli abiti da rispetto; e lo accompagnò fin sotto l'atrio, fino a che fu salito nella carrozza, seguitando a consigliarlo e sollecitarlo, quantunque egli non ne avesse bisogno il meno del mondo.

Quando adunque Giacomo venne introdotto in presenza del marchese, la sua anima, era occupata e turbata da parecchi sentimenti che si oppugnavano: la indignazione che, quanto più egli pensava al fatto successo, tanto più trovava giusto motivo di crescere; la persuasione della necessità in cui si trovava di non fare inalberare l'orgoglio del marchese, ma di commuoverlo; la soggezione naturale in lui, che si credeva in una condizione subalterna, di dover presentarsi, e come richiamante, innanzi ad uno dei primi personaggi dello Stato. Pur tuttavia, entrò, come dissi, con una certa risolutezza nel gabinetto, predominandolo in quel punto la coscienza dell'aver ragione e il risentimento del torto sofferto; ma nel trovarsi in cospetto a quella imponente figura d'uomo, avvezzo a vedersi dinanzi umili cervici, il quale dritto presso il camino, rispondeva con un lieve cenno di capo protettore e cortesemente incoraggiante agli inchini di lui, Giacomo sentì pigliare il sopravvento tutta la sua primitiva soggezione.

— Signor marchese, cominciò egli con voce che non era affatto sicura e rivelava la profonda emozione. Eccellenza..... io vengo..... mi perdoni se vengo a disturbarla..... Ella mi vede tutto commosso..... E ne capirà la ragione, e indovinerà fors'anche il motivo della mia venuta, quando le avrò detto ch'io sono il padre di quel giovane che ieri sera con suo figlio..... di quel povero giovane che fu arrestato questa mattina.

Il marchese fece un nuovo cenno pieno di cortesia e rispose con voce affatto benigna:

— Lo so; come conosco gli avvenimenti che pur troppo successero.

Giacomo, incoraggiato da quell'accento come dall'espressione di fisionomia del marchese, fece vivamente un passo verso di lui.

— Ah signor marchese, che le dirò io adunque di più?... Ella è padre... Ella deve conoscere le angustie di un cuore di padre... Io non ho che quello di maschi... Ah per carità mi salvi, mi renda mio figlio!

E siccome in quell'istante la sua commozione fu tale che superò ogni altro riguardo, il povero padre strinse le mani in atto supplichevole, e due lagrime gli vennero agli occhi.

Quelle poche parole, quell'atto, quelle lagrime fecero sull'animo generoso del marchese maggior effetto di qualunque più eloquente discorso. Chiunque poteva scorgere a prima veduta che quell'uomo d'aspetto robusto e di forme piene di forza, non doveva avere molta facilità a quell'espressione di debolezza che è il pianto, come la sua voce rude non aveva pratica all'accento della supplicazione; ed ora sentire quest'ultimo su quelle labbra inavvezze, vedere le lagrime colare su quel volto abbronzato d'uomo che ha praticato fin da giovane colla fatica, che ha combattuta e vinta la fortuna, era la prova più spiccata e solenne del profondo dolore, dell'ineffabile passione che lo opprimeva.

Il marchese fece un passo verso il fabbricante, gli tese con atto cordiale la mano, e serrando amichevolmente quella che il borghese pose con timidità nella sua, disse con vera espansione e con interessamento:

— Si rassicuri signor Benda. Sì, due padri sono assai presso a comprendersi anche senza tante parole. E le dirò tosto che in questo stesso momento in cui Ella mi venne annunziata io era sulle mosse per recarmi dal Comandante generale della Polizia a parlare in favore di suo figlio.

Giacomo rasserenò la sua faccia, e i suoi occhi brillarono d'una luce di speranza, che era quasi la gioia d'una certezza. Strinse con emozione la mano aristocratica, che stava ancora congiunta alla sua tozza e grossolana di plebeo, ed esclamò con espressione di riconoscenza infinita:

— Oh mi basta e non occorr'altro.... Sia Ella benedetta, sig. marchese.... Eccellenza voglio dire... Posso senza più correre a tranquillare quella povera anima di madre — mia moglie — che sta là nell'angoscia che io le lascio pensare.... La buona donna ama quel ragazzo cento mila volte più che la pupilla de' suoi occhi..... Vado a dirle: sta lieta che domani, che oggi stesso Francesco ci sarà restituito.

— Piano: disse il marchese con un leggero sorriso levando la sua destra da quella dell'industriale. Non bisogna credere che il mio potere sia perfettamente uguale alla mia buona volontà. Ci porrò tutto il mio impegno, glielo prometto; ma potrebbe anche darsi che non riuscissi così bene come Ella ed io desideriamo....

— O che? Interruppe bruscamente Giacomo. La mi canzona? Quando quegli stesso che ha fatto eseguire l'arresto....

Il marchese si dirizzò della persona in tutta l'imponenza della sua alta statura, e prendendo una mossa più dignitosa e solenne, disse con accento più imperioso che non avesse ancora usato:

— Crederebbe Ella che io abbia avuto alcuna ingerenza in codesto?

Il padre di Francesco capì che aveva detto ciò che non conveniva e commesso uno sproposito.

— No, s'affrettò a soggiungere, non voglio dir ciò: ma in fatti gli è per riguardo a S. E. che....

— Niente affatto: interruppe di nuovo e con più asciuttezza il marchese. Fu creduto che suo figlio avesse mancato alla riverenza dovuta a S. M. in un luogo che questa onorava della sua presenza.

Giacomo ebbe un subitaneo impeto d'impazienza cui non valse a frenare.

— E perchè fu creduto codesto di mio figlio, mentre non si credette del suo, il quale infliggeva al mio Francesco tale insulto cui un uomo non può tollerare a niun modo?

Ma appena pronunziate siffatte parole, il padre di Francesco ne capì tutta la gravità, e temette essere andato fuor di strada ed aver compromesso l'esito del suo ricorso al marchese.

— Ah! mi perdoni: s'affrettò egli a soggiungere. Io sono così commosso.... Ella lo vede.... Non so bene quel che mi dica..... Si compiaccia figurarsi un momento in che stato si trova l'anima mia..... Ero così tranquillo, così felice colla mia famiglia, ieri soltanto!... Ancora questa mattina io mi sono alzato senza il menomo presentimento del guaio che già m'era piombato addosso e di quello che minacciava. Noi ci amiamo di tutto cuore; siam fatti così; padre e madre e figli siamo sempre vissuti insieme l'uno accosto all'altro; gli è come se le nostre esistenze fossero intrecciate in una.... Dia retta! Le dirò questo per esempio. M'è venuta un giorno la falsa idea di mettere la mia figliuola.... (ho anche una figliuola).... in collegio. Mi pareva che poichè ero ricco dovessi farle dare una educazione, come si suol dire, più brillante in qualche istituto di primissimo ordine. Scelsi addirittura quello del Sacro cuore.... e fu colà che mia figlia fece colla signorina di Castelletto una conoscenza che la nobile damigella volle gentilmente rinnovata questa mattina..... Ebbi torto: il buon senso di mia moglie vi si era opposto, ma io aveva persistito. Ebbi torto per due ragioni: prima perchè quel collegio frequentato dalle zitelle delle più nobili famiglie non era luogo adatto alla figliuola d'un fabbricante; poi, perchè avevo pensato che noi in casa si potrebbe avvezzarci alla mancanza di quel caro folletto d'una ragazza. Breve! Dopo alcuni mesi mia moglie non poteva più resistere, ed io meno di lei; ed andammo a levar la nostra Maria dal collegio per riaverla di nuovo con noi, sotto i nostri occhi, sempre.... Perdoni se io abuso della sua bontà... Gli è per dirle come ci sia impossibile viver separati dai nostri figli, come sia troppo, veramente troppo per noi il vederceli tolti. Ora che cosa ci avviene? Ad un tratto apprendo che mio figlio, il quale non fo per dire, ma è pure urbano ed educato quant'altri mai, venne pubblicamente svillaneggiato ieri sera nell'iniquo modo ch'Ella sa... Scusi: non vorrei dir nulla che offendesse il signor marchesino suo figlio; voglio anche ammettere che un qualche torto sia da parte del mio Francesco; ma per carità di Dio, Eccellenza, si metta nei panni di un giovane oltraggiato a quel modo, di me povero padre e non troverà forse eccessive le mie parole...

Il marchese dignitoso sempre, fece un atto colla mano che pareva dire:

— È giusto; continuate pure.

E il padre di Francesco, in cui l'èmpito dei sentimenti aveva superato oramai ogni barriera di soggezione, continuò con maggior calore:

— Che gli sia venuta al mio Francesco l'idea di domandare una riparazione, chi l'oserà biasimare? Se la legge, se il Governo, se i tribunali o che so io ce la dessero questa riparazione, allora si avrebbe torto a ricorrere ad altri mezzi. Ma sì: quale di noi borghesi potrebbe ottener fatto un processo al figliuolo d'un'Eccellenza? La cosa si metterebbe in tacere, e addosso al povero borghese cascherebbero ancora le sprezzanti risate del bel mondo... Ah! io non voglio mica lamentarmi nè far la critica al nostro buon Governo; Dio mi guardi! Ricordo soltanto le cose come sono per iscusare un po' la temerità che ebbe mio figlio di sfidare a duello il suo... Il duello, un'assurdità che non può entrare nella mia testa grossa. Se a me fosse capitata una cosa simile, quando ero giovane, ed anche adesso che non son più giovane, giurabacco! non avrei ricordato altro in quel momento se non che la Provvidenza mi ha dato a capo di queste braccia robuste certe mani che non sono di pan cotto per farmi rispettare da chicchessia..... Ma io sono ancora un rozzo uomo del popolo, e certamente avrei torto marcio eziandio. Mio figlio è più incivilito..... Basta; crede Ella un bel gusto quello d'un padre a cui viene annunziato che il figliuolo dopo aver ricevuto il più fiero insulto, corre pericolo di essere ammazzato in paga dall'insultatore, che certo è più destro nelle armi di lui?.... Non è tutto. Ecco che questo povero giovane oltraggiato vien preso dagli sgherri e tratto in prigione come un malfattore, violato il suo domicilio e manomesse le cose sue; mentre il suo competitore, quegli che ha veramente il torto (perdoni, voglio dire che ha una parte di torto anche lui), se ne rimane tuttavia tranquillo come se di nulla fosse..... Domando io se questo è giusto!.... Io mi sono detto che ciò non potrebbe piacere nè anco a V. E., e che per ottenere rimediato un torto così grande, non avrei dovuto far di meglio che ricorrere a Lei medesima. Ella mi ha già detto che nostro figlio ci sarebbe restituito; Ella mi ha accolto con una bontà che mi ha dato ansa a sfogare fin troppo — e glie ne domando ancora perdono — tutto ciò che mi bolliva qua dentro; una bontà che mi dà ansa a chiedere e sperare da Lei ancora qualche cosa di più.

Il padre del marchesino aveva ascoltato con una benignità veramente incoraggiatrice. A queste ultime parole di Giacomo non espresse una domanda, ma diresse al suo interlocutore uno sguardo che era un punto d'interrogazione.

Benda rispose sollecito:

— Ella nel suo retto senso di giustizia, non può negare che al mio figliuolo spetti una riparazione.

Il marchese fece francamente un segno affermativo colla testa.

— Ma questa riparazione avrebbe da essere quella barbara d'un duello?... Ah no! Gli è come padre... no, gli è a nome di qualche cosa di più sacro ancora, per la povera anima d'una madre che morrebbe della morte di suo figlio, ch'io la prego a fare che un duello non abbia luogo.

— Si tranquilli: disse il marchese con quella sua parola grave e l'atto solenne. Lo impedirò.

— Ma una riparazione?...

— L'avrà tuttavia, e tale che nulla gli lascierà a desiderare. L'avrà da mio figlio, l'avrà da me stesso, glie lo prometto.

Giacomo, in un impeto di riconoscenza, prese la mano del marchese e glie la baciò:

— Signor marchese, Ella avrà le benedizioni di un padre e d'una madre che le saranno riconoscenti sino alla morte... Noi siam nulla appetto a Lei; ma se mai per caso potessimo in alcun modo servirla, Ella non avrà sempre mai che a farci un cenno, e la famiglia Benda si metterà nel fuoco per Lei.

Il marchese liberò adagio la sua mano e disse con un nobile sorriso:

— Loro signori non mi dovranno riconoscenza nessuna. Io non farò altro che ciò di cui sono in debito.

Partito Giacomo, il marchese si affrettò a recarsi dal generale Barranchi.

Questi lo ricevette meglio di quello che si riceve un superiore: lo ricevette come si usa fare ad un uomo dal quale si può sperare qualche vantaggio e temer qualche danno. Si disse troppo onorato che il marchese avesse voluto recarsi da lui; lo avesse mandato a chiamare, ed egli, il generale, sarebbesi affrettato ad accorrere a sentire gli ordini di S. E.; si protestò disposto a far tutto quello che stesse in lui per contentare i desiderii del marchese, per obbedirne ogni menomo cenno.

Ma quando il padre di Ettore gli ebbe manifestato lo scopo della sua venuta, il generale con mille espressioni di rincrescimento gli fece la medesima risposta che aveva finito per fare al figliuolo: trattarsi d'un affar di Stato, essersi posto la mano sopra un vero nido di rivoluzionari, essere state sequestrate delle carte che manifestavano i rei propositi di tutta quella gente, il Benda trovarsi in tutto ciò fortemente compromesso, non dipender più dalla sua autorità l'assecondare il desiderio del marchese, ed ancora che dipendesse, non lo potrebbe far tuttavia, ed il marchese medesimo, chiaritosi del come stessero le cose, lo avrebbe condannato se avesse interrotto il corso alla giustizia del Re.

— Certo che sì: rispose con calma il marchese. Quando fossero in giuoco gl'interessi ch'Ella dice, io mi guarderei bene dall'insistere, ma la pregherei a non tacciarmi d'indiscreto, se le domando di vedere queste carte compromettenti e i rapporti degli agenti di polizia che certificano la colpevolezza di questi giovani. A dirla qui fra noi, la nostra polizia,... quella subalterna (aggiunse di fretta con un sorriso, per non ferire le suscettività del generale) è un po' ombrosa e non delle più oculate. Ella sa quante volte già ha in codesto ecceduto per isbaglio, per zelo fuor di posto, e S. M. ne fu assai malcontenta.

Il generale dei carabinieri fece irti i suoi baffi in una smorfia e si agitò sulla sua seggiola in una specie di malessere. Le parole del marchese gli ricordavano i rimproveri del Re, e l'ammonimento datogliene ancora il giorno innanzi.

— Ad evitare ogni inconveniente ed ogni maggior dispiacere per tutti, soggiunse il marchese dando alla sua voce tutto il tono d'autorità onde pel grado, pel sangue, pel reale favore poteva giovarsi, io desidero appunto vedere quei documenti affine di farmi un esatto concetto della cosa e sapermi regolare in conseguenza.

— Io glie li sottoporrei senza ritardo: rispose con premura Barranchi: se fossero ancora in mio potere; ma la cosa era troppo grave perchè io tardassi ad informarne chi di dovere, e mandai tutto al Governatore.

Il marchese si alzò sollecito senza attendere altro.

— Andrò adunque dal Governatore.

Il generale lo accompagnò fino all'uscio dell'anticamera con ogni contrassegno di riverenza; e il padre di Ettore si affrettò a recarsi dal Governatore, dove, alla fine del capitolo XVI, l'abbiamo visto arrivare mentre nel gabinetto di questa superiore autorità si trovava ancora il barone La Cappa.


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