CAPITOLO XXI.

CAPITOLO XXI.Il signor Nariccia quella mattina si sentiva male per davvero. Partitosi da lui Gian-Luigi, conchiuso l'altro contratto per cui era venuto il gioielliere X, rimasto solo, l'usuraio aveva proprio capito che ilmedichinogli aveva parlato da maledetto senno, e che la sua salute era, se non già colpita, seriamente minacciata da un grave malore. Volle riconfortarsi l'animo di quel modo con cui soleva eziandio rallegrarsi il cuore il vecchio Arom, come sogliono fare tutti questi avidamente cupidi dell'oro, posseduti dall'accanita ed implacabile ed insaziabile passione dell'avarizia: nel riporre entro il suo forziere i diamanti recatigli da Gian-Luigi e i gioielli del signor X, dopo essersi chiuso ben bene a chiave nella sua camera, si compiacque a vagheggiare imucchi d'oro lucente monetato che dormiva serrato in sacchetti a tiro della sua mano.Un sorriso di trionfante soddisfazione veniva alle labbra anche a lui, nel rivedere e ricorrere le sue ricchezze; ma tratto tratto una stretta del malanno che si veniva preparando nel suo organismo lo faceva star lì, gli mandava una rapida vicenda di caldo e di gelo per tutto il corpo, gl'impediva il rifiato e gli copriva d'una pallidezza cadaverica le guancie. E' si appoggiava con una mano allo scrigno aperto, coll'altra si premeva il cuore che o sospendeva o raddoppiava il battito, e lasciava svanire la vampa non senza un vivo sgomento nell'animo pauroso e codardo.— Davvero che ci ho qualche cosa che non ho avuto mai: diceva egli a sè stesso. Il dottor Quercia ha ragione, e farei molto bene a dargli retta.... Salassi e sanguette no: codesto costa subito un occhio della testa; ci vogliono chirurgo, flebotomo e che so io..... E poi quanto tempo mi ruba, condannandomi ad ammuffire in letto! No, no, non se ne fa nulla; ma quella medicina che mi ha scritto il dottore?.... Se non costasse di molto.... Potrei provarla; tanto più che la non mi toglie ai miei affari; ma quei maledetti speziali fanno pagare così caro le loro droghe!.... E poi; che abbia proprio da diventare malato, io che sono sempre stato bene?.... Non mi sento più così forte e robusto come un tempo, è naturale; ma sono ancora in buona età; vivo parcamente, non ho vizi di sorta: e perchè avrei da ammalarmi?Parve restar persuaso da queste buone ragioni che una malattia per lui era impossibile; e si mise con più alacrità a maneggiare il suo denaro.— Quest'anno i miei guadagni furono ancora maggiori degli anni scorsi, ma non sono tuttavia quello che possono essere, quello che vorrei... Ho camminato bene, sono giunto ad un bel risultamento, gli è vero: quando penso che sono venuto a Torino, or sono trent'anni, misero, scalzo, con trenta soldi in saccoccia, sapendo appena leggere, scrivere e far di conti, ed ora!....Diede un'occhiata al suo scrigno e sorrise.— Sì ora sono padrone di una bella sostanza; ma non mi basta ancora. Ci ha tuttavia di quelli che ne possedono di più di me, e vorrei essere innanzi a tutti. Ah se tutti i giorni facessi i guadagni che ho fatto questa mattina! Con cinquanta mila lire avere un valore di 200 mila!... Perchè l'ho, questo valore, l'ho nelle mani e son certo — quasi certo almeno — che non mi si toglie più. Che bravo Quercia! come il Signore mi ha favorito a voler che io conoscessi quello sciupadenari che sa così bene spennare le sue ricche amanti... a mio profitto! Mai più, mai più egli avrà cinquanta mila lire da restituirmi alla ventura settimana; e se la famiglia della contessa vorrà riavere i suoi diamanti, oh oh la discorreremo...Prese un libro di sue ragioni in cui soleva scrivere le sue partite del dare e dell'avere, e fra le somme sborsate registrò quella delle 50 mila lire date a Gian-Luigi. Nel tracciare questa cifra, pareva colpito da una nuova e bizzarra idea.— La somma di 50 mila lire, diss'egli, mi è sempre stata favorevole e di buon augurio. I miei primi guadagni che mi apersero la strada della fortuna, quali furono? Le cinquanta mila lire che mi diede quel povero Maurilio Valpetrosa per suo figlio e le altre cinquanta mila che mi diede il vecchio marchese di Baldissero per farlo scomparire; e se la mi andava bene ne avrei preso altre cinquanta mila dalla contessa di Castelletto per ritrovarlo di nuovo....A questo punto s'interruppe e diede in una scossa.— Ritrovarlo!... E se fosse ora ritrovato in quel giovane in cui s'incontrò laGattona?Appoggiò il gomito al forziere che aveva tuttavia aperto dinanzi e sostenne la fronte colla mano in una profonda meditazione.— Oibò! Diss'egli poscia crollando le spalle. Codesto è quasi impossibile. Quel bambino fu smarrito senza che mai nessuno pensasse a battezzarlo col nome di suo padre, e quanto a quel bottone di livrea che potrebbe essere stato di Stracciaferro, esso indicherebbe piuttosto che si tratta dell'altro ragazzo... E poi perchè alcun altro non potrebbe avere un simile bottone? Bisognerà che parli ancor io collaGattonaper averne il cuor netto.Fu interrotto in questi suoi pensamenti che molto lo preoccupavano da un pugno che senza riguardi e con violenza impaziente percoteva nell'uscio richiuso.— Ehi signor Nariccia; gridava traverso la porta la voce aspra di Dorotea. La viene o non viene a far colazione? È passata l'ora da più di venti minuti.— Vado, vado: rispose l'avaro affrettandosi a chiudere con ogni cura il suo forziere: e poscia, aperto l'uscio della camera, si recò nella cucina dov'egli soleva fare i suoi pasti, senz'altro bisogno di stanza apposita da pranzo.A capo d'una lunga tavola presso l'affumicata parete era posta una tovaglia che un tempo si poteva supporre essere stata bianca, ma che ora aveva un colore indefinibile, ornata di grossolani rammendamenti ed anche di qualche strappo non ancora rappezzato: sopravi erano posti un tondo della più infima maiolica sverniciato, incrinato e scrostato, una servietta del colore della tovaglia, rotolata e legata da una cordellina, una fetta larga due dita di pane da soldato, un bicchiere dal vetro opaco, una caraffa con acqua d'un vetro ugualmente sporco, una forchetta di ferro con un coltello dal manico di legno rozzo, senza vernice ed una saliera di vetro rotta da una parte.Appena vide entrare nella cucina il suo padrone,Dorotea prese in una credenza un piatto di terra grossolana, lo scoperchiò d'un altro piattello che ci stava sopra e lo pose in mezzo la tavola: era un'insalata di radiche.Nariccia sedette sopra una seggiola dal piano di legno, innanzi al desco, spiegò sulle sue ginocchia la servietta sporca, fece il segno della croce e borbottò alcune parole di preghiera, poi prese il piatto di terra, e colla forchetta si fece calare nel tondo che aveva dinanzi un poco di quelle radiche in insalata.— Mentre la mangia codesto, disse Dorotea, io le farò cuocere l'uovo.L'usuraio fece un cenno affermativo colla testa.Sul focolare, in mezzo ad un mucchietto di cenere, stavano quattro carboni accesi, con sopravi due piccoli bastoni i cui capi non si toccavano e che facevano salir su una riga sottile di fumo leggero leggero. Al di sopra pendeva per la catena un ramino con dell'acqua. Dorotea raccostò alquanto i due pezzi di legna, ci soffiò sopra e mise dentro l'acqua un uovo.Nariccia frattanto aveva ritagliato in tante liste la fetta di pan nero, e poi, preso colla forchetta un pizzico di quelle radiche, aveva provato a mangiare. Ma il boccone gli pareva insipido e sentiva una ripugnanza ad inghiottire che nulla più. Tentò ancora una volta, e poi lasciata andare la forchetta sulla tovaglia, tirò in là dinanzi a se il piatto, e disse con voce dolente e piagnolosa:— Questa roba non mi va giù. E sì che le radiche mi piacciono più d'ogni altra cosa; e mi fanno anche bene alla salute.....Sentì il rumore del soffietto, con cui Dorotea cercava di rianimare il fuoco.— Che cosa fate? Domandò egli ritrovando nuovamente di botto la voce e l'accento che gli eran soliti.— La vede bene: rispose Dorotea, senza nemmanco voltarsi; le faccio cuocere il suo uovo.— Disgraziata! Non posso trangugiare nemmanco un boccone, e voi mi sciupate la legna a farmi cuocer l'uovo! Toglietelo subito dal fuoco.— Ma ora non gli è nè cotto nè crudo, questo uovo.....— Non importa. Finirete di farlo cuocere un'altra volta e sarà buonissimo la stessa cosa..... Ma non tenete acceso un momento di più quel fuoco, oggi che la legna è così cara.La fantesca, borbottando fra i denti, fece a senno del padrone. Questi colla sua forchetta rimise nel piatto di terra le poche radiche onde s'era servito; poi s'alzò da sedere per tornare nella sua stanza; ma nel muovere il primo passo un capogiro lo assalì di nuovo, e dovette tenersi alla tavola, chè gli pareva di dover cadere.Allora tornò a ricordarsi della ricetta che gli aveva scritto il dottor Quercia.— Bisognerà proprio che mi decida a prendere quella medicina..... Purchè non costi tanto caro!... Dorotea, soggiunse ad alta voce, venite qui meco che voglio mandarvi a fare una commissione.— Eh! un momento: rispose brusco la vecchia serva: io non ho da mangiare? Mi si misura già tanto a spilluzzico questo gramo nutrimento; vorrebbe adesso addirittura che ne facessi senza?Nariccia non rispose nulla; andò verso l'uscio e quando fu per uscire si rivolse indietro a dire con tono quasi raumiliato:— Bene! Quando avrete mangiato, Dorotea, verrete di là da me... Ma guardate di non mangiar troppo di quelle radiche: le sono indigeste e vi potrebbero far male: e l'uovo lasciatelo per mio pranzo.— Sì sì, lascierò stare il suo uovo; borbottò la serva dietro l'usuraio che usciva: mangerò pan nero asciutto asciutto, che il fistolo lo colga!Nariccia era appena fuor della soglia della cucina, quando si sentì il suono del campanello dell'uscio che metteva sul pianerottolo.— Un'altra seccatura: disse col suo tono burbero la vecchia fante gettando dispettosamente sulla tavola le liste di pan nero, tagliate dal padrone, e ch'essa erasi recata in mano per mangiarsele: non mi lascieranno mai tranquilla un momento questa mattina.Ma l'avaro, voltandosi indietro a parlarle dal corridoio, disse col suo tono untuoso da impostore:— Non vi disturbate pure Dorotea. Fate in pace il vostro asciolvere, e vado io stesso a veder chi è.Dorotea riprese il suo pane, borbottando fra sè più burbera e più bisbetica che mai:— Chi è? chi è?.... Lo so già fin da prima chi è: un qualche povero diavolo che viene a farsi sgozzare qui in questa caverna d'usuraio.... Uhm! Questo vecchio senza cuore diventa ogni giorno più avaro e più tristo. Non mi pare poi d'avere un'anima tenerella, ma se non ci fossi abituata da tanto tempo, credo che ora non ci potrei resister più. Colle sue madonne, e coi suoi santi, e colle sue giaculatorie questo vecchio esoso non ha nè fede, nè legge.... È impossibile che il Signore tolleri uno scellerato che profana così il suo nome e la religione.... Ho il presentimento che qui deve precipitare qualche gran disgrazia, e che l'ha da coglierci me pure.... Ah! se non fossi così vecchia, gli è ben vero che me ne andrei lontano lontano; ma sì, dove potrei cacciarmi ora per vivere? e coi pochi salari che questo birbante mi ha sempre pagato non ho manco potuto mettere insieme quattro pochi di soldi per assicurarmi la vecchiaia. E certo se un bel giorno divento malata, o quando sarò tanto innanzi negli anni da non poter più servire, questo cane d'un impostore è capace di gettarmi fuor di casa come un cencio frusto....Intanto che Dorotea prevedeva a quel modo il tristo avvenire che l'aspettava, Nariccia, aperto colle solite precauzioni l'uscio d'entrata nell'alloggio, aveva visto che il sopravvenuto era il portinaio, ch'egli quella mattina stessa aveva fatto avvertire passasse da lui a pigliarne certi ordini. Questi ordini, che Nariccia si affrettò a dare al portinaio, uomo rozzo, d'anima come di corpo grossolano, riguardavano la povera famiglia d'Andrea e di Paolina. Il portinaio doveva salire alla soffitta da loro abitata e farsi subito pagare del dovuto affitto: se si rifiutavano di pagare, senza remissione, il portinaio doveva discendere nella strada la loro poca roba, prenderli per un braccio tutti e metterli fuori, chiudere la soffitta, recarne la chiave al padrone ed appiccare al portone da via il cartellino dell'appigionasi.— Va bene: disse il portinaio che nella bassa e crudele anima sua, degno servitore dell'usuraio, non vedeva punto la bruttezza di quest'azione spietata. Per fortuna appunto, Andrea non c'è, chè l'ho visto uscir io poc'anzi insieme con un suo compagno che è solito a ricondurlo a casa ubbriaco la sera, e molto probabilmente non tornerà più a casa fino a notte con una delle sue sbornie famose; abbiamo tutto il tempo di fare l'operazione senza impacci e resistenza, che quella miseruzza di Paolina e i suoi tisichelli di bambini non sapranno farne altra che di lagrime e di strilli. Quando Andrea torni, troverà lo sgombero compiuto e non gli resterà che stridere: chè invece s'egli fosse in casa, gnaffe! l'affare sarebbe un po' serio; ha un certo umore e certi pugni a capo di certe braccia!.....— E dunque andateci subito e sollecitate: disse Nariccia impaziente. Stamattina ci vennero delle signore in carrozza a visitare que' spiantati; certo hanno loro dato denari, e possono pagarmi..... e sarà tanto di meglio, ch'io riacquisti quel poco che mi viene, che da sì lungo tempo mi si fa aspettare, e che temevo perduto..... Che se non pagano, non si meritano sicuramente nessuna pietà..... Andate.Il portinaio, con tutta indifferenza, salì zufolando le scale e in breve tempo giunse alla porta della soffitta di Paolina.— Si può? Diss'egli rozzamente urtando col piede nelle imposte chiuse dell'uscio.— Chi è? Domandò di dentro la voce debole e quasi soffocata di Paolina.— Sono io, il portinaio.— Ah! Vi faccio aprir subito.S'udì il passo lieve d'un bambino che veniva verso la porta, e questa fu aperta dal più grandicello dei figli della misera donna.Il portinaio entrò colla sua faccia da villano che ha una gran villania da fare.Paolina giaceva in letto oppressa dal suo malanno: affannoso ne era il rifiato, profonda e dolorosa la tosse, ma pure nell'anima sua era entrata una certa dolcezza, che sembrava quasi una speranza. L'accoglimento che le era stato fatto e le dolci parole dettele in casa della buona signora Teresa l'avevano alquanto riconfortata, più ancora le avevano recato del bene la presenza nel suo tugurio di quei due angeli di carità, che erano le signorine Maria Benda e Virginia di Castelletto, i soccorsi recatile onde i bambini suoi avevano potuto aver cibo, e i denari lasciatile per cui potevasi dalla miserrima famiglia pagare l'affitto al padrone di casa ed avere ancora tanto in serbo da campar tutti per parecchi giorni.Andrea aveva inoltre rinnovate coi più solenni giuramenti le sue promesse di rammendarsi; e la sventurata Paolina aveva tuttavia la debolezza di credergli; ora, giacendo in letto, le si presentava alla mente, come possibile in un prossimo avvenire, la chimera di nuovi giorni di pace e di letizia, uguali a quelli che erano trascorsi un tempo, quando Andrea, innamorato di lei, savio e laborioso, l'avea sposata e mandava innanzi a meraviglia la fondata e crescente famigliuola. Era essa in queste dolci immagini, quando il portinaio, colla feroce commissione datagli da Nariccia, venne a battere all'uscio della soffitta.— Sora Paolina, disse di botto il portinaio, gli è il padrone che mi manda a vedere se finalmente avete preparato i denari della pigione da dargli.La povera donna si sollevò sul suo strammazzo puntando il gomito e disse con meraviglia, in cui c'era pure una tema crudele che subitamente l'assalse:— Come la pigione?.... Se mio marito è sceso giù, non è più d'un'ora, per andarla a pagare.....Il portinaio ruppe in una grossolana risata:— Sì, pagare quello lì: prima che egli faccia un miracolo simile mi cascherà il naso.— Ve lo dico in verità: insistette Paolina in cui però la paura della nuova disavventura cresceva nel cuore.— Ed io vi dico in verità ancora più vera che il padrone di casa, del vostro uomo, non ha visto manco l'ombra, e che di denari non ne ha avuto neppure un quattrino.— O mio Dio! mio Dio! Esclamò con istraziante dolore la povera donna, che incominciava ad esser chiara di un nuovo fatalissimo fallo di suo marito. Eppure mio marito ha preso seco i denari per andarlo a pagar subito, il padron di casa..... L'ho visto io..... perchè grazie alla Provvidenza ed alla carità di due brave signorine, questi denari ce li abbiamo.....— Non dubito punto che vostro marito sia uscito coi denari che dite: interruppe ruvidamente l'uomo di Nariccia; ma ciò di cui sono certo, si è che invece di soddisfare al suo debito col padrone di casa, è andato secondo il solito a consumarseli all'osteria. L'ho visto io giustamente venir fuori delportone a braccetto con quel suo ordinario compagno da bettola, quel grande, grosso, dal pelo rosso.....— Marcaccio? Pronunziò Paolina con voce che era un gemito.— Appunto! Credo bene che si chiami così.La moglie d'Andrea cadde riversa nel suo giaciglio come se fosse stata colpita al petto da un urto simile a quello che la sera innanzi nella taverna di Pelone le aveva dato la mano del marito ubbriaco; due lagrime, due sole, ma cocenti, le spuntarono nelle scarne occhiaie, e sulle labbra livide si disegnò un movimento, un tremore che quasi poteva dirsi un sogghigno, ma pieno di disperazione. Ogni accarezzata lusinga della sua fantasia, ogni illusione del suo povero cuore era di colpo distrutta! Pure, pensando ai suoi bambini e parendole troppo terribile la sorte loro e troppo ingiusta verso di essi la Provvidenza, se vero fosse ciò che paventava, la misera volle tuttavia appigliarsi ad un ultimo ramo di speranza.— Aspettate: diss'ella al portinaio: forse ho sbagliato; mio marito non avrà preso seco i denari... Forse sono ancora costì, e ve li do subito a voi medesimo.Si gettò addosso comecchessiasi la sua stracciata vestaccia e saltò giù dal letto con vivacità datale dalla passione di quel crudele momento. Corse a quel tréspolo azzoppato che serviva loro da tavolino e cercò con mano avida in una scatola senza coperchio che vi era su, entro la quale ella stessa aveva posto le monete datele dalla carità quella mattina. La scatola era vuota. Non solo mancavano i denari che si erano messi in gruppetto separato per pagare la pigione, ma erano spariti anche gli altri, mercè cui la infelice donna aveva calcolato d'avere il pane della famiglia per molti giorni.Alla debolezza di Paolina affranta di anima e di corpo, quel colpo fu troppo grave. Si abbandonò sulla più vicina seggiola, pallida come una morta, e non ebbe più forza nè di parlare, nè manco di pensare, nè di volere cosa nessuna. Un'atonia dolorosa la invase: il suo stato poteva rassomigliarsi a quello d'un caduto in acqua vorticosa, che lotta finchè gli bastan le forze contro la corrente, e poi ad un tratto sente mancarsi ogni vigore, capisce che nulla può salvarlo più, chiude gli occhi e s'abbandona al suo destino.— Ah ah! diceva con sciocco e crudele trionfo il portinaio. Voi vedete se c'era da credere che Andrea lasciasse manco la croce d'un centesimo. E' vi ha fatto unrepulisticompleto. Eh! lo conosco per bene io, quel buon soggetto. Avesse delle migliaia di lire, che è capace di fonder tutto alle carte e bevazzando qui da compare Pelone. Dunque non c'è più caso di star lì a fare altre considerazioni. Il padrone ve l'ha detto e ridetto che non vuole più avere dei pigionali della vostra risma. Potrebbe farvi staggire tutta questa poca roba..... ma siccome non c'è manco tanto che basti a pagar le spese di giustizia, così ve le lascia portar via, al diavolo, dove volete..... Ma vuole aver subito libera questa soffitta. Avete capito?Paolina, mezzo dissensata, sollevò la testa e guardò il portinaio con aria così smarrita che mostrava non aver ella proprio compreso.Il portinaio ripetè in tono ancora più chiaro le sue parole, e le conchiuse con una dichiarazione tanto esplicita da non lasciar più dubbio nessuno.— Io, dunque, disse, prendo questi vostri quattro stracci, ve li calo giù nel cortile, e voi fateveli portare poi dove vi piace.E siccome pose tosto mano all'opera, Paolina, per quanto offuscata dal dolore avesse la mente, dovette andar persuasa che quello non era un sogno crudele, ma una tristissima realtà.La disperazione le ridonò ancora alcun po' di vigore per rivolgere alcune preghiere al cuore indurito di quel degno agente dell'usuraio; soggiunse, Andrea sarebbe forse venuto più tardi a pagare, si aspettasse almeno un giorno o due ch'ella avesse potuto trovare un ricovero a' suoi figli. Niente affatto! Il portinaio fu inesorabile; e venti minuti dopo la poca e povera roba di quella disgraziata famiglia era giù nel cortile in un piccolo mucchio, e sopra di essa stavano accoccolati i bambini piangenti e la madre che non piangeva più, che aveva nelle membra il tremore, e negli occhi l'ardore della febbre.Sul loro capo calava la neve che seguitava sempre a fioccare.Ma non era passato molto tempo che in quel cortile, intorno alle masserizie ed alle persone della povera famiglia s'era formato un capannello, in cui le parole che suonavano nei vivaci discorsi non erano d'elogio al padrone di casa. Erano popolani abitanti di quel miserabile quartiere che imprecavano e maledivano alla barbarie di messer Nariccia e si sfogavano in minaccie contro di lui, che si sarebbero tradotte in fatti niente graziosi per esso, quando fosse comparsa a vista di quegl'indignati la faccia ipocrita di quello scellerato usuraio. Dorotea medesima corse rischio di passarla brutta, avendo voluto ficcare il naso là in mezzo, tiratavi dalla curiosità, mentre andava dallo speziale a procurarsi la medicina di cui Quercia aveva scritto la ricetta e che Nariccia s'era deciso di prendere. Le imprecazioni contro il padrone ebbero una tal recrudescenza e presero un dato momento una direzione così personale per la vecchia fantesca, ch'ella stimò bene allontanarsi più che in fretta. Ritornata a casa Dorotea raccontò a Nariccia quello che accadeva nel cortile, e l'usuraio, spaventato, non si credette sicuro se non mettevasi sotto la salvaguardia della polizia, inviò pertanto il portinaio alComando di piazza, e dueveteraninon tardarono ad arrivare perporre l'ordine in quel cortile col loro bastone e colla loro autorità.Ma che cosa fare di quella donna e di quei bambini? Il quesito sarebbe stato di ardua soluzione, se l'intromissione d'un personaggio, che al suo primo comparire si dimostrava fatto per comandare, non ci avesse provvisto. Questo personaggio era il dott. Quercia medesimo, il quale, terminata la sua segreta conferenza collaLeggera, passava di là, non a caso, ma per recarsi in quella sua casina sul viale dove l'abbiamo già accompagnato una volta, essendo quella strada la più breve per arrivarci.Gian-Luigi ordinò che la donna, in cui il male era oramai precipitato in uno stadio gravissimo, fosse trasportata all'ospedale, i bambini fossero condotti in un vicino asilo, dov'egli pagando li ottenne subito ricoverati. Quando egli aveva finito di disporre pel compimento di quest'opera buona, al mormorio lusinghiero della gente colà raccolta, un omicciattolo s'accostò pianamente al dottore, e gli disse sotto voce:— Questo fatto veramente provvidenziale darà allacoccail fabbricatore di chiavi false che ci abbisogna.Ilmedichinoriconobbe Graffigna, che s'era così bene camuffato, da sembrare affatto un'altra persona, gli fece un lieve cenno d'intelligenza e si allontanò. Graffigna disse allora a sè stesso:— Andiamo a cercare di Marcaccio e di Andrea; costui adesso non ci scapperà più di sicuro.E si diresse verso la taverna di Pelone. Vedremo più tardi quali tristi effetti avesse sulla sorte di Andrea e su quella medesima di Nariccia la crudele determinazione di quest'ultimo, che scacciava di casa sua la donna malata e i bambini dell'artefice ferraio.

Il signor Nariccia quella mattina si sentiva male per davvero. Partitosi da lui Gian-Luigi, conchiuso l'altro contratto per cui era venuto il gioielliere X, rimasto solo, l'usuraio aveva proprio capito che ilmedichinogli aveva parlato da maledetto senno, e che la sua salute era, se non già colpita, seriamente minacciata da un grave malore. Volle riconfortarsi l'animo di quel modo con cui soleva eziandio rallegrarsi il cuore il vecchio Arom, come sogliono fare tutti questi avidamente cupidi dell'oro, posseduti dall'accanita ed implacabile ed insaziabile passione dell'avarizia: nel riporre entro il suo forziere i diamanti recatigli da Gian-Luigi e i gioielli del signor X, dopo essersi chiuso ben bene a chiave nella sua camera, si compiacque a vagheggiare imucchi d'oro lucente monetato che dormiva serrato in sacchetti a tiro della sua mano.

Un sorriso di trionfante soddisfazione veniva alle labbra anche a lui, nel rivedere e ricorrere le sue ricchezze; ma tratto tratto una stretta del malanno che si veniva preparando nel suo organismo lo faceva star lì, gli mandava una rapida vicenda di caldo e di gelo per tutto il corpo, gl'impediva il rifiato e gli copriva d'una pallidezza cadaverica le guancie. E' si appoggiava con una mano allo scrigno aperto, coll'altra si premeva il cuore che o sospendeva o raddoppiava il battito, e lasciava svanire la vampa non senza un vivo sgomento nell'animo pauroso e codardo.

— Davvero che ci ho qualche cosa che non ho avuto mai: diceva egli a sè stesso. Il dottor Quercia ha ragione, e farei molto bene a dargli retta.... Salassi e sanguette no: codesto costa subito un occhio della testa; ci vogliono chirurgo, flebotomo e che so io..... E poi quanto tempo mi ruba, condannandomi ad ammuffire in letto! No, no, non se ne fa nulla; ma quella medicina che mi ha scritto il dottore?.... Se non costasse di molto.... Potrei provarla; tanto più che la non mi toglie ai miei affari; ma quei maledetti speziali fanno pagare così caro le loro droghe!.... E poi; che abbia proprio da diventare malato, io che sono sempre stato bene?.... Non mi sento più così forte e robusto come un tempo, è naturale; ma sono ancora in buona età; vivo parcamente, non ho vizi di sorta: e perchè avrei da ammalarmi?

Parve restar persuaso da queste buone ragioni che una malattia per lui era impossibile; e si mise con più alacrità a maneggiare il suo denaro.

— Quest'anno i miei guadagni furono ancora maggiori degli anni scorsi, ma non sono tuttavia quello che possono essere, quello che vorrei... Ho camminato bene, sono giunto ad un bel risultamento, gli è vero: quando penso che sono venuto a Torino, or sono trent'anni, misero, scalzo, con trenta soldi in saccoccia, sapendo appena leggere, scrivere e far di conti, ed ora!....

Diede un'occhiata al suo scrigno e sorrise.

— Sì ora sono padrone di una bella sostanza; ma non mi basta ancora. Ci ha tuttavia di quelli che ne possedono di più di me, e vorrei essere innanzi a tutti. Ah se tutti i giorni facessi i guadagni che ho fatto questa mattina! Con cinquanta mila lire avere un valore di 200 mila!... Perchè l'ho, questo valore, l'ho nelle mani e son certo — quasi certo almeno — che non mi si toglie più. Che bravo Quercia! come il Signore mi ha favorito a voler che io conoscessi quello sciupadenari che sa così bene spennare le sue ricche amanti... a mio profitto! Mai più, mai più egli avrà cinquanta mila lire da restituirmi alla ventura settimana; e se la famiglia della contessa vorrà riavere i suoi diamanti, oh oh la discorreremo...

Prese un libro di sue ragioni in cui soleva scrivere le sue partite del dare e dell'avere, e fra le somme sborsate registrò quella delle 50 mila lire date a Gian-Luigi. Nel tracciare questa cifra, pareva colpito da una nuova e bizzarra idea.

— La somma di 50 mila lire, diss'egli, mi è sempre stata favorevole e di buon augurio. I miei primi guadagni che mi apersero la strada della fortuna, quali furono? Le cinquanta mila lire che mi diede quel povero Maurilio Valpetrosa per suo figlio e le altre cinquanta mila che mi diede il vecchio marchese di Baldissero per farlo scomparire; e se la mi andava bene ne avrei preso altre cinquanta mila dalla contessa di Castelletto per ritrovarlo di nuovo....

A questo punto s'interruppe e diede in una scossa.

— Ritrovarlo!... E se fosse ora ritrovato in quel giovane in cui s'incontrò laGattona?

Appoggiò il gomito al forziere che aveva tuttavia aperto dinanzi e sostenne la fronte colla mano in una profonda meditazione.

— Oibò! Diss'egli poscia crollando le spalle. Codesto è quasi impossibile. Quel bambino fu smarrito senza che mai nessuno pensasse a battezzarlo col nome di suo padre, e quanto a quel bottone di livrea che potrebbe essere stato di Stracciaferro, esso indicherebbe piuttosto che si tratta dell'altro ragazzo... E poi perchè alcun altro non potrebbe avere un simile bottone? Bisognerà che parli ancor io collaGattonaper averne il cuor netto.

Fu interrotto in questi suoi pensamenti che molto lo preoccupavano da un pugno che senza riguardi e con violenza impaziente percoteva nell'uscio richiuso.

— Ehi signor Nariccia; gridava traverso la porta la voce aspra di Dorotea. La viene o non viene a far colazione? È passata l'ora da più di venti minuti.

— Vado, vado: rispose l'avaro affrettandosi a chiudere con ogni cura il suo forziere: e poscia, aperto l'uscio della camera, si recò nella cucina dov'egli soleva fare i suoi pasti, senz'altro bisogno di stanza apposita da pranzo.

A capo d'una lunga tavola presso l'affumicata parete era posta una tovaglia che un tempo si poteva supporre essere stata bianca, ma che ora aveva un colore indefinibile, ornata di grossolani rammendamenti ed anche di qualche strappo non ancora rappezzato: sopravi erano posti un tondo della più infima maiolica sverniciato, incrinato e scrostato, una servietta del colore della tovaglia, rotolata e legata da una cordellina, una fetta larga due dita di pane da soldato, un bicchiere dal vetro opaco, una caraffa con acqua d'un vetro ugualmente sporco, una forchetta di ferro con un coltello dal manico di legno rozzo, senza vernice ed una saliera di vetro rotta da una parte.

Appena vide entrare nella cucina il suo padrone,Dorotea prese in una credenza un piatto di terra grossolana, lo scoperchiò d'un altro piattello che ci stava sopra e lo pose in mezzo la tavola: era un'insalata di radiche.

Nariccia sedette sopra una seggiola dal piano di legno, innanzi al desco, spiegò sulle sue ginocchia la servietta sporca, fece il segno della croce e borbottò alcune parole di preghiera, poi prese il piatto di terra, e colla forchetta si fece calare nel tondo che aveva dinanzi un poco di quelle radiche in insalata.

— Mentre la mangia codesto, disse Dorotea, io le farò cuocere l'uovo.

L'usuraio fece un cenno affermativo colla testa.

Sul focolare, in mezzo ad un mucchietto di cenere, stavano quattro carboni accesi, con sopravi due piccoli bastoni i cui capi non si toccavano e che facevano salir su una riga sottile di fumo leggero leggero. Al di sopra pendeva per la catena un ramino con dell'acqua. Dorotea raccostò alquanto i due pezzi di legna, ci soffiò sopra e mise dentro l'acqua un uovo.

Nariccia frattanto aveva ritagliato in tante liste la fetta di pan nero, e poi, preso colla forchetta un pizzico di quelle radiche, aveva provato a mangiare. Ma il boccone gli pareva insipido e sentiva una ripugnanza ad inghiottire che nulla più. Tentò ancora una volta, e poi lasciata andare la forchetta sulla tovaglia, tirò in là dinanzi a se il piatto, e disse con voce dolente e piagnolosa:

— Questa roba non mi va giù. E sì che le radiche mi piacciono più d'ogni altra cosa; e mi fanno anche bene alla salute.....

Sentì il rumore del soffietto, con cui Dorotea cercava di rianimare il fuoco.

— Che cosa fate? Domandò egli ritrovando nuovamente di botto la voce e l'accento che gli eran soliti.

— La vede bene: rispose Dorotea, senza nemmanco voltarsi; le faccio cuocere il suo uovo.

— Disgraziata! Non posso trangugiare nemmanco un boccone, e voi mi sciupate la legna a farmi cuocer l'uovo! Toglietelo subito dal fuoco.

— Ma ora non gli è nè cotto nè crudo, questo uovo.....

— Non importa. Finirete di farlo cuocere un'altra volta e sarà buonissimo la stessa cosa..... Ma non tenete acceso un momento di più quel fuoco, oggi che la legna è così cara.

La fantesca, borbottando fra i denti, fece a senno del padrone. Questi colla sua forchetta rimise nel piatto di terra le poche radiche onde s'era servito; poi s'alzò da sedere per tornare nella sua stanza; ma nel muovere il primo passo un capogiro lo assalì di nuovo, e dovette tenersi alla tavola, chè gli pareva di dover cadere.

Allora tornò a ricordarsi della ricetta che gli aveva scritto il dottor Quercia.

— Bisognerà proprio che mi decida a prendere quella medicina..... Purchè non costi tanto caro!... Dorotea, soggiunse ad alta voce, venite qui meco che voglio mandarvi a fare una commissione.

— Eh! un momento: rispose brusco la vecchia serva: io non ho da mangiare? Mi si misura già tanto a spilluzzico questo gramo nutrimento; vorrebbe adesso addirittura che ne facessi senza?

Nariccia non rispose nulla; andò verso l'uscio e quando fu per uscire si rivolse indietro a dire con tono quasi raumiliato:

— Bene! Quando avrete mangiato, Dorotea, verrete di là da me... Ma guardate di non mangiar troppo di quelle radiche: le sono indigeste e vi potrebbero far male: e l'uovo lasciatelo per mio pranzo.

— Sì sì, lascierò stare il suo uovo; borbottò la serva dietro l'usuraio che usciva: mangerò pan nero asciutto asciutto, che il fistolo lo colga!

Nariccia era appena fuor della soglia della cucina, quando si sentì il suono del campanello dell'uscio che metteva sul pianerottolo.

— Un'altra seccatura: disse col suo tono burbero la vecchia fante gettando dispettosamente sulla tavola le liste di pan nero, tagliate dal padrone, e ch'essa erasi recata in mano per mangiarsele: non mi lascieranno mai tranquilla un momento questa mattina.

Ma l'avaro, voltandosi indietro a parlarle dal corridoio, disse col suo tono untuoso da impostore:

— Non vi disturbate pure Dorotea. Fate in pace il vostro asciolvere, e vado io stesso a veder chi è.

Dorotea riprese il suo pane, borbottando fra sè più burbera e più bisbetica che mai:

— Chi è? chi è?.... Lo so già fin da prima chi è: un qualche povero diavolo che viene a farsi sgozzare qui in questa caverna d'usuraio.... Uhm! Questo vecchio senza cuore diventa ogni giorno più avaro e più tristo. Non mi pare poi d'avere un'anima tenerella, ma se non ci fossi abituata da tanto tempo, credo che ora non ci potrei resister più. Colle sue madonne, e coi suoi santi, e colle sue giaculatorie questo vecchio esoso non ha nè fede, nè legge.... È impossibile che il Signore tolleri uno scellerato che profana così il suo nome e la religione.... Ho il presentimento che qui deve precipitare qualche gran disgrazia, e che l'ha da coglierci me pure.... Ah! se non fossi così vecchia, gli è ben vero che me ne andrei lontano lontano; ma sì, dove potrei cacciarmi ora per vivere? e coi pochi salari che questo birbante mi ha sempre pagato non ho manco potuto mettere insieme quattro pochi di soldi per assicurarmi la vecchiaia. E certo se un bel giorno divento malata, o quando sarò tanto innanzi negli anni da non poter più servire, questo cane d'un impostore è capace di gettarmi fuor di casa come un cencio frusto....

Intanto che Dorotea prevedeva a quel modo il tristo avvenire che l'aspettava, Nariccia, aperto colle solite precauzioni l'uscio d'entrata nell'alloggio, aveva visto che il sopravvenuto era il portinaio, ch'egli quella mattina stessa aveva fatto avvertire passasse da lui a pigliarne certi ordini. Questi ordini, che Nariccia si affrettò a dare al portinaio, uomo rozzo, d'anima come di corpo grossolano, riguardavano la povera famiglia d'Andrea e di Paolina. Il portinaio doveva salire alla soffitta da loro abitata e farsi subito pagare del dovuto affitto: se si rifiutavano di pagare, senza remissione, il portinaio doveva discendere nella strada la loro poca roba, prenderli per un braccio tutti e metterli fuori, chiudere la soffitta, recarne la chiave al padrone ed appiccare al portone da via il cartellino dell'appigionasi.

— Va bene: disse il portinaio che nella bassa e crudele anima sua, degno servitore dell'usuraio, non vedeva punto la bruttezza di quest'azione spietata. Per fortuna appunto, Andrea non c'è, chè l'ho visto uscir io poc'anzi insieme con un suo compagno che è solito a ricondurlo a casa ubbriaco la sera, e molto probabilmente non tornerà più a casa fino a notte con una delle sue sbornie famose; abbiamo tutto il tempo di fare l'operazione senza impacci e resistenza, che quella miseruzza di Paolina e i suoi tisichelli di bambini non sapranno farne altra che di lagrime e di strilli. Quando Andrea torni, troverà lo sgombero compiuto e non gli resterà che stridere: chè invece s'egli fosse in casa, gnaffe! l'affare sarebbe un po' serio; ha un certo umore e certi pugni a capo di certe braccia!.....

— E dunque andateci subito e sollecitate: disse Nariccia impaziente. Stamattina ci vennero delle signore in carrozza a visitare que' spiantati; certo hanno loro dato denari, e possono pagarmi..... e sarà tanto di meglio, ch'io riacquisti quel poco che mi viene, che da sì lungo tempo mi si fa aspettare, e che temevo perduto..... Che se non pagano, non si meritano sicuramente nessuna pietà..... Andate.

Il portinaio, con tutta indifferenza, salì zufolando le scale e in breve tempo giunse alla porta della soffitta di Paolina.

— Si può? Diss'egli rozzamente urtando col piede nelle imposte chiuse dell'uscio.

— Chi è? Domandò di dentro la voce debole e quasi soffocata di Paolina.

— Sono io, il portinaio.

— Ah! Vi faccio aprir subito.

S'udì il passo lieve d'un bambino che veniva verso la porta, e questa fu aperta dal più grandicello dei figli della misera donna.

Il portinaio entrò colla sua faccia da villano che ha una gran villania da fare.

Paolina giaceva in letto oppressa dal suo malanno: affannoso ne era il rifiato, profonda e dolorosa la tosse, ma pure nell'anima sua era entrata una certa dolcezza, che sembrava quasi una speranza. L'accoglimento che le era stato fatto e le dolci parole dettele in casa della buona signora Teresa l'avevano alquanto riconfortata, più ancora le avevano recato del bene la presenza nel suo tugurio di quei due angeli di carità, che erano le signorine Maria Benda e Virginia di Castelletto, i soccorsi recatile onde i bambini suoi avevano potuto aver cibo, e i denari lasciatile per cui potevasi dalla miserrima famiglia pagare l'affitto al padrone di casa ed avere ancora tanto in serbo da campar tutti per parecchi giorni.

Andrea aveva inoltre rinnovate coi più solenni giuramenti le sue promesse di rammendarsi; e la sventurata Paolina aveva tuttavia la debolezza di credergli; ora, giacendo in letto, le si presentava alla mente, come possibile in un prossimo avvenire, la chimera di nuovi giorni di pace e di letizia, uguali a quelli che erano trascorsi un tempo, quando Andrea, innamorato di lei, savio e laborioso, l'avea sposata e mandava innanzi a meraviglia la fondata e crescente famigliuola. Era essa in queste dolci immagini, quando il portinaio, colla feroce commissione datagli da Nariccia, venne a battere all'uscio della soffitta.

— Sora Paolina, disse di botto il portinaio, gli è il padrone che mi manda a vedere se finalmente avete preparato i denari della pigione da dargli.

La povera donna si sollevò sul suo strammazzo puntando il gomito e disse con meraviglia, in cui c'era pure una tema crudele che subitamente l'assalse:

— Come la pigione?.... Se mio marito è sceso giù, non è più d'un'ora, per andarla a pagare.....

Il portinaio ruppe in una grossolana risata:

— Sì, pagare quello lì: prima che egli faccia un miracolo simile mi cascherà il naso.

— Ve lo dico in verità: insistette Paolina in cui però la paura della nuova disavventura cresceva nel cuore.

— Ed io vi dico in verità ancora più vera che il padrone di casa, del vostro uomo, non ha visto manco l'ombra, e che di denari non ne ha avuto neppure un quattrino.

— O mio Dio! mio Dio! Esclamò con istraziante dolore la povera donna, che incominciava ad esser chiara di un nuovo fatalissimo fallo di suo marito. Eppure mio marito ha preso seco i denari per andarlo a pagar subito, il padron di casa..... L'ho visto io..... perchè grazie alla Provvidenza ed alla carità di due brave signorine, questi denari ce li abbiamo.....

— Non dubito punto che vostro marito sia uscito coi denari che dite: interruppe ruvidamente l'uomo di Nariccia; ma ciò di cui sono certo, si è che invece di soddisfare al suo debito col padrone di casa, è andato secondo il solito a consumarseli all'osteria. L'ho visto io giustamente venir fuori delportone a braccetto con quel suo ordinario compagno da bettola, quel grande, grosso, dal pelo rosso.....

— Marcaccio? Pronunziò Paolina con voce che era un gemito.

— Appunto! Credo bene che si chiami così.

La moglie d'Andrea cadde riversa nel suo giaciglio come se fosse stata colpita al petto da un urto simile a quello che la sera innanzi nella taverna di Pelone le aveva dato la mano del marito ubbriaco; due lagrime, due sole, ma cocenti, le spuntarono nelle scarne occhiaie, e sulle labbra livide si disegnò un movimento, un tremore che quasi poteva dirsi un sogghigno, ma pieno di disperazione. Ogni accarezzata lusinga della sua fantasia, ogni illusione del suo povero cuore era di colpo distrutta! Pure, pensando ai suoi bambini e parendole troppo terribile la sorte loro e troppo ingiusta verso di essi la Provvidenza, se vero fosse ciò che paventava, la misera volle tuttavia appigliarsi ad un ultimo ramo di speranza.

— Aspettate: diss'ella al portinaio: forse ho sbagliato; mio marito non avrà preso seco i denari... Forse sono ancora costì, e ve li do subito a voi medesimo.

Si gettò addosso comecchessiasi la sua stracciata vestaccia e saltò giù dal letto con vivacità datale dalla passione di quel crudele momento. Corse a quel tréspolo azzoppato che serviva loro da tavolino e cercò con mano avida in una scatola senza coperchio che vi era su, entro la quale ella stessa aveva posto le monete datele dalla carità quella mattina. La scatola era vuota. Non solo mancavano i denari che si erano messi in gruppetto separato per pagare la pigione, ma erano spariti anche gli altri, mercè cui la infelice donna aveva calcolato d'avere il pane della famiglia per molti giorni.

Alla debolezza di Paolina affranta di anima e di corpo, quel colpo fu troppo grave. Si abbandonò sulla più vicina seggiola, pallida come una morta, e non ebbe più forza nè di parlare, nè manco di pensare, nè di volere cosa nessuna. Un'atonia dolorosa la invase: il suo stato poteva rassomigliarsi a quello d'un caduto in acqua vorticosa, che lotta finchè gli bastan le forze contro la corrente, e poi ad un tratto sente mancarsi ogni vigore, capisce che nulla può salvarlo più, chiude gli occhi e s'abbandona al suo destino.

— Ah ah! diceva con sciocco e crudele trionfo il portinaio. Voi vedete se c'era da credere che Andrea lasciasse manco la croce d'un centesimo. E' vi ha fatto unrepulisticompleto. Eh! lo conosco per bene io, quel buon soggetto. Avesse delle migliaia di lire, che è capace di fonder tutto alle carte e bevazzando qui da compare Pelone. Dunque non c'è più caso di star lì a fare altre considerazioni. Il padrone ve l'ha detto e ridetto che non vuole più avere dei pigionali della vostra risma. Potrebbe farvi staggire tutta questa poca roba..... ma siccome non c'è manco tanto che basti a pagar le spese di giustizia, così ve le lascia portar via, al diavolo, dove volete..... Ma vuole aver subito libera questa soffitta. Avete capito?

Paolina, mezzo dissensata, sollevò la testa e guardò il portinaio con aria così smarrita che mostrava non aver ella proprio compreso.

Il portinaio ripetè in tono ancora più chiaro le sue parole, e le conchiuse con una dichiarazione tanto esplicita da non lasciar più dubbio nessuno.

— Io, dunque, disse, prendo questi vostri quattro stracci, ve li calo giù nel cortile, e voi fateveli portare poi dove vi piace.

E siccome pose tosto mano all'opera, Paolina, per quanto offuscata dal dolore avesse la mente, dovette andar persuasa che quello non era un sogno crudele, ma una tristissima realtà.

La disperazione le ridonò ancora alcun po' di vigore per rivolgere alcune preghiere al cuore indurito di quel degno agente dell'usuraio; soggiunse, Andrea sarebbe forse venuto più tardi a pagare, si aspettasse almeno un giorno o due ch'ella avesse potuto trovare un ricovero a' suoi figli. Niente affatto! Il portinaio fu inesorabile; e venti minuti dopo la poca e povera roba di quella disgraziata famiglia era giù nel cortile in un piccolo mucchio, e sopra di essa stavano accoccolati i bambini piangenti e la madre che non piangeva più, che aveva nelle membra il tremore, e negli occhi l'ardore della febbre.

Sul loro capo calava la neve che seguitava sempre a fioccare.

Ma non era passato molto tempo che in quel cortile, intorno alle masserizie ed alle persone della povera famiglia s'era formato un capannello, in cui le parole che suonavano nei vivaci discorsi non erano d'elogio al padrone di casa. Erano popolani abitanti di quel miserabile quartiere che imprecavano e maledivano alla barbarie di messer Nariccia e si sfogavano in minaccie contro di lui, che si sarebbero tradotte in fatti niente graziosi per esso, quando fosse comparsa a vista di quegl'indignati la faccia ipocrita di quello scellerato usuraio. Dorotea medesima corse rischio di passarla brutta, avendo voluto ficcare il naso là in mezzo, tiratavi dalla curiosità, mentre andava dallo speziale a procurarsi la medicina di cui Quercia aveva scritto la ricetta e che Nariccia s'era deciso di prendere. Le imprecazioni contro il padrone ebbero una tal recrudescenza e presero un dato momento una direzione così personale per la vecchia fantesca, ch'ella stimò bene allontanarsi più che in fretta. Ritornata a casa Dorotea raccontò a Nariccia quello che accadeva nel cortile, e l'usuraio, spaventato, non si credette sicuro se non mettevasi sotto la salvaguardia della polizia, inviò pertanto il portinaio alComando di piazza, e dueveteraninon tardarono ad arrivare perporre l'ordine in quel cortile col loro bastone e colla loro autorità.

Ma che cosa fare di quella donna e di quei bambini? Il quesito sarebbe stato di ardua soluzione, se l'intromissione d'un personaggio, che al suo primo comparire si dimostrava fatto per comandare, non ci avesse provvisto. Questo personaggio era il dott. Quercia medesimo, il quale, terminata la sua segreta conferenza collaLeggera, passava di là, non a caso, ma per recarsi in quella sua casina sul viale dove l'abbiamo già accompagnato una volta, essendo quella strada la più breve per arrivarci.

Gian-Luigi ordinò che la donna, in cui il male era oramai precipitato in uno stadio gravissimo, fosse trasportata all'ospedale, i bambini fossero condotti in un vicino asilo, dov'egli pagando li ottenne subito ricoverati. Quando egli aveva finito di disporre pel compimento di quest'opera buona, al mormorio lusinghiero della gente colà raccolta, un omicciattolo s'accostò pianamente al dottore, e gli disse sotto voce:

— Questo fatto veramente provvidenziale darà allacoccail fabbricatore di chiavi false che ci abbisogna.

Ilmedichinoriconobbe Graffigna, che s'era così bene camuffato, da sembrare affatto un'altra persona, gli fece un lieve cenno d'intelligenza e si allontanò. Graffigna disse allora a sè stesso:

— Andiamo a cercare di Marcaccio e di Andrea; costui adesso non ci scapperà più di sicuro.

E si diresse verso la taverna di Pelone. Vedremo più tardi quali tristi effetti avesse sulla sorte di Andrea e su quella medesima di Nariccia la crudele determinazione di quest'ultimo, che scacciava di casa sua la donna malata e i bambini dell'artefice ferraio.


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