CAPITOLO XIII.

Sott'essi i porticati, che in Alba, come in quasi tutte le cittadette di quelle parti, sembrano essere stati fatti apposta per i signori; stavano i maggiorenti aspettando l'ora del desinare; altri in brigatelle allegre passeggiando, altri gomitoni sugli sporti delle officine a chiacchierarsela cogli artieri alla buona. L'aspetto della città, era allora più severo, e le torri brune parevano stare là ritte, quasi per ammonire i cittadini, che dove non avessero atteso a procacciarsi ogni anno miglior ventura e vivere più civile; il passato con tutto il diavolio di baroni, di bravi, e di foderi medioevali, avrebbe rifatto capolino dalle loro balestriere, e dai loro merli, sto per dire, imbronciati.

Giuliano attraversò la città, e andò a smontare all'altro capo di essa, a quell'osteria chiamata una volta dello scudo di Francia, adesso dei tre Re; quasi per far le cilecche ai francesi, che l'anno prima n'avevano tolto uno dal mondo.

«Questo cavallo ha fatto più di venti miglia!» sclamò lo stalliere cuiGiuliano diede le briglie, smontando nel cortile dell'osteria.

«Potete dire anche trenta—rispose questi—abbiategli cura» e lasciando a colui l'animale, passò dal cortile ad una sala terrena, dove si dava da mangiare ai viaggiatori.

Di quei tempi era un bel vivere! dicono i vecchi; e in verità in quelle cittadette mezze nascoste, e quasi dimenticate si stava in apolline. Si desinava nelle osterie semplici e disadorne: e se il viandante, seduto a mensa, levando il capo di sul piatto, non dava dell'occhio in ampio specchio, a vedervi sè stesso sfigurato dai moti plebei del biascicare; in cambio di queste magnificenze, gli era messo in tavola gran bene di Dio, per poca moneta. I vigneti fruttavano a dovizia; e se avesse usato lavare i piedi agli ospiti in sull'arrivare, come ai tempi antichi; lo si avrebbe potuto fare col vino, tanto ve n'era d'avanzo. I prati nudrivano le fienaie, per modo che carne e pane, stavano tra loro a spesa poco diversa; epperò lo osterie erano formicai di gente paesana e di viandanti, sui quali l'occhio materno dell'ostessa seduta al focolare, spandeva il dolce ricordo domestico; e l'ospite si stimava in casa sua.

Giuliano andò diritto all'oste, il quale era un ometto tondo della persona, lucente nelle guance, e tenuto in sussiego da tre o quattro giogaie, che dal mento gli si digradavano alla sommità del petto; donde tra lo sparato della camicia, uscivano petulanti velli grigi, a guisa di gale. Nelle sue pupille pareva vi fossero due birri appiattati; a mirarne il naso vergolato di mille venuzze accovate sulla punta, si sarebbe detto che da uomo di coscienza, ei non lasciasse uscire dalle sue botti un bicchiero di vino, senza averlo assaggiato. Del rimanente era uomo avvisato molto, ma da mettersi a brani per fare servigio.

«Oste,—gli disse il giovane—la marchesa di G…. ha poderi qua inAlba?

«Poderoni!—sclamò l'oste, maravigliando come altri avesse mestieri di chiedere cosa, che doveva essere nota a mezzo il mondo.

«Ebbene—soggiunse Giuliano—ho un suo cavallo, che voi, se vi fa comodo, manderete al suo gastaldo, appena sia riposato nelle vostre stalle: poi se me ne troverete uno per un paio di giorni, saremo d'accordo sul prezzo con pochi discorsi.

«L'oste dei tre Re serve chi lo comanda; e pel signorino ci ho un cavallo morello, sfacciato, con quattro gambe da cervo…

«Appunto quello che mi occorre tra mezz'ora. Adesso vorrei mangiare….

«Vuol salire di sopra…?

«No…, starò qui.»

L'oste s'inchinò, affilando l'uno contro l'altro due coltellacci da affettare le carni; e Giuliano andò a sedersi ad un deschetto, nell'angolo più solitario di quella sala.

La quale era vasta, e vi stavano mangiando a diversi tavolini, brigate di mulattieri, dagli aspetti robusti; gente che soleva fare buon tempo, quando le accadeva di trovarsi sicura dai gabellieri, coi quali, su per gli alpestri confini tra il regno e la repubblica genovese, faceva sovente a chi più ne toccasse; barattando anche qualche schioppettata, per amor del danaro che guadagnava a manate.

Il giovane diede un'occhiata fra quei commensali, se ve ne fosse qualcuno del suo borgo, o delle terre vicine, per chiedergli di sua madre; ma non v'era faccia che gli tornasse nota. Stette gomitoni aspettando il suo pasto, e pensava che se egli fosse stato in quel luogo a mal fare, di cento volte novanta vi sarebbe stato un testimonio delle sue parti; quando l'oste venne oltre, portando alto un pollo lesso di tal fragranza, che avrebbe fatto gola ad uno, tornato allora allora da un pranzo di nozze. Lo mise innanzi a Giuliano, vicino ad una caraffa di vino paesano, e versatogli di questo, additandogli il bicchiere gli disse:

«Questo le parrà sulla lingua il taglio di un rasoio. Se non fossi importuno, vorrei chiederle una cosa. Ella è quel signore, smontato al mio albergo questa pasqua, o giù di lì, con un suo servitore?

«Appunto.

«Ah! lo diceva pure io, che le fisionomie dei signori i quali mi fanno onore, non le dimentico! Anzi, ricordo che il suo servitore mi disse, che lei andava a Torino per farsi medico….

«Avete buona memoria:—disse Giuliano mangiucchiando; e l'oste inchinatolo rispettoso, fece le viste di correre a un tintinnio di bicchieri, che veniva dall'altra mensa.

Ma in cambio andò a parlare con un tale, vestito a modo; che subito venuto a Giuliano lo salutò con certa dimestichezza, e facendo un segno come per farsi conoscere. Il giovane si levò da sedere, rispose cortese a quel saluto, e a quel segno; al quale ne seguirono due o tre altri barattati rapidamente; poi si strinsero la mano, si riconobbero per essersi visti altra volta, sedettero e cominciarono a parlare basso tra loro.

Erano già molto innanzi coi loro discorsi, ma niuno ne avrebbe potuto raccogliere parola, tanto badavano a non farsi udire: quando colui, che ai portamenti sarebbe paruto a chicchessia un vecchio amico di Giuliano, si mostrò stupito, e guardandolo negli occhi, gli disse:

«Come? Eppure da ieri in qua non si parla d'altro fra noi…! La retata di scolari e dei nostri fu fatta, o la polizia di Torino, sta per farla.—Via, pensate che io voglia rimproverarvi d'esservi posto in salvo?

«Ma io—sclamò Giuliano balzando in piedi, avvampando nel viso, a guisa d'uomo oltraggiato, per modo che tutti i mulattieri che mangiavano là dentro si volsero a guardarlo:—io non so nulla! Io partii ieri sera, e vado a D…. a vedere mia madre morente. Leggete.»

Così dicendo frugava per le tasche del giubboncello e cavato il biglietto della marchesa di G…. lo dava a leggere a quello strano amico,

«Saranno state false nuove!—disse costui, letto d'un'occhiata il foglio, e stretta la mano al giovane nel ridarglielo:—andate diritto al vostro destino; finchè uno ha la mamma non sospiri, dice il proverbio… Ma… via…, poichè non sapete nulla, nulla deve essere seguito; non vi lasciate cogliere dalla malinconia, e bevete alla salute di vostra madre.»

E gli mescè che bevesse, come fosse stato un suo ospite.

Giuliano posto da quella novità, in gran pensiero, non bevve nè parlò. La sua persona sedeva a quel desco, ma l'anima sua, lo si vedeva chiaro dalla pupilla che pareva spenta, era altrove. Forse a Torino, forse a D…; forse pensava a tornare addietro, chiarirsi se davvero tanti giovani fossero stati carcerati come colui diceva; e poi rifar la via una terza volta, per correre al suo borgo nativo. E la marchesa di G…, e la brigata che le aveva visto in casa, e quel biglietto, e sua madre morente e forse già morta; erano immagini accozzate nella sua mente, a dargli un travaglio da non potersi patire. In somiglianti scompigli dell'animo, l'uomo si lascia governare dal consiglio dell'amicizia, docile come destriero generoso in mezzo alla mischia, che risponde ad ogni cenno del cavaliero: e Giuliano si mostrò pronto a dar retta al suo vicino, tosto che questi ripigliò, parlando basso più di prima:

«Animo, amico, la sventura è madre dei forti; se vi è cara la libertà, se vostra madre volete vederla ancora una volta, su a cavallo! e via in buona ventura.

«Sì,—rispose il giovane levandosi con piglio risoluto—a cavallo!Oste…»

L'oste accorse, ebbe lo scotto, e il nolo che volle del cavallo; e Giuliano uscì, accompagnato nel cortile dall'amico. Dette con lui altre poche parole di congedo, montò in sella; e mentre partiva udissi dire, con voce impressa d'affetto:

«Tornando, rammentate che la casa di Ranza è casa vostra. Addio!»

Codesto Ranza, era della città d'Alba, caldo amatore di libertà e delle cose di Francia, e molto addentro nelle cospirazioni, che si formavano di quella stagione. Egli si scoprì di là ad un paio d'anni, quando i repubblicani condotti da Buonaparte, furono nelle valli della Bormida e del Tanaro, dopo aver vinto a Montenotte e a Cosseria; e diede lena a molti di chiarirsi contro il re. Di lui fa cenno il Botta nelle sue storie, e sebbene lo stimi cervello disordinato, ecapace del pari di far perire la realtà per la ribellione, e la libertà per l'anarchia; è giusto alla sua memoria; lo chiamauomo dabbene nè senza lettere; e di certo non disse troppo.

Giuliano l'aveva incontrato a Torino alcune volte, a quei convegni notturni; ai quali di quando in quando, si recavano gli amici delle città piemontesi, a fare accordi, a pigliar novelle, a conoscere nuovi compagni. Ora cavalcando e divorando colla mente, quelle altre sei od otto ore di cammino, che gli rimanevano a fare per giungere a D…; sentendo in cuore la voce di Ranza suonare con qualcosa di paterno; credeva che per tutta la vallata fossero uomini di quella sorta e di quel pensare. Sicchè l'aria gli pareva piena di spiriti generosi; tutto gli tornava più bello a vedersi in quei luoghi noti: e sin quel dolore domestico, verso il quale correva, gli si faceva più mite.

Man mano che s'avvicinava a' suoi monti; l'aspetto della campagna, era come se la mano dell'uomo avesse affrettato l'opera della natura. I fieni erano stati falciati; la mietitura fatta anco nei luoghi, ove le messi solevano venire più tardive; dovunque era un casolare, s'udiva un rumore di correggiati, si vedeva un ventolar di biade, e nugoli di pula che andavano all'aria lontani. Appariva, per tutto, la furia di tirarsi in casa i raccolti, anco immaturi; dalla tema dei Francesi, dei quali si diceva che usassero predare, incendiare, struggere ogni cosa. Chiese novelle del paese, e di grosse come quelle che gli davano i montanari, non ne aveva inteso mai. Seppe che di quei giorni erano arrivati in Val di Bormida molti Alemanni, dicevano più di centomila, ma che i Francesi erano molti più. Taluno osava chiedere a lui dove andasse; e sentito che a D…, compiangeva il povero signorino, perchè i repubblicani erano di là a poche miglia. Giuliano non badava a quelle rustiche paure, e tirava innanzi bevendo a petto pieno l'aria delle montagne native.

Sul vespro di quel giorno, mentre Giuliano cavalcando già vicino a D…, scopriva tra il verde del castello il campanile, che pareva un amico acquattato, per dar voce del suo ritorno; sul piazzale di casa sua sedevano alcune donne del vicinato, intente a rammendare camicie, a filare, a fare ognuna qualcosa, ascoltando i racconti di Marta. La quale, pigliate le mosse dai molti Alemanni giunti di quei giorni; parlava delle guerre degli Spagnuoli, venuti sul principio di quel secolo, pochi anni prima che essa nascesse, a devastare le valli della Bormida; dove erano passati come la maledizione di Dio. Dai racconti di guerra, era caduta in quelli della fame e della peste; e ne aveva sballate di quelle così grosse, che le povere contadine si pregavano di morire, piuttosto che star al mondo a vedere altrettanto. Una delle uditrici era Tecla, che alle parole della vecchia badava poco o punto. Perchè i suoi pensieri erano lontani di là molto: e vi avesse anche badato, la sua mente aveva fatto, in quei due mesi, così lungo cammino; che le cose strane dette da Marta, non potevano più nulla sull'anima sua. Si era in tutto mutata e tanto, da non si ravvisare a prima giunta; e a poco a poco aveva pigliato nei portamenti e nel viso, l'aspetto di fanciulla nata in istato migliore di quello, donde era uscita. La signora l'aveva sin da principio vestita de' panni più fini; e sebbene la villanella si fosse trovata in sulle prime un poco impacciata, nelle foggie nuove di quelli; vi si era presto avvezzata, con gran maraviglia di Marta; che ormai non sapeva più sgridarla nè tenerle il broncio, e parlava di essa benignamente. Nessuno del borgo, neanche lo stesso pievano, aveva più osato menzionare il fatto della scappata notturna di lei; e sapendo che viveva raccolta, sempre alle gonne della signora Maddalena, tutti la chiamavano fortunata; a tutti pareva uno di quei fiori, che dopo una fiera ventata, da cui siano stati quasi divelti, crescono di bellezza, più desiderati quanto più s'ascondono nella siepe. Le donne del vicinato, che la vedevano qualche volta alle finestre di quella casa, le si cominciavano a mostrar rispettose; le fanciulle ne avevano invidia; suo padre e sua madre si stimavano qualcosa da più di due o tre mesi prima, ma quasi si peritavano a chiamarla loro figliuola. Essa, punto insuperbita, diveniva ogni dì più dolce; e sebbene paresse che essendo giunta a quella fortuna, dovesse stare allegra; una malinconia diffusa sul suo viso, rivelava che il cuore piangeva dentro; e il pensiero del suo destino, e la tema d'una caduta, che forse sarebbe stata più dolorosa, quanto più essa saliva, cominciavano a nascere in lei; sicchè l'avvicinarsi del giorno, in cui Giuliano sarebbe tornato da Torino, le pareva una montagna che fosse lì per franarle addosso a schiacciarla.

Quel giorno, seduta in quel crocchio di donne, all'ombra del pergolato, da cui pendevano i grappoli di lugliatica, già matura, che la signora voleva serbati intatti per Giuliano; badava poco o punto, come ho detto, ai racconti di Marta; e questa che dal gran dire si sentiva la gola di pomice, essendo in sul finire, sclamava:

«Oh! le mie care benedette, i flagelli di cui vi parlo li manda il Signore; guerra, fame e peste, gli avremo tutti, uno dopo l'altro. E ancora bisognerà ringraziare, se si morirà di due uno, come ho veduto io nella mia gioventù. Ma se avvenisse come centocinquant'anni or sono, quando da queste parti, i rimasti vivi erano come le mosche bianche? Quella fu una morìa! Io ho conosciuti due signori di C…, che venivano qualche volta a desinare qua, dal padrone buon'anima, ma quello vecchio. Essi erano i figli dei figli d'uno dei soli quattro uomini, che la peste d'allora lasciò vivi, in quel borgo di tremila anime. Eh! se gli aveste intesi! raccontavano le cose udite dai loro padri i quali le avevano avute dal nonno; e solo a rammentarle non mi sta in capo il fazzoletto, tanto mi si rizzano i capelli! E anche allora si era detto che la peste nascesse dai tanti soldati morti in guerra… Baie! Io so che a C…, l'avevano formata tre scellerate sorelle coi loro unti…, una notte di sabato, in un loro podere, dove solevano trovarsi col diavolo… (qui Marta si segnò per l'ubbia che menzionando il demonio, questi le facesse tre salti d'allegrezza dinanzi). Ammanirono l'unto infernale, e tornate la domenica all'alba nel borgo, unsero le porte delle case e le panche in chiesa, e sin da quel giorno cominciò a morir gente per certi tumoracci tanto fatti…

«No, Marta, non fate segni colle mani!—sclamarono quelle donne, che credevano di malaugurio il mostrare col gesto la grossezza di tumori, di biscie, di piaghe e d'altre cose cattive.

«Le tre sorelle,—continuò Marta—allegre del fatto loro, partirono per andarsi in casa a un loro parente del Genovesato; ma il podestà di C…, fece dar loro dietro coi corni marini, e furono colte dalle parti di Savona, là dove la Vergine Maria era comparsa al Beato Antonio. Legate, battute, menate a C… furono bruciate vive al cospetto del popolo, tutte e tre insieme, come anime dannate… e io ho visto dove.»

A questo punto, dando un'occhiata intorno; Marta si avvide di Tecla, che aveva sulle labbra un certo sorriso, come di compatimento a qualche baggianeria, uscita di bocca a lei. Si sentì punta nel vivo, da quel sorriso di incredulità, che in mezzo a tante credenzone pareva il simbolo dei tempi nuovi, e «già!—sclamò—quei dai vent'anni in giù, ridono delle streghe, del diavolo, di tutto! Chi non crede al diavolo, non crede bene neanche a Dio, dice il signor pievano; me l'ho appiccata all'orecchio, e penso anch'io come lui che se si va di questa gamba, fra un altro po' d'anni, pioverà zolfo acceso. Per me avvenga che può, e rida chi vuole, io sto col signor pievano, chi ha da salvarmi è lui…»

Le donne non guardarono che viso facesse Tecla alle parole di Marta; ma pensarono alla profezia del zolfo, udita lanciare di sul pulpito dal pievano. E cominciarono a parlare di lui, e a dirne tante lodi; che se davvero uno si sente fischiar le orecchie quando è menzionato in qualche luogo, don Apollinare dovè sentirvisi dentro le centinaia di grilli.

Ma la bisogna in cui egli era occupato in quel momento, non gli concedeva di badare a queste minuzie; e aveva la testa intronata da ben altri rumori; suon di stoviglie, tintinnio di bicchieri, voci alte, un'allegrezza chiassosa. Sedeva a convito nel presbiterio, una grossa brigata d'ufficiali delle genti Alemanne, venute a spalleggiare l'altre della loro nazione, che in primavera ne avevano toccate dalle bande di Nizza, in parecchi combattimenti. Quelle genti, sebbene non fossero centomila, come Giuliano aveva inteso dire tra via, pure ingombravano la valle da D… sino alle sorgenti della Bormida; e villaggi e casali ne erano zeppi. I popoli di quelle terre ne avevano gran disagio pei molti alloggi, pei viveri di che dovevano fornirle, e più per quel che esse si pigliavano, a mò di predoni; e fra i guai che pativano dagli Alemanni amici, e la paura dei Francesi, che calassero a far battaglia con essi di qua dei monti; vivevano col cuore tra due sassi. Nè quella paura poteva chiamarsi ubbía, perchè dalle cime dell'Apennino, a San Giacomo, al Settepani, dove avevano poste le grosse guardie, i Francesi parevano spiare l'ora acconcia a ferire qualche gran colpo; e a sera si vedevano tanti dei loro fuochi, che su quei monti pareva sempre la vigilia di San Giovanni. Don Apollinare si sentiva scottare da tutti quei fuochi; e l'idea della calata dei Francesi, tornava ad essere per lui come un ariete di bronzo, che gli desse le gran capate nel petto. Sull'imbrunire, sempre chiudeva le finestre del presbiterio, che guardava a mezzogiorno, non volendo vedere quei monti d'amaro ricordo, coronati di quei fuochi maluriosi e maledetti: nè solo o accompagnato s'era mai più fatto sino al muricciolo, che chiudeva il sagrato da quella parte. Anzi, se gli accadeva di dover discendere di castello pei suoi affari, pigliava un sentiero a ridosso del colle, per non sentirsi in viso neanco l'aria di quelle montagne; punto badando alla natura selvaggia di quel sentiero, che pareva fatto per menare i cristiani a rovina.

Ma a mezzo luglio, venute quelle nuove schiere d'Alemanni, aveva ricominciato a tornare in essere, come un lume che in sullo spegnersi venga riempiuto d'olio. Si mise di nuovo a pigliare i suoi pasti, a dormire un po' più tranquillo; e quando potè farlo, dopo quindici dì d'apparecchi, si condusse in casa, a banchettare, gli officiali rimasti a campo nella sua pieve.

Donna Placidia, la quale aveva così in uggia la gente d'arme, che solo a vedere l'elsa d'una spada si segnava spaurita; s'era sfogata a brontolare tutti quei giorni; e la vigilia del banchetto, pianse. Perchè il fratello aveva tirato il collo a tanti capponi, che la stia era rimasta vuota; quella stia consapevole, dove nelle sue noie essa era certa di trovare un popolo devoto, al quale volgeva la parola eloquente, quanto quella del pievano, quando parla dal pergamo ai suoi parrocchiani. Ma da quella donna che penava poco a rassegnarsi, perdonò al fratello lo strazio fatto; e badò che il desinare riuscisse a modo. Essa in cucina, essa in cantina, essa a dar in tavola le vivande, facendo da scalco, faticò per sette: paga di non essere conosciuta per sorella del pievano; perchè (questo senso d'orgoglio l'aveva), l'essere in letto ammalata a morte, le sarebbe riuscito men duro che l'apparire agli occhi di tanti gentiluomini, in quel suo stato di fantesca. Di tanti affanni patiti durante il banchetto, si ricattò alfine, quando fu tempo di porre al fuoco la caffettiera; chè messo il naso sopra quell'arnese, l'animo suo si rifaceva sereno. Il fumo della preziosa bevanda, poteva su di lei, come la musica su certi animi iracondi; e per dire a modo qual gusto vi ebbe anco quel giorno, bisognerebbe averla veduta farsi oltre nella sala portando il bricco lucente, in cui specchiandosi la sua e le faccie rubiconde dei convitati, parevano, a misura che essa avanzava, fare una ridda.

Avevano mangiato gagliardamente, e bevuto da far raccapricciare le viti della pievania; e chiacchieravano de' fatti loro fumando, annuvolando la sala, scoppiando in risa ai motti di qualche compagno che avrà canzonato l'ospite, perchè senza Tersite la compagnia non sarebbe stata intera. Ma quando videro il caffè, uscirono tutti in uno oh! lungo di maraviglia; e mentre donna Placidia deposto il bricco se ne tornava in cucina, compensata d'ogni sua noia; plaudirono don Apollinare che mescendo il caffè, procacciava ad essi, su quei monti, di così fatte delicature. Egli mescè, zuccherò, si prese per sè una chicchera; e rimenandovi dentro col cucchiarino, piantato sulle gambe, la persona un po' curva, il viso sporto:

«Il caffè—sclamava—il caffè vuol essere bevuto dai signori, stando in piedi e mormorando…!—E levata la tazza ad una sorta di brindisi, cominciò a sorseggiare, movendo quelle sue pupille grigie, per forma che pareva un volpone sotto una cesta.

L'allegra brigata fu tutta in piedi. I mustacchi dei bevitori coprivano gli orli delle chicchere; e gli occhi scintillanti pei vini tracannati in gran copia, barattavano sguardi ed amiccamenti, per disopra a quelle. I corpi satolli, mandavano il fumo ai cervelli; chi ne diceva una, chi ne sbottava un'altra; e per farla finita, bevute in sul caffè parecchie altre bottiglie, uscirono fuori a prender aria.

Ad uno, a due, a quattro giù per la scala, uscivano dal presbiterio come fosse da un'osteria. Donna Placidia, di sull'uscio della cucina, contemplava quella strana processione, e al silenzio che regnava nella sua stia, le pareva che i suoi polli cantassero in corpo a quella gente contenta. La quale fu vista a gruppi scendere dal colle, col pievano in mezzo, tronfio, acceso in volto, e, si sarebbe detto, beato d'aver pasciuto quei messeri, che lo menavano a zonzo. Ammirati, salutati, invidiati dalla poveraglia, che andava in giro limosinando alle porte: come furono al piano pigliarono la via più amena, che era quella in sulla riva del torrente; e sempre dell'istesso andare, dissipando il fumo delle pipe e quello dei cervelli, s'allontanavano dal borgo, a seconda dell'acqua.

Gli è quanto dire che movevano verso quella banda, per dove Giuliano stava arrivando; e in verità non erano discosti gran tratto, che questi capitava di faccia ad essi, ad uno svolto della via, cavalcando di quell'andatura stanca, che la povera bestia dell'oste d'Alba poteva, dopo sì lungo cammino.

La brigata si cansò sulle prode della via angusta; ed il giovane, che oramai avendo il suo borgo dinanzi, ondeggiava tra il desiderio e la paura di saper alfine la verità su sua madre; passò in mezzo senza salutare, come non avesse veduto le splendide assise. Gli uffiziali stettero a badare più che a lui al cavallo; ma don Apollinare soffermatosi, colle mani appaiate sulle reni, la testa inclinata sulla spalla, mirò di sbieco; e col calcagno destro battendo il suolo, sicchè il ginocchio e il polpaccio agitavano le pieghe della talare, sclamava: «pecora, pecora! se io volessi ci saresti capitata!»

Alle parole strane, tutta la baraonda gli si fece intorno curiosa; ma il più vecchio e il più indorato di tutti quei soldati, se lo pigliò a braccetto, si mise a parlar basso con lui; e la comitiva tenne dietro ad essi, men gaia, meno ciarliera, quasi conscia dei discorsi che correvano tra il pievano e quel vecchio ufficiale, che n'era il capo.

Frattanto Giuliano aveva guadagnato il ponte, e sebbene s'imbattesse in gente nota che lo salutava; egli che in Alba avrebbe chiesto novelle di sua madre a un nemico giurato; adesso non si sarebbe rischiato per nulla a dimandarne ai suoi paesani, e tirando diritto infilò il vico. Alla vista dell'arco che metteva nel suo piazzale, per poco non si buttò di sella, per salutare le sue case, e star lì fuori, in attesa di qualcuno, che venisse non chiesto a dirgli la verità.

«Oh!—sclamò Tecla, che era ancora sotto il pergolato col crocchio di donne; e rimase, vedendo apparire Giuliano, colle braccia tese verso l'arco, tinta nel viso di quel roseo, che si vede improvviso diffondersi sulle guance a qualche giovane morente, e pare il principio di un'aurora più bella. Le donne non ebbero tempo di levarsi in piedi, e già le zampe del cavallo le avevano coperte di sabbia, e Giuliano balzato di sella chiedeva ansando:

«E mia madre?

«Santa Vergine!—gridava Marta rimescolata—capitate come i morti la notte dei Santi…

«Mia madre? Tornò a domandare Giuliano, e senza dar retta alla fante nè all'altre donne, gittate le briglie mosse verso l'atrio; rapido quanto lo fu il suo pensiero a ricorrere alla seconda sera di Pasqua, quando era giunto da C…, con altre cure, con altre speranze, e aveva trovato sua madre ad aspettarlo su quella gradinata. Ora non v'era che Marta. Ma se sua madre fosse stata davvero in fin di vita, o morta; la vecchia avrebbe potuto essere là a svagarsi, e Tecla con essa?

Questo pensiero non ebbe tempo di formarlo, chè la signora Maddalena comparve ad incontrarlo quasi più affannata di lui; ed egli col piede sul più basso gradino in atto di salire, essa sul più alto in atto di scendere, si abbracciarono come persone, campate da un naufragio, e incontratesi sulla riva.

La donne del crocchio peritandosi a star quivi, si allontanarono; durò il silenzio un tratto, poi la signora sciogliendosi da quell'abbracciamento, di cui Giuliano pareva non potersi saziare; «ecco tua madre!» gli disse, e pigliatolo per la mano, lo trasse dolcemente in sala. Là egli, sbalordito, e quasi la stanchezza lo avesse colto improvvisa, si lasciò cadere di sfascio sulla prima scranna che gli venne tra piedi; e fissando la madre, e cogli occhi pieni di dubbio, d'allegrezza, di sbigottimento ad un tempo:

«Oh, mamma,—sclamò—credeva di non fare a tempo…! Ma che tempo? non è vero nulla non è…? Mi dica, fu un gioco, un inganno… che fu?»

A che dissimulare? penso tra sè la signora mentre Giuliano diceva; a che mentire, per dovergli poi dire domani quello che già sa? aperse le braccia in atto di chi sta per dare un grande squasso al cuore altrui, e insieme offre tutto sè stesso per confortarlo; e rispose:

«Ebbene? Tu, io, il mondo che ci possiamo? Leggi.»

E frugandosi in seno, cavò un foglio, spiegazzato forse in un momento di fiero travaglio; e lo porse a Giuliano. Quel foglio era di don Marco, il quale aveva scritto poche parole, per dire alla signora che si rassegnasse, e che Bianca si sarebbe sposata di quella settimana. Giuliano lesse agrottando le ciglia più e più ad ogni verso; e poi quasi riavutosi dalla sua spossatezza:

«Si sposi!—urlò balzando in piedi, bello d'ira improvvisa;—si sposi pure, e fosse già sposata! Ma che feci io di male al mondo, perchè da ogni parte mi si debba tirare addosso come ad un malfattore? Ah! marchesa di G… fu un gioco, un brutto gioco il vostro, e Ranza… aveva indovinato…! A quest'ora sono in carcere tutti!

«Ma che è questo?—gridò sbigottita la signora che in quelle parole non ci capiva nulla.

«Mamma, m'hanno mandato qua facendomi credere che ella fosse morente!La marchesa di G…. m'ha ingannato!

«Ah capisco! Allora essa ti ha campato da qualche gran guaio!—interruppe la signora, balenando di gioia e di gratitudine alla gentildonna, e a don Marco, che a questa aveva scritto.

«Sì!—sclamò Giuliano—per farmi chiamare fuggiasco, vile, e peggio!Eppure sia benedetta!»

E qui, ricadde a sedere dinanzi a sua madre; e le narrava del viglietto avuto dalla marchesa, del viaggio fatto quasi senza sosta; parlando con certa calma, di cui egli stesso stupiva; non sapendo come l'anima sua si sarebbe ridestata al dolore, non appena dissipata quella sorta di pace, in cui per aver trovata viva la madre, si sentiva tirato. Narrò tristamente, e parlò sempre lui, quasi pauroso di lasciare, tacendo, il posto ad altri pensieri; finchè Marta fatto riporre il cavallo, venne dentro recando la lucerna accesa, perchè si faceva notte.

«Il cavallo—disse essa per non istar lì a fare le accoglienze al reduce peccatore;—il cavallo l'ho fatto legare in disparte, che quelli degli Alemanni non gli possano tirare…»

«Che Alemanni—saltò su a dire Giuliano col sangue a cavalloni;—dunque, nemmeno in casa mia, potrò stare senza costoro tra piedi?…

«Per carità!—disse Marta—che essi non avessero a sentire, sono lì sul piazzale….»

«Giuliano abbi pietà di me!—pregò la signora—ci han dato due uffiziali ad alloggiare; soffri in pace, e se ti volessero salutare, sii buono.

«Non voglio vederli, sono stanco, casco dalla fatica…!»

Così dicendo, Giuliano partì sdegnoso, e senza lume prese la scala che menava alla sua stanza.

Marta sollecita accese una lucerna a mano, e gli tenne dietro; la signora Maddalena rimase ritta un tantino in mezzo alla sala incerta se dovesse seguirlo, o star lì a far buon viso agli Alemanni, se venissero dentro. E siccome questo le parve il meglio, così accostatasi alla porta, si mise ad ascoltare, tremando che essi avessero intese le parole oltraggiose del figlio. I due, tornati mezzi avvinazzati dal banchetto del pievano, erano proprio sul piazzale, come Marta aveva detto; e davano ordini ai loro servitori, parlando imperiosi la loro favella. Essa in quei loro parlari non ci capiva nulla, ma spiegandoli a sè stessa alla sua maniera, già si figurava che davvero toccassero il suo figliuolo. Senonchè coloro, riveduti i loro cavalli, e detto ai servi quel che avevano a dire, se ne andarono di nuovo; forse a godere la serata, per tornare tardi pieni di vino e di gioia; gioia che in quella casa non doveva più brillare che su visi stranieri.

Appena se ne furono andati, e sul piazzale non s'udì più che il passo dei servitori, e il cigolare dei secchi, e della carrucola del pozzo; la signora si provò a salire di sopra. Ma si fermò, perchè Marta, lasciato il lume in camera a Giuliano, veniva giù tastoni e strisciando il piede per trovare i gradini.

«S'è buttato sul letto vestito e stivalato, com'era, e rimase addormentato morto.» Così la vecchia; e la signora:

«Oh dorma! dorma! e che non gli venga in mente nulla, nè C…. nè Torino…!» e salendo in punta di piedi andò ad ascoltare e a vedere da sè.

La stanchezza del corpo, aveva potuto più dello scompiglio dell'animo, e Giuliano dormiva sì fisso, che tutti i tuoni del cielo non sarebbero bastati a destarlo. Essa spinse l'uscio, entrò nella camera, appunto come aveva fatto la notte prima della sua partenza, e al chiarore della lucerna lasciata da Marta, stette a guardarlo. Giaceva supino; il petto gli si gonfiava a lunghi respiri; le guance attenuate dalla fatica erano pallide; le sopraciglia, i capelli, i panni aveva polverosi; pareva un guerriero che riposasse dopo la battaglia. Oh! se essa avesse potuto vedere il cuore di lui; se avesse potuto leggergli traverso la fronte i pensieri! Eppure meglio averlo lì sotto gli occhi, tribolato quanto si fosse, meglio lì che a Torino, nel carcere, da cui la Marchesa di G…. l'aveva forse campato…. Oh! la gentildonna pietosa, che sì che l'aveva trovato il modo di farlo partire!…. E la ringraziava dal fondo del cuore, e le pareva che oramai si sentiva forte da poterlo difendere contro ogni nemico; i birri, gli Alemanni, il pievano, chiunque volesse fargli male, gli avrebbe visti in viso! Rimasta un altro poco a guardarlo, baciò il guanciale su cui posava il capo, non osando baciar lui in viso; poi si tolse non sazia da quella vista.

Tornata in sala, trovò la fantesca gomitoni sul tavolino; e allora soltanto, vedendola sola, si rammentò di Tecla.

«O Tecla?—chiese essa, rimescolata per l'assenza della giovinetta.

«Tecla?—rispose Marta con certa voce che pareva chiedesse anch'essa—Tecla, questa volta ne sono certa, e non è più tempo che io taccia. Mi scaccerà se vorrà, tanto in questa casa non ci sono quasi più per nulla, ma voglio dire la verità. Ascolti, quando vedeva lei usare tanti bei garbi a Tecla, e avezzarla a leggere a scrivere, a parlar bene; ecco, diceva tra me, una signora che si apparecchia da sè il miele amaro! Ma dalla tema di farle male, mi teneva in gola tutto….

«Ma, o Marta,—sclamò la signora, battendo forte col piede il pavimento:—e che strazio è questo che volete fare di me?

«Tecla la strazierà; non io…! Tecla, Tecla… vuol bene al signorino!»

Fu come se nella sala non vi fosse rimasto più anima viva, dal tanto silenzio che vi si fece a quelle parole. La signora si abbandonò sul suo seggiolone, raccolse la fronte tra le mani, e non fiatò. Marta ritta, immobile, sbigottita, stava come se avesse, senza volerlo, ucciso qualcuno. E sentendosi rimordere forte d'avere dato quel tuffo alla padrona, afferrò il primo pensiero che le balenò alla mente; e senza stimare quanto valesse, fece come colui che lava la piaga colla prima acqua che gli viene alla mano, non badando se sia immonda da farla inciprignire. Chinandosi a lei, quasi a parlarle nell'orecchio sommessa, disse con ingenuità maravigliosa.

«Ebbene? Che guaio c'è? E dacchè quell'altra di C… si marita…: se il bene che Tecla gli vuole, servisse di sfogo a Giuliano.»

A queste parole, la signora Maddalena sollevò la fronte sdegnosa; ma d'uno sdegno sì alto, sì generoso, che alla vecchia parve di non avere visto mai nulla di più potente, a farle chinare gli occhi mortificati.

«E questo,—sclamò—questo, o Marta, è il più tristo pensiero che abbiate concepito dacchè siete al mondo; voi, che come io, avete un piè nella fossa!» E preso un partito, lasciando la fantesca a ingollare le parole che aveva detto, s'avviò sola, al buio, in casa di Rocco.

Là s'era rifugiata Tecla, sin dal primo apparire di Giuliano; senza che la padrona, o Marta avessero badato a lei. E chiusa in quella cameruccia, dove non aveva più posto piede da quella sera, in cui era salita a pigliarsi i panni, per andare a Torino alla ventura: pensava a Giuliano come ad una visione; pensava a Marta, che forse gli avrebbe detto, come essa fosse vissuta quei due mesi alla mensa della signora Maddalena; le veniva in mente quella fanciulla di C…. di cui aveva inteso parlare da don Marco; provava uno sgomento profondo della venuta del signorino, e insieme corruccio contro l'ingrata che non lo voleva più sposare. Oh! se la grazia di essere amata da esso, il cielo l'avesse fatta a lei! Qui arrossiva d'avere osato tanto pensiero; e in questa guisa, ora cadendo d'animo, ora levandosi, se ne stava rannicchiata là al buio; d'una cosa temendo su tutto, ed era che prima o poi la si venisse a cercare.

I suoi l'avevano veduta venir in casa così di furia che n'erano rimasti spauriti; ma già accostumati a menarle buona ogni cosa, dacchè pareva portata in palma di mano dalla padrona; non s'erano manco rischiati a chiederle che avesse. E tra quel fatto, e il ritorno improvviso del signorino, ondeggiando turbati; non osavano coricarsi, e stavano a quell'ora ancora in cucina.

Non è a dire se fu grande lo stupore di Rocco, quando vide apparire la signora Maddalena, sola, al buio; essa che dopo l'avemaria, non aveva posto piede fuori la soglia, forse da dieci anni. Temè che venisse a comandargli di pigliarsi in ispalla i bimbi, le masserizie, e Tecla e tutto, per andare in cerca d'altra casa e d'altri padroni; ma quando la udì domandare della sua figliuola con voce dolce, sebbene commossa, gli tornò il cuore a posto; e preso un lume la menò diritta nella cameruccia di Tecla.

Alla vista della padrona, la fanciulla aperse le braccia, quasi per dire: «sono qui, faccia di me quel che le pare!» E quella mandato via Rocco:

«O Tecla—le disse—tu mi vuoi bene nevvero? Dimmi una cosa; se io ti dicessi, bisogna che tu te ne vada per un po' di tempo da qui… mi daresti retta…?

«Oh sì!—sclamò Tecla—anche subito… come piace a lei…!

«Io ti verrò a vedere qualche volta; ti farò condurre a Santa G…. in casa ai parenti di tua madre. V'è lassù una bella chiesa, sopra una vetta, tu vi andrai a pregare per me…. Non temere, di sulla porta di quella chiesa vedrai D…. e la mia casa e la tua…. addio.»

E prese le mani della povera giovinetta, le strinse con pietà grande; poi si tolse di quivi, perchè se vi fosse rimasta un altro poco, il singhiozzo l'avrebbe vinta.

Discesa a basso, raccomandò a Rocco di menare la figliuola in casa ai cognati ch'egli aveva a Santa G…. nè disse di più; che dallo sgomento le morivano le parole in bocca. Il buon uomo promise d'obbedire, senza chiedere il perchè, ma su per giù almanaccando, gli pareva d'averlo indovinato: e volle accompagnare la padrona quei pochi passi. Chi gli avesse visti a quell'ora, che era quasi di mezzanotte, forse avrebbe pensato che in quella casa fosse qualcuno all'ultime fiatate. Una quiete altissima regnava in quella parte del borgo, mentre in castello si vedevano molte finestre illuminate, e veniva di lassù un suono di strumenti; misto di quando in quando a un prorompere di voci allegre, proprio come nei festini del carnovale. La signora udiva e sospirava, pensando ai casi suoi dolorosi: e giunta sulla porta, pose la sua mano ardente nella fredda e callosa di Rocco; il quale avuta la buona notte, commosso da quell'atto, tornò a promettere, che all'alba sarebbe stato colla figliuola in cammino per Santa G…. Capiva che obbedendo pronto, faceva un gran bene alla signora, a Tecla, a sè; e quasi dallo struggimento il pover'uomo piangeva.

Tornata in casa, la signora Maddalena, si guardò bene dall'appiccar discorso con Marta; la quale aveva detto poco prima quelle brutte parole. E come dalla camera di Giuliano non si udiva nulla, disse alla vecchia che andasse pure a dormire, e v'andò anch'essa. Quella fu una notte, quasi peggiore dell'altra di tre mesi prima, che aveva preceduto la partenza del suo figliuolo; e la povera donna ebbe un bel rimettersi in Dio, ma non le riuscì di riposare. Manco male, che per la stagione, il mattino stette poco ad apparire, a guisa d'un visitatore sollecito, che viene e s'affaccia timidamente ad esplorare, se è tempo da giungere gradito. Allora i tamburi batterono la diana nel campo alemanno, rompendo la quiete soave della prima aurora; quella quiete che non vorrebbe essere turbata da niuno, prima che dagli uccelli dell'aria, ridestati al canto, all'amore, all'innocenza della loro libera vita. Quei tamburi accompagnavano l'andata di Tecla e di Rocco, su per la via che serpeggiando da D…. verso le alture dei monti, i quali dividono le due valli della Bormida, mena al villaggio di Santa G…. Salivano salivano, Rocco portando sulla spalla il fardelletto di Tecla, infilato in un bastone; e Tecla volgendosi addietro di tanto in tanto a guardare. A misura che la veduta del borgo si faceva più bassa, e le case impicciolivano allo sguardo, e il campanile del castello pareva assotigliarsi, Tecla si sentiva crescere il cuore, e credeva di elevarsi a regioni piene d'un'aura dolcissima di speranza.

Se in casa alla signora Maddalena s'era vegliato in quella notte assai al tardi; a C… in casa al signor Fedele, non tutti avevano dormito: e il sole spuntando bellissimo, visitava con uguale sorriso l'uno e l'altro villaggio, salutando la madre di Giuliano tutta cordoglio, e il padre di Bianca affaccendato, come un maggiordomo di famiglia doviziosa, che abbia corte bandita.

Egli aveva ricondotte in C… le figlie e la cognata da sola una settimana; perchè dal giorno in cui don Marco e il padre Anacleto, s'erano bisticciati nella sua palazzina, e Bianca aveva detto apertamente al primo, d'essere disposta a fare il volere del padre suo; egli adagiato nelle dolcezze della campagna, s'era dilettato a colorire i disegni che aveva nel capo. Di piàti e d'ogni altro negozio dell'arte sua, non si era più dato pensiero, contento di quello che teneva tra le mani grandissimo, il matrimonio di Bianca coll'Alemanno.

In verità questi due, guariti l'uno del corpo e l'altra dello spirito, mostravano oramai d'aver fretta; ne sarebbe bisognato di sapere i discorsi, o di badare alla rallegratura, che il viso della fanciulla pigliava sempre più viva; per indovinare come ogni giorno fosse atto ad essere vigilia di quella festa, che alle volte pone l'uomo dentro al tempio della Felicità, e alle volte gli fa sbattacchiare in faccia la porta di questa Dea.

A misura che la festa si appressava, damigella Maria pareva restringersi con Margherita, tanto da fare con essa una sola persona annuvolata e taciturna. Essa aveva fatto come colui, che vedendo pieno di crepe il muro della propria casa, s'industria di tenerlo ritto con puntelli d'ogni sorta; e tira innanzi dall'oggi al domani, finchè vi rimane sotto schiacciato. Messa in disparte l'idea d'andarne di casa al cognato; quetatasi nella promessa che l'Alemanno non avrebbe menata Bianca lontana; s'era acconciata a vivere là dentro, dove tutto pareva farsi a suo dispetto. Il signor Fedele, poneva ogni cura, a non darle appicco di tornare a mezzo con quell'idea; badava bene a non capitarle tra' piedi; e le lasciava volentieri il sollazzo della compagnia di Margherita, in cui la poveretta aveva posto la vita. Così a poco a poco, tra lo starsi e l'essere tenute in disparte, in quella faccenda del matrimonio; esse erano divenute a Bianca quasi straniere. Questa poi, dal dì che s'era chiarita ben disposta verso l'Alemanno, non aveva riparlato dieci volte con esse. Occupata di sè, delle cose nuove che si vedeva intorno, e delle tante che sapeva immaginare con quella sua fantasia, riscaldatale dal padre e dal fidanzato in mille guise, si reputava felice; e vedendo esse accorate faceva spallucce, e diceva tra sè che nelle loro malinconie, non aveva a vedere nulla. Le cansava con accortezza, e quando non era col fidanzato, col babbo amorevolissimo, o col padre Anacleto che veniva nel borgo a visitarla; se ne stava nella propria camera soletta; non come la primavera addietro afflitta, taciturna, stanca di tutto; ma intenta ad aprire e a rinchiudere, cento volte, i cassettoni del suo canterano. E pigliava diletto a cavare e a riporre uno dopo dell'altro, vezzi d'oro, e monili e collane; e poi sete, e trine, e vesti, e pettini, e reticelle, e guanti di ogni colore e di molta spesa. Sovente aprendo una scatola di lavoro sottile, che era da per sè una galanteria, ne cavava certi fiocchi di piume di cigno, e accostandosi allo specchio, s'impolverava peritosa un po' di capelli sulla fronte, e un po' di gota; e rimaneva a guardarsi nella spera, come per vedere se incipriata tutta la testa, sarebbe parsa più bella. Oh! se la mala ventura, che poneva Giuliano a sì dure prove per amore di lei, l'avesse portato a vederla solo una volta, in quelle opere solitarie; che sì ch'egli avrebbe cacciato presto dal cuore l'affetto a quella bellezza! E se le memorie prepotenti le riconducevano alla mente quel giovane scolare del terrazzino, quella donna che tre mesi prima l'aveva baciata in viso: se pensava al dolore in cui forse vivevano per essa; faceva come pel cordoglio della zia, si stringeva nelle spalle e pareva dire: «che colpa ci ho io?» Buon per lei che don Marco non appariva più alle finestre rimpetto; perchè da parecchio tempo si era andato a ricoverare in certa sua casuccia sui monti, dove lo rivedremo; ma se egli fosse stato nel borgo, le avrebbe qualche volta dato ad intendere con un solo sguardo, quanta era la colpa che essa aveva nei dolori, sofferti dalla signora Maddalena e da Giuliano, per cagion sua. Tuttavia, essa non se ne sarebbe doluta molto, assordata come era dalle ciance degli adulatori; i quali sparsasi la voce del matrimonio, erano corsi a congratularsi a lei; e gli ufficiali Alemanni, amici del fidanzato erano stati i primi. Costoro usavano con essa i portamenti più rispettosi; e quello stesso generale che aveva rimbrottato il fidanzato, dandogli i fogli della licenza giunta da Vienna; s'era rabbonito con lui per la bella maniera, con che aveva toccata la sua ferita, e per la bellezza della fanciulla, che francava la spesa del suo amore. La prima volta che l'aveva veduta, le era entrato di Vienna, di Corte, dello stato che l'attendeva: e Bianca d'allora in poi, s'era sentita crescere l'orgoglio e i desideri; e l'animo non aveva più cessato di farle dentro come vi avesse un pavone. E già non poteva più reggere a stare in quella casa, che le pareva umile da averne vergogna; e pur d'andarsene si sarebbe acconciata a partire di notte, senza dire addio a niuno, col suo Alemanno; il quale non era più per lei, l'uomo a prima giunta tanto spiaciuto. A farlo bello agli occhi di lei avevano anche giovato le minute dicerie e i motti delle zitelle del borgo; motti e dicerie, che raccolti con cura dal padre Anacleto, le venivano nell'orecchio come prove dell'altrui invidia. Così tra i benevoli e i malevoli, la preparazione di quel matrimonio fu un lungo epitalamio, che finì nelle dolci parole con cui Bianca e il fidanzato, fissarono per le nozze il primo giorno d'agosto; quello stesso in cui Giuliano si sarebbe ridestato nel proprio letto di D…. chi sa con quali propositi nell'anima offesa.

Il signor Fedele, aveva dormito poco la notte, e sin dall'alba si dava attorno con un nugolo di fantesche e di servitori; tolti in casa lì per lì, tanto che la faccenda della festa e del convito fosse mandata innanzi per bene. Le signore del borgo, anco quelle che del matrimonio avevano parlato più da maligne, andavano e venivano profferendo a Bianca i loro servigi; l'una per essere stata l'amica di quella buon'anima della signora Costanza; l'altra perchè in fatti di così gran conto s'era sentito ribollire nel sangue la parentela; le più per quello assillaccio della curiosità, in certe donne sì vivo, che tu le trovi dovunque tu vada, a festa, a funerali; ora prefiche, ora pronube; sempre colle labbra mosse in guisa, che tu non sai se siano per dirti una parola d'augurio, una di compassione, oppure una facezia.

Bianca stava in una stanzetta che le teneva luogo di spogliatoio. Non aveva fatto altro in tutta la mattinata che aprire cofanetti e cassettoni; sturar boccettine d'acque odorose e spruzzarsene; si provava anella e pendenti di grandissimo costo, braccialetti e collane; e già molto prima dell'ora fissata, essa era pronta per andare in chiesa. Fattasi dinanzi ad uno specchio, che il fidanzato aveva fatto portare sin dalla lontana Venezia, stette un tantino a contemplarvisi piena di ammirazione per la grande bellezza che si sentiva in tutta la persona; poi piegando il collo verso le signore che l'avevano aiutata a vestirsi, disse altera come una regina:

«Ora possiamo andare.

«Ma lo sposo?»—chiese una di quelle dame.

«O che modo è questo di farsi aspettare?»—sclamò Bianca, battendo dalla stizza l'ammattonato col piede, che fu visto in quell'atto, chiuso in un scarperotto di raso bianco, stretto fin sopra la noce, da un intreccio di cordelline di seta, le quali si scernevano sulla calza, traforata e di sottilissima fattura. E così dicendo cavò dalla cintura un oriolo tempestato di gemme, che mandavano dalle mille faccette certi raggi, i quali somigliavano ai lampi onde brillavano gli occhi di lei, per la collera cui s'era levata.

Le donne s'ingegnarono di quetarla; ed una di esse, a consumare quell'altr'ora che rimaneva, prese a narrare, interrotta presto dall'altre, i matrimoni illustri, che ai loro giorni avevano veduti celebrarsi nel borgo. Bianca, messasi a sedere, ascoltava; e proseguiva a vagheggiarsi nella spera, facendo paragone di sè colle spose, delle quali sentiva dire.

Frattanto il signor Fedele aveva finito di far apparecchiare la mensa, in quella sala istessa, dove alcuni mesi prima, la signora Maddalena s'era intrattenuta con lui. I convitati dovevano essere molti, epperò lo studio per far posto a tutti, era stato assai lungo. Il vasellame di stagno forbitissimo, le bocce, le guastade, facevano un bel vedere sulla tavola foggiata a ferro di cavallo, e coverta di tovaglie tessute ad opera, candide che avrebbero rimessa la voglia in un ammalato agli sgoccioli. Le dipinture della Samaritana al pozzo, e della scala di Giacobbe, con tutte le altre anticaglie, erano state tolte; e la sala parata a nuovo non pareva più quella d'una volta, neanco per l'ampiezza, tanti erano gli arredi, e tale il bell'ordine con cui ve gli avevano assettati. Arazzerie e festoni d'edera, appiccati ai travicelli del soppalco ed alle pareti, formavano sopra la tavola una sorta di padiglione, che accordandosi coi trofei composti dall'organista del borgo, parevano insieme simboli delle nozze tra il guerriero e la montanina.

La povera Margherita provava di tutto quello sfoggio uno sgomento che non le lasciava aprir bocca; e dopo d'aver aiutato il babbo in quelle opere, non le era parso vero che questi le comandasse di andarsene in camera alla zia; perchè essendo zitella, gli usi del paese non le concedevano di stare alla festa. Essa non se lo fece ridire, e passò da damigella Maria; la quale s'era posta a letto per ammalata, tanto da non essere costretta a sedere a mensa, quel giorno ch'essa stimava più tristo d'un funerale. Raccolta là dentro con essa, Margherita le raccontava le cose vedute in casa; e di quei racconti la cieca sentiva una molestia, come fa la malaria a chi cammina per luoghi palustri.

«Vengono, vengono!» sclamò a un tratto la fanciulla rimescolata.

«Allora tu non ti muovere più di qui; e mentre andranno in chiesa, noi ce ne staremo coll'anima di tua madre, che certo a quest'ora è con noi. Pregheremo che campi almeno te da queste cose; inginocchiati e metti la tua faccia qui sul guanciale, vicina alla mia.»

Così dicendo, damigella Maria, da seduta com'era, si distese, e coll'imboccatura delle lenzuola si coperse il capo per non udire.

Su per le scale, venivano con allegri clamori, ufficiali alemanni, signorelli e dame; e passavano con belle cerimonie nella stanza, dove il signor Fedele soleva dare il suo ballonzolo in carnevale. Ivi i parlari gai, le piacevolezze gentili, si mutarono in un bisbiglio d'ammirazione all'aprirsi d'un uscio; d'onde tra le portiere verdi, fu vista apparire candida e sfavillante come un fiocco di neve, di faccia al sole; franca di passo, accompagnata dalle signore che l'avevano vestita; quella Bianca felice, alla quale, pochi mesi prima, un pittore avrebbe messa in mano una palma, e in capo una corona per ritrarre una martire. Adesso un pèttine di gala raccoglieva quelle sue treccie, altra volta annodate così modestamente; e da esse, impolverate e acconciate, come se Lucifero vi avesse posta la mano, si spiccava un velo bianco trinato, che le scendeva giù pel collo, ornato d'una doppia filza di perle; e lambiva le spalle ignude e belle come d'un torso di quelle statue, che si scoprono scavando le terre del genio e del sole.

Per poco non fu uno scoppio d'applausi. Quei soldati stranieri, usi alle corti, potevano aver veduto qualcosa di uguale; ma i convitati del borgo non avevano visto nulla mai che somigliasse a quella bellezza, la quale si spandeva da tutta la persona di Bianca; e pareva, come una gran luce, ornare di qualche parte di sè fin la più vecchia delle donne, che la circondavano silenziosa e sorridente.

Allora l'Alemanno si fece innanzi, tenuto per la mano dal suo generale; che vecchio ed arzillo, somigliava ad uno sparviero un po' spennacchiato, che si volesse divorare la colombella che aveva in faccia. Il fidanzato, ricuperata intera la sanità, aveva ripigliata quell'aria altezzosa e fiera, di cui la signora Maddalena s'era sentita turbata, quel giorno che l'aveva incontrato per le scale del signor Fedele. Ma la gioia donde era impresso ogni suo sguardo, ogni suo moto, lo faceva parere men duro; e per Bianca, all'ora che correva, non v'era uomo sulla terra più bello di lui.

Il generale, poichè ebbe detto alla donzella, che facesse stima di vedere in lui il padre dello sposo; pose le loro mani, l'una in quella dell'altro, e pronunziò queste parole, studiate parecchie ore, e mandate a memoria:

«Questa è la prima volta che m'accade una ventura di questa sorta. Signor Barone, se io avessi quarant'anni di meno, e fossimo ai tempi dei tornei, vorrei chiedervi di rompere meco una lancia; adesso non posso che applaudire, e narrare poi quando saremo tornati nel nostro paese, che quassù delle ferite ne toccaste due; una nel braccio, l'altra nel cuore. Che siano state toccate bellamente, diranno i vostri commilitoni per quella del braccio; per quella del cuore, chi vedrà la vostra Bianca, non avrà bisogno di testimoni. Ora, se vi pare tempo, andiamo in chiesa.

«Prego, un momento!—sclamò il signor Fedele, fra il giocondo bisbiglio, suscitato dalle parole del generale;—liberemo alla salute degli sposi, ai quali siano propizi i destini, e le loro Maestà l'imperatore d'Austria e il re di Sardegna nostri sovrani!»

Allora andò attorno un vassoio coverto di bicchieri colmi d'un liquore sì limpido, che pareva fosse rimasto imprigionato in ognuno di essi un raggio di sole. Tutti ne presero, salvo che Bianca e lo sposo, i quali dovevano ancora comunicarsi; e fu un tintinnio che venne inteso dalla via, e fece accapricciare il cuore di Margherita, che assettò meglio il lenzuolo sul capo della cieca affinchè non sentisse.

Poi le dame si presero Bianca in mezzo; e gli uomini dietro di loro discesero con esse le scale.

V'era alla porta una lettiga sontuosa, che l'Alemanno aveva fatto pigliare a nolo nella vicina Savona; e quattro lettighieri in abito di gala e a capo scoperto, attendevano ognuno al suo posto. Bianca che non sapeva di quella pompa, ne provò a vederla tanta maraviglia, che non s'avvide neanche delle centinaia d'occhi, dalle finestre, dalle porte, dalla via affollata; intenti, come dardi incoccati, sopra di lei. Un drappello di soldati Alemanni, faceva siepe alla lettiga, perchè il popolo non la investisse; la sposa fu messa dentro di quella con una delle dame, e subito si sentì levata da terra e portata. Un suono di strumenti scoppiò improvviso ed allegro; le campane di tutti i campanili del borgo, s'accoppiarono a quel suono martellate a festa; e lo sposo e il corteo mossero in bell'ordine, dietro i lettighieri.

Quante fanciulle affacciate alle loro finestre, si saranno ritratte, a quella vista, stizzite; prorompendo in accuse contro sè stesse, e contro i parenti, che non avevano saputo procacciare anche ad esse sì bella sorte! Quanti garzoni si saranno sentiti umiliati, pensando alle loro fidanzate, cui non avrebbero potuto recare tanto fasto; e che forse in quell'ora facevano nel secreto dell'animo, indiscreti raffronti!

Dietro al corteo incalzava la folla popolare e quando la lettiga s'arrestò a piè della scalinata della chiesa, questa fu stipata come fosse la domenica dell'ulivo. L'organo riempiva le volte delle sue armonie; ma per quanto la mano del suonatore si studiasse di trovarle festose, non veniva a capo di cavarne una, che non fosse impressa di malinconia. Perchè sebbene fosse un povero organista, le sue segrete fantasie le aveva anch'egli: e forse non gli pareva giusto, che quella giovinetta si sposasse, per andarsene chi sa in qual terra così lontana, che non sarebbe più mai tornata a udirlo suonare, neanco nella sagra del Santo patrono del borgo.

Al primo passo che mosse dentro la chiesa, Bianca rimase tocca da quei suoni e impallidì per modo, che una delle dame a lei più vicine, le chiese se per avventura la veste le stringesse troppo la vita, e se si sentisse male. La giovane sorrise, senza rispondere; ma quando si vide giunta al banco parato di damaschi rossi, dove s'aveva a inginocchiare, le parve d'aver fatto un grandissimo acquisto, perchè si sentiva venir meno. Si pose ginocchioni coll'Alemanno, che le venne allato; appoggiò i gomiti sui cuscini gallonati, raccolse nelle mani la fronte, e stette ad ascoltare quel suono d'organo, che sembrava avesse a dirle qualcosa. Oh! le ne aveva a dir tante, che nè Giuliano, nè la signora Maddalena, nè don Marco, avrebbero potuto di più. Quelle armonie erano un linguaggio noto ed inatteso, che trovava le vie del suo cuore, meglio d'ogni più dolce, o più acerba parola. Pareva che gli angeli del cielo, ai quali nei primi tempi dell'amor suo per Giuliano, aveva parlato colla fantasia tante volte, si librassero tutti sotto le arcate della chiesa, e ognuno le ridicesse ad alta voce, i pensieri mesti o lieti, che essa usava confidar loro che li portassero allo scuolare di don Marco. Cadde a poco a poco, in siffatto accoramento, che se l'Alemanno l'avesse potuta vedere in viso, da quell'uomo leale che egli era, le avrebbe chiesto se fosse pentita. Ma in quella il tintinnio di un campanello annunciò che entrava la messa; e dall'uscio della sagrestia fu visto il sacerdote, parato con gran fasto, andare all'altare con passi gravi, e cogli occhi bassi: maestoso, che pareva portare in mano le sorti dell'universo. Egli diede uno sguardo verso il banco degli sposi, inchinò il crocifisso inalberato sopra l'altare, salì i gradini, e incominciò il suo ufficio; mentre la moltitudine s'inginocchiava con un rumore sommesso e diffuso.

Quel sacerdote era il padre Anacleto. Il quale, avendo condotto Bianca a quel passo, si poteva dire, per le dande; per compiere l'opera s'era procacciato l'onore di dire la messa dello sposalizio. E sebbene i preti del borgo glie lo avessero conteso, riputato com'era ed esperto ad uscir d'ogni passo, egli aveva ridotto il parroco a farlo pago di quel suo desiderio.

Bianca sapeva come il celebrante avesse ad essere lui; ma assorta in quelle voci misteriose della fantasia, non lo vide entrare. Però quando la parola sonora e profonda del frate, si mescolò a quell'altre che udiva essa sola; le parve un aiuto che capitasse valido ed opportuno, si segnò e levò la fronte. Che valevano quelle note dell'organo, e quegli angeli della sua immaginazione? Non era vicino a lei il padre Anacleto, la cui voce, nell'orare si levava ora ai tuoni più alti, ora scendeva ai più gravi; quasi di persona che parli un po' al cielo un altro poco alla terra? Così man mano che s'appressava il momento d'andare alla balaustrata, sentiva qualcosa che la staccava per sempre dal passato; qualcosa come a dire la mano che tronca la gomena, e scioglie la nave affinchè pigli l'alto a golfo lanciato.

Costumava anche su quei monti, che una zitella andando a farsi chiedere dal prete se fosse contenta di sposarsi al suo fidanzato; vi si facesse accompagnare da un cugino o da altro congiunto, il quale era quasi un testimone del parentado, contento di dare una delle proprie donne, ad un uomo d'altra gente, che la facesse sua. Bianca aveva dietro di sè questa sorta di ministro del sacrificio; il quale quando vide essere venuto il tempo della cerimonia, la prese per una mano e la condusse alla balaustrata, mentre l'Alemanno vi si fece condurre dal generale. Là s'inginocchiarono di bel nuovo, e tutto il corteo fece corona intorno ad essi. Il frate spiccatosi dall'altare, accompagnato da una moltitudine di preti che recavano torce accese, venne verso di loro. E per la chiesa era un silenzio solenne; la moltitudine si premeva e ondeggiava; si vedevano le teste degli uni sporgere sulle spalle degli altri, e molti salire ritti sui banchi, e i monelli arrampicarsi alle colonne; intenti tutti a raccogliere le parole del frate e il sì che doveva uscire dalle labbra di quegli sposi beati.

I quali furono comunicati dal frate, in quella cerchia d'amici, che li nascondeva agli occhi del popolo; poi a un cenno di chi sa chi, l'organo tornò a suonare a gloria; fu vista la mano del padre Anacleto, alta sulle teste dell'Alemanno e di Bianca, in atto di benedire; questi si levarono, baciarono quella mano, diedero di volta, e scendendo da quei gradini, la sposa ebbe cuore di guardare la moltitudine sino in fondo alla chiesa. Oh! se l'Alemanno non prometteva invano, essa si sarebbe vista ammirata tutta la vita, come in quel momento. Le scintillava in dito una gemma di tanto prezzo, mèssale pur allora dallo sposo, che le pareva d'essere stata inannellata con una stella; un'altra gemma le brillava in fronte a mo' di diadema; ora la sua fantasia poteva spiegare i voli sicura; essa si riputava davvero la castellana del suo borgo natale! Che più? Un coro di fanciulle tutte di men che dieci anni, vestite di bianco, si fece dinanzi agli sposi cantando un inno cavato dalla Cantica di Salomone; e celebrando la beltà e l'amore di Bianca con quelle ardenti parole, facevano far largo alla folla sino alla porta del tempio, perchè il corteo potesse uscire. Quando questo fu sulla soglia, i suoni, le grida, gli applausi proruppero altissimi: e l'Alemanno che si menava al braccio Bianca ormai sua, aveva l'aspetto d'un eroe, che traesse seco, dalla vittoria, il premio invidiato d'una regina prigioniera volonterosa.

La lettiga non era più alla porta della chiesa, perchè gli amici e i convitati del signor Fedele, volendo mostrare l'allegrezza che quel matrimonio spandeva nel borgo, l'avevano fatta portar via; costringendo in questa guisa gli sposi a lasciarsi ammirare. E durante la messa, spacciati fanciulli nei prati e negli orti, e garzoni nei boschi vicini a sfrondar alberi; avevano fatta la fiorita per la via, e parati di fronde i muri delle case, come usava nella festa del Signore. Di che l'aspetto del borgo, pigliava dalla chiesa alla casa del signor Fedele, una sì bella e nuova allegrezza, che l'Alemanno ne fu lietissimo, e all'anima sua parve di inoltrarsi in una primavera, promettitrice di dolcezze infinite. Procedeva a piedi con Bianca allato, calpestando quei fiori, che a lui potevano sembrare emblemi di piaceri passati, a lei di affetti posti in oblio; ed ambedue bisbigliavano parole d'amore, verecondi in vista, fra gli evviva del popolo, e la grave andatura dell'accresciuto corteo: che lasciatosi alle spalle il clamore festoso della turba, rifece alfine le scale del signor Fedele. Ultimi tra i convitati capitarono i preti del borgo, col padre Anacleto, inchinato, lodato, atteso a dare il cenno, pel quale tutti pigliarono il loro posto alla solennità della gola; e se il signor Fedele avesse avuto in mano un turibolo, avrebbe incensato tre volte e quattro lui, che sedutosi in mezzo agli sposi, governò coi cenni e coll'esempio l'olimpico pasto.

Mangino e bevano i bicchieri arrubinati; ma almeno le loro allegrezze, non giungano nella stanza di damigella Maria. Essa e Margherita se ne stavano come due meschine, senza parenti nè amici al mondo, relegate dalla sventura in luogo solitario. Le voci e le risa dalla sala del banchetto, le percotevano come ventate furiose; e a misura che cessavano o tornavano a suonare, esse ripigliavano le loro querele.

«Ma tu, Margherita, non farai come Bianca no, nevvero?—diceva la cieca cercando colla sua mano attenuata e scolorita il capo della fanciulla. E questa non ebbe tempo di rispondere, perchè appunto uno scoppio di applausi fragorosi, le fece morire la parola sulle labbra. La cieca levò un istante il capo dal guanciale, porse orecchio quasi spaurita, poi rimettendosi a giacere, parlò basso a Margherita.

«Mi pare che si debba essere vicini al tramonto…?

«Sì—disse la fanciulla—il sole batte appena nel comignolo della casa di don Marco.

«Tua madre è morta a quest'ora.»

E i convitati a quell'ora erano ai brindisi del padre Anacleto; il quale aveva provocato quegli applausi con un primo discorso; e tutti avevano bevuto con lui alla salute degli sposi, cui pregò tante gioie e tanti figli, quante erano stelle in cielo e arene nel mare, stile da frate.

«Ora un secondo brindisi!—tuonava egli colla sua voce, fatta più poderosa dal vino e dall'umore allegro:—un secondo brindisi, e sia alla Francia immattita!

«Oh!—sclamarono i commensali interrompendo il frate con grandi risa: ma egli guardato un poco in viso ai più arditi; con occhi scintillanti, e reggendosi alla spalliera della sua scranna, proseguì sullo stesso tono:

«Sissignori! un brindisi alla Francia matta e ai suoi giacobini! Mi spiego. Se non fossero state le pazzie dei Francesi, questi gran gentiluomini sarebbero venuti quassù? No? E allora la coppia felice, in mezzo a cui seggo indegnamente, sarebbe? Giacobini alla vostra salute; non in questo, ma nell'altro mondo, se Dio vi perdonerà…!»

E fra un nuovo urtarsi di bicchieri, e un nuovo erompere di voci, bevve l'ultimo sorso che gli colmò la misura. Allora sentendosi la testa lì per andare in volta; prese commiato da Bianca, dallo sposo, e dalla comitiva, dando la mano a baciare a tutti, salvo che ai preti.

Lui partito, durarono i ricreamenti e gli allegri parlari, finchè alcuni cominciarono a provar noia, altri desiderosi d'una boccata d'aria s'affacciavano alle finestre, andando e tornando con uno scarpiccio irrequieto. Gli ufficiali tastavano le loro pipe, bramosi di farle fumare; Bianca aveva negli occhi l'agonia d'andar fuori; di che non si stette guari a far parola d'uscire a diporto.

Lasciamo che si apparecchino, che si liscino, che partano a due, a quattro, come loro verrà bene; e vadano a godersi il fresco della bassa ora, o lungo i prati oltre il torrente, o sotto i filari d'olmi, sui quali cantano più felici di loro, i passeri a migliaia. Salgano a loro talento in castello, a rifare colla mente il vasto edificio; e Bianca si pasca di sogni, e colla fantasia vegga sè stessa seduta al balcone marmoreo, come le aveva insegnato a figurarsi il padre Anacleto. Noi raggiungeremo questo, chè alla maniera in cui si è veduto partire, qualcuno non se lo avesse a immaginare barcollante, sulla via del suo convento.

Egli aveva veduto il fondo a molti bicchieri; ma la sua natura, era da non lasciarlo correre oltre un'ebrezza discreta. E se dava il primo alla sete, il secondo al piacere, il terzo all'allegria; avrebbe da poi potuto dare altri venti bicchieri allo stomaco, senza che gli accadesse di perdere la tramontana. Ma fosse anche stato a questo segno, non gli sarebbe seguito alcun male. Perchè s'aveva procacciata la compagnia di quattro giovani di buon casato, suoi penitenti; i quali, sul vespro, andando a zonzo fuori del borgo, s'acconciarono di buon grado a fargli servigio.

Tra la via da C…. al convento, non rifiniva di lodarsi della maestria, con cui aveva condotto a termine quel parentado; del quale si sarebbe parlato lunghissimi anni in tutta la vallata; e dicendo era così lieto, che i quattro credevano ogni tratto, di vederlo buttarsi in terra, a far capriole. I foresi che tornavano dai vespri, colle bisacce ricolme di carni e di spezierie, pei desinari che solevano imbandire l'indomani, (essendo quel giorno la vigilia della Madonna degli Angeli, festa dei Minori Osservanti e di tutta la vallicella dove sorgeva il convento); vedevano la brigata giuliva e ridevano, allentando il passo o affrettandolo, per rispetto a quei personaggi, nella gioia dei quali parevano avere anch'essi una particina. Padre Anacleto salutava alla buona; e via così accompagnato e riverito giunse al convento, se non sano, salvo.

Il cielo, a ponente, era colorato di quelle tinte, che i pittori chiamano calde; e parlano all'anima di tante cose dolci; e fanno parere che il sole, tramontato a malincuore, sia lì sempre per riapparire. Al po' di luce riverberata dai tufi grigi dei colli che sorgevano di faccia al convento, il campanile spiccava nella selva scura che aveva a ridosso, e l'intiero edificio biancheggiando, faceva così placido invito, da invogliare della sua quiete il più felice uomo del mondo.

«Ed ora che mi avete accompagnato, ve ne vo' dare un bicchiere, che mi direte come lasci l'ugola.»

Così disse il padre Anacleto, facendo atto di mettere i quattro giovani nel chiostro. E come questi si schermivano e mostravano di non voler entrare:

«No, no…. nessune cerimonie!—soggiungeva—qui comando io: e giacchè i padri stanno cenando, ed io per questa sera non ho nulla a vedere coi loro radicchi; così vogliamo fare tra noi un brindisi a questi colli, che danno i vini deliziosi; e ai contadini che mi portano quanto basta, per fare un po' d'onore ad amici quali siete voi….

«Ma padre,—usciva a dire uno della comitiva:—non per rifiutare no, non vede? fa notte, e a C…. siamo aspettati….

«Al ballo degli sposi, nevvero?—sclamò ridendo il padre Anacleto:—eh! via, peccatori, farete sempre a tempo a mescolarvi coi diavoli; sì coi diavoli! Chi sta a vedere le danze n'ha in corpo almeno un paio, chi danza, sette od otto. Pensate figliuoli a quel che dei balli, dice San Giovanni Grisostomo; pensate che passare per scortesi, selvatici, poco amanti della compagnia, non vuol dire: e anche quando sarete violentati ad andare ai balli, pensate che San Francesco di Sales consiglia di metterci sassolini nelle scarpe, acciò quel dolore, che essi danno ci faccia ricordare dei tormenti dell'inferno! Entrate, figliuoli, che se mi spazientizzo, vi tengo prigionieri, e predico tutta la notte!»

Con questa piacevolezza, pigiati attraverso la porta, i quattro giovani furono nel chiostro; e per una scala angusta, in un corridoio di sopra, in capo al quale era la cella del padre Anacleto, dove entrarono uno dopo l'altro. Ultimo, il frate chiuse l'uscio a due mandate, e levata la chiave dalla toppa, se la cacciò sotto la tonica, forse nella saccoccia delle brache, sclamando:

«Animo! Ora, tirate in mezzo quel tavolino, a modo… senza far rumore. Un momento, badate a non mandarmi in confusione queste carte; v'è scritto il panegirico che dirò domani…., v'aspetto ad udirlo. Animo dunque, con garbo, così! Tra tutti si fa tutto…; dà una mano a questa panca, tu; e tu, accendi la candela; tò acciarino, esca, zolfino…. oh! ora sta bene!»

Con questa sorta di discorso, il frate alzò un lembo della coltre del suo lettuccio, e disse: «vedete?»

Là sotto, in quella mezza oscurità, rotta da un po' di luce che vi scendeva dalla candela, alcuni fiaschi brillavano, come occhi di belve in una caverna.

«Oh! benedetti,—urlarono i giovani a quella vista, correndo a fare intorno al letto una genuflessione: ma il frate lasciando ricadere la coltre, zittì, rattenne il fiato, e fece segno ad essi di rattenerlo. I padri venivano appunto allora fuori dal refettorio, e v'era pericolo che udendo quell'urlare nascesse qualche gran chiasso.

La campana del convento suonava in quella l'avemaria a distesa; annunciando la festività dell'indomani. Quella della parrocchia di C…., entrava anch'essa a mandare il suo saluto alla notte: e a quei suoni s'aggiunsero subito quelli delle campane dei borghi, poco lontani dal convento. Fra l'altre si discerneva assai bene quella di D… a certo squillo, che imprimeva nell'aria una malinconia da far pensare all'eternità. Quella sera gli squilli parevano lamentosi più dell'usato, al padre Anacleto; il quale, se fosse stato uomo d'altro cuore, lasciati i fiaschi dov'erano, e accommiatati gli amici; avrebbe piegate le ginocchia e giunte le mani, chiedendo perdono al cielo, d'essersi immischiato in un matrimonio, che ad un giovane allevato al suono di quella campana, aveva tolta la gioia forse per sempre.


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