TORQUATO TASSO(1544-1595).DIENRICO NENCIONI.
DI
ENRICO NENCIONI.
Vi sono due Torquati Tasso: che potrebbero dirsi i due latisofisticidi questo vecchio, e sempre nuovo, e sempre magnetico soggetto. Vi è il Tasso della leggenda romantica, quello delleVegliee della Eleonora, anzi delleEleonore, dei duelli e dei travestimenti; una specie di granmandolinistadella poesia, quale è ormai impresso nel cuore del popolo, e quale su per giù è cantato egualmente da librettisti e novellieri d'infimo ordine, e da insigni poeti come Byron, Lamartine, Espronceda, Giovanni Prati. Non parlo delTassodel Goldoni, che è una specie di farsa, nè di quello di Goethe, che non è che un prestanome, un interprete dei sentimenti dell'olimpico Goethe (Goethe Antonio), all'epoca in cui si atteggiava a impassibilità marmorea, e aveva per la sua sacra persona un veroculto di latria, e portava la propria testa come si porta il Santissimo Sacramento.
Vi è poi un altro Tasso, più di moda, scovato modernamente ed egualmentesofistico, — un Tasso affetto di monomania religiosa, di delicato ma non grande ingegno, egoista e pigolone, che ha sempre gridato per mali tollerabilissimi, che ha messo a lunga e dura prova la pazienza di quel bravo duca Alfonso, così prudente, cosìprevidente, un vero precursor di Lombroso, un frenologo da dar dei punti al professor Tamburini.
Oggi però, grazie alle pazienti indagini e agli accurati studi del Solerti e del Mazzoni, si comincia a veder più chiaro nella vita e nel carattere del Tasso, — e i loro lavori, uniti a quelli precedenti del Guasti, del D'Ovidio, del Masi, del Falorsi, dello Cherbuliez, e del Symonds, hanno messo non foss'altro un po' d'ordine in quel labirinto di enimmi e d'ipotesi che si chiamava laVita di Torquato Tasso.
Io vorrei solo, o signori, studiar oggi con voi il carattere dell'uomo nell'opera del poeta, — cercare sopratutto nellaGerusalemmeil segreto dei dolori, e la chiave della vita di questo grande e infelice italiano. Nella natura dei grandi ingegni, — quando l'ingegno non consiste esclusivamente nel meccanismo artistico, ma nella espressione sincera di certi stati dell'anima, — è tutta la storia della loro vita. LaGerusalemme, ilParadiso perduto, ilChilde-Haroldci dicono sul carattere e la vita del Tasso, di Milton, di Byron, più di cento documenti d'archivio. I fatti sono così poca cosa, se non possiamo intuire la loro origine ascosa, e afferrare il misterioso segreto dell'azione palese! Quanti documenti abbiamo su questo grande poeta diAmintae diArmida; e quanto poco sappiamo ancora di certo e di positivo!
È supremamente difficile analizzare e definire il carattere e l'ingegno di Torquato Tasso; ingegno poetico tutto sfumature e fremiti e gemiti, lirico-elegiaco, essenzialmente musicale: eppure, a momenti, grandemente, largamente, sovranamente epico. Il suo ingegno è un mistero — come i suoi amori e la sua follia! Non ci si presenta in una schietta, sana e plastica nudità , come quella dell'Ariosto, ma rassomiglia a quella bella nuotatrice che alletta i due cavalieri nel Canto XV dellaGerusalemme:
Il crin che in cima al capo avea raccoltoIn un sol nodo, immantinente sciolse,Che lunghissimo in giù cadendo e foltoD'un aureo manto i molli avori involse.
Il crin che in cima al capo avea raccoltoIn un sol nodo, immantinente sciolse,Che lunghissimo in giù cadendo e foltoD'un aureo manto i molli avori involse.
Il crin che in cima al capo avea raccolto
In un sol nodo, immantinente sciolse,
Che lunghissimo in giù cadendo e folto
D'un aureo manto i molli avori involse.
Meglio che vedere, s'intravede, si desidera, s'indovina, — è un geniosuggestivo, che respira e ci fa respirare in un'atmosfera di voluttà e di passione, di pietà religiosa e di eroismo cavalleresco. È il poeta del sentimento, — sentimento nel senso moderno, quel misto dirêverieelegiaca musicale, di cui è traccia in Virgilio, che abbondò poi nel Petrarca, e che ritroveremo trionfante in Jean-Jacques o nella numerosa sua scuola.
Basta leggere l'Amintae laGerusalemme, per accorgersi e sentire che il loro autore, nell'epoca in cui visse, era come un istrumento fatto apposta per il dolore.
Nato alla gioia, all'amore, alla poesia, a tutti i nobili e grandi ideali, sensibile, immaginoso, suscettibile, delicato e nervoso, fa pena vederlo in quell'ambiente di egoismo, di dispotismo, d'ipocrisia, — di cortigiani, di pedanti e di bigotti.... Quando vediamo piovere una grandine di sventure sopra un Dante, un Milton, un Shakespeare, un Cervantes, non ci badiamo tanto. Sappiamo che quei giganti hanno spalle da resistere, e armi da vendicarsi.... ma il povero Tasso! Ci fa l'effetto di veder picchiare un bambino.... Si direbbe una muta di mastini e di bull-dog alla caccia di un rosignolo. O amici eruditi, voi vi affannate molto a cercare le vere cause, i documenti della follia del Tasso, — e non vi accorgete che sonolegione, — e che la cosa veramente maravigliosa è che non sia impazzato prima, e che poi sia guarito.
Era così ingenuo, e primitivo, e ostinato nei suoi poetici sogni, che le lunghe e ripetute esperienze non gl'insegnarono mainulla. Solo a Sant'Onofrio, nella terribileimminenza della morte, vide, come nel bagliore di un lampo, la tragica realtà della vita. Avrebbe avuto, per difendersi dal mondo e da sè stesso, un bisogno supremo divolontà , e non seppe mai fortemente volere: fu come una piuma di cigno in balia d'un infernaleSimoun! Restò sempre un illuso, un debole, un poeticoadolescente. Pensate, per contrapposto, allascienza della vitadi Lodovico Ariosto! che abisso di differenza!...
L'anima tenera e dolorosa del Tasso contempla la natura, o meglio si abbandona subbiettivamente alle impressioni della natura: non ha la immaginazione attiva e dominatrice dell'Ariosto; ma sente anche nelle voci della natura la voce malinconica dell'umanità . È il poeta inspirato, e come inconscio, di un mondo lirico e sentimentale, che succede al mondo ariostesco delRinascimento. Quindi, paragonato all'Ariosto, ci può parere monotono. Si sono dipinti nei loro versi. L'Ariosto: “Signor, far mi convien come fa il buono — Suonator sovra il suo strumento arguto — Che spesso muta corda e varia suono — Ricercando ora il grave ora l'acuto„. E il Tasso: “In queste voci languide risuona — Un non so che di flebile e soave — Che gli occhi e lacrimare invoglia„....
L'Ariosto ègraficoe preciso, — il Tasso èsuggestivo: il primo descrive pittorescamente, il secondo musicalmente, come più tardi lo Shelley e il Lamartine. Il Tasso, come i grandi musicisti, riesce incomparabilmente superiore a tutti i poeti del suo secolo nell'esprimere il vago, l'indefinito, e l'infinito, dei grandi spettacoli della natura. I cieli, le aurore, i pleniluni, le trasparenze primaverili, le malinconie delle foreste in autunno, i grandi silenzii meridiani, sono il suo incontestato dominio.
È largo, luminoso, malinconico e solenne, come unaCampagnaromana di Claudio Lorenese. La sua Musa chiude un mondo, il mondo plastico delRinascimento, e ne apre un altro, — il mondo moderno del sentimento lirico personale, e della musica. Certe ottave di Erminia sembran preludere a certe note delFreyschütze dellaSonnambula. È il vero fratello di Palestrina e di Pergolese.
E che dire delle sue adorabili donne? Paragonate ad esse, la maggior parte delle donne dell'Ariosto sono dei bellissimi e sanissimi animali. Dico la maggior parte, — chè sarebbe ingiusto dimenticare la soavissima Fiordiligi. Ma Erminia e Sofronia e Clorinda Gildippe e Armida! Come si riconoscono tutte al sorriso triste e fatale della passione, — allo sguardo umido e voluttuoso, alla smania del sacrifizio e della morte! Non sono bel marmo pario, ma carne e sangue vivente, — anime e cuori di vere donne.
La loro forza sta nella loro debolezza — (e non accade solamente alle donne del Tasso) — alcune sono idilliche ed elegiache, come Erminia; alcune poetiche e ideali, — fiere e tenere a un tempo, — come Clorinda; altre passionate e ardenti come Armida. Armida è creazione di gran poeta. Nella maga c'è la donna, — la donna perdutamente innamorata (già tutte leinnamoratesono un po'maghe). Essa talvolta ha il grido di Saffo, di Didone, e di Fedra. “In Armida — dice il De Sanctis — si sviluppa tutto il romanzo di un amore femminile, con le sue voluttà , coi suoi ardori sensuali, con le sue furie, i suoi odii, le sue gelosie. Nessuno aveva ancora colta la donna con un'analisi così fina nell'ardenza e nella fragilità dei suoi propositi, e nelle sue contradizioni. La lingua dice: odio; e il cuore risponde: amo. La mano saetta, e il cuore maledice la mano.„ — Belle e giuste parole.
L'amore sensuale la fa delirare comeFedra: è unabella e terribile malata. È giunta a quel grado di passione che fa dimenticare ogni rispetto, ogni riguardo umano; la dignità , la coscienza, il dovere, e la vita. Sembra dire anch'essa col poeta francese:
Oh laissez-moi sans trève écouter ma blessure,Aimer mon mal, et ne vouloir que lui.
Oh laissez-moi sans trève écouter ma blessure,Aimer mon mal, et ne vouloir que lui.
Oh laissez-moi sans trève écouter ma blessure,
Aimer mon mal, et ne vouloir que lui.
Fa pena a vederla, così supplicante, quasi con l'entusiasmo dell'avvilimento, trascinarsi a' piè di Rinaldo, e piangere e pregare:
O sempre, o quando parti e quando torni,Egualmente crudele. . . . . . .Ecco l'ancella tua!— d'essa a tuo sennoDispon, gli disse; e le fia legge il cenno.
O sempre, o quando parti e quando torni,Egualmente crudele. . . . . . .Ecco l'ancella tua!— d'essa a tuo sennoDispon, gli disse; e le fia legge il cenno.
O sempre, o quando parti e quando torni,
Egualmente crudele. . . . . . .
Ecco l'ancella tua!— d'essa a tuo senno
Dispon, gli disse; e le fia legge il cenno.
La passione, questo veleno, questo filtro di Medea che consuma visibilmente, è espressa in Armida con carattere nuovo e moderno. È di una verità tale, che noi riscontriamo i suoi sentimenti, talvolta le sue stesse espressioni, nelle lettere di donnerealiche hanno patito e son morte del suo stesso male — nelle lettere di Eloisa, in quelle della Religiosa Portoghese, in quelle di Mademoiselle Lespinasse. Vi troviamo gli stessi accenti, stavo per dire gli stessi singhiozzi. Per esempio, in questo biglietto della povera Lespinasse, datato “de tous les instants de ma vie. Mon ami; ne m'aimez pas, mais souffrez que je vous aime toujours. Je souffre, je vous aime, je vous attends. Je vous aime comme il faut aimer — avec excès, avec folie, avec désespoir. Les battements de mon cœur, les pulsations de mon pouls, ma respiration, tout cela n'est plus en moi que l'effet de la passion„. È il grido di Fedra:
C'est Vénus tout entière a sa proie attachée!
C'est Vénus tout entière a sa proie attachée!
C'est Vénus tout entière a sa proie attachée!
È il grido d'Armida:
Solo ch'io segua te mi si conceda!
Solo ch'io segua te mi si conceda!
Solo ch'io segua te mi si conceda!
Questo carattere di nuovità , stavo per dire di modernismo, che distingue laGerusalemmeda tutti i poemi del secolo XVI, apparisce distintamente anche in certe situazioni, in certe pitture, in certetrovatepoetiche, talora anche in singoli versi. Vi citerò qualche esempio. Sofronia, a incoraggiare e confortare nell'imminente supplizio l'amante, gli dice:
Mira il Ciel com'è bello — e mira il SoleChe a sè par che ne inviti e ci console!
Mira il Ciel com'è bello — e mira il SoleChe a sè par che ne inviti e ci console!
Mira il Ciel com'è bello — e mira il Sole
Che a sè par che ne inviti e ci console!
E questi versi su l'infanzia e l'adolescenza di Rinaldo:
Lui nella riva d'Adige produsseA Bertoldo Sofia — Sofia la bellaA Bertoldo il possente; e pria che fusseTolto quasi il bambin dalla mammella,Matelda il volse e nutricollo e instrusseNell'arti regie, e sempre ei fu con ella;Finchèinvaghì la giovinetta menteLa tromba che s'udia dall'Oriente.
Lui nella riva d'Adige produsseA Bertoldo Sofia — Sofia la bellaA Bertoldo il possente; e pria che fusseTolto quasi il bambin dalla mammella,Matelda il volse e nutricollo e instrusseNell'arti regie, e sempre ei fu con ella;Finchèinvaghì la giovinetta menteLa tromba che s'udia dall'Oriente.
Lui nella riva d'Adige produsse
A Bertoldo Sofia — Sofia la bella
A Bertoldo il possente; e pria che fusse
Tolto quasi il bambin dalla mammella,
Matelda il volse e nutricollo e instrusse
Nell'arti regie, e sempre ei fu con ella;
Finchèinvaghì la giovinetta mente
La tromba che s'udia dall'Oriente.
La improvvisa apparizione di Clorinda! Un colpo di lancia le ha fatto balzar via di testa l'elmo,
E le chiome dorate al vento sparseGiovine donna in mezzo al campo apparse.
E le chiome dorate al vento sparseGiovine donna in mezzo al campo apparse.
E le chiome dorate al vento sparse
Giovine donna in mezzo al campo apparse.
Gli occhi della voluttuosa Armida, nella ebbrezza delle carezze; due versi maravigliosamente moderni:
Qual raggio in onda, le scintilla un risoNegli umidi occhi tremulo e lascivo.
Qual raggio in onda, le scintilla un risoNegli umidi occhi tremulo e lascivo.
Qual raggio in onda, le scintilla un riso
Negli umidi occhi tremulo e lascivo.
La innamorata Erminia, in una splendida notte, al lume della luna, contempla dall'alto il campo cristiano, ed esclama:
O belle agli occhi miei tende latine,Aura spira da voi che mi ricrea!
O belle agli occhi miei tende latine,Aura spira da voi che mi ricrea!
O belle agli occhi miei tende latine,
Aura spira da voi che mi ricrea!
E la stanza ineffabilmente tenera e molle, dolce come note di flauto, in cui è descritto il destarsi di Erminia, di prima mattina, nell'albergo pastorale:
Non si destò finchè garrir gli augelliNon sentì lieti e salutar gli albori,E mormorare il fiume e gli arboscelli,E con l'onde scherzar l'aura e co' fiori.Apre i languidi lumi, e guarda quelliAlberghi solitarii de' pastori,E parle voce udir fra l'acqua e i ramiChe ai sospiri ed al pianto la richiami.
Non si destò finchè garrir gli augelliNon sentì lieti e salutar gli albori,E mormorare il fiume e gli arboscelli,E con l'onde scherzar l'aura e co' fiori.Apre i languidi lumi, e guarda quelliAlberghi solitarii de' pastori,E parle voce udir fra l'acqua e i ramiChe ai sospiri ed al pianto la richiami.
Non si destò finchè garrir gli augelli
Non sentì lieti e salutar gli albori,
E mormorare il fiume e gli arboscelli,
E con l'onde scherzar l'aura e co' fiori.
Apre i languidi lumi, e guarda quelli
Alberghi solitarii de' pastori,
E parle voce udir fra l'acqua e i rami
Che ai sospiri ed al pianto la richiami.
Rinaldo prima di affrontar la impresa del bosco incantato, confessatosi a Pier l'Eremita, va solo, di prima mattina, sul monte Oliveto, pensoso in un pio raccoglimento. Qui abbiamo accenti, sentimenti, descrizioni che sono di un'assolutanovità nella poesia italiana del secolo XVI. Sentite.
Era nella stagion ch'anco non cedeLibero ogni confin la notte al giorno;Ma l'Orïente rosseggiar si vede,Ed anco è il ciel di qualche stella adorno:Quando ei drizzò ver l'Oliveto il piede,Con li occhi alzati contemplando intornoQuinci notturne e quindi mattutineBellezze incorruttibili e divine.. . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . .Alle più eccelse cimeAscese — e quivi, inchino e riverente,Alzò il pensier sopra ogni ciel sublime,E le luci fissò nell'Oriente.
Era nella stagion ch'anco non cedeLibero ogni confin la notte al giorno;Ma l'Orïente rosseggiar si vede,Ed anco è il ciel di qualche stella adorno:Quando ei drizzò ver l'Oliveto il piede,Con li occhi alzati contemplando intornoQuinci notturne e quindi mattutineBellezze incorruttibili e divine.. . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . .Alle più eccelse cimeAscese — e quivi, inchino e riverente,Alzò il pensier sopra ogni ciel sublime,E le luci fissò nell'Oriente.
Era nella stagion ch'anco non cede
Libero ogni confin la notte al giorno;
Ma l'Orïente rosseggiar si vede,
Ed anco è il ciel di qualche stella adorno:
Quando ei drizzò ver l'Oliveto il piede,
Con li occhi alzati contemplando intorno
Quinci notturne e quindi mattutine
Bellezze incorruttibili e divine.
. . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . .Alle più eccelse cime
Ascese — e quivi, inchino e riverente,
Alzò il pensier sopra ogni ciel sublime,
E le luci fissò nell'Oriente.
Quattro mirabili versi, di sentimento così essenzialmentecristiano, che potrebbero leggersi in Dante, ma che sarebbero impossibili nell'Ariosto e altri poeti delRinascimento.
. . . .Pregava — e gli sorgeva a fronteFatta già d'oro, la vermiglia Aurora,Che l'elmo e l'armi, e intorno a lui del monteLe verdi cime illuminando indora;E ventilar nel petto e nella fronteSentia gli spirti di piacevol ôra.. . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . .La rugiada del Ciel su le sue spoglieCade, che parean cenere al colore;E sì le asperge chè il pallor ne toglieE induce in esse un lucido candore:Tal rabbellisce le smarrite foglieAi mattutini geli arido fiore.. . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . .Il bel candor della mutata vestaEgli medesmo riguardando ammira:Poscia, verso l'antica alta forestaCon secura baldanza i passi gira.
. . . .Pregava — e gli sorgeva a fronteFatta già d'oro, la vermiglia Aurora,Che l'elmo e l'armi, e intorno a lui del monteLe verdi cime illuminando indora;E ventilar nel petto e nella fronteSentia gli spirti di piacevol ôra.. . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . .La rugiada del Ciel su le sue spoglieCade, che parean cenere al colore;E sì le asperge chè il pallor ne toglieE induce in esse un lucido candore:Tal rabbellisce le smarrite foglieAi mattutini geli arido fiore.. . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . .Il bel candor della mutata vestaEgli medesmo riguardando ammira:Poscia, verso l'antica alta forestaCon secura baldanza i passi gira.
. . . .Pregava — e gli sorgeva a fronte
Fatta già d'oro, la vermiglia Aurora,
Che l'elmo e l'armi, e intorno a lui del monte
Le verdi cime illuminando indora;
E ventilar nel petto e nella fronte
Sentia gli spirti di piacevol ôra.
. . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . .
La rugiada del Ciel su le sue spoglie
Cade, che parean cenere al colore;
E sì le asperge chè il pallor ne toglie
E induce in esse un lucido candore:
Tal rabbellisce le smarrite foglie
Ai mattutini geli arido fiore.
. . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . .
Il bel candor della mutata vesta
Egli medesmo riguardando ammira:
Poscia, verso l'antica alta foresta
Con secura baldanza i passi gira.
Il sentimento religioso e intimamente umano che compenetra tutta laGerusalemme, ha il suo punto culminante nella morte di Clorinda. Ilpathosdi quella situazione è irresistibile. L'amante che inconscio uccide la donna amata, e in quel supremo momento di conoscenza, di conversione, di perdono, di amore e di morte, la battezza con quella stessa mano che l'ha uccisa — è una delle scene più drammatiche che sia venuta in mente a un poeta. Il plastico vi è fuso col sentimentale; il realistico col soprannaturale cristiano. Alla fine siamo rapiti in un mondo che trascende l'immaginazione, e ci pare naturalissimo che
. . . . . . . .in lei conversoSembri per la pietade il Cielo e il Sole.
. . . . . . . .in lei conversoSembri per la pietade il Cielo e il Sole.
. . . . . . . .in lei converso
Sembri per la pietade il Cielo e il Sole.
E che versi meravigliosi! Ai contemporanei dovettero parere note di un altro mondo....
Poco quindi lontan, nel sen del monte,Scaturia mormorando un picciol rio.Egli v'accorse, e l'elmo empiè nel fonte.E tornò mesto al grande ufficio e pio.Tremar sentì la man, mentre la fronteNon conosciuta ancor, sciolse e scoprìo.La vide, e la conobbe; e restò senzaE voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!. . . . . . . . . . . . . . . .Mentr'egli il suon dei sacri detti sciolse,Colei di gioia trasmutossi, e rise:E in atto di morir lieto e vivace,Dir parea: S'apre il Cielo — io vado in pace.D'un bel pallore ha il bianco volto aspersoCome a gigli sarian miste vïole:E gli occhi al Cielo affisa; e in lei conversoSembra per la pietade il Cielo e il Sole:E la man nuda e fredda alzando versoIl cavaliero, in vece di parole,Gli dà pegno di pace. In questa forma,Passa la bella donna — e par che dorma.
Poco quindi lontan, nel sen del monte,Scaturia mormorando un picciol rio.Egli v'accorse, e l'elmo empiè nel fonte.E tornò mesto al grande ufficio e pio.Tremar sentì la man, mentre la fronteNon conosciuta ancor, sciolse e scoprìo.La vide, e la conobbe; e restò senzaE voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!. . . . . . . . . . . . . . . .Mentr'egli il suon dei sacri detti sciolse,Colei di gioia trasmutossi, e rise:E in atto di morir lieto e vivace,Dir parea: S'apre il Cielo — io vado in pace.D'un bel pallore ha il bianco volto aspersoCome a gigli sarian miste vïole:E gli occhi al Cielo affisa; e in lei conversoSembra per la pietade il Cielo e il Sole:E la man nuda e fredda alzando versoIl cavaliero, in vece di parole,Gli dà pegno di pace. In questa forma,Passa la bella donna — e par che dorma.
Poco quindi lontan, nel sen del monte,
Scaturia mormorando un picciol rio.
Egli v'accorse, e l'elmo empiè nel fonte.
E tornò mesto al grande ufficio e pio.
Tremar sentì la man, mentre la fronte
Non conosciuta ancor, sciolse e scoprìo.
La vide, e la conobbe; e restò senza
E voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!
. . . . . . . . . . . . . . . .
Mentr'egli il suon dei sacri detti sciolse,
Colei di gioia trasmutossi, e rise:
E in atto di morir lieto e vivace,
Dir parea: S'apre il Cielo — io vado in pace.
D'un bel pallore ha il bianco volto asperso
Come a gigli sarian miste vïole:
E gli occhi al Cielo affisa; e in lei converso
Sembra per la pietade il Cielo e il Sole:
E la man nuda e fredda alzando verso
Il cavaliero, in vece di parole,
Gli dà pegno di pace. In questa forma,
Passa la bella donna — e par che dorma.
E com'è compreso e affascinato il poeta dal suo soggetto! Come si sente che vive della vita dei suoi personaggi! All'opposto di Sakespeare, Ariosto e Goethe, che stanno al di fuori della loro opera, e foggiano le loro creazioni con mani ardenti ma con fronte tranquilla — il Tasso, come Dante e Schiller, si appassiona coi suoi cavalieri, con le sue donne. Rinaldo, Tancredi, Sveno, e anche Solimano ed Argante — Erminia, Gildippe, Clorinda ed Armida — son sangue del suo sangue, e animadella sua anima. Il De Sanctis, e altri che gli han fatto eco, osservano che il Tasso, ingegno essenzialmente lirico e melodrammatico, riesce debole nella parte epica, nei caratteri epici. A me pare che il giudizio dell'insigne critico sia per lo meno un po' troppo assoluto. E nellaGerusalemme, e nelle Liriche e nelle stesse prose, e perfino in certe lettere, il Tasso conserva un carattere diepicagravità . Talvolta è anche troppo serio e solenne. Rileggete il terribile Canto IX, e poi ditemi se Solimano non vi pare creazione epica e grande carattere! E Argante? Sarà a momenti un po' troppo selvaggio e millantatore, ma nell'ultima ora è epicamente sublime. Ricordate le malinconiche solenni parole a Tancredi, prima del duello mortale?
S'incamminano soli al luogo del combattimento. Argante è taciturno e pensoso. Tancredi gli dice:
Or qual pensier t'ha preso?Pensi ch'è giunta l'ora a te prescritta?
Or qual pensier t'ha preso?Pensi ch'è giunta l'ora a te prescritta?
Or qual pensier t'ha preso?
Pensi ch'è giunta l'ora a te prescritta?
E Argante:
Penso, rispose, alla città del regnoDi Giudea antichissima reginaChe vinta or cade; e indarno esser sostegnoIo procurai della fatal ruina!
Penso, rispose, alla città del regnoDi Giudea antichissima reginaChe vinta or cade; e indarno esser sostegnoIo procurai della fatal ruina!
Penso, rispose, alla città del regno
Di Giudea antichissima regina
Che vinta or cade; e indarno esser sostegno
Io procurai della fatal ruina!
Com'è grande, nobile, ed epico!
IlRinascimentoci stupisce per la varietà dei suoi impulsi, per la moltiplicità dei suoi intenti, per la diversità dei suoi eroi. Epoca di gioventù, di azione e di audacia. Pensate ai grandi nomi che la illustrano — e che cosa vuol dire ciascuno di questi nomi! Brunellesco e Copernico,il Magnifico e il Savonarola, Paracelso e Pico della Mirandola, Colombo e Michelangelo, Rabelais e l'Ariosto, Raffaello e il Machiavelli, Guttemberg e Leonardo da Vinci. Nel suo sforzo titanico abbracciò l'infinito nello spazio e nel tempo — completò la Terra, scuoprì il Cielo, creò le Scienze naturali, perfezionò le Arti, e morendo ci lasciò un divino dono — laMusica. Il Palestrina e il Tasso sono i due ultimi uomini delRisorgimento— e i due primi dell'Età moderna. Cantarono quando l'Italia agonizzava — e però la loro musica e la loro poesia sono così spesso bagnate di pianto. Come dal Tasso deriva tutta la letteratura lirica e personale, da Palestrina emana tutta la musica emozionante. Lo ha detto divinamente bene il più gran poeta di Francia:
Puissant Palestrina! vieux maître, vieux génie,Je vous salue ici, père de l'harmonie:Car ainsi qu'un grand fleuve où boivent les humains,Toute cette musique a coulé de vos mains!Car Gluck et Beethoven, rameaux sous qui l'on rêve.Sont nés de votre souche et faits de votre sève!Car Mozart, votre fils, a pris sur vos autelsCette novelle lyre inconnue aux mortels,Plus tremblante que l'herbe aux souffle des auroresNée au seizième siècle entre vos doigts sonores!Car, maître, c'est à vous que tous nos soupirs vontSitôt qu'une voix chante, et qu'une âme répond!
Puissant Palestrina! vieux maître, vieux génie,Je vous salue ici, père de l'harmonie:Car ainsi qu'un grand fleuve où boivent les humains,Toute cette musique a coulé de vos mains!Car Gluck et Beethoven, rameaux sous qui l'on rêve.Sont nés de votre souche et faits de votre sève!Car Mozart, votre fils, a pris sur vos autelsCette novelle lyre inconnue aux mortels,Plus tremblante que l'herbe aux souffle des auroresNée au seizième siècle entre vos doigts sonores!Car, maître, c'est à vous que tous nos soupirs vontSitôt qu'une voix chante, et qu'une âme répond!
Puissant Palestrina! vieux maître, vieux génie,
Je vous salue ici, père de l'harmonie:
Car ainsi qu'un grand fleuve où boivent les humains,
Toute cette musique a coulé de vos mains!
Car Gluck et Beethoven, rameaux sous qui l'on rêve.
Sont nés de votre souche et faits de votre sève!
Car Mozart, votre fils, a pris sur vos autels
Cette novelle lyre inconnue aux mortels,
Plus tremblante que l'herbe aux souffle des aurores
Née au seizième siècle entre vos doigts sonores!
Car, maître, c'est à vous que tous nos soupirs vont
Sitôt qu'une voix chante, et qu'une âme répond!
Che la nuova arte inaugurata dal Tasso tardasse tanto a dare degni frutti in Europa — che al Tasso tenesser dietro e trionfassero pei primi, gli imitatori ed esageratori dei suoi difetti, e allaGerusalemmesuccedesse l'Adone, non è da farne carico a lui, vero e grande poeta — nè è certo colpa del Tasso se si esagerarono anche le sue qualità e alSentimentosubentrò ilSentimentalismo, che ne è la parodia e la negazione. Se si esagerò, specialmente dalle varie scuole romantiche, nella emozione, nell'entusiasmolirico, non cessa per questo di essereinumanae ancheantiesteticala barbara teoria dell'Arte per l'arte. La decantatacalma olimpicadi alcuni poeti moderni ha dato frutti artificiali ed insipidi; nessuna opera di prim'ordine. Nella stessa opera poetica di Goethe, la parte viva e immortale è quella anteriore all'epoca in cui s'atteggiò a marmoreo Giove dell'arte. DalWallensteinaAtalanta, dal primoFaustalDon Giovanni, dalPrometeoalleContemplations, daAtta TrollagliIdilli del Re, daAurora Leighall'Anello e il Libro, dallaBasvillianaaiSepolcri, daiCantidi Burns aiCantidel Leopardi — tutte le opere che hanno segnato un avvenimento nella storia dell'arte moderna, sono calde di sentimento e di vita — la vita trasfusa loro dall'anima dell'autore!
E poi che cos'è in sostanza questa calma olimpica? Prima di tutto, come argutamente rispose un giorno Vittor Hugo, l'Olimpo è tempestoso e non calmo. — Gli olimpici infatti son passionati, battaglieri, hanno l'arco, la lancia, la clava, il fulmine.... tagliano teste, scuoiano gli audaci competitori con le loro mani immortali, si fanno trascinare dai Leopardi. L'Iliadeè un'immensa tempesta, un divino tumulto in venti canti.
Nè vi è, in realtà , artista e poeta vero che nel momento della creazione, nel momento delladivina visione interiore, per usare la bella espressione di Wordsworth, resti calmo ed indifferente. Accade allora nell'uomo come una trasformazione psichica; la mente acquista una lucidità , una rapidità di concezione fenomenale; si direbbe che il poeta sta a dettatura di un altroioche lo ispira. Ognicreazioneporta un disequilibrio, nel suo misterioso e sacro momento. L'artista gelido farà sempre cose fredde e smorte: la vita nasce dalla vita; la fiamma deriva dal calore. Se non sentite nulla, potrete fare dei versi ben torniti e pittoreschi, dellachincaglieriapoetica, che sarà di moda per qualche mese, fors'anche per qualche anno, ma cheè destinata inevitabilmente e irreparabilmente a perire. Un poeta senza cuore e tutto cervello, è un animale mostruoso — mi ricorda le oche ingrassate artificialmente.... e almeno quelle ci danno i famosipasticci.
Il predominio del sentimento sui sensi nella poesia di Torquato Tasso, la sua spiritualità , la sua malinconia, le sue mistiche aspirazioni, non si saprebbero spiegare, e ci parrebbero troppo fenomenali, nella terra e nel secolo dell'Ariosto e del Machiavelli, se un gran fatto storico contemporaneo non ce ne desse, almeno in parte, la chiave: dico il Rinascimento Cristiano, e la Riforma Cattolica, confermati poi dal Concilio di Trento. All'occhio spassionato degli stessi Protestanti, come il Macaulay — e degli stessi Razionalisti, come il Proudhon — quel gran movimento religioso ebbe immediate e durevoli conseguenze. Dalle sale del Vaticano all'ultima povera parrocchia dell'Appennino, la Riforma Cattolica fu sentita dovunque. Nella lotta terribile fra Cattolici e Protestanti, che durò tre generazioni, e nella quale fu adoprato ogni genere di armi, materiali e spirituali, ambe le parti posson ricordare grandi ingegni e grandi eroismi, grandi virtù e grandi delitti.
Il Macaulay osserva, nel suo bel saggio sul Ranke, che in cinquanta anni, a datare dal giorno in cui Martino Lutero rinunziò alla Comunione Cattolica, e bruciò la bolla di Leone innanzi alle porte di Vittemberg, il Protestantismo raggiunse il suo più alto ascendente — ma lo perdè presto, e non lo riacquistò mai. Gli è stato recentemente risposto che il Protestantismo, essendo storicamente e sostanzialmentecriticoelibero esaminatore, è in realtà in continuo progressoevoluzionario, e porta inevitabilmente al razionalismo, cioè alla negazione di ogni soprannaturale. Confessione abbastanza significante! Risposta più ingegnosa e sofistica, che convincente!Quando si oppone il Protestantismo al Cattolicismo, s'intende sempre, e così intese lord Macaulay, parlare di due Comunioni Cristiane, credenti ambedue nella stessaRivelazione. Altrimenti, si potrebbe dire che certi nostri vecchi italiani eranoLuteranicent'anni prima che nascesse Martino Lutero....
L'Italiano, per sua natura, quando non è Cattolico, è indifferente, o razionalista: e perciò la Riforma in Italia non attecchì mai, nè poteva attecchire. Chi nelRinascimentoaveva conservato la sua fede religiosa, desiderava, come il Savonarola, la riforma della morale e della disciplina; ma non già del domma e della dottrina Cattolica — mentre gli irreligiosi, come il Machiavelli, non credevano alla Chiesa, ma senza odiarla. Guardavano alla religione cattolica con occhio diartistio dipolitici.
A ogni modo, la Riforma Cattolica, nella seconda metà del secolo XVI, fu di una indiscutibile efficacia — e non vale evocare iGesuitie l'Inquisizioneper scemarne la portata e i benefizi reali. Paragonate Filippo Neri, e Carlo Borromeo, e Francesco Saverio, ai prelati e cardinali del tempo del Borgia e di Leone X, e vedrete che abisso di differenza! — IlPaganesimo, nelle idee e nella vita, ebbe allora un colpo di grazia — e fu quindi possibile la ispirazione religiosa, il raccoglimento spirituale, e l'entusiasmo lirico del Palestrina e di Torquato Tasso.
Il risveglio Cattolico mentre commoveva il cuore del Tasso, e vi confermava il sentimento religioso, già alimentato in lui dalla naturale disposizione alla malinconia, alla ipocondria, alla solitudine, colpiva in modo straordinario la sua immaginazione. LaDirezionespiritualecattolica, che ha variato sistema secondo i diversi paesi e le differenti epoche, nella seconda metà del secolo XVI fece appello sopratutto allaimmaginazione: la direzione metodica e meccanica della immaginazione, fu il gran segreto dei Gesuiti. L'idea della morte e del giudizio — l'idea dei quattronuovissimi, fu impressa come con un ferro rovente, nell'intelletto e nel cuore dei vecchi e nuovi credenti.... e, non temete — passi pure sopra un'anima umana tutto il torrente delle passioni, e tutte le lusinghe della vita mondana — nei grandi momenti, in un grande dolore, all'appressar della morte, la impressione prima ed incancellabile riapparirà . Quei gesuiti non dicevano sulle sorti umane, sull'effimero soffio della vita, sulla terribile e inevitabile imminenza della morte, nulla più e nulla meglio di quello che avevano detto san Paolo e sant'Agostino e l'Imitazione: — di quel che, dopo loro, diranno Pascal e Bossuet,PoliutoedAmleto— ma santo Ignazio ed i suoi fecero diretto e quasi esclusivo appello alla immaginazione — e un poeta nervoso, delicato, malato come Torquato Tasso, se provò in vita le intime consolazioni, e in morte le sublimi speranze della religione — patì anche degli scrupoli, delle ansie, dei terrori religiosi — e si mise nelle mani della stessaInquisizione, che ebbe più giudizio di lui, e lo rimandò benedetto e assoluto.
Il Tasso però non fu mai nè fanatico nè intollerante. Esalta i Cristiani — ma non gli ripugna attribuire e sentimenti gentili e virtù eroiche ai Musulmani stessi: testimoni Clorinda, Solimano ed Argante. Egli era, come tutti i grandi poeti, uno spirito dialettico — un conciliatore. Egli conciliava ogni antitesi, nel suo istinto divino dell'armonia. Non ha odî nè intolleranze, perchè tutto capisce e tutto comprende nel musicale suo istinto. Ripeto, è il più lirico personale e musicale ingegno del secolo XVI: e qui consiste il suo magnetismo, il suo modernismo.Ceci tuera cela. La musica uccise la plastica. La musica è nata nei due paesi dove istintivamente si canta, dov'è naturale ed ingenito il senso del ritmo — in Italia e in Germania. Religiosa, e un po' molle e voluttuosa col Palestrina al sud, è tradotta in poesia da Torquato Tasso; — religiosa, ma severa e trascendentale al nord con Sebastiano Bach, è espressa nel verso da Milton. Ma nel vecchio sud e nel giovine nord, la musica interpreta ilsentimento: in Italia, più spontanea e melodica — in Germania, più profonda ed armonica. Fra le due, l'Austria le concilia ed esprime, con Gluck e Mozart; e da allora la musica diventa cosmopolita ed universale. Come la scultura e la pittura esprimevano la forza, la euritmia, la visione netta e precisa delle forme e dei colori, nell'uomo delRinascimento; — così la musica esprime i sogni, le aspirazioni, le inquietudini, gli entusiasmi divini, e i terrori e gli abbattimenti mortali dell'uomo moderno: da Palestrina a Wagner, dal Tasso ad Enrico Heine.
La infelicità della vita del Tasso non consiste tanto negli sciagurati avvenimenti — e l'amore deluso, e gli scrupoli, e le malattie, e le ansie, e la povertà , e il carcere, e il manicomio, e le agitazioni, e le fughe, e le guerre dei cortigiani e dei pedanti.... ma è l'insiemedi tanti mali, di tanti dolori, moltiplicati, centuplicati da una squisita sensibilità , e da una irrefrenabile immaginazione. È stato scritto che i mali del Tasso furono in parte prosaici, in parte immaginari, in parte tollerabilissimi.... Prosaico o poetico, il male à egualmente sentito da chi lo soffre. Immaginari, il carcere, il manicomio, la miseria, le malattie? E poi della tollerabilità del male il solo giudice competente è colui che lo soffre — è sempre una tollerabilità relativa.
Ho conosciuto una giovinetta che iniquamente abbandonata dall'amante, disperata si gettò in Arno — ne ho conosciute di quelle che in simil caso, dopo due lacrimette, pensavan subito a trovare un successore.... Marzio l'assassino del Cenci, resistè per tre giorni alle più atroci e raffinate torture, alle prove delfuoco, dellavigilia, dellostivaletto— senza mandare un grido e senza dire una parola di confessione. Il povero Savonarola ai primi tratti di fune cadde in deliquio, e disse.... quel che gli fecero dire. Anche si è fatto colpa al povero Tasso di avere pianto sempre con vacui lamenti sulleproprie miserie, di esprimere un doloreaffatto privato.
Eh! il poveruomo, ne aveva, mi pare, abbastanza dei suoi, perchè si possa pretendere che si occupasse anche dei dolori degli altri; e cantasse imali dell'umanità , come uno Schiller o come uno Shelley!
Ma prima che egli varcasse la soglia della dolorosa vecchiezza, di mezzo alle bugiarde speranze, ai miraggi delle corone d'alloro nel trionfale Campidoglio, alle torture delle memorie, agli strazi delle malattie, la pallida messaggera gli fece cenno — il cenno terribile, al quale bisogna obbedire, e subito, o che si sia autori dellaGerusalemme, o guardiani di pecore. Ma per te, povero grande uomo, il cenno non fu terribile: la morte fu per te la grandeConsolatrice.
Era l'aprile del 1595. Torrenti di pioggia piovevan su Roma da un cielo sinistro ed apocalittico. Una carrozza saliva l'erta di Sant'Onofrio. Arrivata al convento, ne discesero il cardinale Cinzio e Torquato Tasso. I monaci si affollavano alla porta, ossequenti al Cardinale, compassionanti al poeta. Il poeta, pallido e calmo, disse loro queste poche e significanti parole: “Son venuto a morire fra voi!„
Dalla finestra delle sua camera, dalla terrazza dell'orto, stanco e morituro, ma calmo, potè contemplare la grande malinconia di Roma e del suo solenne paesaggio. Un mondo era ai suoi piedi, fragile come la nostra creta. Le rovine di tre imperi le vedeva accumulate tra i fiori e l'erbe della immortale natura — e potè acquetare i suoi dolori di un giorno, nella infinita pace del sepolcro di Roma, — Roma immensa, dalla piazza del popolo alla piramide di Capo Cestio; e il Gianicolo, e l'Esquilino, e il Palatino, e le cupole di cento chiese, e i palazzi, e gli archi e le colonne, e i giardini e le ville, e le Terme, e il Colosseo, e il Foro, e il Campidoglio, e San Pietro, e la via Flaminia, e la via Appia, e la Campagna già verde, e i monti Albani e il Soratte — e il mare vicino.
Roma è il più grande e sicuro asilo alle stanchezze dell'anima. Nelle sue divine solitudini si sono acquietati i gridi ed i gemiti dei disastri dei popoli, e delle tragedie dei re. Stuardi e Borboni, Sobiesky e Bonaparte, tutti ha accolti e pacificati la gran madre Roma. Un sentimento profondo, invincibile, della vanità delle cose umane, s'impossessa qui degli spiriti anche i più vigorosi. Infatti i delusi, i malati, le anime devastate dalla passione, adorano Roma. Essa è stata, ed è ancora (non-ostante i dadi di gesso dei suoiquartieri nuovi, e gli echi stridenti diMontecitorio) l'asilo e il conforto supremo di ogni decaduta grandezza e di ogni speranza delusa — laconsolatrix afflictorum, in tutti i tempi.
Roma, e la morte vicina, elevarono l'anima angosciata e sempre agitata del Tasso, in più spirabile aere. In quei pochi giorni, conobbe, forse per la prima volta, sè stesso e il mondo! E scrisse all'amico Antonio Costantini quella lettera calma, solenne, sublime, che non si può leggere senza viva emozione: sono le ultime parole di Torquato Tasso su questa terra.
“Che dirà il mio signor Antonio quando udirà la mortedel suo Tasso? E per mio avviso non tarderà molto la novella, perchèio mi sento alla fine della mia vita, non essendosi potuto trovar rimedio a questa mia fastidiosa indisposizione, sopravvenuta alle altre mie solite; quasi rapido torrente dal quale vedo chiaramente esser rapito. Non è più tempo ch'io parli della mia ostinata fortuna, per non dire dellaingratitudine del mondo, la quale ha pur voluto aver la vittoria dicondurmi alla sepoltura mendico; quando io pensava che quellagloria, che malgrado di chi non vuole, avrà questo secolo dai miei scritti, non fosse per lasciarmi in alcun modo senza guiderdone.
“Mi son fatto condurre in questo monastero di Sant'Onofrio, non solo perchè l'aria è lodata dai medici, più che alcuna altra parte di Roma, ma quasiper cominciare da questo luogo eminente, e con la conversazione di questi divoti padri,la mia conversazione in cielo. Pregate Iddio per me: e siate sicuro che come vi ho amato e onorato sempre nella presente vita, così farò per voi nell'altra più vera, ciò che alla non finta ma verace carità si appartiene. E alla Divina Grazia raccomando Voi e me stesso.„
Questa lettera del Tasso al Costantini e quella scritta dal Machiavelli, dalla sua villa di San Casciano, a Francesco Vettori, sono, diceva bene il Gioberti, le due lettere più significanti delCinquecento: sono come due rivelazioni dei due uomini e del loro tempo. Il Machiavelli dice nella sua lettera che “passa molte ore del giorno all'osteria, con l'oste, un beccaio, un mugnaio e due fornaciai„ — che con questi “s'ingaglioffa tutto il giorno, giocando a cricca e a tric-trac, e il più delle volte si combatte per un quattrino, e siamo sentiti gridare da San Casciano.... Così rinvoltato tra questi pidocchi, traggo il cervello di muffa, e sfogo la malignità di questa mia sorte, sendo contento che mi calpesti per questa via, per vedere se la se ne vergognasse.
“Venuta la sera, ritorno in casa, et entro nel mio scrittoio; et in su l'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali: e rivestito condecentemente entro nelle antiche corti degli antichi uomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo chesolumè mio, e che io nacqui per lui — dove io non mi vergogno parlare con loro, e domandoli della ragione delle loro azioni, e quelli per loro umanità mi rispondono: e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia, dimentico ogni affanno, non temo la povertà , non mi sbigottisce la morte:tutto mi transferisco in loro.„
Non sentite riviver qui e l'indignazione amara del Machiavelli, e l'orgoglio e la gioia dell'uomo delRinascimento, per il quale l'antichità è culto insieme e conforto? — E non avete sentito nella lettera del Tasso l'uomo del risveglio cristiano, per il quale Dio e la vita futura son due realtà , e non più vote parole — anzi, le sole e vere realtà ?...
E la notte del 25 aprile 1595 il poeta spirava a 41 anni pronunziando le sacre parole: “In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum.„ — Sì: nelle mani di Lui, di Lui solo, potè trovare riposo e pace quell'anima travagliata.... Il mondo, coi suoi delitti, le sue ingiustizie, i suoi duchi Alfonso, le sue ipocrisie, le sue compassioni spietate è per lui già sparito, svanito, come un incubo tormentoso nella luce dell'aurora.
Avete veduto la maschera in cera del Tasso nella stanza dov'egli è morto? — Quella maschera, certe stanze dellaGerusalemme, e certi frammenti delle sue lettere, ci dicon più di centodocumentisull'infelice poeta.
In quella maschera è espresso il genio, la sensibilità , il dolore, e pur troppo, anche il sinistro riflesso della follia. Povera testa sotto l'appassita corona d'alloro, povere labbra così fini, già sì eloquenti, sigillate per sempredal dito della morte! Gli occhi socchiusi non vedran più “lo dolce lume„; ma finalmente non verseranno più lacrime. La morte fu per lui una divina liberatrice.
Ma egli vive immortale nella memoria dell'umanità beneficata e consolata dal suo melodico canto: e i tiranni e i pedanti che gli amareggiaron la vita, fino a fargli perdere la ragione, se rivivono nella memoria degli uomini, è solo perchè ebbero l'onore di conoscerlo, e l'infamia di torturarlo.
Torquato Tasso inizia la serie dolorosa dei grandi ingegni torturati dal mondo e in parte da loro stessi. Il gemito lirico, il vago delle aspirazioni, il sentimento dell'infinito, il grido della passione, il ghigno del dubbio, e gli ardori dell'entusiasmo son le loro caratteristiche. Me li figuro come una sacra ecatombe intorno al povero Tasso. Il concerto dei loro lamenti riempie due secoli. Ecco Rousseau, e Senancour, e Chateaubriand e Cowper, e Burns, e Byron, e Schiller, e Platen, e Musset, e Heine, e Leopardi....
Rousseau e Byron son quelli che più mi ricordano il Tasso: in due cose specialmente: nella continua agitazione e irrequietezza della vita; e nella devozione alla donna. Di Rousseau fu detto: “Sa vie a étè toujours entro le mains des femmes„ — e di Byron fu cantato:
“E spesso i lauri delle sue ghirlandeAndâr bagnati di femmineo pianto.„
“E spesso i lauri delle sue ghirlandeAndâr bagnati di femmineo pianto.„
“E spesso i lauri delle sue ghirlande
Andâr bagnati di femmineo pianto.„
e fu anche detto argutamente: “Dipingetemi Byron, con in mano una spada e un velo di donna.„
LaNouvelle Heloïseriaprì la sorgente dell'amore nelsecolo XVIII, come laGerusalemmequella della religione nella seconda metà del secolo XVI — e però furono i due libri più popolari del loro tempo.
LaNuova Eloisafu insieme una rivelazione e una rivoluzione. Fu la risurrezione del cuore atrofizzato dai piaceri egoisti della galanteria. Che accenti ineffabili e nuovi! Unici nel 1760! Nulla di simile in Diderot, nulla in Voltaire. Fu come un flutto di tiepide acque termali dopo anni di neve: son gli accenti di un nuovo mondo, la cui eco dura con variazioni magnifiche in tutta Europa, dal Goethe al Foscolo, dal Byron a Giorgio Sand. Una scintilla elettrica percorse tutta la Francia; — fin le galanti duchesse, dal cuore inaridito e dalla immaginazione pervertita — le eroine dei più scetticisalons— ne restaron commosse, mutate. La duchessa di Luxembourg fu vista piangere.
Dalla gomorra delle infami alcove, dai faticosi piaceri deipetits soupers, Rousseau richiamò la donna alla natura, alla libertà , ed all'affetto. Egli primo rese i bambini al latte e al bacio delle madri; e ricostituì così la famiglia. Al capriccio, la fede; allafemmina, successe ladonna— e unamadama Rolandfu possibile nella terra delleLiaisons dangereuses.
Destinato a errare nella procella e a crear nel dolore come il povero Tasso, ne ebbe, come lui, la mente sconvolta.... Egli portava nel suo fatidico seno tutte le tempeste della imminente Rivoluzione, insieme alle tempeste del suo proprio cuore. Dotato di una parola di fuoco — parola unica, che agita, sorprende e comanda, fece un gran bene e un gran male; e quando cadde e tacque, parve che la Francia non avesse più nè cuore nè voce.
L'altro, Byron, è un uragano di passioni che si slancia attraverso gli ostacoli con la fulminea rapidità di un proiettile. Come nella vita dolorosa del Tasso predomina il gemito, in Byron vi è gemito e fremito — singultoe ruggito. È forse il più subbiettivo di tutti i poeti. Non intese e non rese che sè: Byron-Aroldo, Byron-Lara, Byron-Manfredo, Byron-Caino, Byron-Don Giovanni. Originale sempre, anche nelle monotone pitture delle sue tempeste interiori; misantropo e violento; poi tenero, soave, patetico, la sua poesia è una vera epopea individuale — è il dramma di un'anima. L'eloquenza di Byron, come poeta del Dolore, è la più magnifica e irresistibile che si sia mai udita.
Dipinse sè solo. E sia. Ma con che tragica grandezza, con che intensità di pittura! — la favola, gli accessorii, i personaggi secondari delManfredo, per citare un esempio, non sono certo gran cosa.... tutt'altro! Ma egli è unuomo, nella più bella e forte e nobile espressione della parola. Ha vissuto, lottato, odiato, amato, peccato, sofferto e fatto soffrire. Ha domato gli altri; e sa domare sè stesso. Si dà alla magìa, per una sublime e disperata speranza di amore, per rivederlei, per una terribile audacia satanica di ribelle — non per una curiosità d'alchimista, e per sete d'oro e di voluttà , come il vecchio dottore tedesco. Adora la natura, la solitudine e una diletta morta, amata di colpevole amore. Come uomo, come individuo è più simpatico di Fausto. Se invece di riguardar Fausto come un simbolo dello spirito umano nello spazio e nel tempo — lo consideriamo come un individuo, quale ci appare in realtà nella prima parte; se spogliamo il gran poema di tutti gli splendori del fondo, degli stupendi episodi drammatici, degli accessori lirici; se dimentichiamo per un momento la grande creazione di Mefistofele — e il gran concetto cosmico che informa tutto il poema, e le sue meraviglie di ritmo, di plastica, e di colore — e ne stacchiamo col pensiero la figura di lui, Fausto, come semplice uomo, egli non c'inspira davvero nè simpatia, nè pietà , nè ammirazione. Il suo ideale è troppo egoistico: vuole due cose sole: sapere e godere.La sua più importante azione è di sedurre una povera giovinetta, e abbandonarla, dopo averle ucciso il fratello. Ha troppe velleità di estetico e di dilettante.... e finalmente si salva, non si capisce bene il perchè, e sale gloriosamente al cielo come un San Francesco d'Assisi. Credo che due sole persone lo abbiano amato davvero — Margherita e Volfango Goethe.
Il più grande fra i poeti desolati che abbia avuto l'Italia, Giacomo Leopardi, ci torna in mente parlando di Torquato Tasso: e non per analogie di carattere o di sventura, che non ve n'è alcuna, ma per la riverenza e la vivissima simpatia che il Leopardi ebbe sempre pel Tasso. Nel suo triste soggiorno in Roma, il Leopardi era in uno stato di apatia, di glacialità assoluta: guardava alle meraviglie pagane e cristiane di Roma come insensato ed attonito. Nulla lo colpiva; era diventato di pietra. Le sue lettere da Roma potrebbero essere datate da Biella o da Avellino, sarebber le stesse. Nelle poesie, non un cenno su Roma. È strano: soprattutto se si paragona questo silenzio del Leopardi alle calde ispirazioni, agli accenti eloquenti che die' Roma a Goethe, a Byron, allo Shelley, a Chateaubriand, al Platen, al Browning, allo Story, al Carducci. Eppure una cosa — una cosa sola — colpì in Roma il Leopardi, e ne rimane sacra e toccante memoria nel suo Epistolario — la stanza e la tomba del Tasso a Sant'Onofrio. Là il suo cuore irrigidito si commosse — e il poeta di Nerina e d'Aspasias'inginocchiòepiansesu le ceneri del poeta di Erminia e di Armida.
Povero Leopardi! il più completamente e continuamente infelice di tutti i grandi infelici! Tutti gli altri ebbero qualche raro conforto. Il Tasso ebbe la religione, Rousseau, la natura, — Byron, la gloria. Ma lui! nè fede, nè amore, nè gloria, nè patria, nè gioie di famiglia, nè consolazioni di natura, nè salute, nè bellezza, nè ricchezza,nè pace. La sua filosofia è una assoluta e spaventosa condanna della Natura e della Esistenza, più, assai più di quella di Schopenhauer. Egli è il più radicalmentenichilistadi tutti i poeti d'Europa. Eppure che anima! che squisito sentire! che divina poesia! È l'Inferno cantato da un Angelo.
Spettacolo penoso, o Signori, questo sguardo retrospettivo su i dolori immeritati, o anche meritati, dei grandi scrittori infelici: penoso soprattutto nel caso del Tasso, per la debolezza e la sensibilità del paziente, e per la lunghezza e la crudeltà del martirio. Solo ci può confortare il rivolger gli occhi sui rari esempi di volontà eroica, di lotta perseverante, di rassegnazione sublime che ci presenta la storia della letteratura: — Come Cervantes, Camoens, Milton.
Il Milton fu comeancoratonella vita: e neppur le tempeste che si scatenarono sulla testa di re Lear l'avrebber smosso d'un palmo dalla via della Fede e del Dovere. La forza del suo spirito fu più forte di ogni calamità . Nè la ruina del suo partito politico e religioso, nè le beffe e le persecuzioni dei trionfanti nemici, nè l'abbandono, nè la solitudine, nè la penuria, nè le malattie, nè le sventure domestiche, nè l'ingratitudine delle figliuole, nè la suprema delle sventure — la cecità — alteraron mai il suo grande intelletto e la sua grande anima. Cieco, povero e solitario — cantò quella grande epopea sacra, che sola è degna di stare fra laCommediadi Dante e laGerusalemmedel Tasso.
Ma egli, il povero Tasso, non seppe, non potè mai, fortementevolere: quindi fu continuamente travolto in un eterno Scilla e Cariddi. E avrebbe potuto dire, anche con più ragione del Foscolo: