The Project Gutenberg eBook ofLe nostalgieThis ebook is for the use of anyone anywhere in the United States and most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this ebook or online atwww.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you will have to check the laws of the country where you are located before using this eBook.Title: Le nostalgieAuthor: Luigi GualdoRelease date: October 1, 2006 [eBook #19428]Language: ItalianCredits: Produced by Carlo Traverso, Claudio Paganelli and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images generously made available by Biblioteca Sormani - Milano)*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LE NOSTALGIE ***
This ebook is for the use of anyone anywhere in the United States and most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this ebook or online atwww.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you will have to check the laws of the country where you are located before using this eBook.
Title: Le nostalgieAuthor: Luigi GualdoRelease date: October 1, 2006 [eBook #19428]Language: ItalianCredits: Produced by Carlo Traverso, Claudio Paganelli and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images generously made available by Biblioteca Sormani - Milano)
Title: Le nostalgie
Author: Luigi Gualdo
Author: Luigi Gualdo
Release date: October 1, 2006 [eBook #19428]
Language: Italian
Credits: Produced by Carlo Traverso, Claudio Paganelli and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images generously made available by Biblioteca Sormani - Milano)
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Produced by Carlo Traverso, Claudio Paganelli and the
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1883
. . . . .
*
Invitte stanno le superne cimeAncor dal genio umano inesplorate;Noi, nell'ore moderne scolorate,Dimentichiamo i mali della vitaCercando intorno le dorate rime.
Le cerchiamo nell'anima feritaE nell'azzurra terra ove si sogna,Le cerchiamo nel ver, nella menzogna,Nella brama d'un'estasi incompita,Nel rimpianto dell'uomo, in quel che agogna.
Facciamo scaturire una fontanaDalla sabbia—e dal mal la Poesia,Poichè l'evocatrice fantasiaChe non ha culla e che non ha confine,Dovunque regna e da ogni cosa emàna.
E nel suo regno non vi son più spine,Non v'è di luce un troppo caldo raggio…Spira sempre una blanda aura di maggio,Simile a un soffio di spiaggie divineChe spande oblìo sovra il terren viaggio.
E là talor dell'immenso poemaQualche verso ne dice il rio, lo stelo;Sorge dal suolo una nota di cielo,Un lampo guizza allo sguardo abbagliatoE intravediam la verità suprema.
Nell'oscuro desir del nostro fato,Cui sol misterïoso Amore schiara,Invan cerca lo spirito assetatoIl ver celato dalla sorte avara.—E forse il nostro sogno è il meno errato.
È il metro stesso che la mente ispira,E quando in noi sentiam lo sconosciutoPoter, che tutto intorno a noi fa muto,Oh l'ascoltiam! Che forse s'ode il veroDa una corda ancor muta della Lira.
Forse nel ritmo è chiuso ogni misteroE nella Forma è la suprema legge,Forse un concerto l'universo regge,E nelle norme d'un divin pensieroOgni stella pel ritmo si sorregge.
Non sveliamo i dolor, l'ire, le piaghe,Davanti al volgo indifferente, o lietoDel duolo nostro, ignaro del segreto.Oh nol cantiamo! Chè noi siam gli eletti,I soli accolti alle lucenti plaghe.
Soli sediamo ai magici banchettiE soli entriamo per le argentee porte;Per noi le antiche dee sono risorte,Tutto miriamo sotto arcani aspetti,Cantiam la vita e scrutiamo la morte.
Intrecciamo le gemme alle ghirlande,Voghiam sul mare verso l'orizzonte,Fin lontano lasciam le nostre impronte,Carichi di tesor, di spoglie opime,L'arte seguiamo paurosa e grande!
Noi ritorniamo vêr le cose prime,Tentiam svelare ciò che in noi si muove,Le nostre gioie le troviamo doveBrillano chiare le dorate rime,Nella purezza delle forme nuove.
* *
Così, talvolta, quando il bianco foglioS'annera, e i versi sgorgali dalla penna,Vedo una fulgidaMèta e la Musa che col gesto accenna,E il cor mi batte per rinato orgoglio.
Tutto risplender parmi nella vitaD'onde la triste realtà scompare,E senza lagrime,Senza nulla svelar dell'ore amare,Seguo il sentiero che la Musa addita.
E incontro forme immateriali e pure,Ma somiglianti a note forme amate,Figure pallide,Pupille azzurre arcanamente oscureE lunghe chiome al vento abbandonate.
Le incontro per la via mesta e serenaDove il sognare sempre ne conduce,E mi sorridonoCon uno sguardo strano da sirena,In cui ritrovo pur l'antica luce.
E là tra i rivi rapidi d'argento,Nel chiarore lunar che tutto avvolge,Sull'erba morbida,Sotto alle piante che non temon vento,Involontario il canto mio si svolge.
Varia la scena, sorgon sontüoseVille di marmo in mezzo alla verdura,Dove ne olezzanoSui vecchi muri le novelle rose,E s'apre un atrio pieno di frescura.
Amo errare così per il paeseVasto del sogno ove tutto s'oblìa…Ma poi mi sveglio,La vita torna a diventar palese,E mi ritrovo sulla dura via.
E allora m'abbandona ogni fierezza,Ardua fatica è ripigliare il canto;Il verso languidoSomiglia a debil ala che si spezza,E rido amaramente del mio vanto.
E parmi allor che la vita nemicaNoi sfuggire possiam sol per brev'ora;Poichè implacabileTorna e ne schiaccia con la sua faticaE il coraggio ch'è in noi sperde e divora.
Pure i miei versi—altera illusïone—Sembravano condurmi ad una mètaLontana e fulgida…E sorge al guardo mio la visïoneChe ad ora ad ora evóca in me il poeta.
* * *
Il poeta dovria cantar l'eternaLotta dell'uom col male e col desire,L'ardua battagliaE dei sensi e del cor che ne governa,La ribellione al duolo nostro sire.
Si dovria dire il Sogno e insiem la Vita,Approfondendo il vero ed il realeAncor recondito,Poi spazïare ancor nella infinitaRegïon che attira le instancabili ale.
E il volpossente che la musa ispira,Dal seno della terra infino all'altoIgnoto verticeS'inalzerebbe in vorticosa spira,A ogni ascoso desir dando l'assalto.
Dalle grotte celate al firmamento,Dalle lagrime apparse all'imo core,Contando i battiti,Dal lamento dell'uomo a quel del vento,Dall'amor della donna a quel del fiore.
Scrutar dovremmo arditi ogni problema,Dall'eterno mister che su noi libraIl cielo limpido,Fino al basso sentire che ne scemaL'intelligenza e in noi la forza sfibra.
Se il robusto voler che l'alma elevaSentiamo sol per un fugace istante,Se manca al poveroTurbato spirto una possente leva,Al nostro core un palpito costante,
Troviamo almeno in tanto male istessoForme novelle all'arte imperitura,Cantiam l'angosciaDel morbo arcano ond'è lo spirto oppressoE i dolor vani aggiunti alla natura.
Ma celar non dobbiam la brama intensaDi purezza ch'è in noi—acre rimpianto—Nè il sogno roseoChe ognor davanti all'occhio d'uom che pensaSorge soave tormentoso incanto.
Tentiamo sviscerar dalla modernaVita febbrile un'arte ultima e nuova,D'onde gli acrissimiS'alzan profumi e dove chi s'internaL'inconscïente suo mal or ritrova.
Ma ricordiam che batte eternamenteIn petto all'uomo un immutabil core,E che negli ultimiStanchi poeti d'una smorta genteDella lira d'Orfeo l'eco non muore.
Weary to death with the long hopeless keepingThe watch for day that never morroweth.JOHN PAYNE.
*
Sopra il vasto terrazzo in marmo biancoSta, seduta la dama altera e bionda;L'atteggiamento sul sinistro fiancoRivela lassitudine profonda.
Attraverso le fronde verdeggiantiSereno è il cielo sull'immenso mare,E s'ode l'eco dei remoti cantiDe' pescator che van per l'onde amare.
Ella è vestita di velluto rossoCon ricche trine e gemme rifulgenti;Il suo corpo divin talora è scosso,Rabbrividisce… eppur son dolci i venti,
E all'azzurro lontan volge l'azzurroDe' suoi sguardi pensosi, ma l'arcanoIndistinto pensier senza susurroE senza gesto, va assai più lontano.
* *
Il suo pensier traverso il bene e il male,Or chiaro or torbido,Come nave sul mare a gonfie veleVola nel sogno verso l'ideale.
Ella ha sete e vorrìa l'assenzio e il miele,La manna e il tòssico,E sente in seno l'onda d'una bramaChe or soave diventa ed or crudele.
Ella giunge le mani e attende e chiama,Tra speme e tedio,Il presentito compimento ignotoE la gioia fatal che ha sol chi ama.
Chi ama e vive e più non sente il vuotoDell'ore rapide,E la pace che fa invocar la guerra,E l'avvenir che ognora è più remoto.
E il suo core talor tutto si serraE cessa il palpito,Ma poi torna il desir senza la spemeE le sembra esser sola sulla terra.
E mentre ignara del suo mal pur geme,La solitariaDal cielo implora i tormentosi affanni,Purchè vi sia chi con lei pianga insieme.
E che dan le dovizie a' suoi vent'anni?L'avito orgoglioE le turbe inchinate al suo passaggio?…Ella vorrebbe dispiegare i vanni
Dell'alma ardente al fulgido miraggio!—Ma resta immobile,Schiava del fato, con la testa china,Nè sa perchè tanto l'attrista il maggio;
Nè sa perchè, quando il sole declina,E malinconicaScende la sera sulle umane coseE par misterïosa la marina,
E sullo stelo languono le rose,E le mestissimeNote lontane dell'Ave MariaS'odon venire in tra le piante ombrose,
Ella sente un conforto ignoto pria,Ed una languidaPace discende sullo spirto stancoE dormire per sempre ella vorrìa,
Ma invano poi sull'inquieto fiancoSonno beneficoAttende mesta fino alla mattina.Oh! perchè abbrucia il suo guanciale, bianco
Come la neve sopra vetta alpina?E perchè pallidoOgni dì più diventa il suo bel volto,Più flessüosa par quando cammina?
E che le fa l'aureo crin discioltoAd ogni zeffiro,E che le forme pure e sculturali,Se l'occhio indarno all'orizzonte è vólto?
Se indarno sente che le batton l'ali,Se niun può leggereLe cifre arcane che il suo sen racchiude,Le aspirazioni giovani, immortali?
Tremando, con la mente ella dischiudeLa strada al torridoLontan paese ove il suo sire ha vintoLe barbare tribù feroci e nude,
E d'onde dee tornar, di gloria cinto,Al freddo abbraccioDi lei che invano egli amerìa d'amore,Mentr'ella ha il cor dal dover solo avvinto.
Ella tutto darebbe—e lo splendoreDelle sue caccie,E le sale dorate ov'ella deveSotto un sorriso ascondere il dolore,
(Mentre la luce le fa il cor più greve)E le magnificheGemme pesanti sulle bianche spalle,Pari a rugiade sparse sulla neve,
E le vesti per oro antico gialle,E pur le candideStoriche perle della sua corona,E il feudo antico e monte e piano e valle,
Per un dì sol di vita vera e buona.
* * *
Sotto il terrazzo, per l'angusta viaDalle libere frondi ottenebrata,Un giovanetto pallido s'avviaVerso la mèta della sua giornata.
La mèta incerta ov'ei sarà la sera,La borgata ove forse avrà riparo.Va col liuto ad armacollo e speraChe il castellan non gli fia troppo avaro.
La chioma bruna scende in molli anellaSul collo bianco e sul farsetto umile,Ha l'occhio grande e ner, parvenza snella,E il sorriso sul labbro giovanile,
Mentre lo sguardo è già pensoso e tristeE il magro viso è contro il mal già fieroCome di chi traverso al duol persiste.—Tal va l'ignoto e bello passaggiero.
* * * *
E andando per la strada polverosaEgli fantasticaCome si suole nell'età primieraQuando la vita appar misteriosa.
E sente in cor cantar la primavera.Stormir le foglieDella speranza in tra i fior sboccianti,E avvicendarsi un'allegrezza altera
Alla mestizia dei primieri incanti.Poichè nell'animoEi già presente le vicine lotteTra il ver crudele ed i desiri affranti.
E spesso son le note sue interrotte,Nè per l'irrompereDei singulti saprebbe una ragione…Pur piange spesso quando vien la notte,
Poi lo rinfranca ancor la visïonePiena di gloriaD'un avvenir purissimo e ridente,E sente che uscirà dalla tenzone
Incoronato da una luce ardenteE con il premio,Ignoto ancor, d'un bacio pien d'oblio,Pien di memorie celestiali spente.
Ma l'alma sua è mesta nel desìoIndescrivibile,Ed una ingenua pace ognor s'estolleInvolontaria dal suo petto a Dio.
E nelle vene il sangue gli ribolle,E qual da frecciaFerito è dal desire indefinitoDella lontana sua speranza folle.
Perchè gli diè natura il guardo arditoFatto al dominio,Pur dolce sì che fino all'alma arriva?E il portamento libero e spedito,
La mano bianca del lavoro schiva,Il volto pallidoEd i bruni capelli inanellati,La mente tanto imaginosa e viva?
Perchè il suo spirto aspira ai grandi fati,Alle battaglie,All'avventure ed ai perigli strani,Alle pene sublimi, ai dì beati?
Contento ei già vorrìa morir domaniPurchè una pioggiaD'amor sentisse scender nel suo core,E tener fra le sue due bianche mani
Potesse nella calma che in amoreSegue la torbidaDivina ebrezza che fa l'uomo alteroE gli fa rinnegare ogni dolore.
Oh! se trovasse in mezzo al suo sentieroLa mesta e giovaneCastellana sognata lungamenteNelle malsane gioie del pensiero,
Superba e di bellezza risplendente,Ma resa languidaE impietosita da un accento vero,Dal suo liuto o da un sospiro ardente,
Ei non vorrìa parlar, ma l'occhio neroA lei rivolgereSaprìa soltanto, e col ginocchio al suoloOffrirle alfine il suo core sincero.
E tutto dirìa poi con voce lenta:Il lungo attendere,L'antica speme ed il suo giovin duolo,E la brama divina che il tormenta,
E della fantasia il mesto volo,E il caldo irrompereDei desideri immensi e trionfantiDal cielo giunti in amoroso stuolo:
E tra le varie note de' suoi cantiLa dolce ed unicaNota che torna sempre inesorata,Fra l'acre gaudio dei soppressi pianti
E il balsamo dell'alma innamorata,E allor la fulgidaDama un sol bacio gli porrìa sulli occhiEd ei con l'alma lieta ed affannata
Il volto asconderìa nei suoi ginocchi.
* * * * *
Egli andrà in fondo al lungo suo sentieroSenza trovare il dolce dì sognato.Ella all'oceanoCalmo o furente volgerà l'alteroLanguido sguardo interrogando il fatoChe non si può mai compiere.
Oh! chi può dir di questi amori, ignotiL'uno all'altro qui in terra, il compimentoParadisiaco?Oh! quando fiano i lor desiri immotiE in un confuso il duplice lamentoE l'ineffabil gaudio?
Quanti tramonti ancora e quante aurore,Quanti voli da questo a quel pianeta,Oh! quanti secoliDovran fuggire pria che il dì d'amoreSorga a riunire il giovane poetaAlla sua dama pallida?
. . . . . . . . .
Spuntava il dì sereno; non aleggiava ventoSulla spiaggia che il flutto batteva molle e lento,Da breve ora soltanto s'era levato il sole.La pura aura marina, che spira fresca ed oleCon un profumo amaro, facea ondeggiar la telaD'una tenda costrutta con una vecchia vela.Non una voce. Solo come un punto in distanzaQualche barca da pesca che lentamente avanza.Ma a un tratto dalla tenda una fanciulla bionda,Bella come la Venere che sorge in mezzo all'onda,Uscì qual visïone luminosa, inattesa.Sulle spalle superbe la chioma avea distesa,Ed il vestito bianco svelava la bellezzaDelle sue forme pari alle antiche in purezza.I piedi sulla rena lasciavan delicataOrma di piante e dita che parevan di fata.Con gli occhi color d'aria dalle arcuate cigliaGuarda la giovin scena a cui ella somigliaCon una espressione di gioia giovanile.—O la freschezza lieta d'un bel giorno d'aprile!Per toccar le conchiglie s'abbassava talora,Ed una ne ammirava tutta rosea, e sonora.Si soffermò un istante, gettò uno sguardo intornoAll'orizzonte chiaro dove brillava il giorno,Formando una visiera della sua aperta palma,E poi ridente, piena d'una letizia calmaCorse nel mar, siccome da alcun desir fataleAttratta, e avviluppata da un fascino ideale.—Poi le mancò il terreno ed allungò le braccia,Le aprì, le riallungò, seguendo una sua traccia,E cominciò a nuotare con leggiadra baldanza.Già nelle prime mosse pervenne a una distanzaIncredibil dal lido—elegante e veloce.
Non si sarìa potuta richiamar con la voce.Dritto davanti a lei, rapida e risplendenteElla fendeva i flutti, e ognor magistralmenteAlzandosi e abbassandosi nel variato suo corso,Talvolta si voltava e nuotando sul dorsoGuardava il vasto cielo, e sul fianco talvoltaAl lido la dolcissima faccia tenea rivolta,Giuocando e andando sempre, come fosse rapitaDai venti—e poi talora in estasi infinitaParea dormisse, chiusi gli occhi azzurri e belli,Sparsi sul bianco viso i biondi suoi capelli.
Quest'era dall'infanzia il solo suo piacere.Sempre la si vedeva e per giornate intereCorrere verso il largo. Preferiva il mattino,L'ora in cui è deserto il lido ed il cammino.La conosceva appena un vecchio marinaro.
Al bacio sol dell'onde fremea quel corpo ignaro.
Non si potea per essa conoscer la paura.Appena circondata dall'acqua amara e pura,Era nel suo elemento; e quando poi serenaE allegra uscìa dai flutti, simile a una sirena,Il suo bel corpo bianco destava meraviglia.Pareva il mar sua culla, ella del mar la figlia;Del vasto oceano ignoto ognor sentiasi amicaEd ignorava ancora che fosse la fatica.Con le braccia sublimi qual di marmo animatoL'Ellesponto ella pure avrìa attraversatoSenza paura—ed anco senza desir d'amore!E spesso nella calma estiva e verso l'orePesanti del meriggio, scotendosi le goccie,Usciva tutta gaia, e in sulle ardenti roccieSi coricava offrendo del sole ai caldi baciLe giovanili forme innocenti e procaci.Là rimaneva a lungo placidamente, l'almaSentendosi confondere alla natura calma.L'ira degli elementi per lei era una festaE sorrideva altera in mezzo alla tempesta.Era una dolce musica per lei lo spaventosoRumoreggiar dei flutti che non hanno riposoE fra le nubi oscure il sibilar dei venti!—Ma preferìa l'arcano amor degli elementi,Il lungo bacio queto del pelago alla terraAllora che dei nembi s'è calmata la guerra,La molle ondulazione che ne viene dal largoQuando tutto s'addorme in un lento letargo,E quando, per cullarle sovra i flutti soavi,Sembra che il mar domato cerchi le grandi navi.
Quel giorno, ancor più lieta, piena di gioia puraNuotava in alto mare in fra l'onde sicura.Lontana assai da terra si soffermò un istante,Tra la spuma giocò, poi senza andar più avanteSi coricò e fu immobile—bagnando l'aureo crineNell'acqua, che la linea sì delicata e fineDel viso incorniciava di cristallo verdastro.—Nel cielo s'innalzava gloriosamente l'astroDel giorno.—Ed ella alzava al vasto firmamentoGli occhi che d'azzurro s'empiano e di contento.
Alfin si mosse.Allora provò una gran sorpresa:Un giovane mai visto, con una mano tesaDritto verso di lei nuotava ed un delfinoParea, maestoso qual era in suo cammino.
Veniva. Egli era bello al par d'un dio pagano.Veniva. Ad ogni istante era meno lontano.Avea i capelli bruni., non lunghi ed arricciati,Da gocciole lucenti coperti ed imperlati,Ed il suo viso imberbe più giovin dell'aprileEra d'una bellezza perfetta e femminile.Ei pure era sorpreso, e coi grand'occhi neriPieni di dolce ardore e languidi ed alteriLa contemplava fisso. A un tratto fu vicino.—«Io ti scorsi da lungi nel raggio mattutino.Colui che non vedevi per ammirarti accorse.Che niuno sa nuotare al par di me…»—«Io forse»E fuggì via. Ma rapido ei la raggiunse. Allora,Nuotando insieme andarono uniti per brev'ora,A forze uguali. A lei pareva fosse un giocoE quasi senza sforzo pur lo vìnceva un poco.
Ognor s'allontanavano. Ma dopo lunghi istanti,E stanca di guardare all'orizzonte avanti,Ella pur si voltò, e i loro sguardi alfineS'incontrarono. E allora le pupille divineNell'innocenza sua fissò sul nuotatoreE ingenua il contemplava e senz'alcun rossore.Essi correvan sempre; ma ecco che improvvisoUna espressione strana le si dipinse in viso.Ignota lassitudine di lei s'impadroniva,Parca che le sue mani cercassero una riva…Il giovin se ne avvide, e le pupille fisseSempre su lei: «Sei forse un poco stanca?», disse.—«Io? Giammai». Ma frattanto facevansi più lentiMentre così dicea tutti i suoi movimenti.In tutto lo splendore sul vastissimo pianoIl sole i rai possenti vibrava più lontano,E quella immensità che avean dinnanzi a loroPareva tempestata di grosse gemme d'oro,Ma a riposar lo sguardo, sovra le loro testeStendevasi tranquilla l'immensità celeste.
Senza contare il tempo andavano silenti.Ella era tutta gaia, ma già nuotava a stentiE si sentia contenta e un poco umiliata.Faceasi il respir corto e la lena affannata,Ed una man tenea sul seno palpitante,Ed egli le chiedea sommesso, ad ogni istante,S'ella era lassa, e sempre, sdegnosa e sorridente,Rispondeva di no. Eppur sensibilmenteAd ora ad or scemavano le forze sue già vinteEd avanzava solo a disperate spinte.In fin le stese il braccio ed ella affranta, mutaL'afferrò febbrilmente e già quasi svenuta.Tutta sentiasi invasa da ignoto turbamento.L'un contro l'altro stretti andavano col ventoE i corpi si toccavano splendidamente belliE l'aura alla fanciulla i dorati capelliMoveva, e li spingea in opulenta massaSulle spalle imbrunite di lui. Ell'era lassa,E di guardarlo in viso quasi più non osava…Egli con occhi languidi e ardenti contemplava.
S'allungavano forse gl'istanti all'infinito,Volavan forse l'ore?—Il tempo era smarrito.
Ell'era ognor più stanca. Il nuotator robustoLa sostenne, cingendo il suo corpo venusto,Traendola con sè. Con forza prodigiosaLa portava qual fosse una languida rosa.
Ella avea chiuso gli occhi, e quasi inconscienteIl cor di confidenza pieno ineffabilmente,Spinta da irresistibile e nuovissimo istintoLe braccia intorno al collo del giovine avea cinto.Egli mirava l'ombra che le palpebre chiuseGettavan sulle guancie di pallore suffuse,E le labbra vermiglie. E si sentìa sul pettoLe mosse di quel core a battere costretto,E per la prima volta. Ei mormorò sommesso:—«Io t'amo».Ella rispose: «Mi salva».Allor più pressoA lei cui già mancava la voce egli si steseE con le labbra ardenti le dolci labbra prese.
La fanciulla innocente serrò con infinitaTenerezza colui che le dava la vita,Colui ch'ella, già debole, chiamava salvatore.E nulla ella sapeva pur sapendo l'amore.Lo sguardo nel suo sguardo ella teneva fisso,E in estasi novella pareale in un abissoCadere lentamente, nelle brame infinite,Parean le loro bocche eternamente uniteEd era un di quei baci che finir non si ponno.Sembrava su lor scendere misterïoso sonnoE a un tempo li riempiva possanza sovrumana.Egli sentiva in sè vibrar la forza arcanaD'una felicità che non avrà più fine,Urtarsi le violenze delle gioie divine,E allor dalla sua bocca del bacio prigionieraUn mormorìo s'udì, una voce leggiera.
Gli augelli che passavano in ciel con l'ali aperteFermavansi a guardare quelle due forme incerteE sovra il dolce gruppo circoscriveano il volo.E quello che vedevano sembrava un corpo soloPien di forza e di grazia e doppio ed indiviso,Simile a visïone d'ignoto paradiso.Fu un lampo. Ma rinchiuso in la breve durataEra un eterno gaudio. Lei s'era risvegliataE le parea risorta esser già dalla morteE spinta nel mistero d'una novella sorte…E s'abbrancava al giovine e lo teneva stretto.Ma fu lui che pel primo sentì scemar nel pettoIl soffio ed il vigore… fu lui che la fortezzaAveva degli olimpici cui vinceva in bellezza.E con un lieve gemito, un rantolo d'amore,Da un'indicibil estasi suprema, da un languoreSi sentì tutto invadere soavissimo e fataleE si coprì il suo volto di pallore mortale.Ed egli sprofondava. Per un minuto ancoraElla il potè sorreggere, ma poi cedette, e alloraSempre più avvinta a lui, confusi in una speme,Unì il suo corpo al suo per rimanere insieme.—E lenta ma sicura già l'inghiottiva l'onda.—Prias'agitò una forma, indi una chioma biondaSi vide ancor confondersi col bianco della spalla;L'oro di quei capelli restò un istante a galla,Poi l'acqua lo coprì con mormorio leggiero.—Ella lo avea seguito nel sogno e nel misteroSentendo che divisi non sarìano più mai.
E più vivi ed ardenti dardeggia il sole i rai:Sovra l'immenso oceano più nulla si discerne.I flutti hanno più flebili le lamentele eterne,E par che alfin si stenda, dovunque, in ciel, sull'onda,Inalterabilmente serenità profonda.
Stanca è la terra e lasse son le cose;L'uomo è languente come la natura.Scende dal cìelo una gran pace oscura.Pendono già gli steli delle rose.
L'uomo è languente come la natura.Sorgon dall'alme le armonie nascose,Pendono già gli steli delle rose,Cessa la gioia e cede la sventura.
Sorgon nell'alme le armonie nascoseRivelatrici di vita futura…Cessa la gioia e cede la sventuraTra l'acri voluttà misterïose.
Rivelatrici di vita futuraSon le tinte fugaci e calorose;Tra l'acri voluttà misterïoseV'è un senso di speranza e di paura.
. . . . .
Rose appassite cui non rise il sole,Vergini morte senza udir paroleDolci al cor mesto lungamente attese—Bellezze altere cui mentì la vita,Cui già sfiorò la guancia impalliditaL'ala del tempo che volando offese,
Malati ingegni che non ebber lenaE che al salir del monte giunti appenaCaddero stanchi in vista della meta.Amanti orbati dalla fredda morte,Spirti legati da dure ritorte,Voi cui miseria ogni desire vieta,
O passeggieri per la vita vuota,Poeti oscuri! A voi sale la notaDel canto arcano che il mister susurra,Ed in voi soli sta l'eterno temaChe—protesta fatal, vago poema—S'erge alla sorda vasta vôlta azzurra.
Voi tutti unisce un vincolo fraterno,Intirizziti dallo stesso invernoChe congela nel cor gl'impeti veri,E fra tutti un dì voi riconoscete,Mesti assetati dalla stessa sete,Compagni di desiri e di pensieri.
Piangete tutti qualche spento amoreLa cui memoria è com'eco che muore,O qualche ingenua aspirazion che fugge;Voi nell'esilio d'una vita immotaPensate sempre ad una patria ignota,Non mai veduta, ma che il cor vi strugge.
E quei cui schiavo nella casa strettaLa via che fugge all'orizzonte alletta,Forse deluso tornerìa dal poloSe potesse partir—e intanto soffreDi non saper carpir quello che s'offreIstante d'oro ove si piglia il volo.
Invan correte il mondo e la venturaCercando nel mutar della naturaUn pascolo allo spirto irrequieto.Fuggite sempre da voi stessi invano,E qual le stelle che dal ciel lontanoLa stessa luce mandano sul lieto
O triste suolo, indifferenti e belle,Così nel cor—simili all'alte stelle—Gli stessi sensi in region remoteV'agitan sempre, e come al firmamentoL'Orsa si mostra e la luna d'argento,Stanno nell'alma vostre brame immote.
Vittime tutti d'uno stesso inganno,Nell'imo vostro cor chiuso è l'affannoChe la parola invan cerca ridire,E s'ode solo qualche flebil suono.Incompreso dai più, mentre che un tuonoSublime dorme nelle vostre lire.
La candida fanciulla ha sedici anniE non provò nè duolo ancor, nè gioia;Ignora i gaudi tristi e i dolci affanniE il disperar per fieri disinganni,
Quando sembra che il cor nel petto muoia.
Sciolti e cadenti i suoi capelli biondiSul roseo volto dai grandi occhi puri,Allor che, o sole, i vasti campi inondi,Ella si siede sotto l'alte frondi
Nei recessi al meriggio ancora oscuri.
Sulla sua via ell'ha ben lievi impronte,Il suo passato ancora non le pesa,Niun periglio ella scorge all'orizzonte,Le tempeste ella ignora, i mali e l'onte,
E non sa nè il rimpianto nè l'attesa.
La terra è allegra sotto al firmamento,È puro il giorno come il suo bel viso,Par che tutto il creato sia contento,Cantan gli augelli mentre tace il vento,
La terra rende al cielo il suo sorriso.
Fiutano i bovi l'aura profumata,Ronzan tra i rami mille alati insetti;La pianura serena, illuminata,Vive una vita intensa e più beata,
Fremono già i misterïosi affetti.
E allora in mezzo a quella pace lieta;Sotto la vasta celestiale vôlta,Lei che improvviso ignota speme asseta,In tra la gioia cósmica e segreta
Si sente triste per la prima volta.
Nel mistero del crepuscoloS'addormìa la villa e il parco.Io sognavo ai tempi rosei,E la speme moribondaCui ravviva la profondaSolitudine degli alberiAl mio cor trovava un varco.
S'era spento allor l'incendioDel tramonto all'orizzonteNelle tinte d'oro e porpora,Celestiale ed uniformeLuce blanda sulle formeSi spandeva e nello spazioCancellando l'altre impronte.
Cancellando ogni vestigioDoloroso delle lotteChe la vita sempre genera,Sul color troppo vivaceDistendendo la sua pace,E annunciandone già prossimaL'aura sacra della notte.
Si sentìa l'epitalamioIneffabil della sera,V'eran soffii e note languideChe turbavano la mente,E facevan che le spenteRose antiche rifiorisseroIn ogni anima più nera.
L'amour pleure en tout temps et triomphe en tout lieu.VICTOR HUGO
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A me, stupito, apparve un giovinettoCoronato di rose il crin ricciuto.Mi sorrise e guardò, ma stette mutoAl mio cospetto.
Pareva, fatto ver, sogno d'artistaDa ingelosir Pigmalïone o Apelle;E gli occhi suoi parean due nere stelleSenz'ombra trista.
Pieno d'incanto era il suo bel sorriso,Fatte pei baci le sue labbra rosse,Armonïose le leggiadre mosse,Fulgido il viso.
La sua tunica bianca a liste aurateLasciava nude le marmoree braccia;Sul volto suo non si vedeva tracciaD'ore passate.
Vuote le mani, senza flauto o lira,Pur silente sembrava ch'ei cantasseCon la presenza sua—e l'alme lasseTogliesse all'ira,
Alle lotte, ai dolori, ai desìr vaniCon la purezza del sereno sguardo.—E compresi ch'egli era a parlar tardoPer gaudi arcani.
Ed ei lieto tacea. Ma alfine io lessi—Interpretando l'occhio che parlavaI segreti dell'alma allegra e schiavaSul fronte impressi.
E diceva il suo sguardo: È senza inganniLa vita, e il cielo ognor ride ai mortali!Più non invidio ai cherubini l'ali:Ho diciott'anni.
Il mondo è mio, il piano e la foresta;I vezzosi giardini e i verdi colliGià mi donaron tutti i fior che volliPer farmi festa.
Mai non si stanca questo piede e varcaIl monte che conduce all'alta mèta;E non invidio alcun, prence o poeta,Dotto o monarca.
Ed ignoro le voglie ambizïose,Non mi curo d'imperio o di potenza,Sprezzo i tesori, e d'oro so far senzaPerchè ho le rose.
Parlo tacendo e regno senza spadaE rinnegar la gioia mia non voglio,Ma il segreto svelare dell'orgoglioA ogni contrada:
Sono superbo perchè sono vintoDalla fragile man d'una fanciulla;E mi tien quella man che si trastullaDi fiori avvinto.
Ella è candida e bionda, alta e sottileNella maestà delle nascenti forme,Divine son de' brevi piedi l'ormeSul suolo vile.
Lo sguardo suo celestïale è pienoDi ricordi di cielo e di speranze,E le vïole acquistano fragranzeSovra il suo seno.
E nel sentiero ombroso ed appartato,Sotto le piante antiche ed indulgenti,Passiamo uniti lungi dalle gentiA lato a lato—
Ciò diceva il suo sguardo, e lo splendoreCrescea della pupilla e del sorriso…Aprì la bocca alfine, e d'improvvisoMormorò: «Amore…»
* *
Obliai questo sogno. I giorni grigiUniformi passavan senza eventi;E stetti a lungo ascoltando i concentiDel perenne tumulto di Parigi.
Vivevo assorto tra i rumori straniDella vita febbrile affaccendata,Dimenticando l'ora, il dì, la data,Noncurante dell'oggi e del domani.
Era bel tempo—ed il cangiante smaltoDel ciel verdastro e grigio verso seraFacea parer tutta la folla neraChe passava serrata sull'«asfalto».
Un dì, seduto in mezzo al gran frastuonoDell'ampia via su cui l'ombra scendea,Sognavo senza concretar l'ideaMentre coi lumi già cresceva il suono.
Sorgevan vaghe imagini riflesseDalla svariata scena a me davanti:Studïavo la storia dei sembianti,Le intere vite in un sol gesto espresse.
E quella via era teatro e specchio.Ma a un tratto si fissò la mia attenzioneSovra d'un uom che fra tante personeUmil passava e dispregiato: un vecchio.
La barba grigia avea lunga ed incolta,E come giunto a qualche passo estremoStanchissimo pareva e quasi scemo,Qual chi non parla mai e rado ascolta.
Smorte, scarne le guancie, incerto il passo,A brandelli le vesti, e tremolantiLe magre mani, ei si fermò davantiA noi, guardando indifferente e lasso.
Lo spingeva la folla ed i monelliAl cencioso beon davan la baia,Si scostava la dama e l'ambubaia,L'insultavano i ricchi e i poverelli.
Ei non se ne accorgeva, e tra le rozzeSpinte d'ognun mangiava un po' di pane,Proprio sul passo delle cortigiane,Tra il continuo rumor delle carrozze.
Mi vide, mi fissò nel viso, e fosseCh'egli scorgesse in me pietà od ingegno,Si raddrizzò, guardò, cambiò contegno,Sorrise mestamente, e non si mosse.
Oh! qual tristezza in quello sguardo spento!Quanta miseria nell'aspetto affranto!Quanta eloquenza in quelle rughe, e quantoDolore in quella bocca senz'accento!
Vi si leggevan vergognose doglie,E forse—orrende malcelate impronteD'anni passati tra rimorsi ed onte—Ebrezze trangugiate e morte voglie.
Nella moderna ed acre poesiaDi quella strada pazza e fragorosa,Quale contrasto nella orribìl prosaDel misero che soffre e non desìa!
Tra la lotta malsana dei piaceri,In quella gara delle immonde brame,Null'altro egli sentiva che la fameE non avea ne sensi nè pensieri.
Gli diedi una moneta e domandaiPiù con lo sguardo assai che con un mottoCome si fosse in tal stato ridotto,Per qual sequela di sventure e guai.
Allor la sua pupilla ebbe un bagliore,Crollò il capo scotendo il bianco crine,E con la rauca voce disse alfineUna parola sola: «Amore, amore…»
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O felice la Grecia! SensüaleE puro insieme per la forma puraVi librava l'amor le rapid'ale.Ignorando i tormenti e la paura.
O sereno l'amor che ingenuo assale,Che Orazio canta in seno alla natura,Scandendo il verso dolce ed immortaleE bevendo il falerno fuori mura!
Il cielo sorrideva e il lieto soleIrradïava la beltà pagana,E musica sembravan le parole.
Là nel bosco s'udia passar Dïana…E Afrodite che regna dove vuoleEra indulgente per la stirpe umana.
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E nella ferrea età medioevaleDalle barbare pugne e dai portenti,Tra i fati avversi ed i furor cruenti,Crescea pallido il fior dell'ideale.
Sostenea ne' perigli e negli stentiIl giovin paggio una cura immortale;Ei tenea chiusa nel cuore lealeLa bella fede de' suoi dì ridenti.
Un sorriso bastava. Egli morivaPer la divisa sovra il brando scritta,—O se tornava alla natìa sua riva
Per più non ritrovar la derelitta,Il vecchio cavaliero ancor sen givaCon la corazza da uno stral trafitta.
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Poi divenne l'amor falso, elegante,Al dolore ribelle e insiem crudele;E se restava un core ancor fedelePareva in uggia al secolo incostante.
Il convento s'apriva a qualche amanteSconsolata, e chiudevasi.—E le veleVerso Citera vôlte al suono de leVïole seguitava il trionfante
Tragitto il bel navilio pien di suoni,Dai cordami di seta rispondentiCome corde di cetra alle canzoni.
Le donne artificiose e sorridentiScordavano le labili passioniCol core pronto ai capricciosi eventi.
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Nella vita moderna comprendiamoLa storia tutta degli amor passati.—Dal dì che ingenuamente il motto: t'amoDiciam, la prima volta innamorati,
Non sentiam solo in noi l'antico Adamo,Ma insieme al suo l'amor di tutti i vati,Il desir forte ed il languire gramoDel mesto cor, dei sensi inacerbati.
Nell'estasi più pura che levarnePuò fino al cielo, pur sentiamo invisaLa colpevol memoria della carne:
Nel loto ove sguazziamo in bassa guisaUn pensiero risorge a tormentarne,E sogniam d'Abelardo e d'Eloisa.
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Era deserto il vasto cimitero,Nella pace suprema silenzioso;Qua e là pel verde prato, maestosoS'alzava un monumento alto e severo.
E tra una fila di cipressi tristiStavan gli umili avelli al par sacrati;Molti che qui passarono obliatiAlfin dormivan là cheti e non visti.
Pendean dal tempo scolorite e storteLe antiche croci in legno nero—rotteE infracidile ognor dalle dirottePioggie inondanti il campo della morte.
Qualcuna si vedea su cui d'affettoUltimo pegno stava ancor posataUna ghirlanda misera e sfiorataChe la mestizia ne risveglia in petto.
Coperte di mal erbe e insiem d'oblioAltre vedeansi ove taceano i lai:Stavano là da niun compiante mai,Con le due nere braccia aperte a Dio.
E nel vento spirante intesi voceLugùbre e fioca da una tomba uscita:Era suon che venìa dall'altra vita:Mi piegai per udir sovra la croce.
—«O voi felici cui riscalda il sole!…Dimmi, mortal, che fate ancor tra i vivi?O voi che avete il cielo, il mare, i rivi,La terra, i fior, le piante, e le parole,
«Sospirate? Piangete ancor? Sperate?Che fate là? V'amate ognor? Gioite?Ancor chiedete al tempo le infiniteGioie fuggenti già in dolor mutate?
«Ai raggi incantatori della lunaSentite ancor le bramosìe nascose?Sonvi le selve ancor? Sonvi le roseCh'esalano l'amore ad una ad una?
«Ti parlo qui, mortal, dall'altra riva,Dalla riva ove il vero è senza velo.Mi appar chiara la terra e aperto il cielo,Benchè giaccia quaggiù di luce priva.
«Son qui da sola, in questo avel, gelataUltima stanza ove s'attende Iddio,—Verrà l'anime a scioglier dall'oblìoDell'angelo divino la chiamata?
«Ma fino allora, oh! quanto è questa cellaGelido albergo per il corpo stanco!—Rigida sta nel suo lenzuolo biancoColei che un giorno fu chiamata bella.»
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Gorgheggiavano intanto gli augellettiSmentendo tutte le tristezze umane.Splendeva il sol sulle iscrizioni vane,Sui nomi già scordati—o benedetti.
Mormoravan le piante all'aura estiva,E volsi il guardo al calmo firmamento,Limpido come il ver, pien di contento,Eterno sulla vita fuggitiva.
E dissi allor: Sognai. La tomba tace.La tomba è vuota. In tutto il cimiteroCompie natura il suo vital mistero;Sorgono fiori dal terren ferace.
È lieto il cimiter, natura è lieta,Il dolore è nell'uomo e nella vita.Il resto è pien della gioia infinita,Della gioia immortale a noi segreta,
O voce ch'io credeva udir dal suoloSorger vêr me con un mesto susurro,Piomba dall'alto invece e per l'azzurroFino quaggiù discendi ratta a volo!
Volsi lo sguardo al ciel—l'orecchio invanoTesi aspettando l'implorata voce.Scordavo il duol della vicina croce,Ma il verbo non venìa dal ciel lontano.
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Fuggiva il giorno ed io pensai: l'estateSegue la primavera e passa, e vieneIl queto autunno, e poi le sconfortate
Brume; ma pur dopo le amare peneGiungon le gioie e l'esultanze liete,Dopo le lotte son l'ore serene.
L'uomo dopo la vita avrà quieteNella luce letal crepuscolare,E dei desir più non saprà la sete.
Sì, una vita ventura che spaziareLascierà l'alma nostra alfine puraCome libero augello sovra il mare
Verrà, ma forse nella nostra oscuraMente sogniam la speme d'una vitaFulgida troppo in la sorte futura.
Dei mondi nella serie indefinitaEntro un mondo sarem di veli avvolto,E la luce sarà vaga e sbiadita.
Ne parrà forse rivedere il voltoD'alcun che amammo sulla terra vieta,Ma mestamente fia l'occhio rivolto.
Avrem raggiunto il porto, ma la mètaNe apparirà diversa e men lucenteDi quanto disse ogni miglior profeta.
Un grigio azzurro regnerà; fian spenteAllor le tinte più sonore e vive;Tutto parrà languire eternamente.
Color di perla, interminate riveSi seguiran, cristalli inargentati,E piante ignote d'ogni raggio schive,
E smorti fiori come addormentatiNell'eterno sopor dolce e fatale,E profumi sottili ed ignorati
Senza gli aromi turgidi del male,Senza i poemi intensi del doloreE dei peccati senza l'aureo strale,
Senza le lotte del terreno amore,Sarà quale ombra d'una vita arcana,E regnerà dove non suonan l'ore
Una nuova mestizia sovrumana.
* *
Pure al domani sotto il sol raggianteChe illuminava i piani e l'alte cimeE mutava ogni goccia in un diamante
E pareva attestare il ver sublime.Sentii scendere ancor nell'alma lassaIl peso della vita che ne opprime.
Mi parve ancor che qui ove tutto passa,Ove il dolore sol di nostro è certo,E ogni voglia ne attira odiosa e bassa,
Ove tutti si va per cammin ertoE faticoso ad una ignota mèta,Non sapendo il perchè d'aver sofferto,
Ove lo spirto mai non si dissetaE ribellar sentiamo prigionieraL'alma rinchiusa nella fragil creta,
Temibile non è per l'uom la sera,Che alfin dirà ciò che a ciascuno è ignoto,E affermerà se la speranza è vera
O se il destino d'ogni senso è vuoto.
* * *
Ma sul mio capo s'avvolgean le spireDei rami d'una quercia secolareDal tronco immane che non vuol morire.
Ed ecco, a un tratto, io la sentii parlare!Una rauca e sottil voce da un ramoSu di me scese e dovetti ascoltare.
—«Ah! tu almeno t'arresti quando chiamo,E fai silenzio a queste mie parole.Odon le piante. Mentre leggevamo
Nel tuo pensier che ignora ciò che vuoleE che per false strade si disperde,Ridemmo, chè sei cieco innanzi al sole.
Bello risplende delle frondi il verdeSull'azzurro del cielo, e altero è il fiore,—E in vani sogni il tuo pensier si perde,
Sorride il sol nell'allegro splendore,E le messi che zeffiro accarezzaPiegano liete innanzi al mietitore;
È gaio il mare per la dolce brezzaE avrà la gioia pur della tempesta…E trilla l'augellin che il guscio spezza.
Sulla terra e nel ciel dovunque è festa,Pur chiuso è ancor dell'universo il fatoE l'avvenir che agli esseri s'appresta.
«Tutto è mister, ma nel tronco ingrossatoScorrer sentiamo il vital succo, comeIl mondo sente vita in ogni lato.
L'aura folleggia tra le sparse chiome…Vengon gli amanti uniti—e poi retriviCercan sui tronchi nostri inciso un nome.
E le foglie agitiamo e siam giuliviIgnorando il destino, e pur sentiamoChe ovunque è vita. E tu solo non vivi?
Tu pensi e scruti e dici: il vero io bramo.E intanto passano i momenti vaniE le fronde non vedi sul mio ramo,
Breve è la vita e lungo il suo domani,Qualunque sia. Sorridi dunque e sorgi!Qui non dormire i sonni tuoi malsani!
Il mondo è immensa gioia che non scorgi».
Irradiata di sole, spumeggiante,Dalla roccia scoscesa la cascataVedea cader laggiù—romoreggiante,Inalterata.
E anch'io nel cor sentivami un torrenteNon bianco nè fulgente—doloroso—Ma in quel posto si fè subitamenteMeno penoso.
Ed una voce udii tra quel fragoreChe mi disse: Tu pure hai la sorgenteCome la mia. Dessa si chiama AmoreEternamente.
Lascia che scorra dal tuo core aperto,In essa affogherai ogni tristezza;Ti scorderai perfin d'aver soffertoNell'allegrezza.
Compresi il ver, provai la commozioneChe ne riempie l'alma tutta intera,E mi sentii nel petto una tenzoneDolce ed altera.
E a me stupito là su quella sponda,Della vita tra il duolo e l'egra noia,Parve il cader dell'acqua vagabondaPianto di gioia!