CAPITOLO XX.Ilmedichino, colle buste dei diamanti della contessa di Staffarda sotto il suo mantello, era giunto all'uscio chiovato di ferro dell'abitazione di Nariccia. Giusto che stava per suonare il campanello, un battente dell'uscio si socchiuse e comparvero in quella penombra la faccia pienotta, rubiconda ed ilare di Padre Bonaventura che usciva, e quella terrea, umile e scura del padrone di casa che lo accompagnava fin sul pianerottolo della casa.Essi continuavano un discorso che all'accento delle loro voci ed all'espressione degli sguardi onde lo accompagnavano doveva dirsi per loro interessantissimo, e Gian-Luigi potè udire le seguenti parole pronunziate dall'usuraio al frate:— Sì, reverendo. Ella ha dato allaGattonail miglior consiglio che sia del caso.... Io non penso che quel giovane abbia ad essere ciò che il suo nome e quell'oggetto farebbero sospettare..... Ho delle buone ragioni per credere chequello lànon esiste più.... Ma non importa: è meglio cercare di saperne alcun che di preciso, tanto più per riguardo di me che ci ho, più che interesse, alcun rischio da correre.... Dunque la ringrazio ad esser venuto subito a pormene in sull'avviso e accetto affatto il suo suggerimento: non dir nulla e far agire con prudenza laGattona, per aspettare di poi a prendere una risoluzione a cose meglio chiarite. Chi sa che non ci sia poi in codesto qualche buon mezzo di nostro vantaggio!...Vide in quella nello scuriccio del pianerottolo staccarsi dal fondo nero della scala che si affondava al di sotto la figura d'un uomo che s'accostava.S'interruppe sollecitamente, dicendo:— Ah c'è qualcheduno qui; ed aguzzò i suoi occhietti birci per conoscere chi fosse il nuovo venuto.— Buon giorno, Nariccia: disse Gian-Luigi, abbassandola falda del mantello onde si copriva la parte inferiore del volto: sono io.— Ah ah! siete voi, dottore: esclamò Nariccia. Gli è di me che cercate?— Appunto. Ho bisogno di parlarvi.— Io vi lascio colla buona ventura; disse colla voce melliflua che gli era abituale il gesuita; e Dio vi tenga nella sua santa grazia.—Amen: rispose tutto compunto l'usuraio torcendo il collo: mi raccomando alle sue preghiere, reverendo.Padre Bonaventura fece un movimento colla mano che tramezzava fra un segno d'addio ed un atto di benedizione sacerdotale, e s'avviò senz'altro giù della scala.— Venite avanti, dottore: disse allora Nariccia a Quercia, levandosi di mezzo ai battenti per lasciarlo passare, ma rimanendo lì presso l'uscio colla mano sulla serratura per esser egli a chiudere l'imposta quando l'altro fosse entrato. È forse cosa di premura quella che mi avete da dire?— Sì, piuttosto: rispose Gian-Luigi penetrato nello scuro andito che conduceva alle diverse stanze del quartiere.— Allora, soggiunse Nariccia, il quale chiudeva intanto la serratura colla chiave a doppia mandata, e faceva scorrere un paletto dall'una all'altra imposta dell'uscio; allora vi darò udienza subito.— Mi farete piacere.In quella, Nariccia che aveva finito di serrare, si voltò verso l'interno dell'appartamento; ma in quel moto fatto un po' in fretta, sembrò che un capogiro lo prendesse; gli occhi gli si appannarono, le gambe parvero mancargli sotto, le guancie gli si arrossarono e poi impallidirono subitamente, ed egli si tenne al muro del corridoio quasi temendo cadere.— Che cosa avete? Gli domandò Quercia che vide codesto.L'usuraio si era già compiutamente rimesso.— Nulla, nulla, rispose. Gli è da qualche giorno che mi piglian così delle vampe al capo, e mi sento come a girare il cervello.— Uhm! disse Quercia esaminandolo, alla vostra età, colla vostra complessione, codeste non son cose da non farci attenzione. Sono venuto a trovarvi come avventore; ma credo che fareste assai bene ad accettarmi anche come medico.....Nariccia ebbe di subito paura che Gian-Luigi colle sue cure da medico intendesse ripagato di poi quel servizio che veniva a domandargli; e siccome ciò non gli piaceva niente affatto, fu lesto a rispondere:— Vi dico che non è nulla e ch'io non ho bisogno di nessun medico.— Tanto meglio!Quercia era giunto all'uscio che metteva nello studiolo dell'usuraio, ed alzò la mano alla gruccia della serratura per aprirlo.— No lì: disse sollecitamente Nariccia, trattenendolo. Costì c'è un altro che è venuto testè per parlarmi eziandio, ed è affatto inutile che vi vediate reciprocamente.Gian-Luigi si ritrasse con premura da quell'uscio ed abbassò la voce di cui sino allora aveva usato nel suo tono naturale.— Avete ragione, disse, m'è più caro non esser visto.— Venite dunque nella mia camera: soggiunse l'usuraio, e poichè mi dite che sono cose di premura quelle onde volete discorrermi e siete un vecchio amico, darò a voi la precedenza, e farò ancora aspettare quell'altro.Introdusse ilmedichinonella sua fredda camera in cui non una favilla di fuoco a temperarne la gelata atmosfera; gli additò per sedere una semplice seggiola col piano poveramente impagliato, e presane una pari sedette egli stesso in faccia al suo visitatore.Alla luce, che era maggiore in quella stanza che non nel corridoio, Gian-Luigi vide nel volto di Nariccia certi indizi che, per quanto poco foss'egli addentratosi nello studio della medicina, eragli facile conoscere come sintomi di un male minacciante.— Nariccia, diss'egli osservandolo bene, la vostra indisposizione non è poi tanto quel nulla che voi credete. Se voi mi date retta vi farete fare qualche cosa.L'usuraio fece un sogghigno che voleva essere malizioso, e crollò le spalle.— Ecco lì! I medici vogliono sempre trovar dei malati, come gli avvocati vogliono farvi litigare.— Rassicuratevi: disse Quercia che comprese il segreto sentimento del suo interlocutore. In me vedete tutt'altro che un medico in cerca d'un cliente. Sapete bene ch'io non esercito la professione. Posso dar qualche consigliogratuitamente(e pesò sulla parola) ad un amico, ma non mando mai nessuna lista divisitea chi abbia avuto tanta fiducia in me da consultarmi.Nariccia accostò la sua seggiola al dottore.— Bravo! Diss'egli. È quello che ci vuole per me. Io non sono mica — grazie a Dio ed alla Madonna della Consolata — così malato da aver bisogno d'un medico; ma tuttavia il vero è che da un po' di tempo mi sento così, tutto stonato, e che qualche buon consiglio d'uno che se ne intenda mi può venire molto a taglio.Gian-Luigi prese il polso dell'avaro, ne esaminò la lingua, gli fece trarre il respiro con forza, e poi gli disse freddamente:— Mio caro, voi siete minacciato niente meno che d'un colpo apoplettico.L'usuraio fece un sobbalzo sulla seggiola e il volto gli s'impallidì sotto la tinta terrea della sua carnagione.— Un colpo apoplettico! Esclamò egli con vocemal ferma..... La Santa Madonna del Carmine mi tenga lontana una tanta disgrazia!..... Dite voi per davvero?— Davverissimo! Voi avete dalla natura le più belle disposizioni del mondo per avere un accidente, e la vita che fate è adatta a bella posta per aiutare quelle disposizioni...— Come! La vita che faccio? A me par tutt'altro. I colpi apoplettici vengono a quelli che si nutriscono di robe grasse e sostanziose, che son ghiotti! ed io invece non uso che i più frugali cibi.....— Sì, delle porcherie, le quali non vi procurano altro che cattive digestioni, e queste son quelle che vi giuocheranno un giorno o l'altro qualche brutto tiro. Tutti gli eccessi non valgono nulla per la salute, e se i ghiotti si rovinano per eccesso di cose nutritive, voi vi rovinate per l'eccesso contrario, caricando il ventricolo d'una massa di alimenti poco acconci ad una buona e normale nutrizione. E poi, vi par egli alla vostra età di dover aver così poco riguardo a voi stesso? Siete sempre chiuso in questo antro mefitico, e qui dentro, affè di Dio, vi si gela come in una ghiacciaia....— Io non patisco il freddo: perchè avrei da gettare via i denari per abbruciar della legna?— Non patite il freddo! Bravo! Ma intanto questa temperatura da Siberia vi restringe di troppo il sistema venoso, la circolazione del sangue si fa impacciatamente, e nulla favorisce di più le congestioni. Voi siete minacciato da un travaso nel cervello.— Misericordia!.... E che cosa fare per antivenirlo?— La miglior cosa sarebbero due buoni salassi, quanto meno un'abbondante operazione di mignatte.Nariccia scosse la testa con risoluta negazione.— Siete pazzo? Mettermi a letto e starci parecchi giorni in questa fine del carnovale, in cui c'è tanto da fare e c'è il mezzo di guadagnare qualche cosa... Ditemi qualche altro rimedio più conveniente ai miei interessi.— Ah! se preferite gl'interessi alla salute....— Che? Non ci sarebbe un altro mezzo?— Così sicuro, no; ma tuttavia una certa diversione potrebbero farla degli attivi purganti.— A questo posso acconsentire. Sì.... scrivetemi voi una brava ricetta che mi faccia proprio bene... S'intende che la scrivete come amico, non è vero?— Sì, sì, state tranquillo; rispose Quercia ridendo; non manderò per essere pagato.Si alzò, depose sopra un tavolino le buste che teneva sotto il mantello e scrisse un'ordinazione. Gli occhi di Nariccia si posarono curiosi ed interrogativi su quelle buste coperte di marocchino rosso ornato di filetti d'oro con impressovi in oro eziandio uno stemma ed una corona comitale.La sua curiosità non potè frenarsi: tese egli una mano con una mossa avida e riguardosa nello stesso tempo, da paragonarsi a quella del gatto che colla zampina cerca levare il marrone dal fuoco, afferrò la più grossa di quelle buste e l'aprì. Una voce di stupore e d'ammirazione uscì dal suo petto quasi involontariamente.— Che magnifici diamanti! Esclamò egli mentre i suoi occhi scintillavano come se la luce di quegli stupendi brillanti si ripercotesse nelle sue pupille.Gian-Luigi alzò con calma il capo, guardò freddamente Nariccia e disse col più semplice tono di voce:— Gli è appunto di ciò che son venuto a parlarvi.E continuò a scrivere la ricetta. Quando ebbe finito la porse all'usuraio dicendogli:— Prendete subito questa roba, oggi stesso, e spero ne avrete giovamento.— Sì, grazie: rispose Nariccia, prendendo la carta dalle mani delmedichino; ma i suoi occhi birci erano sempre fissi sul luccicar dei diamanti, e la sua salute in quel momento gli era quello a cui pensava di meno.— Non è vero che sono stupendi? Disse Quercia con tutta indifferenza.Ma sul primo effetto, cui non era stato capace di padroneggiare, Nariccia aveva già fatta prevalere la riflessione. Ilmedichinogli aveva detto che di ciò appunto era venuto a parlargli. Certo trattavasi di qualche transazione in proposito. Il mercatante, no, dirò meglio l'usuraio, aveva già preso il sopravvento, e fu con tono reso affatto impassibile che Nariccia rispose:— Mi par veramente che sieno belli, ma questa non è la miapartita: io non me ne intendo di molto, e non potrei portarne un giudicio proprio esatto.— Lasciate un po'; voi ve ne intendete benissimo, e siete maestro anche in questa come in tante altre materie.... Aprite, aprite tutte quelle buste, contemplatene a vostro agio il contenuto, e quando vi sarete fatta un'idea del valore di questo tesoro che vi ho recato, allora vi esporrò la proposta che sono venuto per farvi.Nariccia, ora compiutamente padrone di sè e in sull'avviso per dissimulare le impressioni che la vista di sì ricchi brillanti produceva in lui, aprì con calma gli astucci e guardò con freddezza tutti quei diamanti che luccicavano di mille fuochi anco nella penombra di quella stanza a stento illuminata dalla luce grigiastra della giornata nevosa.— Che cosa ne dite? Domandò di poi ilmedichinoche teneva i suoi occhi ardenti fissi sul volto impassibile dell'usuraio. Che valore assegnereste a questo tesoro?— Ma! Esclamò Nariccia facendo spalluccie. Se fossero tutti veri....— Ne dubitereste?— Allora potrebbero benissimo valere parecchie decine di mila lire....— Delle decine! Proruppe Quercia con voce concitata. Siete proprio sempre quel medesimo!... Dite delle centinaia...— Oh oh! delle centinaia... Non esagerate.— Vi dico di sì... Non c'è manco la regina che ne abbia dei più belli.— Uhm!... Ma veniamo a noi... Qual è questa proposta che siete venuto a farmi?— Ho bisogno urgente di cinquanta mila lire.A queste parole l'usuraio cristiano fece il medesimo sobbalzo quasi spaventato che aveva fatto l'usuraio ebreo.— Dio buono! Cinquanta mila lire!...— Solamente per pochi giorni... Voi ci metterete il tasso che più vi piace e vi lascierò in pegno questi diamanti.— Per quanti giorni?— Fino a lunedì mattina... Allora verrò infallantemente a riprenderli e a riportarvi il vostro denaro.— Cinquanta mila lire, affè, sono troppe... Ve ne darò trenta mila coll'interesse di 50 lire per giorno.— Ne ho bisogno di cinquanta mila.Nariccia prese di nuovo in mano una busta dopo l'altra ed esaminò attentamente i gioielli.— Ve ne do quaranta mila.— No: disse allora seccamente ilmedichinoalzandosi. Se non volete far voi questo affare, ne troverò millanta altri che vi acconsentiranno con premura.E tese una mano come per serrare gli astucci e riprenderli.— Un momento! S'affrettò a dire Nariccia. Gli è solamente fino a lunedì che me li lasciereste in pegno?— Sì.— E mi paghereste 100 lire al giorno d'interesse?Gian-Luigi fece un sogghigno di disprezzo e mormorò in mezzo ai denti:— Ladro!Ma Nariccia mostrò di non aver udito.— Ve li pagherò; disse di poi Quercia con brusco accento.— S'intende che dopo il lunedì, se tardate a venirmi a restituire la somma e pagare il totale degli interessi, ad ogni giorno che passerà, saranno altre 100 lire che s'aggiungeranno al vostro debito.Ilmedichinofece con impazienza un cenno affermativo.— Ed io non vi ritornerò neanche il menomo di questi astucci, finchè non mi avrete pagato in totalità capitale ed accessorii.— Ma sì, ma sì.... Finiamola per amor del cielo!....— Va bene, va bene... Vo di là un momento e torno subito.Nariccia prese il maggiore degli astucci che conteneva un bellissimo diadema e si mosse per uscire; ma Gian-Luigi l'arrestò per un braccio.— Dove portate voi quella busta?— Di là..... un momento: rispose l'usuraio, facendo guizzare a destra e a sinistra i suoi occhietti balusanti.— Per che cosa farne? Tornò a domandar Quercia non lasciandogli libero il braccio.— Così..... per osservarli meglio, da me solo.... a un'altra luce.....— Voi volete farli vedere a qualcheduno?Nariccia esitò un momentino, e poi credette più spediente il confessare il vero.— Ebben sì..... Ve l'ho già detto ch'io non mi intendo abbastanza di queste cose..... E capirete che per avventurare una somma simile, ho piacere di essere completamente assicurato sul valore del pegno che mi viene offerto. Per fortuna quell'altra persona che mi attende di là, è appunto uomo competentissimo in siffatta materia.....Quercia lo interruppe con molta vivacità.— Ma io non voglio che nessuno li veda fuori di voi.....— No? Disse lentamente e con sospetto Nariccia, deponendo sulla tavola l'astuccio. Riconoscete che questo vostro desiderio non è fatto per rassicurarmi di molto. Nella nostra professione, mio caro, la prudenza non è mai troppa, e se voi non acconsentite a codesto, vi dico in verità che non vi ha nulla di fatto.Gian-Luigi lasciò scorgere qualche esitazione.— Se questi diamanti sono davvero quel che voi dite, io vi porterò subito di qua le 50 mila lire: soggiunse Nariccia con tono insinuante.Quercia diede una scrollatina di spalle che mostrava i suoi scrupoli essere passati.— Va bene: finì egli per dire. Non temo nulla dall'esame di chicchessiasi; ma soltanto vi prego di levarli dalla busta; non c'è nessuna necessità che si veda questo stemma e s'indovini a chi appartengono.— Avete ragione.Nariccia levò dagli astucci i pezzi principali e li recò nel suo studio, dove stava aspettando quell'altra persona ch'egli aveva detto.Il caso aveva voluto che quello fosse appunto un gioielliere, il sig. X, il quale da canto suo, trovandosi in urgente bisogno di denaro, era venuto da Nariccia per un'operazione uguale a quella che ci aveva condotto ilmedichino, recando egli eziandio da sua parte per pegno alcuni gioielli del suo fondaco.L'usuraio pose sotto gli occhi del gioielliere i diamanti che aveva recato, e domandogli bruscamente:— Che cosa ne dite di questa roba?Il sig. X fece un atto di meraviglia:— Cospetto! Quei diamanti li riconosco; sono quelli della contessa di Staffarda.— Ah sì?— Di certo. Sono il suo gioielliere io, e non è guari ch'ella me li ha dati tutti a ripulire e riattare.— Benone! Allora voi sapete appuntino quanti astucci ella ne abbia e di quanti pezzi consti tutto il corredo completo.— Perfettamente.— Ditemeli un po'.Il gioielliere fece l'enumerazione e la descrizione di tutti i pezzi, e Nariccia fu chiaro che Quercia glie li aveva recati tutti per davvero.— E il valore complessivo di tutto quel corredo quale pensate voi che possa essere?— Affè! se lo si volesse vendere, e ch'io ne avessi i denari, non esiterei a darne duecento mila lire, sicuro di fare un buon contratto.Nariccia non potè contenere un sorriso.— Eh eh! si lasciò scappar detto. Io l'avrò forse ad un quarto soltanto di questa somma.— Come! Si decidono a venderlo per sole 50 mila lire?— A venderlo no: me lo danno in pegno soltanto; ma prima che chi mi reca questo pegno abbia in suo potere una somma sufficiente da ripagarmi capitale ed interessi, son certo che ce ne passerà dell'acqua sotto il ponte di Po.— Ho capito.... E chi vi ha recato questo pegno è il dottor Quercia.— Siete un bravo indovino!— Ci ho poco merito. Ne ho udita la voce testè quando si è accostato alla porta di questa camera... E le sue intime relazioni con quella povera contessa, tutti le sanno.— Non occorre, spero, che vi raccomandi il segreto.— Figuratevi!Nariccia tornò presso Gian-Luigi colle cinquanta mila lire in denaro sonante.Abbiamo visto come l'usuraio faceva i suoi conti che quegli stupendi diamanti mai più gli si sarebbero potuti levar dalle unghie: da parte sua ilmedichino, uscendo di quella casa colle tasche piene d'oro, così la pensava seco stesso:— Domenica sarà il giorno della gran crisi. La mi va bene, ed allora Candida non avrà più bisogno de' suoi diamanti pel ballo di Corte, e Nariccia avrò mezzo di fargli rendere quel tesoro e imporgli silenzio senz'altro per tema di peggio; o la mi va male, ed allora, allora affè un'oncia di piombo nella testa, e buona notte ai suonatori. S'aggiusti chi resta.Recossi in casa di fretta per riporvi i denari; e là trovò Romualdo, il quale, dopo l'abboccamento con Massimo d'Azeglio, secondo le istruzioni avute da Mario, era venuto a cercare di lui e impazientemente stava aspettandolo.Gian-Luigi lesse le poche parole scritte dall'emigrato romano, udì la narrazione dell'arresto avvenuto di quest'ultimo fatta da Romualdo, e in brevi detti promise si sarebbe adoperato a vantaggio dell'arrestato, ed avrebbe di sicuro ottenuto non fosse provata la sua identità.Romualdo partissi; Quercia ripose i denari avuti da Nariccia in un cassettino segreto del suo stipo, trasse da quel luogo medesimo un involto di letterine profumate, la cui calligrafia rivelava la mano d'una donna, e con esse s'avviò alla casa dellaLeggiera.La cortigiana era scesa allor'allora da letto ed avvolta in una magnifica veste di lana di Persia ovattata e foderata di seta color di rosa, stava sdraiata mollemente nella calda e voluttuosa atmosfera dello stanzino riposto, dove non accoglieva che gl'intimi amici.Noi sappiamo già che un alto personaggio era stato a toglierla dal dorso nudo del cavallo nel circo per allogarla in quella sontuosità di appartamento nell'onorevole qualità di suamantenuta. Questo alto ma poco stimabile personaggio era un Principe appartenente ad una famiglia regnante in Italia, il quale viveva allora alla Corte del Re di Sardegna, seminando di tollerati scandali il severo e bigotto ambiente della Reggia di Carlo Alberto; Principe di animo poco nobile e di costumi corrottissimi, che traditore alla causa della patria ed a Carlo Alberto suo benefattore nel tempo della guerra dell'indipendenza, messo di poi sopra un trono grande come un guscio di castagna dalla riazione del 1849, si divertiva a far da piccolo Tiberio, o meglio da Alessandro Farnese sui suoi sudditi, finchè cadde estinto senza lagrime di nessuno sotto il coltello di un regicida.Non era lungo tempo che l'augusto e spregevole personaggio erasi partito dall'alcova della cortigiana, quando ilmedichino, del quale i servi conoscevano i privilegi, era lasciato entrare liberamente nel gabinetto dell'antica amazzone da circo equestre.Al vedere il giovane, la donna mandò un gridolino di gioia e si sollevò alquanto sui cuscini con cui rifiancava la sua abbandonata persona sopra il sofà.— Ma bravo, ma bravissimo! Esclamò essa battendo insieme le mani. T'è proprio nata un'idea felice a venir qui in questo momento... Ho avuto una lunga conferenza, troppo lunga, colPrince charmant(così chiamava essa il Duca che sciupava intorno a lei i denari dei contribuenti), e mi ha stanca colla sua nullità principesca. Ho le ganascie che mi dolgono dagli sbadigli rientrati; mi sento bisogno di rifarmi un poco lo spirito, l'umore..... e il resto: e tu sei l'uomo apposta.Lo sguardo provocatore e il sorriso procace accompagnavano acconciamente le folli parole.Ma l'aria preoccupata di Gian-Luigi e la sua seria risposta non si acconciarono al tono con cui laLeggeraaveva incominciato il colloquio.— Mia cara, diss'egli colle sopracciglia aggrottate: io mi trovo in gravissime circostanze, in cui si decide o la mia perdita assoluta, od uno splendido trionfo... E tu puoi aiutarmi.Zoe sorse di scatto, e fu presso a lui, fattasi seria essa pure, mettendogli una mano sulla spalla e fissandolo coll'ardente pupilla del suo occhio d'un grigio verzigno.— Si tratta di quell'impresa, di cui tu mi hai confidato i propositi e mi hai divisato in nube le fila?— Sì.Gli occhi della donna s'illuminarono d'una strana fiamma, vivace ed intensa.— Tu sai che per essa io sono pronta a dare tutto che posseggo e tutta me stessa... Tu sai che gli è appunto per quei tuoi disegni che tu piacesti supremamente all'anima mia, che vincesti il mio fiero disprezzo degli uomini, che mi hai legata a te corpo ed anima, e per sempre; tu sai che per ciò, più che per ogni altra cosa, io che non ho amato mai nulla, ti ho amato e ti amo..... Parla, comandami, ed io farò tutto quello che vuoi.— La Polizia pare aver avuto qualche sentore dell'opera nostra; ha posto gli artigli sopra alcuni che senza saperlo lavorano pel nostro successo, me stesso circonda di certe fila di cui sembrami tenti farmi intorno una rete da impigliarmivi. Qualche sospetto incomincia ad esser nato che il misterioso capo di quella schiera di ribelli alla società onde si spaventano i sonni dei felici gaudenti dell'oggi, possa esser io, perchè un accorto esploratore viene frequentando la taverna di Pelone, e quel medesimo, ne son certo, ha proceduto all'arresto di coloro che t'ho detto, e tutt'oggi me lo trovo pertinace seguitatore tra i piedi. Venendo da te, qui sotto le tue finestre, l'ho trovato ancora, come segugio che attende la cacciagione alla posta. Tutto m'indica, e più d'ogni altra cosa l'istinto, che quello è un pericoloso e risoluto nemico di cui bisogna sbarazzarci.Gian-Luigi s'accostò alla finestra e rimosse la tendolina per guardare nella strada sottoposta.— Ed eccolo ancora là, soggiunse, i suoi occhi grifagni fissi precisamente sulle tue finestre.Zoe accorse ancor ella presso i vetri ed appoggiandosi con mossa amorosa a Gian-Luigi, guardò nella strada di sopra la spalla di lui. Vide la tenebrosa figura di Barnaba che sotto la tesa del cappello saettava quelle finestre di occhiate sinistramente espressive.Nel vedersi guardato dai due giovani, l'agente poliziesco sussultò, abbassò gli occhi e la testa, e lentamente si mosse come per allontanarsi di là.Ma laLeggeranel vedere quell'uomo aveva fatto un certo moto ancor essa che non isfuggì all'acume osservativo delmedichino.— Che fu? Diss'egli, piantando i suoi occhi in quelli della donna. Tu conosci quel cotale? Zoe ruppe in una risatina che era perfettamente naturale e sincera.— No: diss'ella; ma la mia vanità femminile ha or ora ricevuto un buffetto. Quello che tu mi riveli per un poliziotto io l'ho preso per un innamorato, vedendolo da parecchi giorni girarmi intorno alla lontana e covare con isguardi accesi la mia dimora.— Da parecchi giorni tu dici? domandò Quercia.— Sì, forse un mese... L'ho creduto un adoratore cui le povere fortune fanno timido... E poi quella figura, a dirti tutto, mi metteva in un certo pensiero, non so perchè. Non mi ricordo aver avuto nulla mai da spartire con un simile individuo, eppure le sue sembianze non mi riescon nuove. Occupavo alcuni momenti delle mie ore più noiose a cercare di scavar fuori dalla massa dei tanti ricordi del mio passato, se, come, quando e dove avessi visto codestui o qualcuno che gli rassomigliasse; non ci sono mai riuscita, e certo per la buona ragione che di sicuro non ho mai avuto la menoma attinenza con lui. Ora tu hai soffiato sopra tutti i miei castelli di carte. È un poliziotto che ci fa da esploratore. Il malanno lo colga...— Sì; e bisogna che noi aiutiamo il malanno a far quest'opera buona... Sediamo, Zoe, ed ascoltami.LaLeggeratornò a sdraiarsi abbandonatamente sul lettuccio da sedere; Gian-Luigi si gettò sopra una poltrona che era lì presso; ma si ridrizzò tosto con un brusco movimento nel sentire un oggetto sopra le molle elastiche del seggiolone; si volse a guardare, vide una cosa lucicchiante e la prese in mano.— Che cos'è codesto? Diss'egli, sollevando un collare che brillava di diamanti. Cospetto! Il gran collare dell'Ordine dell'Annunziata in casa tua!Zoe ruppe in una gran risata.— Gli è il mioPrince charmantche ne fa sempre qualcuna delle sue con quella testuccia che ha un cervello da passerotto. Ieri sera è venuto qui dopo il ballo dell'Accademia in tutta l'imponenza della suatenuta di gala, per abbacinarmi collo sbarbaglio della sua montura e delle sue decorazioni; e partendo ha dimenticato il collare[8].— Va benissimo: disse allora Gian-Luigi che si compiaceva a fare mandar riflessi sotto la luce dalle gemme e dall'oro di quel collare ch'egli maneggiava con un sogghigno sulle labbra tra di scherno, tra di cupidigia, tra di disprezzo. Ecco un bellissimo pretesto che ci porge il caso, mercè la augusta smemorataggine di quella meschinissima Altezza Reale, perchè tu abbia quanto prima un nuovo colloquio con lui. Puoi fargli domandare un momento d'udienza, e portandogli il suo collare.....LaLeggerainterruppe crollando le spalle con unamossa molto irriverente pel suo principesco amante.— Che io mi scomodi per andare da quel capo d'assiuolo?... Mai più!... Gli scriverò che venga di nuovo, e subito a casa mia per udire urgentissime cose che ho da dirgli, e il babbuino sarà felice di avere da me un secondo abboccamento... Non gli dirò che trattasi di riprendere quel giocattolo, perchè sarebbe capace di mandarmi qualcheduno de' suoi ufficiali a ritirarlo, o di lasciarmelo qui senza crucciarsene dell'altro.Ilmedichinoseguitava a maneggiare quella collana colla medesima espressione che ho detto poc'anzi nella sua fisionomia.— Sì, un giocattolo; diss'egli come parlando a sè stesso; ma un giocattolo che rappresenta la potenza, la dignità, l'autorità nell'ordine com'è oggidì organato della gerarchia nella società umana. Derisione della sorte, e ingiustizia dell'assetto presente delle cose! Queste supreme insegne a cui cadono in preda per favore della nascita e per privilegio di sangue? Ad un miseruzzo dall'anima imbelle e dalla mente pusilla, che è una caricatura d'uomo ed una parodia di essere ragionevole! Guardatelo da lontano quelmannechinonella pompa della sua divisa ricamata e degli abbaglianti ordini cavallereschi che gl'ingemmano il petto, vi parrà qualche cosa di degno della riverenza umana; avvicinatelo e superate per esaminarne il valore quella suggezione che ispira, per l'abitudine tiranna della ragione, l'altezza del grado, vedrete sotto la pelle del leone la natura del somaro; grattate quella vernice lucente onde si ammanta e troverete sotto di essa l'ignobile ceppo di legno innalzato dallo scherno oltraggioso del caso sui gradini del trono all'ammirazione della gente.... E intanto in quella massa di esseri pensanti che sta umile, povera e soggetta, che vive nel nulla, cui ingoia il nulla, e viene e passa e si discioglie come la goccia d'acqua nell'immenso mare, fra quegli esseri oppressi sempre, condannati sempre, che hanno torto sempre, per cui esiste il dovere soltanto, e il diritto non mai, quanti per cuore, per animo, per intelletto, più degni e capaci!....Palleggiò ancora un istante nella mano quel gingillo d'oro tempestato di gemme, come se lo volesse soppesare, e poi lo gettò sopra un vicino tavolo con atto tra d'impazienza e tra di disdegno.— Bah! non pensiamo a codeste miserie... Ecco ciò di cui ho bisogno tu discorra ed ottenga promessa dal tuo scimmiotto di Principe che faccia sollecitamente.Come avete indovinato, quello di cui intendeva Gian-Luigi era la liberazione di Maurilio, Giovanni e Francesco, e l'affermazione che Medoro Bigonci non aveva nulla di comune con Mario Tiburzio.— Non basta, soggiunse di poi ilmedichino, bisogna che S. A. ci tolga eziandio dai piedi l'inciampo di quel poliziotto. Io costui l'ho già raccomandato ad uno de' miei uomini, ed alla prima occasione avrà il fatto suo; ma egli mi par furbo, sta sulle guardie, ed ha molti modi da sfuggire alle mani di Graffigna che può agire soltanto con assai prudenza. Un giorno o l'altro quel demonio di Graffigna saprà pur coglierlo; ma frattanto sarebbe utilissimo che un comando dall'alto, una disposizione d'uffizio lo scartasse dai nostri piedi. Tu mi capisci? Il tuo Principe può valerci anche a codesto.— Capisco: disse la cortigiana con atto e sembiante molto riflessivi; ma gli è il modo di entrare in codesto discorso che non so trovare, e la ragione per interessare a far ciò l'indolenza di quell'egoista.— Il modo?.... Una bella donna ha da essere imbarazzata per la guisa di far cascare il suo discorso saltuario più qua o più là?.... La ragione?... Un tuo capriccio è la migliore di tutte; e la minaccia d'un temporaneo ostracismo dal tuoboudoirlo renderà invincibile.Zoe percosse le mani una coll'altra in aria di trionfo.— Ho trovato di meglio, e son sicura del fatto mio. IlPrince charmantsi è lamentato meco più volte che al Re fossero state narrate certe sue più impertinenti scappatelle e le relazioni che ha meco, per cui il Re gli viene regalando di tanto in tanto qualche buona ripassata. Dirò che il rivelatore di cotali segreti è questo poliziotto.... come si chiama?— Barnaba.— Il quale da parecchi dì sta spiando intorno alla mia casa. Sii pur certo che il Principe non glie la perdonerà, maligno com'è sotto la sua leggerezza e nullaggine, e saprà aggiustarlo egli per le feste.— Sta bene. L'hai pensata proprio a dovere. Allora scrivi subito e sollecita la venuta del tuo Principotto.LaLeggerasi fece accostare un tavolierino su cui era un elegantebuvardcon elegantissimo calamaio, e scrisse di fretta alcune righe sopra un fogliolino di carta profumato.Quand'ebbe finito, disse a Gian-Luigi suonasse il campanello, ed alla cameriera che si presentò diede ordine il bigliettino scritto allor'allora fosse tosto recato al suo indirizzo.— Levatemi di qui questo tavolino: soggiunse ella di poi alla cameriera che stava per partire.— No: disse Gian-Luigi, il quale, mentre Zoe scriveva, era stato dietro di lei guardando con una strana espressione di curiosità la mano della donna a tracciare le parole sulla carta: no, lasciate pur lì quel tavolino e ritiratevi.La cameriera uscì e Zoe levò sul volto delmedichinouno sguardo interrogativo.— Ho bisogno che tu mi scriva ancora due parole: un nome, al basso d'un pezzo di carta.Zoe sollevò vivamente la testa e guardò entro gli occhi il suo compagno — il suo complice.— Un nome! Diss'ella. Il mio?... Che cosa vuoi tu fare del mio nome?Gian-Luigi atteggiò le labbra ad un diabolico sogghigno.— Non è il tuo: rispose. Hai tu un nome, povera creatura che appartieni al par di me alla schiera dei derelitti?... Il tuo è un nome d'accatto, simile a quello che si dà al cane od al cavallo dal padrone che l'ha comperato, e cui domani il capriccio d'un altro padrone può cambiare.... Io intendo un vero nome, reale, autorevole, cui la sciocchezza comune è usa di rispettare, con cui si possono coprire onte, vizi e magagne maggiori di quelli a cagion de' quali affettano i sedicenti onesti del mondo di avere a schifo la povera plebe.— Qual nome? Domandò con sollecita curiosità la cortigiana.— Quello della contessa di Staffarda.LaLeggeramandò un'esclamazione e stette lì mirando intentivamente nel volto Gian-Luigi. Questi trasse da un portafogli un quadrilatero oblungo di carta e mettendolo spiegato innanzi alla donna, soggiunse accennando col dito l'angolo a destra del foglio:— Qui scriverai queste parole: Candida Langosco contessa di Staffarda, nata La Cappa.Zoe appoggiò i due gomiti al tavolino che aveva dinanzi, e sostenendo alle mani il suo mento, disse con voce quasi sommessa e lentamente pronunziando:— Questo pezzo di carta ha da servire per una cambiale?— Per unpagheròche devo dare aMacobaro.— E la firma della contessa?...— Deve starci a rincalzo della mia.— Perchè non l'hai domandata alla contessa medesima?— Perchè il suo concorso l'ho già ottenuto in altro modo, e conosco il proverbio che troppo tirando si strappa.— Ma io non ho la scrittura uguale a quella della contessa.— Tu hai una calligrafia che molto facilmente può imitare quella di qualsiasi altra donna; e tanto più la scrittura della contessa. Ti osservavo poc'anzi appunto mentre scrivevi e mi son venuto confermando appieno in quella opinione che avevo venendo qui, che cioè tu valessi a rendermi molto bene questo servizio.— Ancora, per imitare quel modo di scrivere, converrebbe avessi sotto gli occhi un esemplare...— L'ho recato. Eccoti, le lettere della contessa. E trasse fuor di tasca l'involto che aveva preso nel segreto cassettino del suo stipo.LaLeggeraafferrò avidamente quel pacco, lo sciolse e, presa a caso una lettera, si diede a leggerla con un impertinente sorriso sulle labbra.Povera Candida! Se essa avesse saputo mai in quel momento che le segrete espansioni dell'amor suo confidate in una carta che avrebbe dovuto esser sacra al suo indegno amante, che le più calde manifestazioni della sua sciagurata passione, erano abbandonate in preda allo scherno profanatore d'una cortigiana!— Anzi, continuava quello sciagurato giovane in cui le sfrenate passioni avevano oramai cancellata ogni delicatezza del senso morale, queste lettere fo conto di lasciarle in deposito presso di te. Possono avvenire molte circostanze in cui elleno diventino un'arma atta a salvarmi da qualche precipizio, entro il quale mi capiti di cadere, e di cui essendo io posto nell'impossibilità di servirmi, tu dovresti valerti a mio vantaggio..... In altro momento ti spiegherò più particolarmente la cosa..... Ora veniamo a quei che più preme..... Questa tua firma mi deve ottenere cinquanta mila lire.Zoe lasciò andare di mano la lettera della contessa e riprendendo quella mossa che aveva poco anzi, tornando a fissare il suo acuto nel cupo sguardo di Gian-Luigi, disse, pesando bene sulle parole:— Ma questo è unfalsoche mi domandi?Ilmedichinocrollò impazientemente le spalle:— Ebbene sì: diss'egli con ruvido accento: è unfalso..... Hai tu paura?La cortigiana stette immobile e silenziosa, guardando fisso il giovane nella stessa maniera.— Ne prendo io tutto il carico: soggiunse Gian-Luigi. Se anco la cosa venisse scoperta, chi mai giungerebbe a pur sospettare che tu sei stata a scrivere quel nome? Io ti giuro che non parlerò.Zoe non disse molto, ma staccò dal mento, cui sosteneva con ambe le mani, la destra, e presa la penna intinta d'inchiostro, sopra un foglio di carta, che aveva vicino, si pose sbadatamente a tracciar dei caratteri, come fa chi prova una penna prima di accingersi a scrivere.
Ilmedichino, colle buste dei diamanti della contessa di Staffarda sotto il suo mantello, era giunto all'uscio chiovato di ferro dell'abitazione di Nariccia. Giusto che stava per suonare il campanello, un battente dell'uscio si socchiuse e comparvero in quella penombra la faccia pienotta, rubiconda ed ilare di Padre Bonaventura che usciva, e quella terrea, umile e scura del padrone di casa che lo accompagnava fin sul pianerottolo della casa.
Essi continuavano un discorso che all'accento delle loro voci ed all'espressione degli sguardi onde lo accompagnavano doveva dirsi per loro interessantissimo, e Gian-Luigi potè udire le seguenti parole pronunziate dall'usuraio al frate:
— Sì, reverendo. Ella ha dato allaGattonail miglior consiglio che sia del caso.... Io non penso che quel giovane abbia ad essere ciò che il suo nome e quell'oggetto farebbero sospettare..... Ho delle buone ragioni per credere chequello lànon esiste più.... Ma non importa: è meglio cercare di saperne alcun che di preciso, tanto più per riguardo di me che ci ho, più che interesse, alcun rischio da correre.... Dunque la ringrazio ad esser venuto subito a pormene in sull'avviso e accetto affatto il suo suggerimento: non dir nulla e far agire con prudenza laGattona, per aspettare di poi a prendere una risoluzione a cose meglio chiarite. Chi sa che non ci sia poi in codesto qualche buon mezzo di nostro vantaggio!...
Vide in quella nello scuriccio del pianerottolo staccarsi dal fondo nero della scala che si affondava al di sotto la figura d'un uomo che s'accostava.
S'interruppe sollecitamente, dicendo:
— Ah c'è qualcheduno qui; ed aguzzò i suoi occhietti birci per conoscere chi fosse il nuovo venuto.
— Buon giorno, Nariccia: disse Gian-Luigi, abbassandola falda del mantello onde si copriva la parte inferiore del volto: sono io.
— Ah ah! siete voi, dottore: esclamò Nariccia. Gli è di me che cercate?
— Appunto. Ho bisogno di parlarvi.
— Io vi lascio colla buona ventura; disse colla voce melliflua che gli era abituale il gesuita; e Dio vi tenga nella sua santa grazia.
—Amen: rispose tutto compunto l'usuraio torcendo il collo: mi raccomando alle sue preghiere, reverendo.
Padre Bonaventura fece un movimento colla mano che tramezzava fra un segno d'addio ed un atto di benedizione sacerdotale, e s'avviò senz'altro giù della scala.
— Venite avanti, dottore: disse allora Nariccia a Quercia, levandosi di mezzo ai battenti per lasciarlo passare, ma rimanendo lì presso l'uscio colla mano sulla serratura per esser egli a chiudere l'imposta quando l'altro fosse entrato. È forse cosa di premura quella che mi avete da dire?
— Sì, piuttosto: rispose Gian-Luigi penetrato nello scuro andito che conduceva alle diverse stanze del quartiere.
— Allora, soggiunse Nariccia, il quale chiudeva intanto la serratura colla chiave a doppia mandata, e faceva scorrere un paletto dall'una all'altra imposta dell'uscio; allora vi darò udienza subito.
— Mi farete piacere.
In quella, Nariccia che aveva finito di serrare, si voltò verso l'interno dell'appartamento; ma in quel moto fatto un po' in fretta, sembrò che un capogiro lo prendesse; gli occhi gli si appannarono, le gambe parvero mancargli sotto, le guancie gli si arrossarono e poi impallidirono subitamente, ed egli si tenne al muro del corridoio quasi temendo cadere.
— Che cosa avete? Gli domandò Quercia che vide codesto.
L'usuraio si era già compiutamente rimesso.
— Nulla, nulla, rispose. Gli è da qualche giorno che mi piglian così delle vampe al capo, e mi sento come a girare il cervello.
— Uhm! disse Quercia esaminandolo, alla vostra età, colla vostra complessione, codeste non son cose da non farci attenzione. Sono venuto a trovarvi come avventore; ma credo che fareste assai bene ad accettarmi anche come medico.....
Nariccia ebbe di subito paura che Gian-Luigi colle sue cure da medico intendesse ripagato di poi quel servizio che veniva a domandargli; e siccome ciò non gli piaceva niente affatto, fu lesto a rispondere:
— Vi dico che non è nulla e ch'io non ho bisogno di nessun medico.
— Tanto meglio!
Quercia era giunto all'uscio che metteva nello studiolo dell'usuraio, ed alzò la mano alla gruccia della serratura per aprirlo.
— No lì: disse sollecitamente Nariccia, trattenendolo. Costì c'è un altro che è venuto testè per parlarmi eziandio, ed è affatto inutile che vi vediate reciprocamente.
Gian-Luigi si ritrasse con premura da quell'uscio ed abbassò la voce di cui sino allora aveva usato nel suo tono naturale.
— Avete ragione, disse, m'è più caro non esser visto.
— Venite dunque nella mia camera: soggiunse l'usuraio, e poichè mi dite che sono cose di premura quelle onde volete discorrermi e siete un vecchio amico, darò a voi la precedenza, e farò ancora aspettare quell'altro.
Introdusse ilmedichinonella sua fredda camera in cui non una favilla di fuoco a temperarne la gelata atmosfera; gli additò per sedere una semplice seggiola col piano poveramente impagliato, e presane una pari sedette egli stesso in faccia al suo visitatore.
Alla luce, che era maggiore in quella stanza che non nel corridoio, Gian-Luigi vide nel volto di Nariccia certi indizi che, per quanto poco foss'egli addentratosi nello studio della medicina, eragli facile conoscere come sintomi di un male minacciante.
— Nariccia, diss'egli osservandolo bene, la vostra indisposizione non è poi tanto quel nulla che voi credete. Se voi mi date retta vi farete fare qualche cosa.
L'usuraio fece un sogghigno che voleva essere malizioso, e crollò le spalle.
— Ecco lì! I medici vogliono sempre trovar dei malati, come gli avvocati vogliono farvi litigare.
— Rassicuratevi: disse Quercia che comprese il segreto sentimento del suo interlocutore. In me vedete tutt'altro che un medico in cerca d'un cliente. Sapete bene ch'io non esercito la professione. Posso dar qualche consigliogratuitamente(e pesò sulla parola) ad un amico, ma non mando mai nessuna lista divisitea chi abbia avuto tanta fiducia in me da consultarmi.
Nariccia accostò la sua seggiola al dottore.
— Bravo! Diss'egli. È quello che ci vuole per me. Io non sono mica — grazie a Dio ed alla Madonna della Consolata — così malato da aver bisogno d'un medico; ma tuttavia il vero è che da un po' di tempo mi sento così, tutto stonato, e che qualche buon consiglio d'uno che se ne intenda mi può venire molto a taglio.
Gian-Luigi prese il polso dell'avaro, ne esaminò la lingua, gli fece trarre il respiro con forza, e poi gli disse freddamente:
— Mio caro, voi siete minacciato niente meno che d'un colpo apoplettico.
L'usuraio fece un sobbalzo sulla seggiola e il volto gli s'impallidì sotto la tinta terrea della sua carnagione.
— Un colpo apoplettico! Esclamò egli con vocemal ferma..... La Santa Madonna del Carmine mi tenga lontana una tanta disgrazia!..... Dite voi per davvero?
— Davverissimo! Voi avete dalla natura le più belle disposizioni del mondo per avere un accidente, e la vita che fate è adatta a bella posta per aiutare quelle disposizioni...
— Come! La vita che faccio? A me par tutt'altro. I colpi apoplettici vengono a quelli che si nutriscono di robe grasse e sostanziose, che son ghiotti! ed io invece non uso che i più frugali cibi.....
— Sì, delle porcherie, le quali non vi procurano altro che cattive digestioni, e queste son quelle che vi giuocheranno un giorno o l'altro qualche brutto tiro. Tutti gli eccessi non valgono nulla per la salute, e se i ghiotti si rovinano per eccesso di cose nutritive, voi vi rovinate per l'eccesso contrario, caricando il ventricolo d'una massa di alimenti poco acconci ad una buona e normale nutrizione. E poi, vi par egli alla vostra età di dover aver così poco riguardo a voi stesso? Siete sempre chiuso in questo antro mefitico, e qui dentro, affè di Dio, vi si gela come in una ghiacciaia....
— Io non patisco il freddo: perchè avrei da gettare via i denari per abbruciar della legna?
— Non patite il freddo! Bravo! Ma intanto questa temperatura da Siberia vi restringe di troppo il sistema venoso, la circolazione del sangue si fa impacciatamente, e nulla favorisce di più le congestioni. Voi siete minacciato da un travaso nel cervello.
— Misericordia!.... E che cosa fare per antivenirlo?
— La miglior cosa sarebbero due buoni salassi, quanto meno un'abbondante operazione di mignatte.
Nariccia scosse la testa con risoluta negazione.
— Siete pazzo? Mettermi a letto e starci parecchi giorni in questa fine del carnovale, in cui c'è tanto da fare e c'è il mezzo di guadagnare qualche cosa... Ditemi qualche altro rimedio più conveniente ai miei interessi.
— Ah! se preferite gl'interessi alla salute....
— Che? Non ci sarebbe un altro mezzo?
— Così sicuro, no; ma tuttavia una certa diversione potrebbero farla degli attivi purganti.
— A questo posso acconsentire. Sì.... scrivetemi voi una brava ricetta che mi faccia proprio bene... S'intende che la scrivete come amico, non è vero?
— Sì, sì, state tranquillo; rispose Quercia ridendo; non manderò per essere pagato.
Si alzò, depose sopra un tavolino le buste che teneva sotto il mantello e scrisse un'ordinazione. Gli occhi di Nariccia si posarono curiosi ed interrogativi su quelle buste coperte di marocchino rosso ornato di filetti d'oro con impressovi in oro eziandio uno stemma ed una corona comitale.
La sua curiosità non potè frenarsi: tese egli una mano con una mossa avida e riguardosa nello stesso tempo, da paragonarsi a quella del gatto che colla zampina cerca levare il marrone dal fuoco, afferrò la più grossa di quelle buste e l'aprì. Una voce di stupore e d'ammirazione uscì dal suo petto quasi involontariamente.
— Che magnifici diamanti! Esclamò egli mentre i suoi occhi scintillavano come se la luce di quegli stupendi brillanti si ripercotesse nelle sue pupille.
Gian-Luigi alzò con calma il capo, guardò freddamente Nariccia e disse col più semplice tono di voce:
— Gli è appunto di ciò che son venuto a parlarvi.
E continuò a scrivere la ricetta. Quando ebbe finito la porse all'usuraio dicendogli:
— Prendete subito questa roba, oggi stesso, e spero ne avrete giovamento.
— Sì, grazie: rispose Nariccia, prendendo la carta dalle mani delmedichino; ma i suoi occhi birci erano sempre fissi sul luccicar dei diamanti, e la sua salute in quel momento gli era quello a cui pensava di meno.
— Non è vero che sono stupendi? Disse Quercia con tutta indifferenza.
Ma sul primo effetto, cui non era stato capace di padroneggiare, Nariccia aveva già fatta prevalere la riflessione. Ilmedichinogli aveva detto che di ciò appunto era venuto a parlargli. Certo trattavasi di qualche transazione in proposito. Il mercatante, no, dirò meglio l'usuraio, aveva già preso il sopravvento, e fu con tono reso affatto impassibile che Nariccia rispose:
— Mi par veramente che sieno belli, ma questa non è la miapartita: io non me ne intendo di molto, e non potrei portarne un giudicio proprio esatto.
— Lasciate un po'; voi ve ne intendete benissimo, e siete maestro anche in questa come in tante altre materie.... Aprite, aprite tutte quelle buste, contemplatene a vostro agio il contenuto, e quando vi sarete fatta un'idea del valore di questo tesoro che vi ho recato, allora vi esporrò la proposta che sono venuto per farvi.
Nariccia, ora compiutamente padrone di sè e in sull'avviso per dissimulare le impressioni che la vista di sì ricchi brillanti produceva in lui, aprì con calma gli astucci e guardò con freddezza tutti quei diamanti che luccicavano di mille fuochi anco nella penombra di quella stanza a stento illuminata dalla luce grigiastra della giornata nevosa.
— Che cosa ne dite? Domandò di poi ilmedichinoche teneva i suoi occhi ardenti fissi sul volto impassibile dell'usuraio. Che valore assegnereste a questo tesoro?
— Ma! Esclamò Nariccia facendo spalluccie. Se fossero tutti veri....
— Ne dubitereste?
— Allora potrebbero benissimo valere parecchie decine di mila lire....
— Delle decine! Proruppe Quercia con voce concitata. Siete proprio sempre quel medesimo!... Dite delle centinaia...
— Oh oh! delle centinaia... Non esagerate.
— Vi dico di sì... Non c'è manco la regina che ne abbia dei più belli.
— Uhm!... Ma veniamo a noi... Qual è questa proposta che siete venuto a farmi?
— Ho bisogno urgente di cinquanta mila lire.
A queste parole l'usuraio cristiano fece il medesimo sobbalzo quasi spaventato che aveva fatto l'usuraio ebreo.
— Dio buono! Cinquanta mila lire!...
— Solamente per pochi giorni... Voi ci metterete il tasso che più vi piace e vi lascierò in pegno questi diamanti.
— Per quanti giorni?
— Fino a lunedì mattina... Allora verrò infallantemente a riprenderli e a riportarvi il vostro denaro.
— Cinquanta mila lire, affè, sono troppe... Ve ne darò trenta mila coll'interesse di 50 lire per giorno.
— Ne ho bisogno di cinquanta mila.
Nariccia prese di nuovo in mano una busta dopo l'altra ed esaminò attentamente i gioielli.
— Ve ne do quaranta mila.
— No: disse allora seccamente ilmedichinoalzandosi. Se non volete far voi questo affare, ne troverò millanta altri che vi acconsentiranno con premura.
E tese una mano come per serrare gli astucci e riprenderli.
— Un momento! S'affrettò a dire Nariccia. Gli è solamente fino a lunedì che me li lasciereste in pegno?
— Sì.
— E mi paghereste 100 lire al giorno d'interesse?
Gian-Luigi fece un sogghigno di disprezzo e mormorò in mezzo ai denti:
— Ladro!
Ma Nariccia mostrò di non aver udito.
— Ve li pagherò; disse di poi Quercia con brusco accento.
— S'intende che dopo il lunedì, se tardate a venirmi a restituire la somma e pagare il totale degli interessi, ad ogni giorno che passerà, saranno altre 100 lire che s'aggiungeranno al vostro debito.
Ilmedichinofece con impazienza un cenno affermativo.
— Ed io non vi ritornerò neanche il menomo di questi astucci, finchè non mi avrete pagato in totalità capitale ed accessorii.
— Ma sì, ma sì.... Finiamola per amor del cielo!....
— Va bene, va bene... Vo di là un momento e torno subito.
Nariccia prese il maggiore degli astucci che conteneva un bellissimo diadema e si mosse per uscire; ma Gian-Luigi l'arrestò per un braccio.
— Dove portate voi quella busta?
— Di là..... un momento: rispose l'usuraio, facendo guizzare a destra e a sinistra i suoi occhietti balusanti.
— Per che cosa farne? Tornò a domandar Quercia non lasciandogli libero il braccio.
— Così..... per osservarli meglio, da me solo.... a un'altra luce.....
— Voi volete farli vedere a qualcheduno?
Nariccia esitò un momentino, e poi credette più spediente il confessare il vero.
— Ebben sì..... Ve l'ho già detto ch'io non mi intendo abbastanza di queste cose..... E capirete che per avventurare una somma simile, ho piacere di essere completamente assicurato sul valore del pegno che mi viene offerto. Per fortuna quell'altra persona che mi attende di là, è appunto uomo competentissimo in siffatta materia.....
Quercia lo interruppe con molta vivacità.
— Ma io non voglio che nessuno li veda fuori di voi.....
— No? Disse lentamente e con sospetto Nariccia, deponendo sulla tavola l'astuccio. Riconoscete che questo vostro desiderio non è fatto per rassicurarmi di molto. Nella nostra professione, mio caro, la prudenza non è mai troppa, e se voi non acconsentite a codesto, vi dico in verità che non vi ha nulla di fatto.
Gian-Luigi lasciò scorgere qualche esitazione.
— Se questi diamanti sono davvero quel che voi dite, io vi porterò subito di qua le 50 mila lire: soggiunse Nariccia con tono insinuante.
Quercia diede una scrollatina di spalle che mostrava i suoi scrupoli essere passati.
— Va bene: finì egli per dire. Non temo nulla dall'esame di chicchessiasi; ma soltanto vi prego di levarli dalla busta; non c'è nessuna necessità che si veda questo stemma e s'indovini a chi appartengono.
— Avete ragione.
Nariccia levò dagli astucci i pezzi principali e li recò nel suo studio, dove stava aspettando quell'altra persona ch'egli aveva detto.
Il caso aveva voluto che quello fosse appunto un gioielliere, il sig. X, il quale da canto suo, trovandosi in urgente bisogno di denaro, era venuto da Nariccia per un'operazione uguale a quella che ci aveva condotto ilmedichino, recando egli eziandio da sua parte per pegno alcuni gioielli del suo fondaco.
L'usuraio pose sotto gli occhi del gioielliere i diamanti che aveva recato, e domandogli bruscamente:
— Che cosa ne dite di questa roba?
Il sig. X fece un atto di meraviglia:
— Cospetto! Quei diamanti li riconosco; sono quelli della contessa di Staffarda.
— Ah sì?
— Di certo. Sono il suo gioielliere io, e non è guari ch'ella me li ha dati tutti a ripulire e riattare.
— Benone! Allora voi sapete appuntino quanti astucci ella ne abbia e di quanti pezzi consti tutto il corredo completo.
— Perfettamente.
— Ditemeli un po'.
Il gioielliere fece l'enumerazione e la descrizione di tutti i pezzi, e Nariccia fu chiaro che Quercia glie li aveva recati tutti per davvero.
— E il valore complessivo di tutto quel corredo quale pensate voi che possa essere?
— Affè! se lo si volesse vendere, e ch'io ne avessi i denari, non esiterei a darne duecento mila lire, sicuro di fare un buon contratto.
Nariccia non potè contenere un sorriso.
— Eh eh! si lasciò scappar detto. Io l'avrò forse ad un quarto soltanto di questa somma.
— Come! Si decidono a venderlo per sole 50 mila lire?
— A venderlo no: me lo danno in pegno soltanto; ma prima che chi mi reca questo pegno abbia in suo potere una somma sufficiente da ripagarmi capitale ed interessi, son certo che ce ne passerà dell'acqua sotto il ponte di Po.
— Ho capito.... E chi vi ha recato questo pegno è il dottor Quercia.
— Siete un bravo indovino!
— Ci ho poco merito. Ne ho udita la voce testè quando si è accostato alla porta di questa camera... E le sue intime relazioni con quella povera contessa, tutti le sanno.
— Non occorre, spero, che vi raccomandi il segreto.
— Figuratevi!
Nariccia tornò presso Gian-Luigi colle cinquanta mila lire in denaro sonante.
Abbiamo visto come l'usuraio faceva i suoi conti che quegli stupendi diamanti mai più gli si sarebbero potuti levar dalle unghie: da parte sua ilmedichino, uscendo di quella casa colle tasche piene d'oro, così la pensava seco stesso:
— Domenica sarà il giorno della gran crisi. La mi va bene, ed allora Candida non avrà più bisogno de' suoi diamanti pel ballo di Corte, e Nariccia avrò mezzo di fargli rendere quel tesoro e imporgli silenzio senz'altro per tema di peggio; o la mi va male, ed allora, allora affè un'oncia di piombo nella testa, e buona notte ai suonatori. S'aggiusti chi resta.
Recossi in casa di fretta per riporvi i denari; e là trovò Romualdo, il quale, dopo l'abboccamento con Massimo d'Azeglio, secondo le istruzioni avute da Mario, era venuto a cercare di lui e impazientemente stava aspettandolo.
Gian-Luigi lesse le poche parole scritte dall'emigrato romano, udì la narrazione dell'arresto avvenuto di quest'ultimo fatta da Romualdo, e in brevi detti promise si sarebbe adoperato a vantaggio dell'arrestato, ed avrebbe di sicuro ottenuto non fosse provata la sua identità.
Romualdo partissi; Quercia ripose i denari avuti da Nariccia in un cassettino segreto del suo stipo, trasse da quel luogo medesimo un involto di letterine profumate, la cui calligrafia rivelava la mano d'una donna, e con esse s'avviò alla casa dellaLeggiera.
La cortigiana era scesa allor'allora da letto ed avvolta in una magnifica veste di lana di Persia ovattata e foderata di seta color di rosa, stava sdraiata mollemente nella calda e voluttuosa atmosfera dello stanzino riposto, dove non accoglieva che gl'intimi amici.
Noi sappiamo già che un alto personaggio era stato a toglierla dal dorso nudo del cavallo nel circo per allogarla in quella sontuosità di appartamento nell'onorevole qualità di suamantenuta. Questo alto ma poco stimabile personaggio era un Principe appartenente ad una famiglia regnante in Italia, il quale viveva allora alla Corte del Re di Sardegna, seminando di tollerati scandali il severo e bigotto ambiente della Reggia di Carlo Alberto; Principe di animo poco nobile e di costumi corrottissimi, che traditore alla causa della patria ed a Carlo Alberto suo benefattore nel tempo della guerra dell'indipendenza, messo di poi sopra un trono grande come un guscio di castagna dalla riazione del 1849, si divertiva a far da piccolo Tiberio, o meglio da Alessandro Farnese sui suoi sudditi, finchè cadde estinto senza lagrime di nessuno sotto il coltello di un regicida.
Non era lungo tempo che l'augusto e spregevole personaggio erasi partito dall'alcova della cortigiana, quando ilmedichino, del quale i servi conoscevano i privilegi, era lasciato entrare liberamente nel gabinetto dell'antica amazzone da circo equestre.
Al vedere il giovane, la donna mandò un gridolino di gioia e si sollevò alquanto sui cuscini con cui rifiancava la sua abbandonata persona sopra il sofà.
— Ma bravo, ma bravissimo! Esclamò essa battendo insieme le mani. T'è proprio nata un'idea felice a venir qui in questo momento... Ho avuto una lunga conferenza, troppo lunga, colPrince charmant(così chiamava essa il Duca che sciupava intorno a lei i denari dei contribuenti), e mi ha stanca colla sua nullità principesca. Ho le ganascie che mi dolgono dagli sbadigli rientrati; mi sento bisogno di rifarmi un poco lo spirito, l'umore..... e il resto: e tu sei l'uomo apposta.
Lo sguardo provocatore e il sorriso procace accompagnavano acconciamente le folli parole.
Ma l'aria preoccupata di Gian-Luigi e la sua seria risposta non si acconciarono al tono con cui laLeggeraaveva incominciato il colloquio.
— Mia cara, diss'egli colle sopracciglia aggrottate: io mi trovo in gravissime circostanze, in cui si decide o la mia perdita assoluta, od uno splendido trionfo... E tu puoi aiutarmi.
Zoe sorse di scatto, e fu presso a lui, fattasi seria essa pure, mettendogli una mano sulla spalla e fissandolo coll'ardente pupilla del suo occhio d'un grigio verzigno.
— Si tratta di quell'impresa, di cui tu mi hai confidato i propositi e mi hai divisato in nube le fila?
— Sì.
Gli occhi della donna s'illuminarono d'una strana fiamma, vivace ed intensa.
— Tu sai che per essa io sono pronta a dare tutto che posseggo e tutta me stessa... Tu sai che gli è appunto per quei tuoi disegni che tu piacesti supremamente all'anima mia, che vincesti il mio fiero disprezzo degli uomini, che mi hai legata a te corpo ed anima, e per sempre; tu sai che per ciò, più che per ogni altra cosa, io che non ho amato mai nulla, ti ho amato e ti amo..... Parla, comandami, ed io farò tutto quello che vuoi.
— La Polizia pare aver avuto qualche sentore dell'opera nostra; ha posto gli artigli sopra alcuni che senza saperlo lavorano pel nostro successo, me stesso circonda di certe fila di cui sembrami tenti farmi intorno una rete da impigliarmivi. Qualche sospetto incomincia ad esser nato che il misterioso capo di quella schiera di ribelli alla società onde si spaventano i sonni dei felici gaudenti dell'oggi, possa esser io, perchè un accorto esploratore viene frequentando la taverna di Pelone, e quel medesimo, ne son certo, ha proceduto all'arresto di coloro che t'ho detto, e tutt'oggi me lo trovo pertinace seguitatore tra i piedi. Venendo da te, qui sotto le tue finestre, l'ho trovato ancora, come segugio che attende la cacciagione alla posta. Tutto m'indica, e più d'ogni altra cosa l'istinto, che quello è un pericoloso e risoluto nemico di cui bisogna sbarazzarci.
Gian-Luigi s'accostò alla finestra e rimosse la tendolina per guardare nella strada sottoposta.
— Ed eccolo ancora là, soggiunse, i suoi occhi grifagni fissi precisamente sulle tue finestre.
Zoe accorse ancor ella presso i vetri ed appoggiandosi con mossa amorosa a Gian-Luigi, guardò nella strada di sopra la spalla di lui. Vide la tenebrosa figura di Barnaba che sotto la tesa del cappello saettava quelle finestre di occhiate sinistramente espressive.
Nel vedersi guardato dai due giovani, l'agente poliziesco sussultò, abbassò gli occhi e la testa, e lentamente si mosse come per allontanarsi di là.
Ma laLeggeranel vedere quell'uomo aveva fatto un certo moto ancor essa che non isfuggì all'acume osservativo delmedichino.
— Che fu? Diss'egli, piantando i suoi occhi in quelli della donna. Tu conosci quel cotale? Zoe ruppe in una risatina che era perfettamente naturale e sincera.
— No: diss'ella; ma la mia vanità femminile ha or ora ricevuto un buffetto. Quello che tu mi riveli per un poliziotto io l'ho preso per un innamorato, vedendolo da parecchi giorni girarmi intorno alla lontana e covare con isguardi accesi la mia dimora.
— Da parecchi giorni tu dici? domandò Quercia.
— Sì, forse un mese... L'ho creduto un adoratore cui le povere fortune fanno timido... E poi quella figura, a dirti tutto, mi metteva in un certo pensiero, non so perchè. Non mi ricordo aver avuto nulla mai da spartire con un simile individuo, eppure le sue sembianze non mi riescon nuove. Occupavo alcuni momenti delle mie ore più noiose a cercare di scavar fuori dalla massa dei tanti ricordi del mio passato, se, come, quando e dove avessi visto codestui o qualcuno che gli rassomigliasse; non ci sono mai riuscita, e certo per la buona ragione che di sicuro non ho mai avuto la menoma attinenza con lui. Ora tu hai soffiato sopra tutti i miei castelli di carte. È un poliziotto che ci fa da esploratore. Il malanno lo colga...
— Sì; e bisogna che noi aiutiamo il malanno a far quest'opera buona... Sediamo, Zoe, ed ascoltami.
LaLeggeratornò a sdraiarsi abbandonatamente sul lettuccio da sedere; Gian-Luigi si gettò sopra una poltrona che era lì presso; ma si ridrizzò tosto con un brusco movimento nel sentire un oggetto sopra le molle elastiche del seggiolone; si volse a guardare, vide una cosa lucicchiante e la prese in mano.
— Che cos'è codesto? Diss'egli, sollevando un collare che brillava di diamanti. Cospetto! Il gran collare dell'Ordine dell'Annunziata in casa tua!
Zoe ruppe in una gran risata.
— Gli è il mioPrince charmantche ne fa sempre qualcuna delle sue con quella testuccia che ha un cervello da passerotto. Ieri sera è venuto qui dopo il ballo dell'Accademia in tutta l'imponenza della suatenuta di gala, per abbacinarmi collo sbarbaglio della sua montura e delle sue decorazioni; e partendo ha dimenticato il collare[8].
— Va benissimo: disse allora Gian-Luigi che si compiaceva a fare mandar riflessi sotto la luce dalle gemme e dall'oro di quel collare ch'egli maneggiava con un sogghigno sulle labbra tra di scherno, tra di cupidigia, tra di disprezzo. Ecco un bellissimo pretesto che ci porge il caso, mercè la augusta smemorataggine di quella meschinissima Altezza Reale, perchè tu abbia quanto prima un nuovo colloquio con lui. Puoi fargli domandare un momento d'udienza, e portandogli il suo collare.....
LaLeggerainterruppe crollando le spalle con unamossa molto irriverente pel suo principesco amante.
— Che io mi scomodi per andare da quel capo d'assiuolo?... Mai più!... Gli scriverò che venga di nuovo, e subito a casa mia per udire urgentissime cose che ho da dirgli, e il babbuino sarà felice di avere da me un secondo abboccamento... Non gli dirò che trattasi di riprendere quel giocattolo, perchè sarebbe capace di mandarmi qualcheduno de' suoi ufficiali a ritirarlo, o di lasciarmelo qui senza crucciarsene dell'altro.
Ilmedichinoseguitava a maneggiare quella collana colla medesima espressione che ho detto poc'anzi nella sua fisionomia.
— Sì, un giocattolo; diss'egli come parlando a sè stesso; ma un giocattolo che rappresenta la potenza, la dignità, l'autorità nell'ordine com'è oggidì organato della gerarchia nella società umana. Derisione della sorte, e ingiustizia dell'assetto presente delle cose! Queste supreme insegne a cui cadono in preda per favore della nascita e per privilegio di sangue? Ad un miseruzzo dall'anima imbelle e dalla mente pusilla, che è una caricatura d'uomo ed una parodia di essere ragionevole! Guardatelo da lontano quelmannechinonella pompa della sua divisa ricamata e degli abbaglianti ordini cavallereschi che gl'ingemmano il petto, vi parrà qualche cosa di degno della riverenza umana; avvicinatelo e superate per esaminarne il valore quella suggezione che ispira, per l'abitudine tiranna della ragione, l'altezza del grado, vedrete sotto la pelle del leone la natura del somaro; grattate quella vernice lucente onde si ammanta e troverete sotto di essa l'ignobile ceppo di legno innalzato dallo scherno oltraggioso del caso sui gradini del trono all'ammirazione della gente.... E intanto in quella massa di esseri pensanti che sta umile, povera e soggetta, che vive nel nulla, cui ingoia il nulla, e viene e passa e si discioglie come la goccia d'acqua nell'immenso mare, fra quegli esseri oppressi sempre, condannati sempre, che hanno torto sempre, per cui esiste il dovere soltanto, e il diritto non mai, quanti per cuore, per animo, per intelletto, più degni e capaci!....
Palleggiò ancora un istante nella mano quel gingillo d'oro tempestato di gemme, come se lo volesse soppesare, e poi lo gettò sopra un vicino tavolo con atto tra d'impazienza e tra di disdegno.
— Bah! non pensiamo a codeste miserie... Ecco ciò di cui ho bisogno tu discorra ed ottenga promessa dal tuo scimmiotto di Principe che faccia sollecitamente.
Come avete indovinato, quello di cui intendeva Gian-Luigi era la liberazione di Maurilio, Giovanni e Francesco, e l'affermazione che Medoro Bigonci non aveva nulla di comune con Mario Tiburzio.
— Non basta, soggiunse di poi ilmedichino, bisogna che S. A. ci tolga eziandio dai piedi l'inciampo di quel poliziotto. Io costui l'ho già raccomandato ad uno de' miei uomini, ed alla prima occasione avrà il fatto suo; ma egli mi par furbo, sta sulle guardie, ed ha molti modi da sfuggire alle mani di Graffigna che può agire soltanto con assai prudenza. Un giorno o l'altro quel demonio di Graffigna saprà pur coglierlo; ma frattanto sarebbe utilissimo che un comando dall'alto, una disposizione d'uffizio lo scartasse dai nostri piedi. Tu mi capisci? Il tuo Principe può valerci anche a codesto.
— Capisco: disse la cortigiana con atto e sembiante molto riflessivi; ma gli è il modo di entrare in codesto discorso che non so trovare, e la ragione per interessare a far ciò l'indolenza di quell'egoista.
— Il modo?.... Una bella donna ha da essere imbarazzata per la guisa di far cascare il suo discorso saltuario più qua o più là?.... La ragione?... Un tuo capriccio è la migliore di tutte; e la minaccia d'un temporaneo ostracismo dal tuoboudoirlo renderà invincibile.
Zoe percosse le mani una coll'altra in aria di trionfo.
— Ho trovato di meglio, e son sicura del fatto mio. IlPrince charmantsi è lamentato meco più volte che al Re fossero state narrate certe sue più impertinenti scappatelle e le relazioni che ha meco, per cui il Re gli viene regalando di tanto in tanto qualche buona ripassata. Dirò che il rivelatore di cotali segreti è questo poliziotto.... come si chiama?
— Barnaba.
— Il quale da parecchi dì sta spiando intorno alla mia casa. Sii pur certo che il Principe non glie la perdonerà, maligno com'è sotto la sua leggerezza e nullaggine, e saprà aggiustarlo egli per le feste.
— Sta bene. L'hai pensata proprio a dovere. Allora scrivi subito e sollecita la venuta del tuo Principotto.
LaLeggerasi fece accostare un tavolierino su cui era un elegantebuvardcon elegantissimo calamaio, e scrisse di fretta alcune righe sopra un fogliolino di carta profumato.
Quand'ebbe finito, disse a Gian-Luigi suonasse il campanello, ed alla cameriera che si presentò diede ordine il bigliettino scritto allor'allora fosse tosto recato al suo indirizzo.
— Levatemi di qui questo tavolino: soggiunse ella di poi alla cameriera che stava per partire.
— No: disse Gian-Luigi, il quale, mentre Zoe scriveva, era stato dietro di lei guardando con una strana espressione di curiosità la mano della donna a tracciare le parole sulla carta: no, lasciate pur lì quel tavolino e ritiratevi.
La cameriera uscì e Zoe levò sul volto delmedichinouno sguardo interrogativo.
— Ho bisogno che tu mi scriva ancora due parole: un nome, al basso d'un pezzo di carta.
Zoe sollevò vivamente la testa e guardò entro gli occhi il suo compagno — il suo complice.
— Un nome! Diss'ella. Il mio?... Che cosa vuoi tu fare del mio nome?
Gian-Luigi atteggiò le labbra ad un diabolico sogghigno.
— Non è il tuo: rispose. Hai tu un nome, povera creatura che appartieni al par di me alla schiera dei derelitti?... Il tuo è un nome d'accatto, simile a quello che si dà al cane od al cavallo dal padrone che l'ha comperato, e cui domani il capriccio d'un altro padrone può cambiare.... Io intendo un vero nome, reale, autorevole, cui la sciocchezza comune è usa di rispettare, con cui si possono coprire onte, vizi e magagne maggiori di quelli a cagion de' quali affettano i sedicenti onesti del mondo di avere a schifo la povera plebe.
— Qual nome? Domandò con sollecita curiosità la cortigiana.
— Quello della contessa di Staffarda.
LaLeggeramandò un'esclamazione e stette lì mirando intentivamente nel volto Gian-Luigi. Questi trasse da un portafogli un quadrilatero oblungo di carta e mettendolo spiegato innanzi alla donna, soggiunse accennando col dito l'angolo a destra del foglio:
— Qui scriverai queste parole: Candida Langosco contessa di Staffarda, nata La Cappa.
Zoe appoggiò i due gomiti al tavolino che aveva dinanzi, e sostenendo alle mani il suo mento, disse con voce quasi sommessa e lentamente pronunziando:
— Questo pezzo di carta ha da servire per una cambiale?
— Per unpagheròche devo dare aMacobaro.
— E la firma della contessa?...
— Deve starci a rincalzo della mia.
— Perchè non l'hai domandata alla contessa medesima?
— Perchè il suo concorso l'ho già ottenuto in altro modo, e conosco il proverbio che troppo tirando si strappa.
— Ma io non ho la scrittura uguale a quella della contessa.
— Tu hai una calligrafia che molto facilmente può imitare quella di qualsiasi altra donna; e tanto più la scrittura della contessa. Ti osservavo poc'anzi appunto mentre scrivevi e mi son venuto confermando appieno in quella opinione che avevo venendo qui, che cioè tu valessi a rendermi molto bene questo servizio.
— Ancora, per imitare quel modo di scrivere, converrebbe avessi sotto gli occhi un esemplare...
— L'ho recato. Eccoti, le lettere della contessa. E trasse fuor di tasca l'involto che aveva preso nel segreto cassettino del suo stipo.
LaLeggeraafferrò avidamente quel pacco, lo sciolse e, presa a caso una lettera, si diede a leggerla con un impertinente sorriso sulle labbra.
Povera Candida! Se essa avesse saputo mai in quel momento che le segrete espansioni dell'amor suo confidate in una carta che avrebbe dovuto esser sacra al suo indegno amante, che le più calde manifestazioni della sua sciagurata passione, erano abbandonate in preda allo scherno profanatore d'una cortigiana!
— Anzi, continuava quello sciagurato giovane in cui le sfrenate passioni avevano oramai cancellata ogni delicatezza del senso morale, queste lettere fo conto di lasciarle in deposito presso di te. Possono avvenire molte circostanze in cui elleno diventino un'arma atta a salvarmi da qualche precipizio, entro il quale mi capiti di cadere, e di cui essendo io posto nell'impossibilità di servirmi, tu dovresti valerti a mio vantaggio..... In altro momento ti spiegherò più particolarmente la cosa..... Ora veniamo a quei che più preme..... Questa tua firma mi deve ottenere cinquanta mila lire.
Zoe lasciò andare di mano la lettera della contessa e riprendendo quella mossa che aveva poco anzi, tornando a fissare il suo acuto nel cupo sguardo di Gian-Luigi, disse, pesando bene sulle parole:
— Ma questo è unfalsoche mi domandi?
Ilmedichinocrollò impazientemente le spalle:
— Ebbene sì: diss'egli con ruvido accento: è unfalso..... Hai tu paura?
La cortigiana stette immobile e silenziosa, guardando fisso il giovane nella stessa maniera.
— Ne prendo io tutto il carico: soggiunse Gian-Luigi. Se anco la cosa venisse scoperta, chi mai giungerebbe a pur sospettare che tu sei stata a scrivere quel nome? Io ti giuro che non parlerò.
Zoe non disse molto, ma staccò dal mento, cui sosteneva con ambe le mani, la destra, e presa la penna intinta d'inchiostro, sopra un foglio di carta, che aveva vicino, si pose sbadatamente a tracciar dei caratteri, come fa chi prova una penna prima di accingersi a scrivere.